giovedì 24 novembre 2011

Federali.mattino_24.11.11. Gian Maria Pusterla: È una battaglia per difendere l’italiano e dunque è una battaglia per difendere la Svizzera. Purtroppo però gli amici confederati (parte di loro) proprio non lo capiscono, sgretolando il quadrilinguismo elvetico, uno dei pilastri su cui poggia la Svizzera.----Svizzera. Le borse europee presentano il solito bollettino di guerra. Il nervosismo si è intensificato dopo il flop dell’asta tedesca (invenduto il 35% dei titoli).----Franco Adriano: Non da oggi Martino è convinto che gli Stati europei («tutti», ci tiene sottolinearlo), «hanno truccato i conti» pur di centrare l'appuntamento con l'Europa.----Edoardo Narduzzi: i cittadini greci finanziano, parzialmente con le loro tasse, la spesa corrente per mantenere aperti ospedali con medici e infermieri che non hanno più farmaci. Quando si dice che l'irresponsabilità politica crea il mondo peggiore, un finto diritto alla salute che evapora in una autentica illusione di cura.

Allarme delle famiglie numerose: 'Situazione drammatica'
Imprese siciliane in difficoltà, crollano ordini e fatturato
Fenice, la Regione nomina i componenti del comitato di sorveglianza
Antonio Martino: ci sarebbe da ridere se il destino dell'euro non fosse il nostro
Anche i tedeschi sono sulla stessa barca della Ue
La sanità greca è senza farmaci, monito per tutti
Svizzera. Italiano, la vera posta in gioco
Recessione, Europa a rischio, la Svizzera no



Allarme delle famiglie numerose: 'Situazione drammatica'
Protesta davanti Montecitorio
23 novembre, 16:28
ROMA - Famiglie numerose sul piede di guerra: con quattro o più figli, ancor più degli altri nuclei hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese, e la prospettiva di ulteriori "strette" alle agevolazioni a causa della crisi economica non rasserena l'orizzonte. Per questo oggi manifestano davanti a Montecitorio, chiedendo al Parlamento e al nuovo Governo di non far venire meno l'attenzione sui problemi delle famiglie con prole a carico.
"Stamani siamo stati ricevuti alla Camera, abbiamo incontrato il consigliere politico-istituzionale di Fini che ci ha rassicurati sul fatto che il presidente sarà attento a ribadire ai parlamentari di tenere alta l'attenzione" ha riferito Giuseppe Guarini, segretario nazionale dell'Associazione Nazionale Famiglie Numerose, che con 12 mila famiglie associate e oltre 75 mila iscritti costituisce la realtà più rappresentativa dei nuclei numerosi.
Secondo l'Istat, l'indice di povertà delle famiglie numerose in cinque anni è passato dal 18 al 30%, e una famiglia su tre se ha più di tre figli è povera. "Abbiamo difficoltà enormi - ha spiegato Guarini - e le misure prospettate dal nuovo Governo non ci rassicurano, anzi". Una delle preoccupazioni maggiori riguarda l'Ici: l'eliminazione di questa tassa aveva portato una boccata d'ossigeno nei bilanci delle famiglie numerose, che giocoforza vivono in case grandi e quindi con tassazione pesante. Se verrà reintrodotta, chiedono che almeno si tenga conto dei carichi familiari.
L'Associazione ha costituito un fondo di solidarietà, completamente autofinanziato: "sono tantissime le richieste di aiuto che riceviamo, facciamo fatica a sostenere tutti" conclude Guarini. La delegazione dinanzi a Montecitorio si è "incatenata" simbolicamente al Parlamento e ha fatto recapitare al premier Mario Monti, così come aveva già fatto con Silvio Berlusconi, una maglietta con l'effige dell'articolo 31 della Costituzione, quello in cui si afferma che "la Repubblica agevola la formazione della famiglia...".

