martedì 25 ottobre 2011

Aliena vitia in oculis habemus, a tergo nostra sunt - Seneca (Abbiamo davanti agli occhi i vizi degli altri, mentre i nostri ci stanno dietro)

Caro Nicolas, perché vuole nascondere il suo debito?
Adriana Cerretelli
Ferrara prende di mira Sarkozy Ride bene chi ride ultimo
Pierre de Nolac 
Cara Angela, ma lei non è già commissariata?
Carlo Bastasin
Ue: Italia, serve un calendario chiaro di tutte le riforme
M.N.







Caro Nicolas, perché vuole nascondere il suo debito?
di Adriana Cerretelli
 Caro Presidente Sarkozy,
 che strapazzata domenica sera a Bruxelles, povera Italia. E con che cipiglio. Smorfie e risolini a parte, forse fuori programma e fuori luogo, anche se la Merkel al suo fianco, mi lasci dire, ha mostrato più autocontrollo. È proprio vero che la classe tedesca non è acqua. Ma non stiamo a sottilizzare, a perderci in paragoni antipatici.
 Monsieur le Président, lei ha ragione. Quella lavata di capo ce la meritiamo tutta.
 Troppi i nostri colpevoli ritardi, le riforme strutturali e le liberalizzazioni mancate, dal mercato del lavoro all'efficienza di una giustizia che con le sue eterne lungaggini scoraggia gli investimenti nel nostro Paese. Troppi i lacci e lacciuoli burocratico-regolamentari che strangolano la crescita della nostra economia nonostante il suo grande potenziale. Troppa, in breve, l'inerzia del Governo Berlusconi. Per questo avete fatto bene l'altra sera a pretendere dal nostro presidente del Consiglio una lettera scritta in cui si enumerino tutti gli impegni che dovrà onorare su questo fronte e su quello del consolidamento fiscale. Le riforme vanno fatte al più presto e non saranno mai abbastanza. Nell'interesse dell'Italia prima ancora che dell'area euro. Nel mondo globale, senza riforme che rendano le economie più flessibili, non si cresce, quindi alla lunga non si riesce a ripagare l'eccesso di debiti pubblici accumulati. Quando si ha una moneta comune, questo è un rischio che non si può correre, meno che mai si può farlo correre ai propri partner. Presidente però ho alcune domande che mi rodono. Sette, mi perdoni, spero non siano troppe. Mi ha colpito il suo viso tirato, l'altra sera, così diverso da quello tranquillo del cancelliere tedesco. Irritazione per le inadempienze del Governo italiano? Oppure per le bizze di Bini Smaghi che si ostina a non liberare la poltrona della Bce nonostante le assicurazioni contrarie che in giugno aveva dato a lei personalmente? Dicono, presidente, che nel suo entourage molti l'accusino di ingenuità, la invitino a non fidarsi degli italiani. Di sicuro la vicenda è un colpo basso per la credibilità dell'Italia, che già non brilla. Consideri, quindi, che è un grosso danno anche per noi. Per questo siamo i primi a sperare che alla fine prevarrà il senso di responsabilità dell'interessato. Per quanto pesante per lei sia la grana Bini Smaghi, il rischio che un francese non sieda nel direttivo della Bce dove ci sarebbero invece ben due italiani di cui uno presidente, ho l'impressione che ci siano guai ancora peggiori a tormentarla. Primo, la stabilità del sistema Italia. Davvero teme che salti? È vero che l'euro ci lega come in cordata e che, se precipita, un'economia grande come la nostra è in grado di tirarsi dietro tutti, anche la Germania. Però le nostre inadempienze non sono irrecuperabili, il consolidamento dei conti pubblici è ben avviato, il debito è sostenibile. Magari, se lei e la Merkel parlaste un po' meno in libertà, forse i mercati sarebbero meno emotivi e gli spread si allargherebbero meno. A ben vedere poi il nostro deficit non è così malvagio: 4% nel 2011 contro il vostro 5,8. Siamo noi e non voi i più vicini al 2% della Germania. Certo la nostra crescita, con l'1%, è troppo piatta, anche se il vostro 1,8 non fa faville. Il debito al 120,3% è pessimo però è il peso del passato e con la grande crisi è salito di 14 punti. Il vostro è schizzato quasi di 20. Abbiamo un deficit delle partite correnti al 3,5% del Pil, un po' meno peggio del vostro che è al 3,9, contro l'attivo tedesco del 4,7. Se mi permette, non siete un esempio di virtù e nemmeno un irresistibile modello di competitività economica. Se poi prendiamo le banche, le nostre non le abbiamo inondate di aiuti pubblici, non ne avevano bisogno come le vostre. Che oggi traballano anche perché incautamente si sono sovraesposte nell'acquisto di bond sovrani più o meno deteriorati. Secondo i calcoli dell'Eba, le sue banche sono esposte per 84,6 miliardi, 53 sui titoli italiani. A fronte dei 118 sul debito francese. Visto che siamo così legati, presidente, non è che lei paventa la vulnerabilità dell'Italia perché la priverebbe del comodo scudo dietro il quale oggi può riparare le tante fragilità francesi? Non è che fa la voce così grossa con noi per distogliere l'attenzione dal suo Paese, dalla difficile ricapitalizzazione delle sue banche? Sbaglio o per questo tra i suoi incubi c'è la perdita della "Tripla A", quelle 3 lettere magiche che oggi tengono ancora in piedi la parvenza della parità con la Germania, che avete perso nel 1990 con la riunificazione tedesca? Una tragedia devastante per la "grandeur" francese. Intollerabile nell'anno delle presidenziali. Conclusione: se l'Italia di Berlusconi piange, la sua Francia non ride. Se così stanno le cose, dobbiamo più che mai restare uniti, non crede? Allora niente sparate contro nessuno, per favore. I mercati ci ascoltano.

