giovedì 6 ottobre 2011

Federali.sera_6.10.11. Attraverso la Sfirs - ha detto Martino Scanu della Cia - vogliamo togliere ossigeno agli industriali e convincere le cooperative, che producono il 67 per cento del Pecorino Romano, di non svenderlo agli industriali, ma direttamente attraverso questo nostro consorzio, molto simile a quello del Parmigiano-Reggiano, sui mercati nazionali e internazionali».----Belluno, oltrepadania, Toni Sirena: La debolezza dei bellunesi sta nel fatto di aver sempre puntato su Venezia. Ci sono state le “provvidenze” (qualcuno le chiama ancora così), sono arrivate le industrie (hanno dato lavoro e benessere ma hanno anche spopolato di più le zone alte), ci sono stati “Progetti Montagna” e quote aggiuntive e contributi. Ma tutto questo non è stato decisivo. La montagna resta in agonia. Per questo ben venga ogni iniziativa che spinga nella direzione dell’autonomia (io preferirei chiamarlo autogoverno), che costringa a cambiare lo stato di cose presente.

Basilicata. I signori del business dei rifiuti dietro la discarica di Lauria
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: I pastori: venderemo il latte all’asta
L'UNIONE SARDA - Economia: Moody's declassa anche la Sardegna e la Lombardia
Belluno, oltrepadania. L'autonomia non è più un miraggio


