giovedì 10 novembre 2011

Federali.sera_10.11.11. l’Italia non e’ la Grecia, e’ peggio.----Svizzera, Generoso Chiaradonna: Non uno dei punti del suo programma è stato realizzato. Il risultato è una pressione crescente da parte dei mercati e delle istituzioni europee e internazionali che di fatto dettano l’agenda politica non solo all’esausto governo italiano, ma ipotecano di fatto quella di chiunque arriverà dopo, sia esso tecnico, di unità nazionale o che scaturirà dalle urne nei prossimi mesi.----Sardegna. Così, con gli ultimi avvenimenti che hanno interessato Piazza Affari e l’andamento dei Btp, gli unici che possono ottenere risultati negativi sono gli imprenditori con saldi di export attivi, come sta succedendo in alcuni settori dell’agro-alimentare come il vitivinicolo e il comparto per la produzione di olio, è la conclusione di Massimo Putzu.----Crollano le stime della Commissione Ue sulla crescita in Italia: per il 2011, Bruxelles prevede un aumento del Pil pari allo 0,5%, e per il 2012 dello 0,1%.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: «Così alle aziende manca l’ossigeno»
10.11.2011
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Nella morsa del credito le imprese dell’isola
Veneto, padania. «No al ricorso contro il federalismo Se lo fa, la Regione si vergogni»
Istat. Produzione industriale
Istat, cala la produzione industriale: a settembre - 4,8%. Mai così male dal 2008
Ue: "2013, l'Italia non avrà il pareggio in bilancio"
Cameron: «L'Italia è un pericolo chiaro e presente per l'euro»
San Marino. Frontalieri, la nuova beffa: l’emendamento del Pd per reintrodurre la franchigia ritirato causa crisi          
Svizzera. La tempesta finanziaria e la fattura Berlusconi