Ferrara prende di mira Sarkozy Ride bene chi ride ultimo
Pierre de Nolac 
A Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano Il Foglio, il presidente della repubblica francese Nicolas Sarkozy ricorda il comico Louis de Funès: ovvero, un simpatico attore che al di là delle Alpi hanno sempre paragonato a Totò. E a piazza Farnese, davanti all'ambasciata di Francia, oggi alle 17 grazie a Ferrara si terrà un «laugh-in», cioè un sit-in «scanzonato di allegra e serissima protesta contro la ridanciana pretesa di scaricare sull'Italia i guai di un governo direttoriale disastroso dell'area euro». Delle prodezze di Sarkozy, parleranno «con garbo e fermezza» Antonio Martino e lo stesso Ferrara: evocando magari i titoli di pellicole quali Aggrappato a un albero, in bilico su un precipizio, a strapiombo sul mare, Il montone a cinque zampe, Fantomas minaccia il mondo e l'indimenticabile Tre uomini in fuga. I francesi, si sa, non hanno mai apprezzato Silvio Berlusconi: come prova, è sufficiente leggere l'elenco delle onorificenze che da Parigi sono state assegnate a personaggi quali i sindacalisti della Cgil Sergio Cofferati e Susanna Camusso. Per non parlare dei giudizi dei corrispondenti francesi di stanza a via dell'Umiltà, nella sede romana dell'Associazione della stampa estera in Italia: una polifonia antiberlusconiana senza pari, pronta a spernacchiare ogni giorno il Cavaliere. Martino, poi, uno degli allievi della scuola di Chicago di Milton Friedman (e con moglie statunitense), sui francesi ha le idee chiare, e le esporrà nel pomeriggio (gli è bastata l'esperienza alla Farnesina, in qualità di ministro degli Affari esteri, per assaggiare i metodi della nazione che produce Brie e Camembert): quel sorriso ironico di Sarkozy non resterà impunito. Quella Francia che ha dato ospitalità a tanti terroristi italiani, proteggendoli dalla giustizia italiana meglio di qualsiasi leggina partorita da Montecitorio e palazzo Madama: un nome tra tutti, quello di Cesare Battisti, ora impegnato a dare la caccia alle ragazze carioca, in Brasile, dopo essersi sufficientemente divertito con le francesi. © Riproduzione riservata