Imprese siciliane in difficoltà, crollano ordini e fatturato
di Massimo Mobilia
Rapporto 2011 “Imprese e competitività” su un campione di imprese di otto regioni del Mezzogiorno. A soffrire di più sono quelle di piccole dimensioni con meno di 49 addetti
PALERMO - Ordini che non crescono, fatturato che scende, poca propensione all’export. Si può riassumere così la salute delle imprese siciliane, che dalla recessione internazionale iniziata nel 2008 sembrano non saperne uscire, con segni marcati di contrazione della domanda che hanno pesato in negativo sui livelli e le variazioni del portafoglio fino alla fine dello scorso anno, e con previsioni sul 2011 per niente positive. Considerazioni venute fuori dal Rapporto 2011 “Imprese e Competitività”, nato dalla collaborazione tra Srm - Studi e Ricerche per il Mezzogiorno e Obi - Osservatorio Regionale Banche, Imprese di Economia e Finanza, per un’indagine effettuata su un campione di imprese delle otto regioni del Mezzogiorno, rappresentativo dei quattro principali sistemi produttivi: manifatturiero, costruzioni, turismo e l’Ict (informatica e telecomunicazioni).
 Notizie non buone, dicevamo, per il mercato siciliano oggetto di studio della Fondazione Curella che ha collaborato alla realizzazione del Rapporto. Tutti e quattro i settori analizzati hanno segnato quote di mercato in perdita: il saldo fra imprese che aumentano e quelle che riducono gli ordini è stato negativo, anche se meno pesante rispetto al 2009, ad eccezione del comparto costruzioni.
 Nel turismo (+14%) e nell’Ict (+4,5%) è salito il numero di imprese con ordini in aumento, ma la netta prevalenza di ordini invariati o in diminuzione ha mantenuto il saldo in negativo, -21,1% nel turismo e -14,6% nell’Ict. Niente aumenti invece nel manifatturiero, ma una sostanziale stagnazione che ha determinato un saldo del -22,4%, più critico nel settore delle costruzioni con un -33,7%.
 Il fatturato lordo delle imprese, di conseguenza, non è stato dei migliori e ha segnato una minima crescita rispetto al 2009, in tutti i casi tranne che nelle costruzioni dove è sceso di 3,5 punti il numero di imprese in guadagno, a cui ha fatto da contraltare l’aumento di fatturati invariati, così da determinare un saldo del -26,7%. Più pesante quello del turismo (-31%) seppure il comparto abbia registrato un aumento del 7,3% di imprese in salute, mentre l’Ict ha visto crescere del 3,9% quelle con fatturato in discesa.
 Preoccupano di più le previsioni per il 2011 che vedono un notevole peggioramento a causa di imprese che nella maggior parte dei casi avranno crescita pari a zero e fatturato invariato, addirittura il 58,8% nel turismo e il 64,9% nell’Ict. Secondo lo studio, se una minima ripresa nel Mezzogiorno c’è stata, questi indicatori ci dicono che in Sicilia è stata molto più contenuta e a soffrire di più sono state le imprese di piccole dimensioni (meno di 49 addetti), più colpite dalla contrazione dei consumi e dal calo del fatturato.
 Parte di responsabilità è da imputare alla loro scarsa internazionalizzazione e lo vediamo nella debole propensione all’export. Nel manifatturiero e nelle costruzioni si assiste dal 2009 ad un continuo calo, con una previsione alla fine del 2011 del 4,8% di imprese manifatturiere in meno dedite all’export (solo il 17,5%) e un calo del 4,4% nelle costruzioni dove le imprese esportatrici saranno pari a zero. Non va meglio al turismo, dove l’export corrisponde al fatturato derivante dall’ospitalità straniera: si lavora di più con i clienti di oltre confine (74,1%), ma rispetto al 2010 ci sarà un calo del 5,8%. L’unico settore a crescere sarà l’Ict, con un +5,9% di imprese propense ad esportare, anche se la stragrande maggioranza (86,8%) non si muove dal mercato interno.
 La Banca d’Italia, nei dati pubblicati a giugno, ha detto che il Pil nazionale è cresciuto dell’1,3% in termini reali, soprattutto grazie alle esportazioni: dopo le considerazioni fatte sulla Sicilia è evidente che la ripresa non è stata uniforme in tutto il Paese ma ancora una volta circoscritta alle regioni del Nord.

