martedì 25 ottobre 2011

Federali.mattino_25.10.11. La Restanza – l’antropologia del restare; Pino Aprile: Sempre maggiore il numero di giovani laureati del Sud che decidono di restare o addirittura tornare, rifiutando ottime offerte all’estero e al Nord, per migliorare la propria condizione, migliorando quella della propria terra.----Vecchioni: Chiamami ancora Napoli. Da ora la mia vita sarà dedicata al Forum----Paul Krugman: Gli investitori, per paura di un possibile default italiano, stanno domandando un più alto tasso d’interesse per la remunerazione dei titoli di debito italiani. Questo innalzamento dei tassi d’interesse rende un default italiano paradossalmente più probabile.

Lo sapevate che…? In “giu’ al Sud” si parla di
Vecchioni: «Chiamami ancora Napoli. Da ora la mia vita sarà dedicata al Forum»
Un buco nel secchio dell'Europa
Summit europeo: tensioni tra i leader, Sarkozy contro Italia e Gran Bretagna
Russia: Moody's, outlook negativo banche
Green economy alla russa



Lo sapevate che…? In “giu’ al Sud” si parla di:
- Una disposizione del ministero della Pubblica Istruzione (vabbé, quel che ne resta, a parte il nome, ormai improprio, a seguito della gestione Gelmini) cancella dall’insegnamento nei licei gli scrittori e i poeti meridionali;
- Le norme per il federalismo fiscale “equo e solidale” (si capisce) sono state decise in quasi assoluta solitudine da leghisti e amministratori del Nord, in assenza di quelli del Sud; oppure, in presenza di rappresentanti della Sicilia, ovvero di una regione a statuto speciale, a cui non si applicano quei criteri. Ovviamente, indovinate quanto sono “equi e solidali” quei criteri;
- Perché nessuno impedì a Umberto Bossi, ministro, di fumare in Prefettura, alla presenza del capo del governo, dei presidenti di un paio di Regioni, di sua Eccellenza il Prefetto e altri pubblici funzionari preposti all’osservanza delle leggi. Analisi di un gesto.
- Cosa muove il montante risentimento di una città comunemente definita “babba” (diciamo: inerte, per non offendere) come Messina? Incredibilmente, il recupero della memoria dei soccorsi dopo il terremoto del 1908: arrivarono diecimila bersaglieri, con un milione di pallottole e cominciarono a sparare sui superstiti “sciacalli”, anche se a rubare i beni delle vittime, si scoprì, erano soprattutto i militari. e in parlamento si propose di rivolvere la faccenda, bombardando le macerie, sotto le quali erano, sepolte ma vive, migliaia di persone.
- Sempre maggiore il numero di giovani laureati del Sud che decidono di restare o addirittura tornare, rifiutando ottime offerete all’estero e al Nord, per migliorare la propria condizione, migliorando quella della propria terra. Il fenomeno ha assunto tale importanza, che un grande antropologo, il professor Vito Teti, lo ha studiato come si trattasse di una nuova tribù, chiamandolo, con un bellissimo neologismo, “La Restanza – l’antropologia del restare”.
- Torremaggiore: il paese di Nicola Sacco, giustiziato innocente, sulla sedia elettrica, con Bartolomeo Vanzetti; ma anche il paese di Michele Caruso, uno dei più audaci “briganti” che combatterono anni contro l’invasione piemontese e ne sconfisse reparti in campo aperto. Il primo, dopo 50 anni, è stato rabilitato dallo Stato del Massachusetts; il secondo, dopo 150 anni, è ancora “brigante”…
- Il dolore del Sud, per il massacro subìto, la distruzione della sua società e della sua economia, fu smaltito il musica (chi soffre, canta). Così sono nate le più belle canzoni “italiane”, in realtà quasi esclusivamente napoletane; e, da emigrati principalmente siciliani, a New Orleans, addirittura il jazz, in cooperazione e concorrenza con i neri, a Congo Square; mentre “la sesta napoletana”, la serie di accordi che più intesamente “racconta” il dolore, invadeva tempo e spazio, sino alle canzoni di Jim Morrison, dei Rolling Stones (Angie).
- Come mai dilaga “l’architettura del brutto” al Sud? Ecco in che modo la perdita del proprio passato distrugge il senso della bellezza e l’idea dello “spazio comune”…

