lunedì 14 novembre 2011

Federali.sera_14.11.11. Svizzera, Erminio Ferrari: Al Pdl stesso – di nuovo: negandolo – conviene un governo Monti. Le misure più draconiane e devastanti le ha già imposte a un parlamento impotente e a cittadini smarriti. L’opera che verosimilmente dovrà essere condotta a termine dal nuovo esecutivo, potrà essere ascritta (o imputata, a seconda delle convenienze della propaganda) a Monti.----La Coldiretti Sardegna ha inviato una lettera per sollecitare il presidente della Regione Cappellacci perchè agisca subito. E si dichiara pronta a bloccare i porti della Sardegna per impedire l’ingresso nell’isola di suini vivi e insaccati stranieri. L’aspetto paradossale di questa vicenda è che 469 aziende suine sarde detengono la certificazione di eccellenza, un vero primato a livello nazionale.

L'UNIONE SARDA - Economia: Dalla spiga ai malloreddus
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: La Coldiretti insorge: «Indigniamoci tutti e blocchiamo l’Ue»
Il risanamento pilotato
Svizzera. La democrazia alle corde è la sconfitta della politica
Svizzera. Le fatiche d’Ercole che attendono Monti



L'UNIONE SARDA - Economia: Dalla spiga ai malloreddus
14.11.2011
SARDARA. La scommessa di cento agricoltori dei 28 centri della provincia.
Il Consorzio agrario diventa produttore di pasta.
Dalla spiga ai malloreddus agli spaghetti made in Sardegna. Volta pagina il Consorzio Agrario e, nell'anno del suo novantesimo compleanno, da semplice granaio diventa produttore di pasta. Una scommessa che parte dal Medio Campidano, più precisamente da Sardara, dove nei giorni scorsi si è tenuto un incontro che ha visto un centinaio di agricoltori provenienti dai 28 Comuni della Provincia.
RICONOSCIMENTO Una partenza non casuale, ma un segno di riconoscimento al territorio più ricco di spighe dorate: dei 100 mila quintali di prodotto raccolti nel 2011, ben 60 mila, infatti, arrivano proprio dalla Provincia Verde. «La nostra pasta», ha detto il presidente della struttura, Aldo Cau, «per il momento la troverete nelle vetrine dei market del Consorzio e in diversi depositi dell'isola. C'è però qualche timida richiesta da parte di grossi centri commerciali. Spetta a noi sfondare sul mercato. Il primo passo è aver fiducia nel progetto. Dobbiamo essere noi i primi acquirenti, diversamente come pretendere che lo siano gli altri?».
IL PIATTO E di fronte alla perplessità del caro prezzo (mezzo chilo di prodotto 1,20 euro), Cau ha replicato: «Vuol dire che i nostri spaghetti saranno il piatto della domenica. Una volta la settimana si potrà fare il sacrificio di spendere qualcosina in più, sacrificio economico ripagato dalla bontà del gusto delle nostre eccellenze». Idea condivisa ed accordo fatto: la nascita di una Cooperativa e la sottoscrizione di un contratto di coltivazione. In cambio del riconoscimento di protagonisti sul mercato, i soci dovranno però rispettare un rigido e severo disciplinare che va dalla semina alla concimazione al via libera del controllo sui campi dei tecnici che il Consorzio metterà a disposizione.
IL DIRETTORE «La chiave del successo», spiega il direttore, Pierantonio Mura, «è nella coltivazione di poche varietà di grano selezionato e in un accordo di filiera corta. L'obiettivo è pastificare e panificare il grano ammassato nei 56 centri di raccolta, senza doverlo vendere all'estero con aggravio di costi, dovuti a passaggi commerciali lunghi e onerosi. L'iniziativa diventa così strumento capace di calmierare i prezzi, dare un'assistenza continua alle filiere dell'agroalimentare, portare avanti un'industria complessa come il mondo delle campagne».
