domenica 2 ottobre 2011

Federali.mattino_2.10.11. I padani al potere – ed i loro servi, con una mano si fottono i finanziamenti miliardari del Mezzogiorno, con l’altra ti elemosinano la paghetta: ma solo se fai il bravo.----Come ha spiegato il Ministro per gli Affari Regionali Raffaele Fitto, nel corso di una breve conferenza stampa con il ministro per l’Istruzione Maria Stella Gelmini, questo miliardo di euro rappresenta la seconda trance del Piano per il Sud, che ad agosto ha liberato 7,4 miliardi per le infrastrutture meridionali e che ad ottobre si occuperà degli investimenti per l’ambiente: «Come promesso dal presidente Berlusconi, ci sarà un provvedimento al mese per il Mezzogiorno».----Massimo Brancati: Potenza - Tre giorni dopo l’appello all’ottimismo arriva la doccia fredda. È lo stesso Santarsiero a comunicarlo durante l’ultima seduta del consiglio comunale: il Governo centrale avrebbe deciso di dirottare al nord il finanziamento di 11 milioni di euro previsto per Potenza.

Potenza. Il Nord scippa i fondi di Potenza per la metro
Università: a Puglia 365 mln di fondi Cipe
Bologna, padania. Cercasi casa 15mila in graduatoria
Svizzera. I membri del Parlamento sono davvero neutrali?


Potenza. Il Nord scippa i fondi di Potenza per la metro
di Massimo Brancati
POTENZA - Chissà, forse qualcuno a Roma avrà captato l’eco della polemica potentina: la metropolitana costa 200mila euro all’anno e viene sottoutilizzata. È il caso di risparmiare questi soldi? Se il sindaco Vito Santarsiero tergiversa, il Governo centrale non ci pensa su due volte e taglia. Taglia tutto. Santarsiero, sulla Gazzetta, nei giorni scorsi ha ammesso che il servizio oggi non è utilizzato in massa dai cittadini, ma ha invitato a pazientare, spiegando che con il progetto di potenziamento della metropolitana, già finanziato dal Ministero delle Infrastrutture, il capoluogo potrà presto contare su collegamenti migliori. Tre giorni dopo l’appello all’ottimismo arriva la doccia fredda. È lo stesso Santarsiero a comunicarlo durante l’ultima seduta del consiglio comunale: il Governo centrale avrebbe deciso di dirottare al nord il finanziamento di 11 milioni di euro previsto per Potenza. Il Comune lucano, lo ricordiamo, è risultato terzo (dopo Milano e Bologna) nella graduatoria degli enti ammessi al finanziamento dal ministero delle Infrastrutture per i progetti sulla mobilità: all’amministrazione potentina sono stati assegnati, per l’esattezza, 10,9 milioni di euro per il «Servizio ferroviario metropolitano hinterland potentino». Soldi che, come dicevamo, il Governo, alle prese con tagli, ritagli e frattaglie, vuole spedire al nord, magari spalmandoli sugli altri due progetti finanziati, quelli di Milano e Bologna.
L’intero progetto di Potenza ha un valore complessivo di 18 milioni di euro, di cui il 40 per cento a carico del Comune (su fondi Pisus) e il 60 per cento a carico del Ministero. È previsto lo sdoppiamento del binario Rfi-Fal tra le stazioni di Potenza, Santa Maria e Macchia Romana, per «rendere la linea Fal il più possibile indipendente da quella Rfi», la realizzazione di due nodi di interscambio, di sottopassi per eliminare i passaggi a livello di via Angilla Vecchia e via Campania, la ristrutturazione delle stazioni e la realizzazione di tre nuove fermate (Parco Baden Powel, Ospedale e Gallitello), per un totale di 12 stazioni in città.
«Il Pisus – aveva detto Santarsiero subito dopo l’ok del Ministero al finanziamento– si arricchisce di altri dieci milioni di euro, confermando da subito la bontà della strategia Potenza 2020. Avremo la possibilità nel settore della mobilità di risolvere problemi atavici della città». Soddisfazione bipartisan con l’on. Vincenzo Taddei (Pdl) che lo scorso 5 febbraio parlò di «un progetto strategico importante e dell’attenzione del Governo nazionale sul tema delle infrastrutture soprattutto nei trasporti e soprattutto nel Sud dell’Italia». Parole clamorosamente smentite dagli ultimi fatti.
