martedì 22 novembre 2011

Federali.mattino_22.11.11. Giorni fa, quando Angelo Manna e suo padre si sono recati ai campi per la prima mietitura, si sono accorti di aver vinto la scommessa: il riso cresce anche a chilometri di distanza dalla pianura emiliana o padana.----Catania ha anche detto che il suo ministero, di concerto con quello dell'Economia, deve varare i decreti attuativi previsti dalla legge di Stabilità, e che l'obbiettivo è di vendere i terreni a imprese del settore, soprattutto a conduzione giovanile: "Se lo facciamo lo facciamo perché nascano imprese agricole e preferibilmente imprese agricole dirette da giovani, non certo per cambiare destinazione d'uso per fare altre cose.

Il riso ritorna a crescere sull'isola. Adesso arancini «made in Sicily»
Agricoltura, dismissioni per far cassa e per la crescita
Il 61,6% dei siciliani tra i 15 e i 24 anni sono fuori dal mercato del lavoro
Lavoro atipico: la crisi si estende agli interinali
La Bundesbank taglia le stime di crescita e parla di recessione possibile anche per il treno Germania
Borse europee in rosso, il PP non salva Madrid
Bce: acquisti per 7,98 miliardi nell'ultima settimana con il programma SMP
Il re belga Alberto II ha congelato le dimissioni rassegnate dal premier incaricato, il socialista Elio Di Rupo
Marchionne: "Nessuno meglio di Monti"
Sembra aprirsi qualche spiraglio nella serie di bufere che hanno investito il sistema bancario sammarinese



Il riso ritorna a crescere sull'isola. Adesso arancini «made in Sicily»
La piantagione fiorita ad Enna è stata già venduta
Il produttore: «Nel 600 il riso siciliano veniva esportato»
PALERMO - Gli arancini con il riso «made in Sicily»? Si può e presto sarà realtà. A sollevare il caso La Stampa. La giornalista Laura Anello ha infatti intervistato un imprenditore di Enna, Angelo Manna, uomo controcorrente che ha deciso di tornare a coltivare e a produrre in Sicilia il riso, anche se nell'ultimo secolo nessuno ci aveva più provato. Giorni fa, quando Angelo Manna e suo padre si sono recati ai campi per la prima mietitura, si sono accorti di aver vinto la scommessa: il riso cresce anche a chilometri di distanza dalla pianura emiliana o padana. Le coltivazioni saranno adesso inviate in Calabria per le operazioni di «brillatura», ma i chicchi «made in Sicily» hanno già trovato un'acquirente. Il riso ennese è già stato quasi tutto venduto ad alcuni chef siciliani, desiderosi di mettere sui propri arancini e di aggiungere alle proprie ricette la preziosa «etichetta».

UN'ANTICA TRADIZIONE - «Il riso in Italia e in Europa», ha spiegato a «La Stampa» il produttore siciliano Manna, «è arrivato attraverso la Sicilia con gli arabi, e così lo zafferano, portato come spezia preziosa dagli emiri e ancora adesso coltivato qui. Nel seicento e nel settecento», prosegue l'imprenditore mostrando alcuni documenti inviatigli da Roberto Paternò Castello, principe di Biscari ed erede di una famiglia che nella provincia catanese aveva molti feudi, «in Sicilia si coltivava riso tanto da esportarlo». La coltivazione sarebbe poi scomparsa definitivamente dall'isola dopo le bonifiche volute da Mussolini. Qualche decennio prima però, subito dopo la proclamazione dell'Unità d'Italia, il governo proibì la coltivazione del riso nei pressi dei centri abitati, con l'intento di scongiurare la diffusione della malaria. Il provvedimento ebbe l'effetto di scoraggiare la coltivazione del riso, visto che i contadini siciliani erano abituati ad arare i terreni vicini alle proprie abitazioni.

IL METODO DI COLTIVAZIONE - Il procedimento utilizzato dall'imprenditore di Enna per produrre il riso «made in Sicily» è stato quello meglio noto come sistema di coltivazione «semiasciutto», tenendo il terreno sempre umido, ma mai inondandolo.