L'ETICHETTA L'etichetta della pasta già in commercio in via sperimentale ha due distinti loghi: Consorzio Agrario di Sardegna e Cooperativa cerealicola Cocesa. Candidato a trasformare la materia prima in pasta resta Il Molino-Pastificio Brundu. Alla fine, attorno alle 90 candeline, un brindisi ai numeri raggiunti in questo quasi secolo di vita: oltre 450 soci con 20 mila imprese e 90 milioni di euro di fatturato all'anno.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: La Coldiretti insorge: «Indigniamoci tutti e blocchiamo l’Ue»
14.11.2011
SASSARI. Si può fare ancora qualcosa per bloccare il provvedimento dell’Ue che vieta l’export di insaccati e carni suine sarde? La Coldiretti pensa di sì. A patto che la Regione intervenga subito sulla Commissione europea affinchè «non ratifichi il parere del Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali della Unione europea». La Coldiretti Sardegna ha inviato una lettera per sollecitare il presidente della Regione Cappellacci perchè agisca subito. E si dichiara pronta a bloccare i porti della Sardegna per impedire l’ingresso nell’isola di suini vivi e insaccati stranieri. L’aspetto paradossale di questa vicenda è che 469 aziende suine sarde detengono la certificazione di eccellenza, un vero primato a livello nazionale. Ma gli sforzi di quegli operatori rischiano di finire in una bolla di sapone per colpa di alcuni allevamenti isolani nei quali esistono ancora focolai di peste suina africana. Il provvedimento dell’Ue, se diventasse operativo, rischia di espellere definitivamente le carni suine sarde dal mercato. Che fare? «Dovremmo riuscire a far diventare il caso dei suini- dice Luca Saba, direttore regionale di Coldiretti- non solo un caso politico, o di rappresentanza delle imprese del comparto, ma un caso di tutta la società sarda. Dovremmo riuscire a coinvolgere in questa vicenda tutti i macellai sardi, tutti i ristoratori sardi, tutti quelli che vogliono veramente bene alla Sardegna». Questa vicenda, però, segna una svolta importante nella cultura agrozootecnica sarda e ci obbliga a cambiare rotta per passare dal piagnisteo alla politica della proposta. «Forse dovremmo essere proprio noi delle associazioni agricole- continua Saba- a coinvolgere tutti. Non deve dare fastidio solo agli operatori che da domani i 469 allevamenti sardi che hanno creduto nei salumi e nelle carni sarde e nel tanto apprezzato maialetto sardo, non potranno più esportare fuori dall’isola nè carni nè animali. Per contro potranno entrare nella nostra regione animali vivi che potranno essere macellati in Sardegna e potranno essere rivenduti fuori dall’isola, come carni e come prodotti trasformati sardi. Dovremmo riuscire a far capire che non c’è differenza tra un animale sano che viene da chi sa dove e un animale sano sardo». Saba sa che, comunque, finchè rimangono i focolai di peste suina nell’isola, la forza dell’export isolano sarà a rischio. «Non chiediamo la luna- dice il direttore di Coldiretti- capiamo che siamo in errore. Chiediamo di essere rispettati come sardi, perché un animale sano è sano, a prescindere dal fatto che altri capi vicino a lui non siano in regola. E questo fatto non puo’ riguardare solo le imprese, deve coinvolgere tutti i sardi». In altri tempi le associazioni di categoria avrebbero chiesto solo gli indennizzi. Ora la priorità è quella non uscire dal mercato attivando dei «corridoi» per l’esportazione che «potrebbero essere anche più rigidi- dice Saba - Gli allevatori infatti, sarebbero anche disposti ad accollarsi ulteriori controlli, certamente pesanti però molto più utili degli indennizzi che potrebbero ora ristorare, ma che rappresentano il primo passo verso la chiusura del settore». «469 aziende- conclude Saba- sono poche rispetto a 15000 allevamenti non certificati indenni, ma rappresentano quella speranza di cambiamento che nè noi delle rappresentanze nè la Regione, sino ad oggi e’ riuscita a fare».