01 Ottobre 2011

Università: a Puglia 365 mln di fondi Cipe
Vendola: sono soddisfatto
di Alessandra Flavetta
ROMA - Arrivano 365 milioni di euro per il sistema delle Università e della ricerca pugliesi, nell’ambito del miliardo sbloccato per gli Atenei del Sud dal Cipe, Comitato interministeriale per la programmazione economica, che si è riunito ieri mattina, a palazzo Chigi.
Come ha spiegato il Ministro per gli Affari Regionali Raffaele Fitto, nel corso di una breve conferenza stampa con il ministro per l’Istruzione Maria Stella Gelmini, questo miliardo di euro rappresenta la seconda trance del Piano per il Sud, che ad agosto ha liberato 7,4 miliardi per le infrastrutture meridionali e che ad ottobre si occuperà degli investimenti per l’ambiente: «Come promesso dal presidente Berlusconi, ci sarà un provvedimento al mese per il Mezzogiorno», ha affermato il ministro pugliese, sottolineando che «il Piano per il Sud non è uno spot, ma un programma serio che sta trovando la sua piena attuazione». Fitto ha inoltre rimarcato l’importanza della collaborazione tra Regioni e governo: «La coesione istituzionale – ha rilevato in tempi di contrasti con le autonomie sulla manovra e il patto di stabilità – è il valore aggiunto dell’attuazione del Piano».
Con i suoi 365 milioni, la Puglia finanzierà due tipi di interventi: 255 milioni sono destinati al rafforzamento delle infrastrutture universitarie, dai servizi per la didattica e la ricerca, a quelli per gli studenti (biblioteche, laboratori e alloggi), oltre al sostegno per gli spin-off accademici, cioè società per azioni o a responsabilità limitata nelle quali le Università non abbiano una quota di partecipazione. Gli altri 95 milioni sono dedicati all’innovazione e alla creazione di un Polo integrato di centri di ricerca e di alta formazione.
Questi soldi «sono una boccata d’ossigeno per un mondo che è stato fortemente tagliato e penalizzato pur nella sua funzione primaria, tanto delicata e importante, di formazione delle nuove generazioni», ha detto il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, soddisfatto per gli impegni economici che fanno seguito al Piano per il Sud e all’intesa istituzionale siglata il 28 luglio scorso con il ministro Fitto, per la programmazione congiunta degli interventi finanziati con le risorse Fas assegnate alla Puglia.
Il ministro Gelmini ha definito il miliardo una «cifra significativa» per rafforzare l’edilizia universitaria, i servizi e «valorizzare le eccellenze», cioè la creazione di tre poli di ricerca meridionali (uno quello pugliese) per cui sono stati stanziati 150 milioni di euro. «Se a questo aggiungiamo la possibilità di utilizzare il bando per 400 milioni per potenziare le infrastrutture della ricerca, arriviamo a 1 miliardo e 400 milioni complessivi» ha aggiunto il ministro, preoccupato per la fuga di cervelli. «Investiremo – ha infatti concluso – sul trasferimento tecnologico attraverso un lavoro condiviso con la Conferenza dei rettori, ma in modo particolare con gli atenei del Sud, al fine di evitare la fuga dei cervelli e fare in modo che la crescita e il rilancio del sistema Paese, e del Mezzogiorno in particolare, passino da questa progettualità che mette insieme le migliori intelligenze del Sud, i migliori progetti, per dare centralità al sistema universitario». Le risorse verranno utilizzate anche per anticipare la riforma universitaria, che prevede, tra l’altro, la fusione tra atenei.
Anche la conferenza dei Rettori ha espresso il proprio apprezzamento per la delibera Cipe e il presidente dell’organismo, Marco Mancini (Università di Viterbo), ha spiegato che in questo modo «si rafforza la sinergia virtuosa fra Università Enti di Ricerca, Regioni e singoli territori».