Vecchioni: «Chiamami ancora Napoli. Da ora la mia vita sarà dedicata al Forum»
Il neopresidente dell'evento che si terrà nel 2013 nella sede di San Gregorio Armeno con de Magistris, Cesaro e Trombetti: «Sarà fatto dalla gente, niente compromessi»
NAPOLI - Il professore sale «in cattedra» al Forum della culture. Questa volta la cattedra di presidente. Roberto Vecchioni nel suo anno buono - nel 2011 ha già vinto il festival di Sanremo con «Chiamami ancora amore» - è arrivato a Napoli per la presentazione del nuovo corso dell'evento in era De Magistris. Il dopo-Oddati, l'ex assessore che si era speso per l'assegnazione del Forum a Napoli - ha dunque un profilo alto, per certi versi inaspettato e tutto da ridisegnare. Da «Luci a San Siro» verrebbe voglia di dire a «Luci al San Paolo»: la metamorfosi del cantautore lombardo è presto fatta.
SFIDA DEFINITIVA - «Il Forum delle culture? - ha detto Vecchioni oggi a Napoli alla presentazione dell'evento con il sindaco De Magistris, il presidente della Provincia di Napoli, Cesaro e l'assessore regionale Trombetti - per me è la sfida definitiva perché per una cosa così bella non si poteva che dire di sì. Ma da questo giorno in poi la mia vita non è solo musica ma sarà solo Napoli».
«IL DIRETTORE GENERALE? DEVE ESSERE UNO COME ME» - Il presidente del Forum delle Culture è entusiasta del suo nuovo incarico e aggiunge: «È stato un regalo del destino alla soglia dei 70 anni ma bisogna mettere a posto un sacco di cose».
Tra queste l'organigramma che manca di un vertice, il direttore generale. «Deve essere uno come me» ha precisato Vecchioni.
IL FORUM DELLA GENTE - «Mi auguro che non sia un Forum di pochi esperti ma della gente». Vecchioni, ha aggiunto che si confronterà «con tutti quelli che hanno qualcosa da dire di Napoli» e che «mi daranno dei suggerimenti». Ma «non accetterò alcun compromesso. Non me ne frega nulla della politica. Appena ho accettato ho ricevuto centinaia di telefonate», ha confessato Vecchioni annunciando che andrà avanti «in piena autonomia». Parlando poi del direttore generale, che deve essere ancora nominato, ha detto: «Si tratta di una avventura meravigliosa» ha concluso il cantautore garantendo il massimo impegno per l'organizzazione del Forum delle Culture made in Naples.
Nat. Fe.