Il risanamento pilotato
Cosa ci chiede l'Europa
Aumento dell'età pensionabile, pressing sul lavoro
Il 5 agosto scorso la Banca centrale europea ha inviato una lettera all'Italia, firmata dall'allora presidente Jean-Claude Trichet e dal suo successore Mario Draghi, con una serie di richieste al governo, che vanno dall'intervento su pubblico impiego e pensioni alla flessibilità del lavoro (rivedendo anche la norma sui licenziamenti), passando per le privatizzazioni. Temi rilanciati dalla Commissione europea l'8 novembre scorso in un documento con 39 domande al governo italiano sui tempi dell'introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione, su infrastrutture, scuola, concorrenza e costi della politica.
Statali
Taglio dei costi e mobilità
Nella lettera della Bce all’Italia del 5 agosto scorso si chiedeva al governo di «valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover e, se necessario, riducendo gli stipendi». Sul tema torna anche la Commissione europea, che chiede conto dei tempi della modernizzazione della pubblica amministrazione. Bruxelles vuole sapere quando sarà completamente operativa, e come e quando saranno attuate le misure di mobilità e di flessibilità per i dipendenti statali, anche in relazione alla soppressione delle Province. Inoltre viene chiesto di dettagliare i progressi concreti prodotti dalla riforma Brunetta. La legge di Stabilità, contenente il maxi emendamento del governo, promulgata venerdì, prevede che gli statali in soprannumero potranno essere posti «in disponibilità» con un’indennità pari all’80% dello stipendio per due anni. Inoltre saranno soppresse alcune indennità e rimborsi per trasferimento.
Fisco
 Le nuove tasse e la crescita
 Poche parole, una sola domanda, ma molta sostanza. «Come verrà spostata la tassazione dal lavoro ai consumi e alla proprietà immobiliare?», ha chiesto l’Europa. L’Iva è già stata alzata di un punto percentuale, ora toccherà alla casa? L’eventuale reintroduzione dell’Ici sulla prima casa porterebbe nelle casse dello Stato un gettito di circa 3,5 miliardi di euro, è stata la risposta di Giulio Tremonti. L’idea di fondo suggerita dall’Europa è quella di spostare il peso della tassazione dal lavoro — per rilanciare l’occupazione —alle imposte indirette e al mattone, considerato meno determinante per la crescita del Paese. Quest’ultima, però, non viene certo aiutata —almeno in modo diretto —dall’inasprimento dell’Iva, o anche dal calo del reddito disponibile per l’aumento delle tasse sugli immobili. Resta il fatto che il debito pubblico va riequilibrato, e l’indirizzo sembra chiaro: meno debito grazie al mattone, più crescita grazie al lavoro.
Servizi
 Più mercato meno privilegi
 La liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali— ha chiesto la Banca centrale europea— deve essere «piena». E nei servizi locali vengono auspicate «privatizzazioni su larga scala». Inoltre, per l’Europa, gli introiti stimati delle vendite ai privati in generale devono essere al netto dei minori dividendi e del maggior costo per gli affitti. Auspicati più poteri all’Antitrust, l’abolizione delle barriere d’accesso alle professioni e le liberalizzazioni dai servizi postali ai trasporti.
Lavoro
 Contratti locali e licenziamento
 Uno dei punti chiave della lettera della Bce riguarda il lavoro. Bruxelles sottolinea «l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi a livello d’impresa». La Banca centrale europea chiede anche «un’accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse».
Pensioni
 «Quota 67» non basterà
 «L’età pensionabile a 67 anni nel 2026 è sufficiente?». La domanda, arrivata direttamente a Roma dalla Commissione europea, lascia capire che, forse, gli sforzi già messi in campo a livello previdenziale potrebbero non bastare. La Banca centrale europea ha poi chiesto di «intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012». Non è quindi sotto la lente dell’Europa solo la «quota (anagrafica) 67 anni» nel 2026, ma ci sono anche le pensioni di anzianità, che oggi consentono di andare in pensione prima di 65 anni (pur con requisiti sempre più stringenti), e le dipendenti d’azienda. Che, stando agli auspici europei, potrebbero andare in pensione dai 65 anni d’età già dall’anno prossimo.