LA NUOVA SARDEGNA - Economia: «Così alle aziende manca l’ossigeno»
10.11.2011
SASSARI. Pochi giorni fa parecchi imprenditori e banchieri hanno ipotizzato che i picchi disastrosi di Borse e Btp equivalessero per i sardi a una patrimoniale in piena regola. Dopo i nuovi record negativi di queste ore, probabilmente quella tassa è destinata a venire raddoppiata. «Al rischio Italia si sommano le aggravanti nostrane - commenta Massimo Putzu, presidente regionale della Confindustria - Alla fine dei conti, le banche dovranno attutire i pericoli di ogni possibile finanziamento con un aumento dello spread, che a sua volta comporterà così una lievitazione dei tassi e delle spese complessive di ciascuna operazione». Insomma, nell’isola il discorso è sempre lo stesso: la crisi porta a un costo del denaro più elevato per gli istituti di credito e, quindi, per le aziende. In un quadro del genere il calo dello 0,25% deciso l’altro giorno da Draghi su scala europea si rivela poco più di un palliativo, non tanto per le famiglie quanto per le imprese. «A questa maggiore difficoltà di accesso al credito va aggiunta infatti l’analisi del nostro particolare tessuto economico, fondato sulla micro-impresa - osserva ancora Putzu - È evidente che molte piccole aziende, spesso sottocapitalizzate, avranno un potere contrattuale ridotto verso le banche. Di conseguenza pagheranno carissima questa fase d’incertezza: resteranno senza ossigeno». E con istituti di credito diffidenti, società produttive in difficoltà, consumi in forte diminuzione l’effetto nell’isola è assicurato: i salari resteranno bloccati e prezzi saranno sempre più in rialzo. Spiega, entrando più nel dettaglio della situazione sarda, il dirigente regionale degli industriali: «Il pericolo più grave che abbiamo di fronte, in definitiva, è uno stop degli investimenti: dinanzi a questa insicurezza operativa persino imprese solide che avrebbero opportunità per andare avanti con decisione, magari accelerando addirittura i loro piani di sviluppo, preferiscono fermarsi in attesa di capire meglio che cosa succederà». «Così, con gli ultimi avvenimenti che hanno interessato Piazza Affari e l’andamento dei Btp, gli unici che possono ottenere risultati negativi sono gli imprenditori con saldi di export attivi, come sta succedendo in alcuni settori dell’agro-alimentare come il vitivinicolo e il comparto per la produzione di olio», è la conclusione di Massimo Putzu.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Nella morsa del credito le imprese dell’isola
10.11.2011
SASSARI. Economia a picco e morsa del credito ormai sempre più stretta. «Chi ha liquidità sopravviverà, chi cerca denaro in banca rischia d’affondare», fotografa la situazione uno specialista. Oggi gli imprenditori sardi che possiedono aziende piccole e medie sono preoccupatissimi. E hanno ragione. Agli spot di facile accesso a fidi e mutui corrisponde un’isola che non c’è. Non solo a causa dei nuovi moniti europei e del terremoto in Borsa. Troppi i lacci e i lacciuoli durante le verifiche da parte degli istituti di credito prima di un disco verde. Troppi i diktat, i se e i ma. Troppe le condizioni sollevate per i finanziamenti. Troppe le valutazioni in astratto che prescindono dalle storie individuali e dalle potenzialità personali di ciascuno. E, alla fine, troppi i no senz’appello. «Le ragioni di tanti guai dipendono da fattori che hanno mutato il quadro di riferimento del passato», spiegano gli esperti. Se grandi istituti come UniCredit e Intesa hanno predisposto procedure standard da anni obbedendo alle direttive europee, lo stesso sistema è stato adottato da Banco di Sardegna e Banca di Sassari più di recente. Per tutti, quindi, ora c’è una nuova Bibbia del credito. E va rispettata una disposizione che suona come l’11º comandamento: è il protocollo standard, strumento su base informatica che fa comprendere se i parametri dell’azienda e i dati forniti dall’imprenditore per giustificare le richieste di denaro siano o no accettabili. Se la risposta è no, come succede ormai nella gran parte dei casi presi in esame in Sardegna, al funzionario che vuole dare una mano al cliente non resterà che rivolgersi a capo area o direzione. L’intera situazione verrà allora rianalizzata alla luce degli stessi criteri e di altri aggiuntivi. Nel caso di un secondo rifiuto l’imprenditore potrà certo rivolgersi altrove. E troverà di sicuro cortese udienza. Ma l’itinerario da seguire sarà identico: l’inserimento della richiesta nel modello standard per l’erogazione del credito. È quindi molto probabile che, alla fine, la risposta sia uguale: picche. Se invece il titolare della società a caccia di liquidi sarà così bravo da far vedere che conti e prospettive sono a suo favore, per lui comincerà un diverso percorso a handicap. Non basteranno più, per avere i soldi cash, semplici garanzie reali: le classiche ipoteche immobiliari sullo stabilimento dove svolge la sua attività. No. «Oggi quasi tutte le banche - piccole, medie, grandi - in Sardegna si sono allineate nel richiedere una fidejussione personale», dicono i consulenti aziendali. Il che, tradotto dal giuridichese, significa che si deve assicurare col proprio patrimonio individuale l’obbligo di versare le rate secondo il piano di ammortamento prefissato. Ma in genere neppure tutto ciò sarà sufficiente. «Al cliente si domanderà di aderire a un meccanismo che blinda e contrassicura l’istituto di credito», informa un altro specialista. «Cioè che moglie e suocera firmino a loro volta una fidejussione», aggiunge con quella che è una battuta ma non troppo. Insomma: un pegno di beni familiari per garantire dal rischio le banche. Che si appesantisce dopo gli ultimi tonfi in Borsa. Ma l’avventura finisce qui? Neanche per sogno. L’imprenditore dovrà rivolgersi a un Consorzio fidi, diventarne socio, pagare le quote d’iscrizione, le spese di un’altra istruttoria che andrà a sommarsi a quella dell’istituto di credito, sottoscrivere eventuali oneri integrativi. Il che porta al 12º comandamento: chiunque voglia farsi finanziare, più che al tasso d’interesse, dovrà badare al costo totale dell’operazione. Ovvero alla somma complessiva delle spese maturate via via nel corso del lungo iter. E soprattutto allo spread, il costo (variabile in media dal 2 al 5%) che si fa pagare al cliente per prestargli il denaro procurato dalla banca sul mercato. Già questa strada estenuante dà l’idea di come sia davvero difficile superare tutti gli ostacoli. Ma la stretta nell’isola dipende anche da altri fattori. Che succede infatti se il prestito non verrà concesso in tempo? E che tipo di scossoni ci saranno sulle casse dell’imprenditore se anziché il 100% gli verrà accordato solo il 70 o il 60%? Non è necessario essere economisti per capire come - caso dopo caso, moltiplicato per centinaia di volte - sul mondo dell’imprenditoria sarda si stia oggi abbattendo uno tsunami. Maremoto tanto devastante da rischiare di far finire in ginocchio quel che resta del tessuto produttivo. Oggi più che mai.