Agricoltura, dismissioni per far cassa e per la crescita
Per il ministro delle Politiche agricole Mario Catania la dismissione dei terreni agricoli dello Stato, prevista dalla legge di Stabilità, sarà importante più per la crescita che per l'aspetto di cassa, e il ministero intende vincolare al più presto la destinazione dei terreni per evitare speculazioni.
"Direi che i due momenti (crescita e cassa) vanno insieme; in effetti anch'io tendo a valorizzare l'elemento crescita, mentre l'aspetto cassa è importante, ma è ancora difficile da valutare effettivamente", ha detto il ministro nel corso di un'intervista a Reuters. Catania ha detto che "sarebbe azzardato" quantificare i valore delle dismissioni agricole statali, che riguardano oltre 338mila ettari.
Secondo uno studio di Coldiretti, dall'operazione lo Stato potrebbe trarre oltre 6 miliardi di euro. Catania ha anche detto che il suo ministero, di concerto con quello dell'Economia, deve varare i decreti attuativi previsti dalla legge di Stabilità, e che l'obbiettivo è di vendere i terreni a imprese del settore, soprattutto a conduzione giovanile: "Se lo facciamo lo facciamo perché nascano imprese agricole e preferibilmente imprese agricole dirette da giovani, non certo per cambiare destinazione d'uso per fare altre cose.
Secondo il ministro per il varo dei decreti "ci vuole un po' di tempo": "Non sono cose che si fanno in 10 giorni e nemmeno in un mese, proprio perché sono processi complessi e bisogna farli con garanzie di trasparenza". Catania ha anche detto di sperare che la misura possa far crescere posti di lavoro nel settore agricolo, in cui invece la tendenza è storicamente alla riduzione e all'invecchiamento degli agricoltori.
"Immaginare che ci sia un sensibile aumento di posti di lavoro in un Paese industrialmente avanzato come il nostro mi sembra azzardato, direi però che qualche frazione di punto o anche qualche punto in più sarebbero già un risultato importantissimo nel contesto complessivo", ha aggiunto Catania.

Il 61,6% dei siciliani tra i 15 e i 24 anni sono fuori dal mercato del lavoro
di Giulia Cosentino
Il rapporto Svimez 2011 mostra in tutta la sua drammaticità quale sia la condizione dei giovani in Sicilia. In 5 anni sono passati dal 70% al 61% i diplomati che che decidono di continuare con gli studi
PALERMO –  Disoccupazione, crisi, divario tra Nord e Sud. E’ passato solo poco tempo da quando il Quotidiano di Sicilia ha analizzato alcuni dei temi principali discussi recentemente dal rapporto Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), che già l’argomento mette in luce altre problematiche e in particolare, i notevoli effetti negativi che provocano sul mercato del lavoro. Si tratta di quelle classi diverse per fascia di età e ruolo, ma accomunate dalla medesima emergenza: l’occupazione.
 Di questa “grande famiglia” fanno parte i precari non tutelati (che sviluppano il lavoro sommerso e irregolare), gli inoccupati instabili e soprattutto i giovani. Proprio quest’ultimi vengono minacciati prepotentemente dalla crisi globale in cui viviamo. Nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione delle persone tra i 15 e i 34 anni è sceso nel 2010 ad appena il 31,7%, con un crollo occupazionale rilevante. Solo in Sicilia il tasso dei giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni è pari al 61,6%.
 La condizione dei giovani desta maggiore allarmismo proprio perché spesso vengono esclusi dai processi di sviluppo e dall’inserimento nel mercato del lavoro ancor prima di entrarne a fare parte. Ed è preoccupante soprattutto come la crisi abbia bloccato l’accesso al lavoro anche di quella generazione di giovani con un ricco bagaglio formativo. A questo si aggiunge spesso l’inadeguatezza dello stesso sistema di formazione scolastico e universitario bloccato dalla debolezza del sistema sociale, civile ed economico del Paese. Se da un lato l’iscrizione a scuole di specializzazione e Università viene vista come un modo per favorire l’espansione della produttività e la ricerca di un posto occupazionale più o meno stabile, negli ultimi anni sembra emergere un certo scoraggiamento fra le coorti più giovani a investire nell’istruzione superiore: il tasso di passaggio all’università (iscritti su 100 diplomati nell’anno precedente) è sceso dal 70% del 2005 al 61% del 2010 nel Sud e dal 71 al 65% nel Centro-Nord.
 In poche parole, al Sud un laureato su tre è fuori dal mercato del lavoro e dal sistema formativo. Ma dal momento in cui lavorare al Sud è difficile e studiare serve per poter meglio trovare un’occupazione, ecco spiegato il motivo per cui sono emerse le cosiddette “nuove migrazioni”. Fuggono dal Sud i disoccupati e i giovani i quali decidono di intraprendere gli studi universitari fuori al Centro-Nord.
 Tra i laureati meridionali che a tre anni dalla laurea si dichiarano occupati, nel 2007 ben il 41,5% (26.000 su 62.576) lavora in una regione del Centro-Nord. Nel 2011, nonostante la crisi, aumenta l’emigrazione dal Sud di laureati (18 mila meridionali) e soprattutto la componente dei pendolari di lungo raggio che per la Sicilia è pari a 27 mila unità. E’ stato constatato come, per i prossimi 20 anni, il Sud perderà circa un giovane su quattro. Per la Sicilia le prime due regioni di destinazione dei flussi migratori vengono rappresentate dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna. Almeno sappiamo dove andrà a finire il futuro dell’Isola.