Un buco nel secchio dell'Europa
di Paul Krugman*
24 Ottobre 2011
Se non fosse così tragica, l’attuale crisi europea sarebbe quasi divertente, però di un umorismo macabro. Mentre tutti i piani di salvataggio europei sinora messi in campo, hanno apertamente fatto fiasco, le ‘Very Serious People’ d’Europa – che sono, se possibile, addirittura più pompose e vanitose delle proprie controparti americane – continuano ad apparire sempre più ridicole.
Arriverò alla tragedia in un minuto. Prima di tutto, parliamo da quelle ‘botte sulle natiche’ che recentemente mi ha fatto venire in mente quella vecchia canzone per bambini che non smette di ronzarmi nella testa , “There’s a Hole in My Bucket” (ndt. la canzone a cui Paul Krugman si riferisce è parodossalmente d’origine tedesca).
Per coloro che non conoscono la canzone, essa dà conto di un pigro contadino che si lamenta di un buco in un secchio, la cui moglie esorta a colmare. A ogni azione che lei suggerisce al marito per colmare il buxo, ci si rende conto che esse avrebbero bisogno di un’azione propedeutica, e alla fine, lei chiede al marito di andare a prendere dell’acqua al pozzo. “Ma c’è un buco nel mio secchio, cara Liza, cara Liza”.
Ma che c’entra questo con l’Europa, si dirà? Beh, a questo punto, la Grecia, il paese da dove tutto è iniziato, è diventata nient'altro che una grigia evento minore. E' chiaro che il reale pericolo arrivi invece da una specie di assalto agli sportelli dell'Italia, la terza più grande economia della zona euro.
Gli investitori, per paura di un possibile default italiano, stanno domandando un più alto tasso d’interesse per la remunerazione dei titoli di debito italiani. Questo innalzamento dei tassi d’interesse rende un default italiano paradossalmente più probabile.
E’ un circolo vizioso, con la paura default che finisce per diventare una profezia che si auto-realizza. Per salvare l’euro, questa minaccia deve essere eliminata. Ma come? La risposta ha certamente a che fare con la creazione di un fondo che possa, se necessario, prestare all’Italia (e alla Spagna, che è anch’essa a rischio) abbastanza denaro affinché l'Italia non abbia bisogno di prestare ai mercati con gli alti tassi d’interesse odierni.
E' probabile che un fondo del genere non verrebbe neanche utilizzato, visto che il solo fatto d'esistere metterebbe fine al ciclo della paura sui mercati. Ma l'ipotetico ammontare per un reale prestito su larga scala - certamente per un valore di più di un trilione di euro -  dovrebbe comunque essere immobilizzata la dentro.
Arriviamo ai problemi: tutte le proposte sin'ora messe in cantiere in Europa per creare un fondo del genere, alla fine richiedono il sostegno da parte dei paesi più importanti, le cui promesse per gli investitori devono essere credibili perché il piano funzioni. L’Italia esprime uno di questi governi; ovviamente non può andare verso un salvataggio prestando del denaro a se stessa.
Anche la Francia, per grandezza la seconda economia della zona euro, ha mostrato di essere un po’ traballante negli ultimi tempi; ha suscitato paure la creazione di un largo fondo di salvataggio, che avrebbe come effetto quello di far spendere di più al governo francese, una spesa che di fatto andrebbe ad aggiungersi al debito francese, il quale potrebbe semplicemente avere l’effetto di aggiungere la Francia alla lista dei paesi in crisi. Della serie:"C’è un buco nel secchio, cara Liza, cara Liza".
Capirete adesso che cosa intendessi quando dicevo che la situazione è divertente, ma in modo macabro. Ma quel che rende tutta questa storia davvero dolorosa, è che tutto ciò si sarebbe potuta evitare.
Si pensi a paesi come la Gran Bretagna, il Giappone o gli Stati Uniti, che hanno grandi deficit e grandi debiti e ciononostante sono in grado di prestare con tassi d’interesse relativamente più bassi. Qual è il loro segreto? La risposta, in maggior parte, è che i governi di quei paesi hanno mantenuto delle monete ancora in proprio controllo e gli investitori sanno che in un solo istante, tali governi possono finanziare il proprio deficit semplicemente stampando più moneta.
Se la Banca centrale europea fosse in grado di fare la sua parte nella gestione dei debiti europei, la crisi si attenuerebbe significativamente. Ma ciò non creerebbe inflazione? Probabilmente no: qualsiasi cosa pensino i seguaci di Ron Paul (ndt. Ron Paul è senatore statunitense dal Texas: libertario anti-Fed, è uno dei candidati alle primarie per la nomination Repubblicana alle presidenziali 2012), la creazione di moneta non ha effetti inflazionistici in un’economia depressa.
In più, l’Europa ha bisogno di un aumento dell’inflazione nel complesso abbastanza modesto: se le cose continuano a stare come stanno oggi, un tasso d’inflazione troppo basso continuerà a condannare l’Europa del Sud ad anni d’opprimente deflazione, la quale allo stesso tempo manterrà alta la disoccupazione e provocherà comunque una catena di default.
Ora, una soluzione del genere, ci continuano a dire, non è nemmeno sul tavolo. Lo statuto della Bce, il quale regola il funzionamento dell'istituzione, apparentemente proibisce un’azione del genere, benché non mi stupirebbe affatto che un gruppetto di astuti avvocati potrebbero sicuramente aggirare l'ostacolo giuridico.
Il problema maggiore, comunque, rimane il fatto che l’intero sistema dell’euro era stato pensato per combattere l’ultima guerra economica. Era nato per costituire una specie di linea Maginot con il fine d'impedire una riedizione della guerra economica degli anni ’70 – la quale ovviamente non servì a niente –, e per scongiurare , in fondo, una riedizione della terribile guerra economica degli anni ’30.
La piega che stanno prendendo gli eventi, come ho detto, è tragica. La storia dell’Europa del dopo-guerra è profondamente illuminante. Dalle rovine della guerra, gli Europei hanno costruito un sistema di pace e democrazia, e lungo la via hanno costruito delle società le quali, benché imperfette – quale società non lo è? – sono provatamente le più decenti nella storia dell’umanità.
Ciononostante, questo risultato è minacciato dal fatto che l’elite europea, nella sua arroganza, ha costretto il Continente in un sistema monetario che ha creato le rigidità del gold standard, e – come il gold standard negli anni ’30 – si è trasformato in una trappola mortale.
Forse i leader europei se ne usciranno con un reale e credibile piano. Me lo auguro, ma non me lo aspetto.
L’amara verità è che il sistema dell’euro appare sempre più spacciato. Ancora più amara verità, è che dato il modo in cui si è comportato il sistema, l’Europa starebbe meglio se quel sistema andasse al collasso: e ciò, 'meglio prima che dopo'.
* Paul Krugman è un economista statunitense. Attualmente professore di Economia e di Relazioni Internazionali all'Università di Princeton, ha vinto il premio Nobel per l'economia 2008.
Tratto dal New York Times
Traduzione di Edoardo Ferrazzani