Veneto, padania. «No al ricorso contro il federalismo Se lo fa, la Regione si vergogni»
 LA POLEMICA. L'assessore vicentino Pellizzari scrive a Zaia contro le due delibere di martedì
 «Sì alla punizione di chi fa deficit in sanità e al taglio dei consiglieri» La polizia di Jesolo ha sequestrato l'immobile (è l'ex hotel Sant'Elena) dove in agosto c'era stato un tentativo di violenza sessuale contro una ragazza ungherese finita in ospedale.
10/11/2011
VICENZA-VENEZIA
Si devono «semplicemente vergognare». Reagisce in maniera durissima contro la Regione Veneto, l'assessore provinciale Paolo Pellizzari (Pdl), dopo aver appreso dal nostro giornale la notizia - pubblicata ieri - che la Giunta veneta ha approvato due ricorsi alla Corte costituzionale. Il primo, affidato al prof. Mario Bertolissi, riguarda il decreto applicativo del federalismo fiscale approvato in autunno, che stabilisce sanzioni e premi per gli enti locali virtuosi (Regioni, Province, Comuni). Il secondo riguarda invece la famosa seconda manovra economica varata dal Governo in agosto, che contiene al suo interno direttive per le Regioni (ad esempio indica il numero massimo di consiglieri regionali e obbliga ad avere revisori dei conti), oltre che per i piccoli Comuni.
Pellizzari ha subito scritto direttamente al governatore Luca Zaia una dura lettera contro le due delibere presentate in giunta dal vicepresidente Marino Zorzato (Pdl) e dall'assessore Roberto Ciambetti (Lega).
Pellizzari sottolinea che, come emerso dalle cronache, il primo ricorso è contro il decreto «che prevede sanzioni per le Regioni che vanno in dissesto finanziario», collegato ad esempio al deficit dei conti della sanità: che comportano la rimozione del governatore, l'incandidabilità dello stesso per dieci anni e il commissariamento dell'ente. Il secondo «è, tra le altre cose, contro la limitazione del numero dei consiglieri regionali»: il ricorso è dovuto a un conflitto di poteri Stato-Regione (come noto, viceversa, il Consiglio veneto ha già stabilito come criterio la riduzione a un consigliere ogni 100 mila abitanti, quindi più o meno da 60 a 50).
Pellizzari chiede a Zaia di intervenire con «smentite o dichiarazioni correttive», oppure «vi dovreste semplicemente vergognare»: «Abbiamo passato decenni a lottare per affermare che chi sbaglia deve pagare e che il dissesto creato dalle Regioni sulla sanità deve portare a sanzionare pesantemente i governatori che lo hanno provocato. Abbiamo biasimato e criticato Regioni come il Lazio o la Puglia che ogni anno presentano bilanci della sanità con buchi di centinaia di milioni di euro. O addirittura come la Calabria, che non ha neppure un bilancio specifico della sanità perché tanto c'è sempre qualcuno che pensa a coprire i buchi, con buona pace di chi li ha creati e che continua a sedere sulla stessa poltrona senza alcuna conseguenza in termini di responsabilità politica. Mi sarei aspettato che da loro fosse partita la controffensiva alle sanzioni previste dal decreto sul federalismo fiscale. Mai, e sottolineo mai, avrei immaginato che sarebbe partita dal Veneto, dal virtuoso Veneto a guida leghista».
«Quanto al numero dei consiglieri regionali, poi - attacca ancora Pellizzari - non nascondo la mia profonda delusione. Nei mesi scorsi si è assistito allo spettacolo poco edificante di consiglieri regionali che, dopo infinite discussioni e roboanti proclami, hanno deliberato una mini-riduzione del loro numero a partire dal prossimo mandato, senza alcuna riduzione significativa di compensi, rimborsi spesa, ecc. L'ennesimo esempio di autotutela della casta».
«È ora di smettere di predicare comportamenti virtuosi aspettando sempre che siano gli altri a metterli in pratica. Non possiamo pretendere che il Parlamento riduca il numero dei suoi componenti e i suoi emolumenti se non siamo noi per primi a dare il buon esempio. "Prima i Veneti" - conclude - dovrebbe valere anche per questo. Altrimenti, come al solito, sono solo chiacchiere».