Protocollo d’intesa. La Regione disponibile a investire per le Università
PALERMO – Strettamente connesso alle “nuove migrazioni” è il cosiddetto “brain waste” ovvero lo “spreco di cervelli” con conseguente “fuga” degli stessi. Ad andarsene sono soprattutto i giovani più dinamici e qualificati in cerca di migliori opportunità. Da un’area giovane e ricca di menti e di braccia, il Mezzogiorno si trasformerà, nel corso del prossimo quarantennio, in un’area deserta, anziana e povera. Per frenare l’emorragia, lo scorso giugno, è stato sottoscritto un protocollo d’intesa dal presidente della Regione, Raffaele Lombardo, dai rettori e dai delegati degli atenei di Pa, Ct, Me ed En, volto a investire sul sistema universitario come strumento per frenare la fuga dei cervelli e creare nuove occasioni di sviluppo. Gli ambiti d’intervento, in linea con i criteri e le modalità previsti dai fondi Fse, Fesr e Fas, su cui si è deciso di intervenire sono: ricerca industriale, sviluppo pre-competitivo, alta formazione, valorizzazione dei risultati della ricerca, in atto nella programmazione dei fondi comunitari 2007/2013.
Articolo pubblicato il 22 novembre 2011

Lavoro atipico: la crisi si estende agli interinali
21 novembre 2011
La crisi occupazionale in Italia non riguarda oramai solo i contratti più stabili, ovverosia quelli a tempo indeterminato, ma anche quelli come i contratti interinali che, a fronte di paghe spesso basse, offrono anche delle scarse tutele. Questo almeno stando ad un rapporto Ires Cgil, da cui è in particolare emerso come il saldo degli ultimi tre anni, per i contratti interinali, sia negativo per ben 130 mila unità. Introdotto nel 1997 con il cosiddetto “Pacchetto Treu“, il contratto interinale accusa la crisi e le difficoltà di natura congiunturale registrando per la prima volta una flessione.
Questo significa che in tre anni sono stati espulsi dal mondo del lavoro 130 mila persone che, a fronte delle palesi difficoltà a trovare poi una nuova occupazionale, hanno fruito di tutele alquanto limitate rispetto ad un lavoratore con contratto di lavoro subordinato. E poi, stando al Rapporto Ires Cgil, il 90% dei lavoratori interinali in Italia guadagna meno di 15 mila euro all’anno, così come un’ampia quota di questi percepisce meno dei “classici” mille euro.
 Ed in assenza di requisiti per l’accesso all’indennità di disoccupazione, la Cgil denuncia di conseguenza come si vengano a creare forme di precarietà economica che si sono inasprite ulteriormente proprio negli ultimi tre anni, quelli della crisi. D’altronde a fronte di basse tutele i compensi e gli stipendi del lavoratori con contratti non stabili dovrebbero prevedere delle remunerazioni più alte; ma questo in Italia non è mai accaduto, e ci si chiede nello stesso tempo se mai accadrà.