Francesca Basso e Giovanni Stringa

Svizzera. La democrazia alle corde è la sconfitta della politica
di Erminio Ferrari - 11/14/2011
Un governo che nasce derogando alle indicazioni degli elettori, o addirittura contro le loro scelte non è sintomo di salute per una democrazia; ma, nel migliore dei casi, uno stress-test non superato. A meno, nel caso italiano, di modificare il primo articolo della Costituzione e trasferire la sovranità ai “mercati”. C’è dunque poco da stare allegri per l’incarico affidato a Mario Monti.
Perché se oggi un presidente come Giorgio Napolitano, profondamente politico per storia personale, e oltremodo prudente per indole, si risolve ad affidare a un “tecnico” l’incarico di formare un governo, ciò significa che la democrazia in Italia è alle corde. Portatavi non dai mercati, ma da una politica che (in tutto il mondo, peraltro) si è sottratta, per precisa scelta ideologica, al compito di fare loro da argine.
Dunque più che della democrazia in sé, la sconfitta è di una classe politica screditata. In primo luogo della parte che ha condotto l’Italia al livello più basso mai conosciuto nel rispetto internazionale e nella sua stessa autoconsiderazione.
Ma anche di quella che non vi ha saputo opporre un progetto credibile e che più volte ha dilapidato il consenso accordatole dagli elettori.
Le peculiarità della situazione italiana impedisce tuttavia di ragionare esclusivamente in termini di giusto-sbagliato. Ricordando il sapido pessimismo dello scomparso scrittore triestino Bobi Bazlen: “L’unico pericolo vero, per me, è l’argomento giusto o la parola giusta nella bocca sbagliata. Non è un problema di parole, è un problema di bocche”. E le parole che corrono oggi sulle bocche dei politici italiani non corrispondono al loro suono.
È il calcolo a dettare le dichiarazioni, con diverse gradazioni di ipocrisia. In particolare di coloro che si stracciano le vesti per il tradimento della volontà popolare.
Metti: la Lega. Efferatezza essa stessa, con il suo programma di disgregazione dello Stato, è stata partecipe, anzi complice, delle più efferate mosse della maggioranza appena dismessa. Grida contro un governo tecnico su cui cerca in realtà di speculare quanto più tempo possibile, ritenendo che un congruo periodo passato all’opposizione possa servire a ricostruirsi una verginità.
Di Pietro, pur in extremis venuto a più miti consigli, ha tutta l’aria di chi vorrebbe un voto immediato più per non perdere l’ultima chance di fare campagna elettorale contro l’arcinemico storico, seppur decaduto, che per cristallina fede democratica. Troppo a lungo lui e il suo imputato-presidente-delConsiglio sono stati i poli opposti di un identico sistema.
Persino i né-di-qua-né-di-là del cosiddetto terzo polo la contano giusta. Provenienti in larga parte dallo schieramento che di recente hanno preso ad avversare (Casini da più tempo, Fini da meno – Rutelli no, ma su di lui èpietastacere) hanno assunto la gravità dell’espressione per sentirsi all’altezza del momento. Ma se solo gli sconfitti di oggi avessero l’altroieri fatto loro un cenno, sarebbero accorsi.
Restano i due pesi massimi. Il Pd: il Pd non può oggettivamente vantare grandi meriti nella fine del governo caduto e può solo malamente nascondere la paura di una eventuale vittoria in eventuali elezioni in tempi stretti. Non solo per le divisioni che lo lacerano sin dalla nascita, ma soprattutto perché riprendere in mano un Paese in ginocchio con i responsabili del disastro ancora in circolazione richiede una mano ferma e idee chiare come le sua non sono. Molto meglio delegare al “tecnico” la ricerca del rimedio. Salvaguardando sì la propria rettitudine, ma a scapito della propria responsabilità.