Basilicata. I signori del business dei rifiuti dietro la discarica di Lauria
La società che ha realizzato i lavori nel mirino delle Procure di tutt’Italia
06/10/2011  AFFIDERESTE la realizzazione di una discarica di cinque mila metri quadrati nel vostro comune ai re del business dei rifiuti il cui nome è collegato a inchieste giudiziare che vanno da Milano alla Sicilia? In Basilicata accade. Anzi, è accaduto. Precisamente a Lauria. Dove in località Carpineto sorge il vasto cimitero di rifiuti che provengono da 12 comuni dell’area sud. A distanza di un anno dalla sua realizzazione la discarica, però, è ancora senza collaudo ma già chiusa. Lo scorso luglio il sindaco di Lauria, Gaetano Mitidieri, alle notizie del possibile inquinamento in corso, su cui ora indaga la Procura di Lagonegro, ha dovuto adottare un’ordinanza che di fatto blocca il conferimento di nuova spazzatura. Da allora i comuni che prima conferivano a Lauria sono stati costretti a spostarsi altrove, con tutti i problemi legati a questa scelta obbligata. Nel frattempo sarebbero partiti i primi interventi di messa in sicurezza. E proprio oggi potrebbero essere diffusi i dati Arpab per rendicontare lo stato dell’inquinamento in corso. Le enormi quantità di percolato che avrebbero contaminato i territori (con possibili rischi della vicina falda acquifera) deriverebbero da un “difetto” della vasca di contenimento: il liquame potrebbe essere scolato nel sottosuolo da un pozzetto che si trova nel punto più profondo e che invece dovrebbe trovarsi in alto. Ma oggi l’ipotesi è che dietro l’inquinamento provocato dalla discarica possa nascondersi qualcosa di ben più grave.
 Parte di questi dubbi trovano terreno fertile nei precedenti giudiziari della Emit - Ercole Marelli che è l’Ati che si è aggiudicata l’appalto per la realizzazione della discarica. Rappresentante legale della Emit è Luigi Pisante, della famiglia Pisante, ovvero i signori dei rifiuti e non solo. Per farsi un’idea di chi siano i fratelli Giuseppe e Ottavio da San Savero basta fare un piccola ricerca: dallo smaltimento della spazzatura, alla gestione delle acque, allo sfruttamento energetico, alle grandi opere in Italia e all'estero, i loro nomi portano lontano. Come, solo per citarne alcune, alla maxinchiesta della Procura di Latina su appalti e intese societarie che ebbe come conseguenza all’azzeramento dei vertici di Acqua Latina, a quella per il maxi appalto dei nastri trasportatori al porto di Manfredonia, per continuare con gli affari di Sicilia Acque e Ponte sullo Stretto. Il gruppo opera attraverso una galassia di società tra cui anche Emit. In qualità di presidente Emit, impresa che vinse l’appalto al tempo del Consorzio Asi (78 miliardi di lire) per il primo lotto dei nastri trasportatori del porto di Manfredonia, a esempio, Ottavio Pisante è stato condannata nel processo “nastri d’oro”. La famiglia in questione è chiacchierata persino sui business somali sui quali stava indagando la giornalista Ilaria Alpi.
 Ma come arriva la società a conquistarsi la discarica di Lauria? Un appalto da sette milioni di euro nato, evidentemente, sotto una cattiva stella, quello relativo al progetto del cimitero dei rifiuti nel comune di Lauria. La Emit vinceva la gara nel 2008, ma la ditta concorrente, la Copram, faceva ricorso al Tar perché contestava irregolarità nelle procedure di aggiudicazione. In particolare contestava alla vincitrice di aver prodotto atti falsi per ottenere punteggio maggiore e presentazione di falsa documentazione relativa al terreno di destinazione. C’è anche una nota del ministero dei Lavori pubblici che prende atto delle segnalazioni inviate dalla Copram. Ma con sentenza numero 00329 del 2009 il Tribunale amministrativo di Basilicata rigettava il ricorso della Copram. I lavori, dunque, rimangono alla Emit Ercole Marelli, che a sua volta li subappalta a ditte regionali. La discarica sarà aperta solo nel 2010 anche se i lavori non vengono mai assegnati definitivamente. Del totale dei metri quadrati in progetto solo una parte vengono veramente realizzati: mancano gli impianti di trattamento del percolato e di differenziazione dei rifiuti. E soprattutto, ancora oggi, manca il collaudo. Poi a luglio del 2011 lo stop forzato ordinato dal sindaco di Lauria dopo il presunto inquinamento in corso. E sulla emergenza ambientale scoppiata a Lauria annuncia battaglia il Movimento “Valle del Noce.it”, guidato dall’autore teatrale Ulderico Pesce, che ha già portato alla luce i problemi della qualità delle acque del fiume Noce e relativi al malfunzionamento degli impianti di depurazione dell’area Sud della Basilicata. E che ora ha avviato una raccolta firme con la quale quale si chiede di fare piena chiarezza sugli affari della discarica e sullo stato dell’inquinamento in corso.
Mariateresa Labanca