La Bundesbank taglia le stime di crescita e parla di recessione possibile anche per il treno Germania
La banca centrale tedesca ha tagliato le stime di crescita del Pil della Germania a causa dell'impatto della crisi del debito europeo e del rallentamento che si registra a livello mondiale. Nel 2012, si legge nel bollettino mensile della Bundesbank, l'economia tedesca crescerà tra lo 0,5 e l'1%, molto meno dell'1,8% previsto il mese scorso.
Secondo quanto si legge nel rapporto diffuso questa mattina, l'economia del paese potrebbe presto ritrovarsi in una fase di accentuata debolezza per il rallentamento dei consumi esterni (quelli interni dovrebbero tenere) visti i segnali non brillanti che si registrano sul fronte delle esportazioni.
Debito pubblico destinato a rimanere alto anche per la Germania
A peggiorare le cose contribuisce la stima sul debito pubblico, destinato a rimanere su livelli elevati (per la Germania) nei prossimi anni, ovvero al di sopra del 60% del Pil anche per la temuta riduzione progressiva delle entrate fiscali. Per il 2011, comunque, il debito dovrebbe scendere dall'83,2 all'81,1% del pil. In miglioramento anche il deficit che quest'anno, grazie al buon andamento dell'economia nel primo semestre, è visto all'1% (dal 4,3% dell'anno scorso).
Eurobond non sono una panacea
La crisi del debito pesa dunque anche sulla prima economia dell'area euro. Il problema è che sulle ricette per superarlo i principali paesi europei sono divisi. Sugli eurobond, ad esempio, da molti indicati come una possibile soluzione la Germania resta contraria, anche se si è detta pronta a studiare le proposte del presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso. È quanto ha affermato Steffen Seibert, portavoce del cancelliere tedesco Angela Merkel, insistendo sulle forti riserve di Berlino sull'ipotesi di lanciare delle euro-obbligazioni per superare le difficoltá economiche. «Gli eurobond non sono una panacea, vanno risolte le cause della crisi» ha sottolineato, aggingendo che la questione sará discussa all'incontro di giovedì a Strasburgo tra Merkel, il premier italiano Mario Monti e il presidente francese Nicolas Sarkozy.
Barroso mercoledì presenterá una proposta con tre opzioni per l'introduzione degli eurobond, ribattezzati da Bruxelles 'stability bond'. La prima prevede la totale sostituzione delle emissioni di bond nazionali con eurobond garantiti da tutti i paesi dell'area euro; la seconda ipotesi prevede il lancio di eurobond affiancati da bond nazionali ed, infine, la terza idea sul tavolo prevede un'emissione congiunta di debito, ma ogni stato resta responsabile della propria quota.
 21 novembre 2011

Borse europee in rosso, il PP non salva Madrid
21/11/11 13:03 CET
La svolta politica non ha influenzato la borsa iberica. All’indomani della vittoria del Partito popolare alle elezioni il listino di Madrid ha ceduto in apertura il 2,5%. Tendenza comune a tutte le piazze europee, su cui pesano i timori per la crisi del debito nell’eurozona e negli Stati Uniti.
Per rassicurare gli investitori servono concreti segnali di ripresa secondo questo José Ramon Pin, analista finanziario: “È relativamente facile ridurre il debito pubblico – come ci chiedono l’Europa e i mercati – bisogna tagliare le spese e alzare le tasse. Quello che resta difficile è far crescere l’economia spagnola”. Crescono gli spread italiano, francese e spagnolo nei confronti del Bund tedesco. Da segnalare l’impennata del differenziale iberico cresciuto di dieci punti ad un’ora dall’apertura e salito dunque a quota 463.

Bce: acquisti per 7,98 miliardi nell'ultima settimana con il programma SMP
 FTA Online News
Nell'ambito del Security Market Program della Bce, l'Istituto centrale europeo comunica di avere assorbito la scorsa settimana 7,986 miliardi di euro portando gli impieghi complessivi dedicati a questo programma per la stabilizzazione dei mercati UE a 194,5 miliardi di euro. Si registra dunque un incremento degli acquisti sul dato di una settimana fa inferiore ai 4,5 miliardi di euro. Per domani la Bce prevede inoltre di drenare sui mercati liquidità per 194,5 miliardi di euro con un tasso massimo all'1,25% in un'asta rapida. Si tratta di operazioni che la banca di Francoforte periodicamente effettua per garantire un corretto funzionamento dei meccanismi del credito interbancario.
 (GD)

Il re belga Alberto II ha congelato le dimissioni rassegnate dal premier incaricato, il socialista Elio Di Rupo
Il sovrano del Belgio, re belga Alberto II, ha esortato i sei partiti coinvolti nelle trattative a trovare una soluzione per formare un governo, dopo i 526 giorni di vuoto politico: il regno è senza governo dalle elezioni del 10 giugno 2009, spaccato tra i Valloni francofoni a Sud e i fiamminghi al Nord Alberto II, si legge in una nota di Palazzo Reale, «richiamandosi alla gravità della situazione ha sottolineato che l'interesse generale di tutti i belgi e le scadenza europee richiedono una soluzione politica molto rapida della crisi politica. Il re ha chiesto a ogni negoziatore di usare le prossime ore per riflettere e valutare le conseguenze di un fallimento, per trovare una soluzione».
Gli ultimi negoziati sono falliti oggi alle 2 di mattina dopo che i due partiti di centro-destra fiamminghi e valloni hanno respinto le misure anti-deficit da 11,3 miliardi nel 2012 proposte da Di Rupo perchè, a loro giudizio, troppo incentrate sull'aumento delle tasse e non sul taglio delle spese. Al momento resta in carica per l'ordinaria amministrazione l'esponente cristiano-democratico fiammingo Yves Leterme che però alla fine dell'anno assumerà l'incarico di vice segretario generale dell'Ocse. Sul Belgio pende anche la minaccia del commissario Ue agli Affari Economici Olli Rehn che ha avvertito il Belgio che rischia una multa se non rimetterà in ordine i propri conti.
 21 novembre 2011