Istat. Produzione industriale
A settembre 2011 l'indice destagionalizzato della produzione industriale diminuisce del 4,8% rispetto ad agosto. Nella media del trimestre luglio-settembre l'indice scende dello 0,1% rispetto al trimestre precedente.
Corretto per gli effetti di calendario, in settembre l'indice diminuisce in termini tendenziali del 2,7% (i giorni lavorativi sono stati 22, come a settembre 2010). Nella media dei primi nove mesi dell'anno la produzione cresce dell'1,3% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Gli indici corretti per gli effetti di calendario registrano, a settembre 2011, una crescita tendenziale per il solo comparto dell'energia (+6,7%). Diminuiscono invece in modo significativo i beni di consumo (-7,1%) e, in misura più contenuta, i raggruppamenti dei beni intermedi (-2,5%) e dei beni strumentali (-0,2%).
Nel confronto tendenziale, i settori dell'industria caratterizzati dalla crescita più accentuata sono: l'energia (+7,4%) e la fabbricazione di macchinari e attrezzature nca (+3,7%).
I settori che in settembre registrano le diminuzioni tendenziali più ampie sono quelli delle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-12,7%) e della fabbricazione di prodotti chimici (-9,3%).

Istat, cala la produzione industriale: a settembre - 4,8%. Mai così male dal 2008
 L'istituto nazionale di statistica diffonde i dati relativi al mese di settembre 2011: l'indice destagionalizzato della produzione industriale diminuisce del 4,8% rispetto ad agosto. E' il peggior calo dal 2008. Nella media del trimestre luglio-settembre scende dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti. Del 2,2 il calo in termini tendenziali. Nella media dei primi nove mesi dell'anno, invece, la produzione cresce dell'1,3% sullo stesso periodo dell'anno precedente.
Cresce l'energetico, arrancano gli altri. "Gli indici corretti per gli effetti di calendario", si legge nella nota dell'Istat, "registrano una crescita tendenziale per il solo comaprto dell'energia (+6,7%)". Male tutti gli altri: "diminuiscono in modo significativo i beni al consumo (-7,1%), beni intermedi (-2,5%) e beni strumentali (-0,2). Gli autoveicoli segnano un -15,9%. I settori che registrano le diminuzioni tendenziali più ampie sono quelli delle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-12,7%) e della fabbricazione di prodotti chimici (-9,3%).

Ue: "2013, l'Italia non avrà il pareggio in bilancio"
Francia e Germania valutano Eurozona ristretta, ma c'è smentita
La Commissione europea rivede al rialzo il debito pubblico italiano e rimanda di un anno, al 2013, l’inizio di un percorso di diminuzione. In più crollano le previsioni di crescita: aumento del Pil pari allo 0,5%, e per il 2012 dello 0,1%
Bruxelles, 10 novembre 2011 - La Commissione europea non prevede che l’Italia possa raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2013, secondo quanto emerge dalle previsioni economiche di autunno pubblicate oggi. Bruxelles stima che nel 2013 ci sara’ ancora un passivo nel bilancio pubblico, pari allo 0,5% del Pil. Anche le stime adattate a cambiamenti del ciclo economico confermano che il bilancio pubblico avra’ un passivo dello 0.4% nel 2013.
Il deficit, si legge nel documento della Commissione, si attestera’ invece all’1,2% del Pil nel 2013, restando quindi al di sotto della soglia del 3%.
Quanto all’avanzo primario, che non tiene conto degli interessi pagati sul debito, e’ stimato in crescita dello 0,9% rispetto al Pil, grazie alle misure di consolidamento adottate nel 2008, 2010 e 2011. Gli interessi sul debito sono stimati in aumento dello 0,4% rispetto al Pil, e sono dovuti “al premio di rischio aumentato sul debito pubblico italiano”.
Nel capitolo sull’Italia e’ citato anche il problema degli “spread”: “un fattore che pesa particolarmente sulle prospettive di crescita del paese e’ il forte aumento degli spread fra i titoli pubblici italiani e gli indicatori tedeschi, attorno al 350-400 punti per i decennali - e’ scritto - in seguito all’intensificarsi della crisi del debito sovrano nell’Eurozona”.
 