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: I pastori: venderemo il latte all’asta
06.10.2011
Nascerà un consorzio con l’aiuto della Sfirs per commercializzare il Pecorino Romano Cagliari, i rappresentanti di categoria lanciano la sfida agli industriali Gli industriali ci hanno sbattuto la porta in faccia trincerandosi dietro le leggi di mercato per non aggiornare il prezzo, noi riusciremo a riaggiornare il reddito
CAGLIARI. La sfida è lanciata, agli industriali, sul prezzo del latte. Coldiretti, Cia, Confagricoltura e Copagri ieri hanno deciso di mettersi in proprio, per «mettere fine a un sistema feudale». Lo hanno detto nel presentare quelle che hanno chiamato «le rivoluzionarie aste sul latte» e «l’innovativo consorzio di secondo livello, da costituire insieme alla Sfirs, per vendere il Pecorino Romano». Sono due scelte forti, inevitabili, per le associazioni, «perché non potevano stare in silenzio dopo che martedì, davanti all’assessore, gli industriali ci hanno detto: sul prezzo del latte non tratteremo nè adesso, nè mai». Due grimaldelli, questo sono le aste e il consorzio-bis, necessari per «forzare il portone che gli industriali ci hanno sbattuto in faccia con la loro consueta arroganza», ha detto il direttore regionale della Coldiretti, Luca Saba. Il no secco incassato al tavolo tecnico convocato martedì dall’assessore Oscar Cherchi, ha lasciato il segno fra le associazioni. «Brucia ancora, lo schiaffo», è stato il commento di Maurizio Onorato della Confagricoltura: «Noi eravamo disponibili a trattare, gli altri no. Da subito, si sono chiusi a riccio, per poi nascodersi dietro il muro, traballante, delle leggi di mercato. Bene, adesso siamo noi a puntare al mercato, a stravolgere quei meccanismi che finora hanno portato a un solo risultato: gli allevatori producono in perdita, le industrie di trasformazione no». Quale sarà la reazione dei caseifici privati alla sfida lanciata dalle associazioni? Assolatte ieri ha ribadito la sua volontà a confrontarsi su qualità, efficienza della filiera e tagli alla sovraproduzione, ma non sul prezzo del latte. Dunque, nulla è cambiato. Le aste. Le associazioni hanno una certezza: riuscire a commercializzare, in tempi brevi, dai quattordici ai venti milioni di litri. «Li porteremo via dai 140 milioni che, in media, i produttori conferiscono agli industriali e con questa nuova strategia, faremo saltare l’attuale listino. Dai 60-65 centesimi attuali, lo porteremo ai livelli di Toscana, Lazio e delle nazioni europee, cioè vicino a un euro», ha detto Velio Ortu della Cia. Sarà difficile o facile mettere su le aste? «È un percorso virtuoso e rivoluzionario - ha detto Pietro Tandeddu di Copagri - in cui dobbiamo coinvolgere subito i produttori e le industrie di trasformazione nazionale. Se insieme alla nuova campagna di raccolta, a dicembre, partirà anche un vero mercato pubblico, quello delle aste - ha continuato - il prezzo del latte aumenterà subito e gli allevatori riavranno garantito il loro reddito». È una scommessa, da provare. Il consorzio bis. È la seconda novità, e per realizzarla le associazioni hanno chiesto il contributo decisivo della Regione: «Attraverso la Sfirs - ha detto Martino Scanu della Cia - vogliamo togliere ossigeno agli industriali e convincere le cooperative, che producono il 67 per cento del Pecorino Romano, di non svenderlo agli industriali, ma direttamente attraverso questo nostro consorzio, molto simile a quello del Parmigiano-Reggiano, sui mercati nazionali e internazionali». Le quattro associazioni hanno in mente una struttura snella, libera dalle gabbie finora imposte dal Consorzio latte: «Basta un manager serio e preparato - ha detto Lucca Saba - per ridare certezze a una cooperazione liberata dalla schiavitù imposta dagli industriali e ridare forza a un strategia di commercializzazione diretta, innovativa e non più sottomessa. È così che possiamo far uscire dall’emergenza il settore ovino-caprino. Altrimenti, resteremo ancora tutti prigionieri di un passato che in dieci anni ha dimezzato le aziende e messo sul lastrico molti di noi». La Regione. Il ruolo dell’assessore all’agricoltura sarà decisivo, hanno detto le associazioni. «Dopo che è saltato il tavolo - ha detto Gigi Picciau di Confagricoltura - abbiamo capito che la Regione vuole continuare a trattare con noi il rilancio del settore. Bene, con la legge salva-agricoltura e con qualche necessario aggiustamento, può farlo da subito. La pressione sugli industriali - ha proseguito - deve essere forte e noi da soli non possiamo farcela. Abbiamo necessità di un partner pubblico, che si schieri al nostro fianco in questa stagione rivoluzionaria». L’invito è chiaro, all’assessore Cherchi spetta la risposta. (ua)

