mercoledì 23 novembre 2011

Giggino manetta tiene o' nemico, a livello alto, di responsabbilita'. Gesu', chistu nemico pare nu poco pressappochista, forse non gli piace o' vocabbolario taliano.

Editoriale: il populismo tappabuchi
Ma quali sono, oggi, i leader populisti? In tempi di chiusura oligarchica delle democrazie liberali, una certa dose di populismo può essere più utile che dannosa
di Marco Demarco



 In tempi di chiusura oligarchica delle democrazie liberali, una certa dose di populismo può essere più utile che dannosa. Zuccotti Park, a Wall Street, docet. Un Roberto Saviano che parla agli occupanti newyorkesi, che difende la meritocrazia e che denuncia l’invadenza dei poteri criminali, potrebbe mai essere di ostacolo alla creazione di un mondo migliore? Ma quali sono, oggi, i leader populisti? E perché è raro trovare chi si autodefinisce tale? De Magistris, ad esempio, lo è? Chiederselo non è ozioso se si considera che più la definizione di un leader è giusta, meglio si riesce a leggerne gli atti e a capirne i comportamenti. Una volta Bassolino si autodefinì riformista ed è forse proprio qui, nello scarto tra la realtà e la percezione di sé, la ragione del suo fallimento. Rosa Russo Iervolino credeva invece di essere popolare, nel senso di amata dal popolo, e anche nel suo caso l’errore è stato fatale. E allora?

Sì, de Magistris è sicuramente un populista. Ma resta da capire che tipo di populismo è il suo, giacché parliamo di un fenomeno politico ma anche «polittico»: nel senso di vago, indeterminato, mutevole da paese a paese e di stagione in stagione, come certo si sapeva ma ancor di più si capisce leggendo un recente e denso saggio di Franco Crispino (Populismo, indicazioni di lettura Luigi Pellegrini editore). A parte il populismo storico, quello russo e americano; a parte i Peron, i Getúlio Vargas o i Le Pen; e a parte il poujadismo, il powellismo, il qualunquismo e il leghismo; a parte tutto questo, ci sono poi il populismo movimento e il populismo regime, il populismo atteggiamento e il populismo retorico, il populismo protestatario e quello identitario, il populismo modernista e il populismo tradizione. La verità, come dice Pierre André Taguieff, è che «il populismo fa parte della storia delle avventure e delle disavventure della democrazia, che esso sembra seguire come un’ombra». Ed è questa un’altra ragione per cui un atteggiamento banalmente sospettoso nei suoi confronti non ci porterebbe da nessuna parte. In questa chiave, de Magistris, a differenza di altri leader e di altri sindaci come Vendola e Emiliano in Puglia o De Luca a Salerno, è sicuramente un populista perché ha caratteristiche che altri non hanno. La sua apparizione sulla scena politica costituisce l’altra faccia di un vuoto assoluto, così come, per altri versi, è stata quella di Achille Lauro in una Napoli repubblicana con i repubblicani in minoranza; o quella di Bossi in un Nord privo di rappresentanza. Il populismo è, insomma, un fenomeno di transizione in epoche di rotture storiche o sociali. E il vuoto da colmare ne costituisce il dato costante. Gli altri leader hanno comunque un grande partito alle spalle, de Magistris no. Gli altri rappresentano l’alternativa agli sconfitti, de Magistris è l’alternativa all’alternativa.

De Luca e Emiliano, che pure sono spesso in polemica con il loro partito di provenienza, sono ancorati all’esperienza amministrativa, de Magistris la trascende. Vendola, che assume spesso i tratti del leader etnico sul modello sudamericano e il cui linguaggio metaforico è la conseguenza di una certa indefinitezza, si pone in ogni caso il problema delle alleanze e degli equilibri politici, de Magistris punta invece a «scassare» tutto. De Magistris è il vuoto che determina la forma, come in certi disegni in cui l’immaginato è più del creato. Eppure si vede, e la sua visibilità è in continua crescita. Lo spazio vuoto di de Magistris non è solo quello determinato dalla generale crisi dei partiti, dalla personalizzazione della politica e dalla cosiddetta videocrazia, ma è anche quello, in una realtà come Napoli, provocato dall’eclissi contemporanea del bassolinismo e del berlusconismo. Nello spazio vuoto è più facile il rifiuto delle mediazioni, la divisione manichea del mondo in forti e deboli, onesti e corrotti, amici e nemici, élite e masse. E in queste condizioni, ha ancora più senso quel che spiega sul piano teorico Franco Crispino: vale a dire che «il populismo può fare da punto di partenza, da base di appoggio di azioni politiche, o più probabilmente essere una divisa che si indossa mano a mano che si tratta di avere una pezza giustificativa per programmi che nascano da altro e mirano ad altro». Qual è dunque il rischio? Banalmente: l’assenza di un approdo. Che il mezzo diventi il fine. «L’amore per l’uomo di prestigio, il fascino per il leader, l’attenzione per il carisma — riporta ancora Crispino — sono le concessioni che la democrazia deve fare al bisogno di riempire lo spazio del potere e dargli una identificazione. Ma si corre il rischio che la concessione finisca per assorbire il tutto, che l’identificazione tra popolo e leader diventi totale. È la tendenza naturale del populismo con il rischio di cancellare il popolo, in nome del popolo».

asterisco
1. Chiusura oligarchica delle democrazie liberali. Un regime oligarchico e' per sua natura un sistema chiuso, quindi antinomico – per definizione e per dottrina - alle democrazie liberali.

2. Populismo. Il termine non puo' essere applicato al caso Giggino. Ha partecipato ad una competizione elettorale con l'appoggio di un cartello programmatico. La campagna elettorale e' stata non favorevole alla sua candidatura, data perdente. I contenuti della sua propaganda non possono essere catalogati come populisti. Gli archivi parlano.

3. (Giggino).….fenomeno politico ma anche «polittico»: nel senso di vago, indeterminato, mutevole da paese a paese e di stagione in stagione(….) Polìttico: sostantivo maschile. Significa: insieme di più pannelli dipinti o scolpiti, che ornano spesso l'altare di una chiesa. Quindi fermo e saldo, se no, che facciamo? La processione dell'altare per tutta la Chiesa?

4. (apparizione di Manetta, come la Madonna del Carmine) La sua apparizione sulla scena politica costituisce l’altra faccia di un vuoto assoluto, così come, per altri versi, è stata quella di Achille Lauro in una Napoli repubblicana con i repubblicani in minoranza; o quella di Bossi in un Nord privo di rappresentanza.  Dunque, il vuoto assoluto – in quanto tale – e' impreparato per costituzione fisica ad avere una faccia; figuriamoci due, come si deduce dalla frase apodittica. Lauro viveva in un'altra Napoli: la storicizzazione dei fenomeno e dei personaggi e' una tecnica culturale abbisognevole, per uno a livello e' responsabbilita' editoriale. O no?

5. Scusate, ma a me che me ne fotte di questo grande illustre direttore?
grecanico

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