lunedì 10 ottobre 2011

Federali.sera_10.10.11. Basilicata, Sara Lorusso: Secondo De Filippo, «quando le compagnie vanno in altri Paesi ad effettuare le loro attività negoziano con gli stati un’intesa definita 'local content' con cui si stabiliscono anche le ricadute che debbono esserci per imprese e lavoratori del luogo. L’Italia, non essendo un Paese petrolifero, su questo aspetto è impreparata, ma noi dobbiamo sollecitare Total, come gli altri operatori, a sostenere l’economia di una regione che rappresenta la più importante piattaforma energetica italiana, specie in un momento di difficoltà come quello attuale.----De Filippo: «Se l’attività estrattiva impatta sul territorio lucano, anche i benefici collegati devono ricadere, almeno in parte, qui». «Lo Stato - sottolinea il governatore - è quello che beneficia più di tutti del petrolio lucano e deve reinvestire su questo territorio almeno una parte significativa della ricchezza ricavata».

Basilicata. Petrolio, De Filippo a Total: «Coinvolgere imprese lucane»
Basilicata. Energia lucana. De Filippo: «Mai più pozzi senza ristoro»
E se Steve Jobs fosse nato a Napoli?
In Grecia la crisi mina anche la salute pubblica. E per curarsi si va nelle cliniche delle ong


Basilicata. Petrolio, De Filippo a Total: «Coinvolgere imprese lucane»
De Filippo: «Se l’attività estrattiva impatta sul territorio lucano, anche i benefici collegati devono ricadere, almeno in parte, qui». «Lo Stato - sottolinea il governatore - è quello che beneficia più di tutti del petrolio lucano e deve reinvestire su questo territorio almeno una parte significativa della ricchezza ricavata».
10/10/2011  Il presidente della regione Basilicata, Vito De Filippo (Pd), ha inviato una lettera a Total “per promuovere un protocollo d’intesa finalizzato al coinvolgimento di imprese e personale lucani per i lavori relativi alla concessione di cui la compagnia francese è capofila a partire dai lavori di realizzazione del centro oli, per i quali è prevista una spesa di 750 milioni di euro».
 «Se le estrazioni di petrolio in Basilicata producessero occasioni di lavoro essenzialmente per aziende e addetti non lucani sarebbe il paradosso. Per questo riteniamo che Total Italia, per i lavori necessari all’entrata in produzione del giacimento di Tempa Rossa, debba sfruttare tutte le opportunità offerte dalla legge per privilegiare imprese e lavoratori lucani, a partire dalla Decisione di esecuzione della Commissione europea dello scorso 24 giugno che esclude il settore della prospezione di petrolio e gas dall’obbligo di applicazione delle procedure sugli appalti pubblici».
 Secondo De Filippo, «quando le compagnie vanno in altri Paesi ad effettuare le loro attività negoziano con gli stati un’intesa definita 'local content' con cui si stabiliscono anche le ricadute che debbono esserci per imprese e lavoratori del luogo. L’Italia, non essendo un Paese petrolifero, su questo aspetto è impreparata, ma noi dobbiamo sollecitare Total, come gli altri operatori, a sostenere l’economia di una regione che rappresenta la più importante piattaforma energetica italiana, specie in un momento di difficoltà come quello attuale. E la logica – ha concluso il governatore – è la stessa di quella alla base del memorandum d’intesa col Governo: se l’attività estrattiva impatta sul territorio lucano, anche i benefici collegati devono ricadere, almeno in parte, qui. E questo deve essere vero per le Compagnie ma anche per lo Stato che con una fiscalità sul petrolio tra le più pesanti al mondo e che supera il 50 per cento del valore delle estrazioni, è quello che beneficia più di tutti del petrolio lucano e che deve reinvestire su questo territorio almeno una parte significativa della ricchezza ricavata».