STABILITA' POLITICA - La prima cosa da fare in Italia “e’ ripristinare la stabilita’ politica e la capacita’ di decisione a livello politico”: lo ha detto il commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn. “Soltanto un ampio pacchetto di riforme puo’ far ripartire la crescita in Italia - ha proseguito - per questo ho mandato un questionario al ministro Tremonti e al governo italiano per cercare di ottenere chiarimenti su alcune questioni”. Nel corso della conferenza stampa sulle previsioni economiche d’autunno Rehn ha ricordato che “la nostra prima valutazione e’ attualmente in corso e la nostra missione e’ al lavoro a Roma”.

L'ELEVATO LIVELLO DI SPREAD TRA TITOLI AVRA' CONSEGUENZE SULLA VITA REALE - L’elevato livello degli “spread” fra i rendimenti dei titoli italiani e quelli tedeschi avra’ un “impatto signiticativo” sull’economia reale a partire dall’anno prossimo e, piu’ in generale, “a media scadenza”. Lo ha detto, nella conferenza stampa sulle previsioni economiche d’autunno, il commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn.
“A breve termine - ha spiegato - le ricadute sul debito non sono cosi’ drammatiche. Ma l’anno prossimo e a media scandenza l’impatto sara’ significativo sulle condizioni del rifinanziamento e di conseguenza sull’economia reale”. Le stime della Commissione, ha aggiunto ancora Rehn, “ci dicono che un aumento dell’1% nei rendimenti dei titoli di Stato avra’ nel giro di tre anni un impatto negativo sul Pil dell’1%”.

RIALZO DEL DEBITO PUBBLICO - La Commissione europea rivede al rialzo il debito pubblico italiano e rimanda di un anno, al 2013, l’inizio di un percorso di diminuzione, nelle sue stime economiche pubblicate oggi. Le previsioni economiche di autunno indicano che il debito italiano si attestera’ al 120.5% nel corso del 2011 e del 2012 e soltanto nel 2013 calera’ al 118,7% del Pil. Nelle previsioni di primavera pubblicate lo scorso maggio la Commissione prevedeva invece che la fase calante del debito pubblico cominciasse gia’ a partire dal 2012 passando dal 120.3% stimato nel 2011 al 119.8% nel 2012. Il deficit calera’ invece piu’ del previsto, attestandosi al di sotto della soglia del 3% del Pil gia’ a partire dal 2012 quando raggiungera’ il 2.3% rispetto al 4% del 2011. A maggio il deficit era stimato al 3.2% nel 2012.

CROLLANO STIME DI CRESCITA - Crollano le stime della Commissione Ue sulla crescita in Italia: per il 2011, Bruxelles prevede un aumento del Pil pari allo 0,5%, e per il 2012 dello 0,1%. I dati emergono dal rapporto sulle previsioni economiche di autunno, e si confrontano con le precedenti stime di primavera, che prevedevano un aumento dell’1% quest’anno e dell’1,3% nel 2012, mentre quelle “intermedie” pubblicate in settembre avevano gia’ ridotto allo 0,7% la stima per quest’anno. Nell’Eurozona, il Pil salira’ secondo la Commissione dell’1,5% quest’anno e dello 0,5% nel 2012, nell’Ue a 27 paesi, rispettivamente dell’1,6% e dello 0,6%. “La previsione considera una graduale stabilizzazione dei mercati finanziari nel corso del 2012 - scrivono i tecnici della Dg Ecfin - ma se le condizioni dovessero ulteriormente deteriorarsi, la previsione di crescita per l’Italia potrebbe peggiorare”, in particolare per la “ridotta disponibilita’ del credito per societa’ e famiglie”.

RIPRESA EUROPEA IN STALLO - La ripresa economica europea e “in stallo” e c’e’ “il rischio di una nuova recessione se non si agisce con determinazione”: lo ha detto il commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn presentando le previsioni economiche di primavera di Bruxelles, che ha definito “un ultimo avvertimento”. Infatti, secondo Rehn, e’ necessario “ripristinare la sostenibilita’ dei conti pubblici e del sistema finanziario, ma anche accelerare le riforme per aumentare il potenziale di crescita: c’e’ un ampio consenso su questo, come e’ stato confermato in occasione degli ultimi vertici”.