Marchionne: "Nessuno meglio di Monti"
 L'a.d. Fiat: "Spero che duri fino al 2013. Io ministro? mai"
Londra, 11 novembre 2011 - "Con Monti non potremmo avere avuto un candidato migliore'': così ha detto l'ad di Fiat, Sergio Marchionne, incorona il nuovo premier italiano: "Ha l'esperienza per traghettare l'Italia fuori dalle difficoltà", dice parlando a Londra a margine della conferenza annuale degli industriali britannici. " L'unica cosa che può mettere a rischio il tentativo di salvataggio è un'interferenza involuta e irragionevole della politica. E' il momento di fare le persone serie, tutto il resto non importa, il mondo ci sta a guardare. Questa volta niente cavolate''.
Marchionne si chiama fuori da ogni intenzione politica: "Io ministro? Mai", ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano se gli fosse piaciuto entrare nel Governo. In quanto al nuovo esecutivo, "Di dare consigli a Mario Monti non se ne parla proprio. Non gliene ho dati quando era commissario a Bruxelles, figuriamoci ora'' ha detto l'ad di Fiat, sottolineando che "C'è bisogno di un periodo di tempo perché questo governo attui le riforme, spero che Monti resti al governo fino alle prossime elezioni nel 2013".
"Monti ha tutto il sostegno della Fiat e del settore industriale. Ma dobbiamo stare attenti - ha aggiunto - a quello che facciamo, abbiamo rilanciato la Fiat sulla chiara intesa di tenere fede ai nostri impegni. Per quanto riguarda il nostro piano di investimenti in Italia i cambiamenti che spero avvengano nel sistema italiano aiuteranno Fiat a confermare la posizione che ha sempre avuto rispetto alla necessità di riforme. Abbiamo accettato degli scontri che io ritenevo non necessari e lo abbiamo fatto proprio per il bene del Paese e della Fiat. Le condizioni di prima non potevano più garantire la credibilità del sistema ''.

CHRYSLER - Parlando di auto, Marchionne ha detto che l'eventuale fusione tra Fiat e Chrysler non è in agenda nel 2012. L'a.d. Fiat è apparso cauto sui margini per il 2012 malgrado si attenda "un grande anno" per il mercato Usa. Nel 2011 il gruppo, compresa Chrysler, venderà 4,2 milioni di auto nel mondo per arrivare a quota 6 milioni nel 2014. Secondo Marchionne la ricerca di nuovi mercati è fondamentale per sopravvivere nella competizione globale.

Sembra aprirsi qualche spiraglio nella serie di bufere che hanno investito il sistema bancario sammarinese
21/11/11 21:18
 [SMTV] Ultimi passaggi nella gestione dei conti correnti del Credito Sammarinese, affidati in carico alle banche che hanno partecipato al piano di salvataggio. Conclusi i trasferimenti delle posizioni di circa 3 mila risparmiatori potranno tornare ad operare con i loro depositi o tornare in possesso dei rispettivi fondi. “Questione di ore” commentano gli operatori del settore. Segnali positivi in vista anche per San Marino International Bank, che potrebbe presto avere un nuovo assetto proprietario. I rumors della finanza indicano Banca di San Marino come possibile acquirente, ma in assenza di ufficialità tutto resta ancora nel campo delle congetture. Sarebbe in via di assestamento anche la Banca Commerciale, commissariata circa un mese fa, il 28 ottobre scorso. Secondo alcune voci si profilerebbe un subentro nell’assetto proprietario ma anche qui, al momento, mancano conferme. Presto, dunque, per dire che le bufere stanno passando, ma il mondo bancario e finanziario guarda con attenzione a questi passaggi. Pronto un libro bianco del sistema bancario sammarinese, una sorta di manuale delle cose da fare per rilanciare il settore e uscire dalle secche. Lo presenteranno domani mattina al Kursaal tre autorevoli esperti della finanza internazionale, come Domenico Lombardi, del Fondo Monentario Internazionale, Richard Greco, consulente dell’amministrazione americana e Carlo Pelanda, docente alla Georgia University. A loro il compito di indicare linee strategiche per tornare ad essere protagonisti
Sergio Barducci
 SMTV

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