Summit europeo: tensioni tra i leader, Sarkozy contro Italia e Gran Bretagna
Grandi sorrisi e strette di mano. Eravamo solo all’inizio del summit domenica a Bruxelles. Poi i leader europei hanno archiviato il buonumore e sono emerse le divergenze.Francia e Germania si sono divise sul modello da seguire per rafforzare il fondo europeo salva-stati. Poi Parigi e Berlino hanno ritrovato l’unità per strigliare l’Italia con un sorriso ironico sull’affidabilità del governo italiano, che è stato ripreso da tutti i media europei.
E se all’Italia il presidente Sarkozy ha ricordato che deve fare qualche sforzo per mettere a posto i conti e meritare la solidarietà europea, il leader francese non ha risparmiato frecciate nemmeno al premier britannico David Cameron, invitato gentilmente a non immischiarsi nelle questioni della zona euro.
Un’atmosfera di tensione che fa dubitare della capacità dell’Europa di trovare una via d’uscita a questa crisi. Una crisi non solo economica. In discussione c‘è anche il modello di integrazione europeo. Spiega il direttore del Centro europeo di studi politici, Daniel Gros: “Ci sono molte persone che dicono: abbiamo bisogno di piu’ integrazione ora” Ma in realtà vogliono dire – di piu’ controllo”. L’ingerenza era simmetrica. Ognuno rinunciava ad una po’ di sovranità ma poi ognuno partecipava a decisioni congiunte. Ora non è piu’ cosi’: i paesi creditori Germania, Finlandia, Paesi Bassi dettano le condizioni agli altri. Questa non è integrazione!!”
Sono questioni che saranno rimesse sul tavolo dei negoziati mercoledi’ prossimo con una maratona di vertici, prima si incontreranno i ventisette leader e poi i diciassette capi di stato e di governo della zona euro.

Andrei Beketov, euronews:
“Questo secondo summit doveva concentrarsi sugli aiuti alla piccola economia greca. Ma alla fine dovrà soprattutto ricomporre le relazioni tra gli stati membri piu’ grandi dell’Unione europea”

Russia: Moody's, outlook negativo banche
Attesa stretta impieghi e aumento tassi e sofferenze
24 ottobre, 13:14
(ANSA) - ROMA, 24 OTT - L'agenzia di rating Moody's ha cambiato da stabile a negativo le prospettive per il sistema bancario della Russia a causa della debole situazione economica e della forte volatilita' di mercato, ricordando come il Pil del Paese sia in frenata e il rallentamento della domanda di idrocarburi a livello mondiale, maggior fonte di ricchezza del Paese, rendera' piu' difficile la situazione. Per le banche Moody's si aspetta una stretta sugli impieghi, un aumento dei tassi e delle sofferenze.

Green economy alla russa
Pubblicato il 24/10/2011 da Stefano Grazioli
L’energia globale ha vissuto un 2011 abbastanza travagliato. L’incidente di Marzo nei pressi di Fukushima ha causato lo spegnimento di molti reattori nucleari e l’abbandono di alcuni progetti che rientravano nel piano di “rinascimento nucleare” pubblicizzato dagli Stati Uniti – e adottato anche in Europa e Asia – quale strumento necessario per l’ottenimento dell’autosufficienza energetica. Quest’ultimo principio di emancipazione dalle importazioni sembra essere diventato il canovaccio di cui si servono politici e politologi a Washington e Bruxelles; non è escluso che tra qualche tempo lo stesso vocabolario venga impiegato a Pechino e Nuova Delhi.
Paolo Sorbello / Eurasia
Il duro colpo inferto al “rinascimento nucleare” ha convertito l’atomo in tabù, tanto che anche l’inizio della produzione della centrale iraniana di Bushehr non ha riscontrato una vasta copertura mediatica[i]. Escluso il nucleare, si è tornati a parlare di efficienza energetica e fonti rinnovabili, finché dagli Stati Uniti non è arrivata la chiamata al fracking: secondo le prime stime, il sottosuolo est-europeo sarebbe ricco in gas naturale, estraibile grazie alla frattura degli scisti che lo trattengono nel sottosuolo. Tuttavia, i progetti di shale gas hanno ancora bisogno di seri studi di fattibilità e di impatto ambientale.
La domanda allora persiste: come ottenere l’autosufficienza energetica, soprattutto in aree come l’Europa dove la dipendenza da un solo Paese produttore rischia di creare problemi geopolitici? La risposta è sempre la stessa: fonti alternative, energie rinnovabili ed aumento dell’efficienza energetica. L’Europa sembra averlo capito, ma sembra anche poco propensa  ad adottare misure che incentivino la messa in moto dell’industria delle rinnovabili, ancora economicamente poco profittevole. La novità, da un paio di anni, è la presenza della Russia, il gigante delle energie tradizionali, nella corsa alla ricerca di energie alternative a petrolio e gas. Nelle prossime righe cercheremo di capire i motivi di questa nuova mossa energetica di Mosca.