Cameron: «L'Italia è un pericolo chiaro e presente per l'euro»
dal nostro corrispondente Leonardo Maisano
Londra – «L'Italia è un pericolo chiaro e presente per l'euro». Il premier britannico David Cameron entra a gamba tesa nella delicata partita che il nostro Paese si gioca sui mercati sottolineando, una volta di più, i danni alla moneta unica prodotti dal debito pubblico italiano. In un discorso che Downing street ha diffuso in questi minuti e che il premier pronuncerà nelle prossime ore a Londra, Cameron appare netto sul caso Italia.
«Quanto sta accadendo in Italia – ha detto – deve essere un avvertimento ad ogni Paese e ogni governo che non abbia un piano credibile per fare i conti con un debito eccessivo ed eccessivo deficit». In realtà nel caso italiano pesa molto più il primo essendo il secondo molto inferiore ai picchi che conosce ora il disavanzo britannico.
«L'Italia – ha continuato il premier inglese – è il terzo maggior paese dell'eurozona e nella condizione attuale rappresenta un pericolo chiaro e presente per l'eurozona. Il momento della verità si sta avvicinando per questo se i leader dell'euro vogliono salvare la loro divisa devono agire subito».
Le parole di Cameron oltre ad essere dirette senza equivoci e senza alcun cuscinetto diplomatico all'Italia, mirano ad accelerare le procedure interne all'eurozona per mettere in campo meccanismi di integrazione delle politiche fiscali in grado di tranquillizzare i mercati, ma hanno anche un'ambizione di politica interna. Il richiamo alla necessità di "piani credibili" per il disavanzo vuole infatti convincere l'elettorato che il severo piano di tagli varato dalla sua amministrazione è una dura, inevitabile necessità.
 10 novembre 2011

San Marino. Frontalieri, la nuova beffa: l’emendamento del Pd per reintrodurre la franchigia ritirato causa crisi          
 Giovedì 10 Novembre 2011
SAN MARINO / RIMINI - I frontalieri che lavorano a San Marino si devono inchinare, almeno per il momento, alla realpolitik. Devono digerire una situazione che è dettata dalla responsabilità nel mezzo della gravissima crisi politica italiana. Gli emendamenti alla Legge di Stabilità, compreso quello che chiedeva la reintroduzione della franchigia da 8 mila euro per calmierare gli effetti della doppia imposizione, in Italia e sul Titano, sono stati tutti ritirati. Non poteva essere diversamente se si voleva accelerare i tempi e arrivare all’approvazione della Legge entro domenica, in modo da stringere i tempi della crisi e arrivare alla nomina del nuovo governo (Governo Monti? L’ipotesi è sempre più probabile) il più celermente possibile.
“Noi del Pd – spiega l’on. Elisa Marchioni, dall’inizio della Legislatura impegnata a fianco dei frontalieri riminesi - abbiamo dovuto fare la nostra parte, mi aspetto che ora il governo faccia altrettanto: oggi (ieri, ndr) in Senato sono stati ritirati tutti gli emendamenti presentati dal nostro gruppo, compreso purtroppo quello sulla proroga della franchigia per i frontalieri. Lo abbiamo fatto con grande rammarico, ma mi aspetto che il governo, dopo le rassicurazioni dei giorni scorsi, assuma nel testo del provvedimento quanto richiesto dall'emendamento”. Elisa Marchioni, unitamente ad alcuni colleghi del Partito Democratico, aveva presentato la proposta riguardante la franchigia per il 2012 soltanto martedì. Poi la caporetto sul voto della Legge di Stabilità ha mutato radicalmente lo scenario, e siamo giunti alla situazione che è sotto gli occhi di tutti.
Tutta questa situazione ha penalizzato le nostre richieste – prosegue Elisa Marchioni - L'istanza che chiede la proroga della franchigia è molto forte, esplicitata dal lavoro costante mio, dei colleghi parlamentari e di tutti coloro che sono impegnati in questa azione di equità verso i nostri lavoratori a San Marino, come testimonia la lettera inviata dai partecipanti al tavolo unitario convocato da Provincia e Comune insieme alle istituzioni di San Marino, ai sindacati e al coordinamento frontalieri. So bene che oggi non era possibile fare diversamente: la casa brucia, è il momento dell'emergenza. Ma di un'altra cosa sono sicura: la questione franchigia, mercati o non mercati, non può essere chiusa, può solo essere differita. In caso la proroga della franchigia non fosse recepita nella legge di stabilità, useremo ogni provvedimento per riproporre questo tema in tempo utile per l'anno 2012”.