Calo dei fatturati. Agrigento, Ragusa e Trapani più coinvolte
Soffre il made in Italy, come era lecito aspettarsi, nel tradizionale comparto manifatturiero tessile e conciario, i più colpiti dal calo della domanda nelle regioni dell’Italia meridionale, soprattutto nel caso delle piccole imprese, mentre nel settore delle costruzioni la ripresa degli importi dei bandi pubblici non è riuscita a frenare la pesante contrazione delle commesse (-35%). Queste alcune delle valutazioni fornite dal Rapporto entrando nel merito di ogni singolo comparto.
 In Sicilia, ad esempio, le province che hanno mostrato una maggiore incidenza di attività economiche in sofferenza sono state Agrigento, Ragusa e Trapani, dove la riduzione dei fatturati ha riguardato più della metà del campione intervistato, con l’aggiunta di Siracusa nel caso del turismo. Altro sintomo negativo è poi la propensione all’export delle aziende isolane, risultata più bassa di quella dell’intero Mezzogiorno: infatti, la frequenza media di imprese esportatrici nel Sud è di circa il 32% per la manifattura, il 2% per le costruzioni e il 9% per l’Ict, contro rispettivamente, il 19,4, lo 0,9 e l’1,5 per cento della Sicilia.
 La provincia più “internazionale”, in tema di manifatture, è risultata Trapani (37% di aziende esportatrici, mentre le altre province non superano il 20%), grazie soprattutto alle aziende vitivinicole. Sul fronte edile, invece, le uniche ditte che hanno partecipato ad appalti all’estero provengono dal ragusano.
Articolo pubblicato il 24 novembre 2011

Fenice, la Regione nomina i componenti del comitato di sorveglianza
23/11/2011  La giunta regionale della Basilicata ha nominato i componenti del «Comitato di alta sorveglianza tecnico-scientifica» sulla vicenda che riguarda l'impianto di termovalorizzazione dei rifiuti «Fenice» di Melfi (Potenza): ne faranno parte due docenti universitari, due rappresentanti dell’Istituto superiore di Sanità (Iss), e due dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Il nuovo organismo «avrà competenze scientifiche», anche per fornire elementi di valutazione al «Tavolo» già costituito, per «monitorare e valutare aspetti tecnicamente complessi», con la «valutazione dei potenziali impatti ambientali connessi ai dati rilevati e dei potenziali effetti sanitari sulla popolazione, l'elaborazione di modelli di controllo epidemiologico della popolazione». Sono stati nominati Luca Bonomo, docente di Impianti di trattamento delle acque di rifiuto nel Politecnico di Milano, Giorgio Gilli, docente di Igiene nella facoltà di Medicina dell’università di Torino, Pietro Comba e Giovanni Marsili per l'Iss, e Stefania Balzamo per l’Ispra.
 «Abbiamo messo in campo professionalità di primo livello per avere tutte le garanzie necessarie – ha spiegato l’assessore all’ambiente, Agatino Mancusi – mettendo in piedi un organismo che seguirà tutte le attività da oggi in avanti, e che potrà esprimere anche una valutazione tecnica su quanto avvenuto in passato». Il governatore lucano, Vito De Filippo, ha invece evidenziato che la Regione «affronta la questione Fenice su tutti i livelli, ed è importante che questo venga fatto ad altissimo livello per evitare che un circuito di sospetto possa incidere negativamente sulla vicenda».

Antonio Martino: ci sarebbe da ridere se il destino dell'euro non fosse il nostro
di Franco Adriano  
L'ex ministro Antonio Martino ha tra le mani la lettera che gli inviò il suo maestro, Milton Friedman, in occasione della laurea di sua figlia proprio con una tesi sulla moneta unica europea: «A sorpresa, si diceva favorevolmente impressionato per la capacità di convergenza degli Stati europei sull'euro.
A questo punto però», riferisce Martino, «aggiungeva: io consiglierei alla Banca d'Italia di non buttare via le matrici della lira perché potrebbe ritornare ben presto a stamparla». Non da oggi Martino è convinto che gli Stati europei («tutti», ci tiene sottolinearlo), «hanno truccato i conti» pur di centrare l'appuntamento con l'Europa. «Io personalmente ricordo», aggiunge non senza malizia, «l'allora sottosegretario al Tesoro, Piero Giarda, affermare in un'occasione pubblicao che se si trattava infine di operare una correzione di pochi punti si poteva sempre rimediare». Anche la Germania, secondo l'ex ministro, avrebbe «barato». Martino a questo proposito cita un articolo di Le Monde in cui si afferma che senza alcuni «trucchetti» il decifit tedesco «non sarebbe stato del 3,2% ma del 5,1%». Ora, a ben guardare il clamoroso flop dell'asta dei bund tedeschi a Martino gli scappa da ridere, ma si riprende: «Ci sarebbe da ridere se il destino dell'euro non fosse anche il nostro destino». Non ha alcun dubbio che il fallimento dell'asta tedesca sia dovuto «ai bassi rendimenti», ma adesso che succede? «E chi può dirlo», si avventura Martino, «se la Germania aumenta i rendimenti lo spread si riduce per poi aumentare di nuovo, a quel punto lo stesso problema riguarderebbe tutta l'Europa e sarebbe un disastro». La Merkel non farebbe prima a concedere alla Bce di divenire prestatore di ultima istanza come invocato da Italia e da ultimo anche dalla Francia? «Se la signora Merkel continuerà nel suo caparbio tentativo di salvare l'euro, che i tedeschi si badi bene chiamano «teuro», ossia «rincaro», imporrà all'Europa una recessione che la disgregherà, se invece vuole salvare l'Europa deve accettare il fallimento della moneta unica». Dopo l'ennesimo no della Merkel, rispetto alla concessione di maggiori poteri alla Bce, Martino vede ulteriormente confermata la sua idea: «La Merkel è convinta che sia giusta la sua linea ed anche che il costo che la Germania sta pagando per esportare il rigore agli altri Stati europei confermerà la Germania nel suo ruolo guida».