Fino all’ultima goccia
A partire da Agosto, è stato visibile sul sito web del Ministero dell’Energia[ii] russo lo striscione pubblicitario che ricorda che il 4 settembre è il giorno del petrolio e del gas (“S dnyom neftyanika!” recita gaudioso l’annuncio). La Russia è senza dubbio un Paese fortemente tradizionale, anche in ambito energetico. Mantiene il podio nella produzione di petrolio e gas da decenni e rappresenta la principale fonte di approvvigionamento per molti mercati. Tuttavia, in linea con quanto previsto dalla “curva di Hubbert” negli anni Cinquanta per gli Stati Uniti, anche in Russia il “picco” della produzione di petrolio è stato superato[iii]. Le croniche difficoltà tecnologiche nel catturare tutto il gas che viene estratto (e di conseguenza lo spreco attraverso la combustione post-estrattiva, o flaring) non permettono un uso efficiente delle riserve siberiane, che continuano il loro esponenziale declino. Il commercio di energia tradizionale all’interno dell’area ex-sovietica permette lauti profitti a Gazprom e ad altri giganti dell’energia, che utilizzano il sistema di condotti già esistente per rivendere gli idrocarburi acquistati alle pendici del Caucaso o sulle steppe centroasiatiche a clienti disposti a pagare cifre molto alte (principalmente i Paesi membri dell’UE e altri Paesi ex-sovietici, quali Ucraina e Bielorussia). Comunque, la de-capitalizzazione di Gazprom e il bilancio sempre più negativo dei suoi core assets relativi all’estrazione e alla vendita di gas naturale sono segnali molto forti che riflettono le prime difficoltà per l’energia tradizionale russa. Inoltre, come abbiamo già visto su queste colonne[iv], la corsa ai giacimenti nell’Artico rappresenta un’ulteriore indizio della fragilità dell’industria estrattiva. Se le maggiori compagnie, siano esse russe, europee o statunitensi, sono disponibili a intraprendere progetti ad alto rischio, investendo ingenti somme di denaro, invece di provare a partecipare alla riconversione del paniere energetico, assisteremo sicuramente a una lotta febbrile, gomito a gomito, all’inseguimento dell’ultima goccia di petrolio.

La nuova politica energetica
Le disposizioni del Cremlino per rimediare al declino, anche geopolitico, che una flessione nella produzione (e quindi anche nell’offerta) di idrocarburi potrebbe causare, si diramano in tutte le direzioni. L’energia nucleare continua ad avere una rilevanza nella produzione di energia per il consumo domestico[v]. Alcuni studi geologici hanno evidenziato il grande potenziale, anche in Russia, per lo shale gas, di cui le zone poco popolate della Siberia sarebbero ricchissime. Ciononostante, senza le tecnologie americane e le certezze del sottosuolo, è difficile prevedere il decollo di tale pratica. La Federazione Russa ha collaborato con l’Agenzia Internazionale per l’Energia alle politiche di sviluppo per l’industria delle energie rinnovabili fin dall’inizio del secolo. Nel 2001, solo il 3,5% della produzione di energia primaria russa proveniva da fonti rinnovabili, principalmente da centrali idroelettriche, e contribuiva solo per lo 0,5% alla domanda di elettricità, evidenziando gli annosi problemi dell’ottimizzazione della rete[vi]. Il gas naturale è stato investito del ruolo principale nella generazione di corrente elettrica anche grazie all’azione statale che ne mantiene il prezzo domestico artificialmente basso. In queste circostanze, gli investimenti nelle energie rinnovabili (e nella loro “immissione in rete”) non sono economicamente sostenibili. Dal Dicembre 2010, la International Finance Corporation della Banca Mondiale ha creato un programma di consulenza e supporto chiamato Russia Renewable Energy Program.
Le nuove strategie energetiche, succedutesi nel corso del passato decennio, hanno dimostrato un piglio originale rispetto alla “tradizione idroelettrica” sovietica, ma non ne hanno ancora portato alla luce i frutti. Il grande sviluppo a partire dagli anni Trenta della produzione di energia idroelettrica, portò alla creazione del Sistema Energetico Unificato (UES) nel 1950. La Russia di Putin (e di Medvedev) è ancora lontana dai successi sovietici nel collegamento dell’immensa unione alle reti elettriche e ai condotti di petrolio e gas. Nonostante ciò, più di cento centrali rendono Mosca tra i primi produttori mondiali di energia idroelettrica (21% del totale). Il decreto sul risparmio energetico del Novembre 2009 arrivò solo qualche giorno in anticipo rispetto alla “Strategia Energetica verso il 2030” (Strategia)[vii]. L’obiettivo è riclassificare le strumentazioni elettriche, dalle più complesse agli elettrodomestici, in vista della sostituzione delle meno efficienti. Inoltre, l’incontro sinergico dei due atti del Cremlino sembra indicare che la coordinazione tra l’anima tradizionale e quella “verde” del settore energetico russo sia necessaria per lo sviluppo nel medio termine.