Basilicata. Energia lucana. De Filippo: «Mai più pozzi senza ristoro»
10/10/2011  POTENZA - «In Basilicata non si farà nessun altro pozzo se prima lo Stato non comincia a sganciare un gettito straordinario». Mai più pozzi, allora, in terra lucana, non senza un risarcimento adeguato in termini economici. E allora, dice il governatore, basta avere in testa l’orizzonte del memorandum, l’accordo siglato tra Regione e Governo sugli annessi e connesi delle estrazioni (fondi, sostenibilità, tasse, quantità), incagliato ormai da qualche tempo.
 Ma nel frattempo, di autorizzazioni non se ne daranno più. «Non finché ci sarà io», dice Vito De Filippo mentre parla di petrolio, dopo aver ragionato su energie rinnovabili, nell’incontro potentino dedicato alla presentazione del nuovo libro del giornalista de La Repubblica, Antonello Caporale.
 E sia chiaro, «caso mai lo Stato arrivasse a riconoscerci questo gettito straordinario, saranno sempre valutazioni democratiche a dire l’ultima su nuove trivelle». Pensiamo a parere di Comuni, Province, Regione. Magari con un referendum consultivo delle popolazioni locali.
 Ma non può bastare a De Filippo aver sgomberato il campo sul futuro. E’ il presente che scuote il dibattito locale e che impone al governatore «una precisazione». E’ facile la ricetta contro il «catastrofismo», contro il «discutismo a priori»: dire al verità. E quella snocciolata da De Filippo ricorda che, rispetto agli accordi del 1998, nessun altra autorizzazione in aggiunta è stata rilasciata, non ci sono stati pozzi nuovi. «Poi, se vogliamo, possiamo anche aprire una discussione sul rischio ambientale, sui rischi per la salute, sull’incidenza degli insediamenti sulle malattie tumorali. Ma il punto di partenza deve essere chiaro: «pozzi non se ne sono fatti più, nè se ne faranno», almeno fino al nascere di condizione idonee per una discussione.
 Ora, «non che io stia decidendo di fare la guerra alle compagnie petrolifere». Non nega alla platea potentina il dato secondo cui i colossi del petrolio sono soggetti a una fiscalità pesante, spesso unita a iter burocratici tra i più lenti e macchinosi del Paese. «Piuttosto è sul rapporto Regione-Stato che dobbiamo concentrare l’attenzione. Tutta la tassazione a cui sottostanno le compagnie finisce nelle casse nazionali. Pensiamo all’Ires o alla Robin tax, usata da Tremonti per limare i tagli catastrofici fatti ai Comuni. Ecco, è questo ciò a cui mi riferisco quando dico che la Basilicata sorregge l’intero Paese. Io vorrei soltanto che di quel gettito enorme la Basilicata potesse godere adeguatamente».
Sara Lorusso

E se Steve Jobs fosse nato a Napoli?
Altro che guru, diventava garagista
Divertissement del blogger Antonio Menna: «Burocrazia, invidie e camorra, la Apple qui non sarebbe mai sorta»
NAPOLI - Se Steve Jobs, guru dell'elettronica scomparso la settimana scorsa, fosse nato a Napoli? Beh, forse sarebbe diventato ugualmente un maestro del settore, con un pizzico (?) di fatica in più. oppure, niente: condannato alla disoccupazione eterna. A riscrivere la storia del fondatore della Apple in salsa partenopeo è il blogger Antonio Menna. Che sul suo blog immagina che Jobs si chiami «Stefano Lavori» (la traduzione letterale del nome in italiano). Steve-Stefano, scrive Menna, «ha un amico che si chiama Stefano Vozzini», un probabile alter ego di Bill Gates. Ai due smanettoni viene un'idea geniale: un computer innovativo ma non hanno i soldi per comprare i pezzi e assemblarlo. «Si mettono nel garage - si legge nel racconto di Menna - e pensano a come fare. Stefano Lavori dice: proviamo a venderli senza averli ancora prodotti. Con quegli ordini compriamo i pezzi. Mettono un annuncio, attaccano i volantini, cercano acquirenti. Nessuno si fa vivo. Bussano alle imprese: “volete sperimentare un nuovo computer?”. Qualcuno è interessato: “portamelo, ti pago a novanta giorni”. “Veramente non ce l’abbiamo ancora, avremmo bisogno di un vostro ordine scritto”. Gli fanno un ordine su carta non intestata. Non si può mai sapere. Con quell’ordine, i due vanno a comprare i pezzi, voglio darli come garanzia per avere credito. I negozianti li buttano fuori. “Senza soldi non si cantano messe”. Che fare? Vendiamoci il motorino. Con quei soldi riescono ad assemblare il primo computer, fanno una sola consegna, guadagnano qualcosa. Ne fanno un altro. La cosa sembra andare».