Al Pdl stesso – di nuovo: negandolo – conviene un governo Monti. Le misure più draconiane e devastanti le ha già imposte a un parlamento impotente e a cittadini smarriti. L’opera che verosimilmente dovrà essere condotta a termine dal nuovo esecutivo, potrà essere ascritta (o imputata, a seconda delle convenienze della propaganda) a Monti. O al tradimento del mandato popolare, come tocca leggere sui democraticissimiIl Giornale, Libero, Il Foglio,o sentir affermare dal Tg1.
Un quadro eccessivamente tetro? Un malcelato qualunquismo disfattista da sono-tuttiuguali? No, non sono tutti uguali, ma tutti con le proprie responsabilità.
Perché le dimissioni di Berlusconi (vedi che l’abbiamo nominato) sono un’ottima notizia, ma delle tossine che il suo ventennio ha prodotto ci toccherà parlare ancora a lungo. Un’altra volta, però: per oggi il bicchiere è mezzo pieno.

Svizzera. Le fatiche d’Ercole che attendono Monti
Di Daniele Mariani, swissinfo.ch
La nomina di Mario Monti quale nuovo presidente del Consiglio italiano è accolta positivamente dalla stampa svizzera. Per l’ex commissario europeo la strada è però tutta in salita
 «Monti deve superare vent’anni di immobilismo»: il titolo del commento del Tages Anzeiger riassume bene l’opinione che predomina sulla stampa svizzera all’indomani della decisione di Giorgio Napolitano di conferire all’ex commissario europeo l’incarico di formare un nuovo governo.
Per l’editorialista della Berner Zeitung, la scelta di Monti era l’unica via praticabile: «Capisce qualcosa di numeri. La teoria e la politica monetaria sono i suoi campi di predilezione. È integro e discreto […]. E soprattutto non appartiene a un partito». «In questi tempi di tempesta finanziaria e di sfaldamento della Penisola – gli fa eco Le Temps – il suo percorso [di Monti, ndr] vale tutte le garanzie o tutti i rapporti delle agenzie di rating».
La non appartenenza a un partito è un fattore importante – sottolinea il Tages Anzeiger – «in un paese profondamente diviso, che funziona un po’ come una partita di calcio, coi suoi tifosi accaniti e generalmente pacifici, ma anche con degli hooligan politici». Per il giornale zurighese, il governo Monti rappresenterà soprattutto un «banco di prova per la sinistra, che dovrà provare che la sua unità va al di là di un semplice ‘no’ a Berlusconi».

Cura da cavallo
 Come detto, però, il compito che attende il neo-presidente del Consiglio si apparenta alle dodici fatiche d’Ercole. «Fine del Carnevale», titola l’Aargauer Zeitung, secondo cui «il venditore di fumo e narcisista di Milano è stato raggiunto dalla realtà». Per l’Italia, la probabile uscita di scena definitiva del «demagogo e giocatore d’azzardo» Berlusconi non significa che i problemi siano stati risolti. Tuttavia «vi è perlomeno una possibilità per un nuovo inizio, dopo quello che La Repubblica ha definito il ‘più lungo Carnevale della Repubblica’».
L’Italia – paese che ha comunque un grande potenziale – ha bisogno di «modernizzare le sue strutture politiche e sociali», di una «cura di rivitalizzazione» che chiederà moltissimi sacrifici ai cittadini, scrive il Tages Anzeiger.
Per La Liberté di Friburgo, «Super Mario» dovrà riuscire ad «imporre una serie di sacrifici senza precedenti, evitando di far scoppiare una guerra civile». Per spuntarla, dovrà creare «un centro politico […] così estraneo alla cultura italiana, unica via per poter imporre lacrime e sudore a una popolazione più incredula che mai». Secondo 24heures, la strada che dovrà percorrere Mario Monti «è seminata di trappole».