Gli strumenti, gli obiettivi e le ambizioni
Tra i progetti più ambiziosi nella categoria delle rinnovabili figurano:
La centrale idroelettrica Boguchansky (3.000 MW), che rientra nel progetto BEMO, co-finanziato da RusHydro e RusAl, nella regione di Krasnoyarsk (l’inizio della produzione è fissato al 2013).
La trasformazione del Caucaso settentrionale in un importante centro per le energie alternative, sia da un punto di vista tecnologico-produttivo, sia per quanto riguarda la ricerca in campo accademico, quest’ultima considerata in chiave strategica anche per la politica di pacificazione dell’area[viii].
Il rafforzamento e la protezione del parco eolico di Kaliningrad, con una capacità installata di 5 MW sulla sponda baltica del territorio russo. La centrale eolica più promettente è in costruzione presso la costa del Mare d’Azov e si prevede che possa portare sulla rete una capacità di 100 MW[ix]; a questo progetto partecipa con ingenti investimenti e trasferimento di tecnologia la tedesca Siemens.
Nel settore eolico, la Russia sta attraversando un periodo di spinta iniziale: nei prossimi dieci anni intende aumentare esponenzialmente la capacità installata, superando l’arretratezza che la vide figurare al 51° posto nel 2008, nonostante sia la nazione più vasta al mondo[x]. Partendo da zero, il settore del solare ha compiuto grandi progressi nel 2010 e 2011[xi]. Ma resta infinitesimo lo sfruttamento dell’energia solare (nelle sue varie sfaccettature, dal fotovoltaico al termico). RusNano e Renova di Viktor Vekselberg stanno programmando la messa in opera di molti progetti. Le nanotecnologie sono un punto forte nel settore di ricerca e sviluppo anche per quanto riguarda le rinnovabili. Per questo, con l’impegno di Vladimir Putin, dal 2007 una parte del budget federale è destinato alla compagnia RusNano[xii], riconvertita in società per azioni lo scorso Marzo. A presiederla è il politico Anatolij Chubais, ex-giovane rifomatore dell’era Yeltsin ed ex-amministratore delegato della UES, parzialmente privatizzata e lottizzata nel 2008.
Il potenziale “tecnicamente sfruttabile” da energie rinnovabili è circa quattro volte superiore alla domanda interna. Questo dato supporta l’argomentazione governativa che ritiene decisivo il ruolo delle energie rinnovabili non solo per quanto riguarda il consumo interno, ma anche per la riduzione del carico di emissioni-serra. Il decimo capitolo della Strategia sembra prendere coscienza delle problematiche ambientali legate ad un’economia troppo dipendente dai combustibili fossili. Tuttavia, rimane politicamente timida la proiezione della produzione « almeno proporzionalmente costante » di energia elettrica da fonti rinnovabili; solo nella terza fase di implementazione della Strategia, il volume di produzione “rinnovabile” triplicherà.
Un possibile campo di applicazione per la generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili è l’off-grid. Il vasto territorio russo non è mai stato coperto integralmente dalla rete elettrica e tuttora si stima che circa il 10% della popolazione non sia connessa a sistemi nazionali o regionali. L’utilizzo in scala ridotta di energia solare, eolica o geotermica potrebbe rispondere alla domanda locale in tali aree remote. Ma questo ha poco a che fare con i piani strategici di Mosca che coinvolgono progetti a larga scala e hanno ripercussioni geopolitiche in tutta l’area eurasiatica.