Bologna, padania. Cercasi casa 15mila in graduatoria
 Cresce l'emergenza abitativa
Oltre 15mila famiglie nelle graduatorie Erp: le assegnazioni sono 650 l'anno
Bologna, 1 ottobre 2011 - Cresce il disagio abitativo a Bologna e provincia. Ci sono oltre 15.000 famiglie in graduatoria Erp (e le assegnazioni procedono nell'ordine di 650 all'anno) e sono almeno il doppio quelle alle prese con problemi economici, che faticano ad arrivare alla fine del mese. Tutto questo mentre vengono meno i finanziamenti di Stato e Regione in tema di politiche abitative (quasi 75 milioni negli ultimi 10 anni) e il numero degli sfratti continua a crescere inesorabilmente: nel 2010, nel bolognese, ce ne sono stati 1.718 (il 54% in provincia), di cui 1.559 (e' il 90%) per morosita'. Una tipologia, questa, che e' piu' che triplicata rispetto a nove anni fa (nel 2001 quelli per morosita' erano 490 su un totale di 779). Di emergenza abitativa si e' parlato due giorni fa in Provincia in commissione Pianificazione territoriale e urbanistica.
La questione che si evidenzia e' la necessita' di ripensare le politiche abitative per una serie di ragioni, a partire dal fatto che sono cambiate le esigenze di chi fa richiesta di un alloggio Erp: sempre piu' spesso si tratta infatti di nuclei familiari formati da un sola persona, ragion per cui servirebbero monolocali o bilocali e non le case 'medie' di cui oggi si compone, per la maggior parte, il patrimonio di edilizia residenziale pubblica in provincia di Bologna (20.654 alloggi, di cui il 65% localizzato nel comune capoluogo). Proprio sul tema delle politiche abitative e' in dirittura d'arrivo un accordo territoriale metropolitano che, promette il vicepresidente della Provincia Giacomo Venturi, dovrebbe essere firmato per la fine dell'anno. I punti chiave, a cui lavorare in un'ottica di collaborazione metropolitana, sono: aprire il mercato incoraggiando l'imprenditoria 'sociale' che realizzi edilizia popolare, riqualificare il patrimonio Erp esistente, rilanciare il ruolo di Acer e ripensarne le funzioni. La questione della dimensione delle case Erp e' molto legata anche alla zona in cui si trovano: uno dei dati che piu' salta all'occhio nello studio sull'housing sociale realizzato dalla Provincia e' infatti la differenza di domanda tra il Comune di Bologna e altri Comuni, in particolare nella zona della pianura o dell'Appennino. Delle famiglie in graduatoria per ottenere un alloggio a Bologna (sono il 63% del totale di 15.000 domande, dunque 9.450), appena il 6% sono composte da quattro o piu' persone. Moltissime, invece, le famiglie di una sola persona. I nuclei numerosi, invece, si incontrano piu' spesso nelle domande relative ad altre zone (sono il 32% nel circondario imolese e a Sasso Marconi, il 31% a Reno-Galliera e il 29% sull'Appennino). Quanto alle case Erp, la maggior parte e' di taglio medio (cioe' da 45 a 75 metri quadrati), un po' in tutti i Comuni. A Bologna, ad esempio, dove ci sono 12.750 case (il 65% del patrimonio totale), ce ne sono 'solo' 2.208 'piccole' (fino a 45 metri quadrati), 7.371 medie e 3.171 grandi (oltre 75 metri quadrati). Cio' significa che, nel ripensare l'edilizia sociale, occorrerebbe differenziare l'offerta o renderla piu' flessibile: a Bologna servirebbero mono o bilocali, in provincia case piu' grandi.
Un altro dato su cui occorre riflettere e' la condizione di poverta' e disagio crescente. Nel comune di Bologna (secondo una stima Nomisma di fine 2009) ci sono ben 23.000 famiglie al di sotto della soglia di solvibilita' del 30%. Di queste, circa 9.000 sono in graduatoria Erp. Non se la passa meglio la provincia, dove le famiglie in graduatoria sono 6.000 e dove sono stati emessi 900 sfratti (500 gia' eseguiti). Il conto delle famiglie che vivono nel disagio tra citta' e provincia supera dunque, come minimo, il dato di 30.000. C'e' poi un altro dato che la dice lunga sul disagio economico in provincia di Bologna: il 90% delle 15.000 famiglie in graduatoria (45% delle quali sono straniere) si e' posizionata in classifica proprio in virtu' di un Isee molto basso, ovvero per un reddito inferiore ad 8.500 euro annui.