Cara Angela, ma lei non è già commissariata?
di Carlo Bastasin
 Gentile Signora Merkel,
 i ritardi nell'azione del Governo italiano sono gravi e rilevanti per l'Europa ed è quindi giusto che la credibilità dell'esecutivo sia un tema centrale nel confronto europeo tra governi, parlamenti e cittadini. Ma non sempre ciò che è giusto è anche accettabile. Confondere un confronto politico con un diktat significa far sì che i rapporti di forza finanziari tra Germania e Italia si traducano in uno squilibrio di forza politico che pone interrogativi sulla qualità della democrazia in Europa.
Dopo le sentenze della Corte costituzionale, Lei stessa è obbligata a ottenere dal Parlamento tedesco un mandato per negoziare a Bruxelles. Ma il Bundestag e in particolare i Suoi alleati chiedono di votare preliminarmente un testo tedesco che rispecchi l'accordo finale di un vertice che si deve ancora tenere. Il risultato è che lei si reca a Bruxelles senza poter negoziare. In ragione di tali vincoli interni, Lei ha posto condizioni - non per forza sbagliate - a un partner, l'Italia, chiamandolo ad approvarle entro tre giorni. Il Governo italiano deve quindi procedere d'urgenza senza consultare il Parlamento, il quale viene chiamato successivamente ad approvare provvedimenti contenuti in un accordo internazionale e che quindi non sono modificabili se non a costo di una nuova crisi dei mercati. Il peso specifico dei due Parlamenti è evidentemente squilibrato e in senso lato lo è anche quello dei cittadini.
 A una situazione di forza finanziaria la Germania è arrivata per lìammirevole capacità di consolidare la propria economia. Sarebbe sufficiente il paragone tra la soluzione dei problemi dell'unificazione e quelli del nostro Mezzogiorno per riconoscerlo. Ma non è tutto positivo quello che ha determinato la forza finanziaria tedesca. Due aspetti non lo sono: uno è la politica macroeconomica mirata a produrre surplus di risparmio e l'altro è la protezione del sistema finanziario.
 Tra il 1997 e il 2008 la Germania ha esportato due terzi del totale dei suoi risparmi, equivalenti quasi all'intero Pil dell'Italia. Tra il 2002 e il 2010, l'export di capitale ha superato i 1070 miliardi. I risparmi sono stati ottenuti attraverso sia la capacità competitiva delle imprese, sia le politiche di restrizione fiscale e salariali che hanno portato Stato e famiglie a ridurre la domanda interna e quindi a contribuire in modo squilibrato e negativo alla domanda europea e globale.
 L'altro lato della compressione della domanda è appunto l'investimento all'estero dei capitali che come è noto ha portato le banche tedesche a finanziare le bolle speculative. Il protezionismo con cui la Germania ha nascosto i problemi delle proprie banche ha aggravato l'intera crisi dell'euro area. Gli interessi politici dietro le Landesbanken e il fatto che nel consiglio di sorveglianza di Hre sedessero anche Suoi consiglieri non è rassicurante.
 Dietro ogni ideologia c'è una cattiva coscienza ed è forse quella che ha portato a destabilizzare l'intera euro area nell'ottobre 2010 con la proposta di una clausola di default per chi investe nelle future emissioni dell'euro area. Ora propone il contrario: di assicurare quelle perdite.
 Anche senza ricordare la violazione del Patto di stabilità del 2003 e l'opposizione a dare alla Commissione Ue maggiori poteri di sorveglianza, la corresponsabilità tedesca nella crisi è nascosta alla consapevolezza dei Suoi cittadini. Le personalizzazioni della crisi nella figura del premier italiano e del pre-pensionato greco fanno giustizia sommaria di ogni approfondimento. Così si tende a liquidare sbrigativamente anche la questione dei diritti politici dei Paesi messi sotto scacco dai mercati. Questo potrebbe essere accettabile se il Bundestag internalizzasse i problemi europei. Ma non c'è alcuna garanzia di questo tipo: giovedì scorso Lei è arrivata a chiedere la cancellazione del vertice perché non era in grado di negoziare in assenza di un mandato del Bundestag. Il peso delle opinioni del partito liberale o di quello cristiano-sociale bavarese - che corrispondono all'opinione di solo un cittadino tedesco su 13 - prevale sul peso dell'80% del Bundestag ed è enormemente più rilevante di quello dei cittadini di qualsiasi altro Paese (viene in mente il Lissabon Urteil della Corte). Difficile essere il centro d'Europa, se non si è il centro nemmeno nel proprio Paese.
 Fu Immanuel Kant a definire la libertà giuridica del cittadino come la facoltà di non obbedire a leggi esterne, se non a quelle alla cui approvazione egli stesso fosse stato in grado di partecipare. Evidentemente si tratta di un linguaggio che va trasposto dalla democrazia nazionale a quella europea. Un linguaggio che prelude all'unione politica europea e che italiani e tedeschi dovrebbero impegnarsi subito a imparare insieme e fin da oggi a tenere in considerazione.

Ue: Italia, serve un calendario chiaro di tutte le riforme
M.N.
“Occorre attuare l’alto potenziale dell’economia italiana”. Gli “impegni chiari” devono riguardare “la crescita, la riforma del mercato del lavoro e quella giudiziaria”. L’Europa chiede all’Italia “un’agenda di riforme completa con un calendario chiaro. Tutti i partner europei devono essere convinti del suo impegno”. È quanto ha riferito il portavoce del commissario Ue agli affari economici rispondendo ad una domanda sulla portata dell’intervento sulle pensioni italiane in risposta alla richieste dell’Ue.
Le misure. Amadeu Altafaj, portavoce del commissario Ue agli Affari economici, ha aggiunto che gli “impegni chiari” richiesti all’Italia devono riguardare “le riforme per il rafforzamento della crescita, la riforma del mercato del lavoro e la riforma giudiziaria” in modo da “affrontare le debolezze profondamente radicate dell'economia europea”. Le scelte che ci si aspetta dall’Italia, dunque, non riguardano solo le misure d'austerità, ha spiegato il portavoce, ma tutte quelle misure che possano “attuare l'alto potenziale dell'economia italiana, che ha una forte dinamica e fondamentali molto solidi, per creare più posti di lavoro e una crescita più sostenibile”.
La fumata nera delle pensioni. Dopo l'ultimatum dell'Ue, che prevede di presentare entro il vertice di mercoledì le misure su debito e crescita, Berlusconi ha convocato un Consiglio dei ministri in cui convincere Bossi ad intervenire sulle pensioni e fare quei provvedimenti che, ha sostenuto, "ho sempre chiesto ma non ho potuto realizzare per colpa di altri". Al termine del Cdm, durato circa un'ora e mezza, non si è presa, in realtà, nessuna decisione sulla riforma delle pensioni. Umberto Bossi ha ribadito che questa materia non è trattabile.

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