IN BANCA - «Ma per decollare ci vuole un capitale maggiore. “Chiediamo un prestito”. Vanno in banca. “Mandatemi i vostri genitori, non facciamo credito a chi non ha niente”, gli dice il direttore della filiale».

ARRIVANO I VIGILI: MULTA SALATISSIMA- «I due tornano nel garage. Come fare? Mentre ci pensano bussano alla porta. Sono i vigili urbani. “Ci hanno detto che qui state facendo un’attività commerciale. Possiamo vedere i documenti?”. “Che documenti? Stiamo solo sperimentando”. “Ci risulta che avete venduto dei computer”. I vigili sono stati chiamati da un negozio che sta di fronte. I ragazzi non hanno documenti, il garage non è a norma, non c’è impianto elettrico salvavita, non ci sono bagni, l’attività non ha partita Iva. Il verbale è salato. Ma se tirano fuori qualche soldo di mazzetta, si appara tutto».

LE MAZZETTE - Menna a questo punto descrive la trafila che lo Steve Jobs e il Bill Gates napoletani sono costretti a subire, mazzetta dopo mazzetta, per tenere buoni i «controllori» della legalità. Finanza, ispettorato del Lavoro, ufficio Igiene.

DAL COMMERCIALISTA - I soldi in cassa finiscono. Però il computer piace, i primi acquirenti chiamano entusiasti. Ma dove prendere i soldi? «Ci sono i fondi europei, gli incentivi all’autoimpresa. C’è un commercialista a Napoli che sa fare benissimo queste pratiche. “State a posto, avete un'idea bellissima. Sicuro possiamo avere un finanziamento a fondo perduto almeno di 100mila euro”. I due ragazzi pensano che è fatta. “Ma i soldi vi arrivano a rendicontazione, dovete prima sostenere le spese. Attrezzate il laboratorio, partire con le attività, e poi avrete i rimborsi (...) Poi qualcosa per la pratica, il mio onorario. E poi ci vuole qualcosa di soldi per oliare il meccanismo alla regione. C’è un amico a cui dobbiamo fare un regalo sennò il finanziamento ve lo scordate”. “Ma noi questi soldi non ce li abbiamo”. “Nemmeno qualcosa per la pratica? E dove vi avviate?”».

IL PIZZO LA CAMORRA - I due, scoraggiati, decidono comunque di andare avanti. Chiedono soldi pure ai genitori. «All’interno del garage lavorano duro: assemblano i computer con pezzi di fortuna, un po’ comprati usati un po’ a credito. Fanno dieci computer nuovi, riescono a venderli. La cosa sembra poter andare. Ma un giorno bussano al garage. E’ la camorra. Sappiamo che state guadagnando, dovete fare un regalo ai ragazzi che stanno in galera. “Come sarebbe?”. “Pagate, è meglio per voi”. Se pagano, finiscono i soldi e chiudono. Se non pagano, gli fanno saltare in aria il garage. Se vanno alla polizia e li denunciano, se ne devono solo andare perchè hanno finito di campare. Se non li denunciano e scoprono la cosa, vanno in galera pure loro. Pagano. Ma non hanno più i soldi per continuare le attività. Il finanziamento dalla Regione non arriva, i libri contabili costano, bisogna versare l’Iva, pagare le tasse su quello che hanno venduto, il commercialista preme, i pezzi sono finiti, assemblare computer in questo modo diventa impossibile, il padre di Stefano Lavori lo prende da parte e gli dice “guagliò, libera questo garage, ci fittiamo i posti auto, che è meglio”. I due ragazzi si guardano e decidono di chiudere il loro sogno nel cassetto. Diventano garagisti».