Per fare il punto sulle politiche abitative, la Provincia ha analizzato anche tutta un'altra serie di elementi, a partire dalle dinamiche demografiche. Gli stranieri sono aumentati, negli ultimi otto anni, di due volte e mezzo (+145%). E ci sono zone in cui si concentrano piu' che in altre: nel nuovo circondario imolese, ad esempio (dove il dato e' +183%), a Casalecchio di Reno (+188%) o nelle Terre di pianura (+164%). Anche l'eta' della popolazione cambia: i giovani tendono a spostarsi verso la provincia (in particolare verso i comuni della pianura), mentre in citta' e in alcune zone aumentano gli anziani. Infine, un dato curioso e' quello relativo alla 'dispersione abitativa', una questione di  cui occorre tenere conto nella progettazione dei servizi e nelle politiche di welfare. In pratica, negli ultimi 11 anni si contano 17.000 persone che hanno abbandonato la citta' o altri comuni provinciali per andare ad abitare in quelle che tecnicamente vengono definite 'case sparse' in territorio extraurbano rurale, ovvero ex fienili o case coloniche, magari ristrutturate. Insomma, le campagne hanno acquisito 17.000 nuovi abitanti. Sono praticamente raddoppiati, se si considera che tra il '91 e il 2001 i residenti in territorio rurale erano in tutto 15.000 (comprese pero' anche le piccole frazioni e non solo le 'case sparse'). Dell'esigenza di ripensare le politiche abitative Venturi e' tornato a parlare oggi all'inaugurazione della zona San Biagio di Casalecchio di Reno appena riqualificato.
Fonte Dire

Svizzera. I membri del Parlamento sono davvero neutrali?
Di Sophie Douez, swissinfo.ch
Sotto la cupola di un Palazzo federale brulicante di gente durante le sessioni parlamentari, spesso lobbisti e addetti alle pubbliche relazioni della vecchia guardia passano inosservati quando tentano di esercitare la loro influenza.
 A poche settimane dalle elezioni federali, si moltiplicano gli interrogativi sull’indipendenza dei politici svizzeri e in particolare sulla misura in cui lobbisti e gruppi di interesse influenzano il loro modo di votare.
Perlopiù attivi in politica a tempo parziale, i parlamentari svizzeri sono chiamati a votare su questioni sempre più complesse che non di rado vanno ben oltre le loro competenze.
Secondo il professore Andreas Ladner dell’Istituto superiore di studi in amministrazione pubblica, i lobbisti e i gruppi di interesse non fanno altro che riempire un vuoto dovuto alla mancanza di tempo e risorse per reperire le informazioni indispensabili per poter esprimere un voto informato.
“I politici – spiega il professore – hanno bisogno di informazioni, ma i partiti alle loro spalle non sono molto forti e non dispongono di un mucchio di persone attive negli ambiti più diversi in grado di fornire loro le informazioni di cui necessitano.”
“Così, sono costretti a rivolgersi a persone che ne sanno più di loro e solitamente queste persone fanno i loro [legittimi] interessi.”
Tuttavia, secondo Fredy Müller, presidente della Società svizzera degli affari pubblici (SSPA), l’organizzazione mantello dei lobbisti che conta oltre 220 membri, molte delle persone che gremiscono il Parlamento, non sono lobbisti professionisti, ma addetti al marketing di società oppure gente che lavora per altri gruppi di interesse.
Chi sono i lobbisti e i gruppi di interesse?
La SSPA, prosegue Müller, ha chiesto più volte al Parlamento di creare un registro o un sistema di accreditamento per i lobbisti e altri gruppi di interesse in nome di una maggiore trasparenza.
“Da lobbista professionista, vorrei sapere chi frequenta Palazzo federale,” spiega il presidente della SSPA. “Durante le affollate sessioni parlamentari, infatti, la maggior parte delle persone presenti non è costituita da lobbisti. Ma ciò che mi preme di più è sapere chi influenzerà le discussioni e i dibattiti, e se il nome di queste persone è registrato da qualche parte. Insomma, noi della SSPA vorremmo svolgere il nostro lavoro in modo trasparente.”