Svizzera. La tempesta finanziaria e la fattura Berlusconi
di Generoso Chiaradonna - 11/10/2011
La tempesta finanziaria perfetta. È quanto sta vivendo in queste ore l’Italia che vede il famigerato spread, in pratica il differenziale di rendimento tra le obbligazioni statali italiane e quelle del Paese più virtuoso dell’eurozona (la Germania), crescere a dismisura fino a sfondare i 500 punti base. Oltre il 5 per cento in più, per parlare semplice.
In pratica ieri, teoricamente, 100 euro presi a prestito dal ministero del Tesoro italiano costavano allo stesso 7 euro l’anno, mentre all’omologo tedesco soltanto 1,80 euro. Un bel risparmio per le casse tedesche, mentre nel caso italiano quel costo appesantisce ancora di più il già disastrato bilancio pubblico. Nel contempo fa felici i creditori che staccano la cedola degli interessi. Non tutti, però, perché le banche che hanno titoli italiani e non solo in bilancio vedono il loro valore diminuire all’aumentare dello spread e al peggiorare della valutazione delle agenzie di rating. Una specie di contrappasso per chi, ingolosito da alti rendimenti, deve poi pagare pegno per la credibilità e solvibilità del debitore.
L’esercizio è teorico perché il vero luogo dove si fissa il tasso d’interesse sono le aste pubbliche per i titoli di nuova emissione e proprio oggi il Tesoro italiano dovrà rifinanziare 5 miliardi di euro di titoli in scadenza (Bot a un anno) e lunedì altri 3 miliardi di euro di Btp a cinque anni. Quest’ultima è più indicativa dal punto di vista del tasso, quindi del costo per casse pubbliche, tanto che il ‘Wall Street Journal’ l’ha già definita il momento della verità. Se il collocamento andrà a buon fine l’Italia verosimilmente pagherà molto di più del 4,5% di soltanto pochi anni fa, ma meno del 7% richiesto ora dai mercati. Almeno così si spera, perché nel malaugurato caso in cui il mercato dovesse reagire negativamente alla sollecitazione italiana, la fila dei Paesi costretti a bussare alla porta degli aiuti europei si allungherebbe ulteriormente. E l’Italia è un peso massimo europeo sia dal punto di vista economico che per l’enormità del suo debito pubblico di quasi 2 mila miliardi di euro. Decreterebbe di fatto la fine della moneta unica.
C’è chi ha definito questo spread la tassa Berlusconi. Il costo aggiuntivo che cittadini e imprese italiane devono pagare per la progressiva perdita di credibilità internazionale del loro governo e dell’intero sistema Paese. La prova è stata data nelle ultime due settimane quando l’indice della Borsa di Milano e lo spread dei Btp aumentavano o scendevano a seconda delle voci di imminenti dimissioni e repentine smentite. I trader di mezzo mondo hanno gli occhi puntati su Roma da un pezzo. È una delle conseguenze di essere parte di un sistema più grande: l’Unione europea prima e soprattutto il fatto di aver aderito alla moneta unica che richiede finanze ordinate e possibilmente crescita economica. Negli ultimi quattro anni l’Italia non ha avuto né una né l’altra caratteristica.
La speculazione internazionale che ha scatenato la tempesta perfetta non è popolata da buoni samaritani. Azzanna i più deboli e i meno credibili. I mercati finanziari si nutrono prima di tutto di fiducia. Berlusconi e il suo governo non la ispirano e non hanno fatto nulla in questi anni per meritarsela. Nemmeno quella fantomatica svolta liberale tanto vagheggiata dal berlusconismo delle origini. Non uno dei punti del suo programma è stato realizzato. Il risultato è una pressione crescente da parte dei mercati e delle istituzioni europee e internazionali che di fatto dettano l’agenda politica non solo all’esausto governo italiano, ma ipotecano di fatto quella di chiunque arriverà dopo, sia esso tecnico, di unità nazionale o che scaturirà dalle urne nei prossimi mesi.

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