LA TRISTE MORALE FINALE - Morale della storia, secondo il blogger: «La Apple in provincia di Napoli non sarebbe nata, perchè saremo pure affamati e folli, ma se nasci nel posto sbagliato rimani con la fame e la pazzia, e niente più».

In Grecia la crisi mina anche la salute pubblica. E per curarsi si va nelle cliniche delle ong
di Chiara Beghelli
Atene, 10 ottobre 2011: mentre la troika dei creditori incontra per l'ennesima volta il ministro delle Finanze Venizelos per convincerlo ad essere ancora più drastico sui disastrati conti della Grecia, al 12 di via Sapfous i medici e i volontari della delegazione greca di Médecins du Monde si organizzano per un'altra settimana di visite gratuite nelle strade della città. A rivolgersi ai loro centri finora erano stati gli immigrati poveri, provenienti soprattutto da Iraq, Afghanistan, Bangladesh e Africa. Ma con la tremenda crisi nazionale, i volti dei loro pazienti sono diventati più familiari. Nikitis Kanakis è un dentista ed è il capo di MdM in Grecia: «La situazione nell'ultimo anno è peggiorata: di 30mila pazienti che abbiamo assitito, circa il 35% sono cittadini greci, in aumento del 10% rispetto al 2010», ha detto all'euobserver.com.
Situazione preoccupante, ma che non poteva essere diversa, con uno Stato che ha stabilito tagli del 40% alla sanità pubblica, e che probabilmente peggiorerà ancora, come denuncia uno studio dell'Università di Cambridge pubblicato dalla rivista britannica The Lancet. Analizzando le risposte a circa 26mila questionari, report di istituti di ricerca, aziende sanitarie e ong fra 2007 e 2009, lo stato della salute pubblica della Grecia è risultato essere una copia di quello delle sue finanze: le persone ad essersi rivolte agli ospedali pubblici per vari disturbi sono aumentate del 24% nel 2010 rispetto al 2009, e di un ulteriore 8% nei primi sei mesi del 2011. Le ammissioni agli ospedali privati, invece, sono calate del 25-30%. Della stessa percentuale, in linea con il dato fornito da Kanakis, è l'aumento del ricorso a centri medici delle Ong, che prima della crisi si limitava al 3-4 per cento.
Il dato sui suicidi, poi, trova conferma in quelli già tristemente noti: coloro che hanno fatto la stessa scelta di quel piccolo imprenditore del settore retail che si è impiccato a un ponte, lasciando una nota con scritto «non cercate altre ragioni, la crisi mi ci ha portato», sono aumentati del 25% nel 2010 rispetto all'anno prima, e sembrano in aumento del 40% nel primo semestre 2011. L'impoverimento progressivo, scrive Lancet, ha condotto anche a un aumento dell'abuso di droghe, eroina in testa con un +20% nel 2009, e a un parallelo aumento dei casi di Hiv da scambio di siringhe infette di un incredibile 52% rispetto al 2010.
«L'esperienza della Grecia ci avverte dei rischi di tagli alla sanità in tempi di recessione», ha detto a Reuters uno dei partecipanti alla ricerca, Martin McKee, della London School of Hygiene and Tropical Medicine. E chi sta pagando il prezzo più alto della crisi, non solo in termini di occupazione, reddito, sicurezza, ma anche in salute, dice Lancet, è la «ordinary people», la gente comune. Per questo, si legge in chiusura dell'articolo, «è necessaria la massima attenzione alla salute e all'accesso alla sanità per assicurare che la crisi non metta a repentaglio la primaria fonte di ricchezza della Grecia: la sua gente».
 10 ottobre 2011

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