Senza andare per il sottile, il consigliere nazionale UDC Lukas Reimann ha lanciato un’iniziativa popolare multipartitica (non sostenuta dal suo schieramento) per obbligare i membri del Parlamento a dichiarare da chi ricevono compensi o altre indennità e quali conflitti di interesse potrebbero avere nelle diverse commissioni.
 “Ho visto moltissimi politici non fare ciò che volevano o non fare il bene della popolazione o del Paese e votare in un modo piuttosto che nell’altro solo perché erano stati pagati da lobbisti,” dichiara Reimann.
Il consigliere nazionale democentrista, del resto, ha anche chiesto la creazione di un registro per lobbisti e gruppi di interesse, mentre altri suoi colleghi di sinistra hanno inoltrato iniziative parlamentari analoghe per esigere che i lobbisti vengano accreditati alla stessa stregua dei giornalisti.
Tali richieste non sono cadute completamente nel vuoto: dal 2012, infatti, un elenco con i nominativi di tutte le persone che hanno accesso a Palazzo federale o che vi sono state invitate da politici sarà pubblicato su Internet.
Politici a tempo parziale
In Svizzera, quello del parlamentare è per tradizione un lavoro a tempo parziale ed è risaputo che i politici percepiscono anche salari da altre attività. Basti pensare che nell’attuale Parlamento siedono manager, agricoltori, avvocati, sindacalisti, insegnanti e medici, per citare solo alcuni esempi.
“Alcuni di essi figurano sul libro paga di grosse società – afferma Ladner – e quando sono chiamati a decidere in seno alle commissioni, soprattutto in quelle dove non si ha la più pallida idea di cosa stia succedendo, potrebbero benissimo agire più nell’interesse delle loro società che in quello del loro elettorato.”
Secondo il professore, i problemi legati alla trasparenza sono dovuti all’estrema difficoltà nel reperire informazioni, peraltro disponibili, sul chi lavora per chi. Insomma, in materia di trasparenza, altri Paesi sono molto più avanti rispetto alla Svizzera.
Reimann concorda e rincara: “In Svizzera, tutto è nascosto e in un contesto simile è molto difficile eseguire una ricerca. Ovunque vige la massima segretezza ma, considerato anche il rischio di corruzione, questa situazione deve cambiare.”
Pur riconoscendo la necessità di una maggiore trasparenza sul ruolo dei lobbisti in generale, Müller ritiene che i controlli e gli equilibri del sistema democratico svizzero lo rendano impenetrabile a una corruzione evidente.
 Se vuoi influenzare un politico, sottolinea il presidente della SSPA, non è sufficiente consegnargli un opuscolo e offrirgli un pranzo, perché, come tutti coloro che esercitano questa professione, teme di essere accusato di faziosità.
“In Svizzera – spiega – si combatte ancora a suon di argomenti e i politici non si possono comperare.”
Resistere senza perdere credibilità
Secondo Müller i motivi che inducono alcuni politici a respingere le richieste di una maggiore trasparenza sono diversi. In gioco vi è la credibilità stessa del sistema democratico e la fiducia che gli elettori ripongono in esso.
“Se siamo sempre più spesso confrontati con un problema di reputazione è perché l’elettore medio non capisce chi fa cosa in politica. Dobbiamo quindi fare chiarezza e dotarci di una lista che mostri agli elettori chi ha quali legami con chi”, sostiene Müller. “In ogni caso, non spetta alle lobby decidere una simile misura, ma ai politici stessi.”
Ladner, dal canto suo, attribuisce la riluttanza di alcuni politici a fornire maggiori informazioni sulle influenze che subiscono dall’esterno a motivi ideologici e precisamente al rifiuto di un’ingerenza dello Stato nei loro affari privati.
“Il problema riguarda semmai coloro che dichiarano di non voler rivelare da chi ricevono soldi perché altrimenti non verrebbero rieletti; in questi casi occorre davvero maggiore trasparenza.” conclude Ladner.
 Sophie Douez, swissinfo.ch
Traduzione e adattamento di Sandra Verzasconi Catalano

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