Anche i tedeschi sono sulla stessa barca della Ue
 di Pierluigi Magnaschi  
Le Mensuel, il mensile del quotidiano francese Le Monde (di cui pubblichiamo la prima pagina), è stato preveggente: proprio ieri è uscito a Parigi con la copertina inconsuetamente nera, dove c'era un'Angela Merkel lillipuzziana e indifesa, al centro di uno spot di luce, con l'atteggiamento stranito di chi non sa che decisioni prendere e, sotto, un titolo che diceva: «Chi dirige l'Europa?».
Qualche anno fa uscì il film: C'è il pilota a bordo dell'aereo?. Era, questo, il titolo di un film umoristico, destinato a far ridere gli spettatori. Il titolo di Le Mensuel serve invece a far piangere i suoi lettori, perché introduce un dubbio terrorizzante per il futuro dei 17 paesi che fanno parte dell'euro e che, nei propositi iniziali, avrebbero dovuto far vedere i sorci verdi al resto del mondo mentre sta succedendo l'esatto contrario. Ieri infatti anche la Germania austera, virtuosa, inossidabile, irraggiungibile, predicatoria e bacchettatrice è finita nella polvere come un Portogallo qualunque. Infatti nella sua asta dei bund, il 35% dei titoli tedeschi (che fino ai giorno prima andavano come il pane appena sfornato, tra sottoscrittori che si contendevano le emissioni) sono rimasti invenduti su un'asta di solo 6 miliardi di euro. Ragione per cui, la di solito impassibile Banca centrale tedesca, l'intimorente Bundesbank (spesso percepita con il chiodo ritto sopra la testa) ha dovuto esibirsi nel ruolo a essa inconsueto di crocerossina da pronto soccorso, per sostituirsi, in fretta e furia, agli acquirenti improvvisamente inappetenti anche davanti a titoli che, sino al giorno prima, avevano la cresta orgogliosamente alzata. Non è certo il caso di invocare il mal comune mezzo gaudio, perché se va male per i titoli tedeschi immaginiamo che cosa potrà succedere a quelli italiani. Ma è anche vero che la batosta rende evidente anche ai tedeschi che, dall'eventuale crollo dell'euro, non possono salvarsi da soli. A una crisi di queste proporzioni non ci si può più salvare per il rotto della cuffia. Ci vogliono subito delle decisioni da corte marziale finanziaria: prese da pochi decisi e in poco tempo. Tipo attribuire alla Bce la funzione di creditore di ultima istanza.