La green economy russa – come la vorrebbe l’Occidente
La crescente domanda di energia elettrica nel mercato interno russo rende più difficile la giustificazione politica dell’innalzamento dei prezzi (ovvero l’abolizione dei sussidi governativi) del gas naturale verso i prezzi di mercato. Quest’ultima è la proposta occidentale, impregnata delle teorie classiche dell’economia capitalista. Una seconda ricetta, sempre proveniente dalle scuole angloamericane, spinge per la liberalizzazione del settore del gas: il monopolio di Transneft sulle pipelines e il diritto esclusivo all’esportazione ottenuto da Gazprom rendono questo segmento importante del mercato energetico poco flessibile e molto “verticale”[xiii]. In terzo luogo, alla Russia si chiede di migliorare l’intensità energetica (unità di PIL per ogni unità di energia consumata).
In generale, la Russia presenta difficoltà sostanziali nell’individuazione e nell’elaborazione di dati statistici vicini alla realtà. La mancanza di trasparenza, sempre più evidente, si accompagna alla poco rigorosa tradizione statistica russa, che durante gli anni sovietici era abituata a far combaciare i numeri con le volontà precipue del Politburo. Un più sistematico e lungimirante utilizzo delle energie rinnovabili, ancor più che un aumento dell’efficienza energetica, risponderebbe alle richieste di Washington e Bruxelles, garantendo a Mosca una migliore integrazione internazionale con i mercati più forti. Pur sembrando contraddittorio, l’accento che Europa e Stati Uniti pongono sullo sfruttamento delle rinnovabili è giustificato dagli investimenti sia nel campo tecnologico, sia nel mercato russo, delle imprese multinazionali più importanti (Exxon, Siemens, Vestas). Secondo alcuni analisti[xiv], lo sfruttamento più efficiente dell’energia comporterebbe una disponibilità maggiore di energia per l’esportazione, che a sua volta si tradurrebbe in un aumento della sicurezza energetica per i Paesi importatori, principalmente per l’Unione Europea.