«Il paese ha bisogno di un'urgente cura da cavallo e di un'asettica operazione chirurgica che la riporti alla normalità al fine di riconquistare la fiducia dei cittadini e degli investitori», osserva il Corriere del Ticino.
«È difficile prevedere se dopo una breve luna di miele tale governo finirà più per essere indebolito dai problemi che creerà che rafforzato da quelli che risolverà – sottolinea ancora il giornale ticinese. Il pericolo incombente è che non raggiunga le intese necessarie, dimostrandosi troppo tenue la base del consenso allargato in un momento di grandi rimescolamenti negli schieramenti e di alleanze non più scontate».

La potenza dei mercati
 Dal canto suo, la Neue Zürcher Zeitung affronta la problematica Italia in un articolo di fondo dal titolo «Ostracismo e postumi di una sbornia». Tra le altre cose, il giornale zurighese evoca le ragioni che hanno permesso a Berlusconi di conquistare e mantenere il potere per quasi 17 anni, insistendo soprattutto sul controllo dei media televisivi. Un fattore che fa dire alla NZZ che «da sola la partenza di Silvio Berlusconi non salverà l’Italia». «Il nuovo governo di transizione guidato da Mario Monti avrà abbastanza da fare per soccorrere un’economia allo sbando e non avrà tempo per occuparsi della riforma della legge sui media».
Le Temps ritraccia invece il percorso di Berlusconi, finito «Cavalier seul», «Cavaliere solitario». «Cercando di voler soddisfare tutti coloro che lo sostenevano, senza avere una vera visione per l’Italia, ha governato a vista, senza aprire tutti quei cantieri che aveva promesso al paese», scrive il giornale romando. Malgrado i segnali sempre più inquietanti che si sono moltiplicati negli ultimi mesi, Berlusconi «pensava di poter ancora una volta lasciar passare il temporale rifugiandosi in un bunker, durante il giorno con la sua piccola maggioranza in parlamento e la sera in mezzo al ‘bunga bunga’. Non aveva però fatto i conto con le pressioni esterne e dei mercati, che sono finalmente riusciti a far la pelle al Caimano».
Ed è proprio partendo dal tema dell’onnipotenza dei mercati che La Regione inizia il suo editoriale. In un commento intitolato «La democrazia alle corde è la sconfitta delle politica», il giornale ticinese scrive: «Un governo che nasce derogando alle indicazioni degli elettori, o addirittura contro le loro scelte non è sintomo di salute per una democrazia; ma, nel migliore dei casi, uno stress-test non superato. A meno, nel caso italiano, di modificare il primo articolo della Costituzione e trasferire la sovranità ai “mercati”. C’è dunque poco da stare allegri per l’incarico affidato a Mario Monti».
Per La Regione «più che della democrazia in sé, la sconfitta è di una classe politica screditata […], che ha condotto l’Italia al livello più basso mai conosciuto nel rispetto internazionale e nella sua stessa auto-considerazione» e che anche negli ultimi giorni non ha saputo riscattarsi. Dalla Lega, che ritiene di poter «ricostruirsi una verginità» schierandosi all’opposizione, a Di Pietro, passando dal Partito democratico («meglio delegare al governo tecnico che assumersi delle responsabilità) al Popolo della libertà, che grida al tradimento popolare.
«Un quadro eccessivamente tetro? Un malcelato qualunquismo disfattista da sono tutti uguali? No, non sono tutti uguali, ma tutti con le proprie responsabilità», scrive ancora La Regione. Perché le dimissioni di Berlusconi sono un’ottima notizia, ma delle tossine che il suo ventennio ha prodotto ci toccherà parlare ancora a lungo. Un’altra volta, però: per oggi il bicchiere è mezzo pieno».
 Daniele Mariani, swissinfo.ch

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