L'UNIONE SARDA - Economia: Moody's declassa anche la Sardegna e la Lombardia
06.10.2011
Inserire il testo dell'articolo in breve
NEW YORK Anche la Regione Sardegna risulta tra gli enti locali a cui sono stati abbassati i rating di lungo termine da parte dell'agenzia Moody's. L'Isola, insieme a Piemonte, Puglia, e Sicilia scende ad A3 dal precedente rating di A1, mentre la Lombardia, con le Province di Trento e Bolzano, si abbassa ad Aa3 rispetto ad Aaa. Più in generale, sono stati abbassati i rating di lungo termine di 30 enti locali italiani, con outlook negativo. BANCHE E AZIENDE Il giorno dopo aver declassato il debito sovrano dell'Italia, l'agenzia Moody's ha deciso inoltre di tagliare il rating di Eni, Enel, Finmeccanica, Poste italiane e Terna. Ma non finisce qua, perchè il declassamento riguarda anche due delle principali banche italiane: Unicredit e Intesa Sanpaolo. Confermato invece il giudizio su Generali e Allianz Italy. Per quello che riguarda Unicredit, Moody's ha tagliato il rating sui depositi e il debito a lungo termine, portandolo da A3 ad A2. L'outlook è negativo. La decisione, è scritto all'interno della nota dell'agenzia, è dovuta al fatto che Unicredit dovrà «migliorare il debole livello di redditività delle operazioni “core” in Italia». Poi ancora: «E nell'attuale situazione economica - spiegano gli analisti - i bassi tassi di crescita e le misure di austerity del governo costituiscono un ostacolo per il gruppo in Italia e negli altri mercati». Tutto ciò, dunque, «potrebbe aumentare le pressioni negative sulla redditività e sulla qualità degli asset» di Unicredit. Per ciò che concerne invece Intesa Sanpaolo, il rating passa da Aa3 ad A2, con prospettive negative. Secondo Moody's, ciò è dovuto «sia all'esposizione diretta verso il debito sovrano italiano sia al fatto che Intesa è concentrata soprattutto sulle attività interne, visto che il 77% delle entrate del gruppo sono generate in Italia». Per questo, l'agenzia ritiene che «il profilo di credito di Intesa sia troppo correlato al profilo di credito del governo italiano. E data questa correlazione - conclude Moody's - è poco probabile per Intesa avere un rating più alto di quello del governo italiano».
ENTI LOCALI Tra i trenta enti locali italiani ai quali sono stati abbassati i rating di lungo termine, scendono ad A2 (lo stesso rating nazionale) le regioni Basilicata, Liguria, Marche e Umbria, che venivano da Aa3. Dopo le polemiche che hanno seguito la bocciatura dell'Italia, altrettante polemiche nasceranno ora con il declassamentio degli enti locali.

Belluno, oltrepadania. L'autonomia non è più un miraggio
di Toni Sirena
 Dare risposte semplici a problemi complessi porta sempre fuori strada. Ho letto l’editoriale di insediamento del direttore e il dibattito che ne è scaturito. Desidero portare anche il mio contributo. Dire che l’autonomia della provincia di Belluno, più volte tentata, si è sempre rivelata un obiettivo mancato, è vero. Ma da qui a concluderne che è un inutile miraggio, ne corre. La domanda corretta è un’altra: perché la questione dell’autonomia continua a tornar fuori? Alla base ci sono, evidentemente, motivi reali. Certo, lo sappiamo, non è la panacea per tutti i mali, ma è la condizione di partenza. Mali che non solo affliggono da sempre la montagna veneta, ma che si sono sempre più aggravati. Ci sono decine di libri fondamentali che esaminano la crisi delle Alpi (emigrazione, spopolamento, abbandono dell’agricoltura e delle attività tradizionali, turismo d’assalto, seconde case, omologazione e così via) arrivando tutti alla conclusione che le radici del male stanno nell’assenza di autogoverno.

Nel fatto che questi territori sono etero-diretti dalle città e dalle pianure, che sono ridotti da un lato a campo di rapina (un tempo legname e minerali, oggi soprattutto acqua per l’energia elettrica e per l’irrigazione), dall’altro a luna park per turisti mordi e fuggi. Gli interessi e i profitti stanno altrove.