Conclusione
Il superamento del peak oil, il declino nella produzione di petrolio e le ardite spedizioni ai margini della Terra per la sua estrazione potrebbero avere effetti positivi sull’implementazione di politiche energetiche più sostenibili, sia per le economie domestiche, sia per l’ambiente. La decisione della Royal Navy di convertire il combustibile dei motori della flotta britannica da carbone a petrolio segnò l’inizio di una nuova era. Grazie a tale iniziativa, il petrolio diventò un idrocarburo sempre più comune e sempre più usato. Oggi che il “secolo breve” dell’oro nero volge al termine, servirà uno sforzo titanico a una grande nazione per la riconversione della propria economia verso fonti rinnovabili di energia. L’Unione Europea, in quanto a politiche di efficienza e riduzione della dipendenza da combustibili fossili si prodiga in dichiarazioni e scadenze che vengono rispettate troppo raramente. Gli Stati Uniti rimangono indietro anche nel confronto con la Cina, che sente sempre più il costo dell’importazione di energia. La Russia potrebbe sfruttare la propria posizione di forza sui mercati degli idrocarburi per programmare con responsabilità e lungimiranza un percorso strategico verso le rinnovabili. E chissà che, superando le diffidenze interne[xv], non riesca ad avere più successo rispetto a Bruxelles.
Infine, è notevole osservare come alcuni aspetti “immobili” dell’energia, le fonti rinnovabili e l’efficienza, diventino rilevanti geopoliticamente. Le ripercussioni di una possibile riconversione dell’economia russa – o, più realisticamente, del suo “rinverdimento” – sono difficili da prevedere, ma avranno un sicuro impatto sulle relazioni tra Mosca e le ex-repubbliche sovietiche, l’Unione Europea, il Medio Oriente (soprattutto l’Iran) e i vicini asiatici (Cina, Giappone). Il groviglio di conseguenze nel medio e lungo periodo si dipanerà grazie alle dinamiche di politica energetica (ed estera) dei più importanti attori eurasiatici.
(Eurasia)
[i] “Il significato geopolitico di Bushehr” D. Scalea al “Secolo d’Italia”, ripubblicato da Eurasia il 13 settembre 2011, http://www.eurasia-rivista.org/il-significato-geopolitico-di-bushehr-d-scalea-al-secolo-ditalia/11176/
[ii] http://minenergo.gov.ru/
[iii] Interessante e recente è il dibattito sul peak oil che vede Daniel Yergin, eminente esperto e autore di The Prize, scettico sulla scientificità di tale teoria. Il suo articolo apparso sul Wall Street Journal il 16 settembre scorso (“There Will Be Oil” disponibile presso http://online.wsj.com/article/SB10001424053111904060604576572552998674340.html) è stato criticato da molti analisti, tra cui John Daly di Oilprice.com, (“Daniel Yergin and Peak Oil: Prophet or Mere Historian?” http://oilprice.com/Energy/Crude-Oil/Daniel-Yergin-and-Peak-Oil-Prophet-or-Mere-Historian.html).
[iv] Paolo Sorbello, “L’energia nell’Artico: geopolitica tra i ghiacci”, Eurasia, 24 agosto 2011. http://www.eurasia-rivista.org/l%E2%80%99energia-nell%E2%80%99artico-geopolitica-tra-i-ghiacci/10801/
[v] È importante, ma in quest’analisi trascurabile l’interscambio di energia elettrica, principalmente proveniente da centrali nucleari, che avviene tra Russia e Kazakhstan proprio a cavallo del confine che li divide; il Kazakhstan è anche il primo produttore mondiale di uranio.
[vi] International Energy Agency, “Renewables in Russia: From Opportunity to Reality”, OECD, Parigi, 2003. D’altra parte, le fonti ONU riportano cifre diverse per il periodo 1990-2005, cfr. UNDP, Human Development Report, 2007/08 http://hdr.undp.org/en/statistics/data/
[vii] Si fa riferimento a due documenti separati. Il primo: Legge federale No. 261-FZ, 23 Novembre, 2009 “Sul risparmio energetico e sull’aumento dell’efficienza energetica”. Il secondo: President of the Russian Federation, “Energeticheskaya strategiya Rossii na period do 2030 goda”, approvata con il decreto num. 1715 (13 novembre 2009), disponibile in inglese: http://www.energystrategy.ru/index.htm (ultimo accesso: 15 gennaio 2011).
[viii] “Con 32 miliardi di rubli, il Caucaso sarà un centro per le energie alternative”, Kommersant’, 25 agosto 2011, http://www.kommersant.ru/doc/1757856?isSearch=True
[ix] Andrew Lee, “Country Profile: Russia – A thaw in official attitude could rouse renewable energy’s ‘sleeping giant’”, Renewable Energy World, 21 Marzo 2011. http://www.renewableenergyworld.com/rea/news/article/2011/03/country-profile-russia
[x] Si veda “Istoriya vetroenergetiki” (Storia dell’energia eolica), pubblicata in russo sul sito dell’Associazione Russa degli Industriali dell’Eolico (RAWI) http://rawi.ru/media/Text_files/history.pdf
[xi] Recentemente, è da notare l’accordo tra LUKoil Ecoenergo ed ERG Italia per investimenti congiunti nel settore dell’energia solare in Romania, Bulgaria, Ucraina e nella stessa Russia. “Energy JV Authorised”, Europolitics, 5 Luglio 2011, http://www.europolitics.info/sectorial-policies/energy-jv-authorised-art309114-14.html
[xii] Adam N. Stulberg, “Russia and the Nanotechnology Revolution: Looking Beyond the Hype “
PONARS Eurasia Policy Memo, n. 26, Agosto 2008.
[xiii] Per un approfondimento sul concetto del “verticale” in Russia, cfr. Vladislav Inozemtsev, “Russia Today: Up the Down Staircase”, Russia in Global Affairs, vol. 5, n. 3, Luglio-Settembre 2007.
[xiv] Andreas Goldthau, “Improving Russian Energy Efficiency: Next Steps”, Russian Analytical Digest, n. 46, 2008.
[xv] È acceso il dibattito sulla necessità di investire sulle rinnovabili. Alcuni commentatori sull’autorevole Nezavisimaya Gazeta ne contestano la redditività nel breve periodo e la reliability nel lungo periodo. Cfr. Aleksandr Frolov, “Nessuna alternativa: in tema di energia, ‘verde’ non significa ‘razionale”, NG, 12 Ottobre 2010. http://www.ng.ru/energy/2010-10-12/9_alternative.html
Si veda inoltre la dichiarazione dell’amministratore delegato di Gazprom, Aleksej Miller, al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo tenutosi nel Giugno 2010. Considerato uno degli uomini più potenti in Russia, sostenne che « quella che viene chiamata ‘energia verde’ non rappresenta una vera alternativa ai combustibili fossili, soprattutto al gas naturale ».
Cfr. Ria Novosti, 18 Giugno 2010,

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