La sanità greca è senza farmaci, monito per tutti
 di Edoardo Narduzzi  
La crisi è soprattutto una crisi di modello di sviluppo economico. Quello europeo, incentrato su una massiva spesa pubblica finanziata con imposte o con l'emissione ogni anno di decine di miliardi di euro di titoli di stato per finanziare il disavanzo di bilancio, non piace praticamente a nessuno nel nuovo contesto globale. L'eurozona ha un rapporto medio tra debito pubblico e pil superiore all'80%, i paesi emersi con la globalizzazione meno della metà perché viaggiano al 40%. I tassi di crescita del modello economico europeo, anemici nella nuova globalizzazione, non rendono rimborsabile il debito accumulato e finanziabili i disavanzi annui, per questa ragione i mercati vendono i titoli di stato europeo e andranno avanti fino a quando la politica non avrà ridotto la spesa pubblica a livelli di sostenibilità per il pil prodotto. Gli europei devono tagliare sanità, pensioni, trasporto pubblico offerto a condizioni non di mercato, dimensione della burocrazia e così via. Se non lo faranno, dovranno essere comunque in grado di autofinanziare la loro spesa corrente, perché non avranno più capacità di farlo come nel passato nei mercati finanziari internazionali. Per capire la situazione paradossale in divenire, in mancanza di profondi interventi riformisti, è sufficiente dare uno sguardo al caso Grecia. Atene ha una sanità pubblica più generosa del suo pil. Risultato: da sempre ha difficoltà a pagare i fornitori. Solo per i farmaci ha accumulato debiti per 5,4 miliardi di euro dovuti, per il periodo 2007-2009, alle case farmaceutiche. Le multinazionali hanno anche ricevuto in pagamento parziale, per circa il 20% del totale, in titoli di stato. Titoli che si sono molto deprezzati e che sono anche di fatto illiquidi, per di più ora le imprese temono di poter andare incontro a ulteriori riduzioni con la futura ristrutturazione del debito. A fine giugno le case di cura statali dovevano ancora 693 milioni di euro alle case farmaceutiche, debito che è entrato nel tritacarne della crisi greca e che lascia prevedere il rischio di uno stop alle forniture. La tecnologia farmaceutica è globale: tutti la consumano ma pochi hanno i brevetti sulle molecole. Chi non paga esce dal mercato e non si cura più. Il paradosso della sanità pubblica all'epoca della crisi dei debiti sovrani è davvero stridente: i cittadini greci finanziano, parzialmente con le loro tasse, la spesa corrente per mantenere aperti ospedali con medici e infermieri che non hanno più farmaci. Quando si dice che l'irresponsabilità politica crea il mondo peggiore, un finto diritto alla salute che evapora in una autentica illusione di cura.

Svizzera. Italiano, la vera posta in gioco
di Gian Maria Pusterla
È una battaglia per difendere l’italiano e dunque è una battaglia per difendere la Svizzera. Purtroppo però gli amici confederati (parte di loro) proprio non lo capiscono, sgretolando il quadrilinguismo elvetico, uno dei pilastri su cui poggia la Svizzera. Diciamo questo leggendo – attraverso un dispaccio dell’agenzia telegrafica svizzera – le motivazioni che hanno indotto il Governo del Canton Obvaldo ad eliminare dalla scuola cantonale di Sarnen l’opzione specifica dell’insegnamento dell’italiano: «Il Consiglio di Stato obvaldese ha dichiarato di capire le lamentele arrivate dalla Svizzera di lingua italiana». Ma come? Non si tratta di «lamentele della Svizzera italiana», si tratta, appunto, di ribadire un caposaldo della Confederazione elvetica, oltre che di dare l’opportunità a tutti i cittadini svizzeri, anche quelli di Obvaldo, di essere pienamente svizzeri, attraverso la possibilità di imparare la terza lingua nazionale. Il Giornale del Popolo si è sempre battuto su questo fronte (ricordiamo che fu proprio questo giornale, all’inizio del 2011 a lanciare l’allarme su alcune decisioni che stavano per cadere nel Canton San Gallo come una mannaia sulla testa dell’insegnamento dell’italiano). Ma questo è stato solo l’ultimo episodio di un impegno che dura da decenni. Vorremmo quindi che il concetto fosse ancora maggiormente compreso. Perché se non si capisce che cosa stia sotto a questa legittima aspirazione, allora — come purtroppo è capitato e sta capitando — non si capirà nemmeno perché la Svizzera (non il Ticino!) abbia bisogno di sviluppare, ad esempio, i rapporti con l’Italia con la stessa intensità e la stessa attenzione con cui vengono curati quelli con Germania e Francia. È questo che va compreso al di là del San Gottardo e anche qui in Ticino. Ed è la posta in gioco per tutta la Svizzera, non solo e non tanto per la Svizzera italiana.

Recessione, Europa a rischio, la Svizzera no
 Le borse europee presentano il solito bollettino di guerra. Il nervosismo si è intensificato dopo il flop dell’asta tedesca (invenduto il 35% dei titoli). Con tutto questo, le previsioni per la Svizzera pubblicate ieri dall’UBS, non sono malvagie. La Svizzera cresce più dell’eurozona pur rallentando in modo considerevole. Il superfranco pesa sui margini degli esportatori. Ciò nonostante, la robusta congiuntura interna e la domanda proveniente dai mercati emergenti dovrebbero scongiurare il pericolo di una recessione.

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