Belluno ha sempre perso tutti i treni, proprio a causa di una logica sostanzialmente subalterna.
 Alessandro Da Borso, presidente della Provincia tra gli anni 50 e 60, vantava a suo merito l’aver stoppato l’idea
di De Gasperi di inserire anche Belluno nella nuova
Regione a statuto speciale. Un secondo treno è stato perso dopo il Vajont, quando si è puntato tutto sull’industrializzazione anziché su un mix di interventi e riforme per rianimare l’economia della montagna (certo industrie ubiquitarie, ma anche turismo, agricoltura, servizi). Come dire: i bellunesi hanno le loro colpe.

 Poi venne la Regione (1972) che si rivelò un ente accentratore, nel quale i bellunesi non hanno mai avuto alcun peso perché sono sempre stati 200.000 e anche se il territorio è un quinto del Veneto la parte del leone l’hanno sempre fatta le grandi città e le pianure.
 Oggi è ancora così: vedremo se il nuovo Statuto della Regione cambierà le cose. Ma la Lega punta, lo ha sempre detto, a uno Stato Veneto, non al federalismo. Uno Stato che avrà però la testa a Milano. La Padania non esiste: ma anche se esistesse, le Dolomiti non sono Padania.
 La debolezza delle Alpi sta nel fatto che i territori montani (Sondrio, Verbania, Belluno) sono governati da Milano, da Torino, da Venezia. Non si autogovernano. Va meglio, non a caso, in Svizzera e in Austria.
 Va meglio, non a caso, in Val d’Aosta, in Trentino e in Alto Adige. La debolezza dei bellunesi sta nel fatto di aver sempre puntato su Venezia. Ci sono state le “provvidenze” (qualcuno le chiama ancora così), sono arrivate le industrie (hanno dato lavoro e benessere ma hanno anche spopolato di più le zone alte), ci sono stati “Progetti Montagna” e quote aggiuntive e contributi. Ma tutto questo non è stato decisivo. La montagna resta in agonia.
 Per questo ben venga ogni iniziativa che spinga nella direzione dell’autonomia (io preferirei chiamarlo autogoverno), che costringa a cambiare lo stato di cose presente.
 La richiesta di autogoverno è condivisa dall’opinione pubblica, prima ancora che dai pronunciamenti istituzionali e unanimi del consiglio provinciale, delle forze politiche, delle associazioni di categoria, della Chiesa. Troppo semplice liquidare tutto ciò come “ fisime” dei bellunesi. Che poi qualcuno firmi impegni in campagna elettorale e il giorno dopo li disattenda, come Galan, o che qualcun altro si rimangi per un posto al sole (un assessorato, una presidenza) ciò che ha detto per anni, fa parte delle debolezze politiche e umane.
 In prospettiva gli Stati nazionali perderanno peso e ruolo, ma lo acquisteranno le regioni, in senso eco-storico. Le Alpi sono una di queste, di qua e di là di inutili confini e spartiacque. In questa prospettiva accorpare i Comuni ed eliminare le Province non risolve nulla. I Comuni sono un presidio, anche quelli piccoli, in un territorio fragile (e le Comunità montane che ci starebbero poi a fare?). La Provincia è l’unico ente che riesce ancora a tenere insieme il territorio. Eliminarla vorrebbe dire triplicarla. Belluno, Feltre e Cadore “province regionali”? Tutte più deboli, col cappello in mano, a mendicare a una Regione-mostro che diventerebbe ancor più un ente centralista, sempre più carico di quelle funzioni amministrative di cui dovrebbe invece liberarsi. 6 ottobre 2011
http://corrierealpi.gelocal.it/cronaca/2011/10/06/news/l-autonomia-non-e-piu-un-miraggio-5093830

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