venerdì 4 novembre 2011

Federali.sera_4.11.11. Svizzera, Generoso Chiaradonna: È notizia degli scorsi giorni che i capitali ellenici all’estero, soprattutto in Svizzera, ammontino a oltre 200 miliardi di euro. Una somma enorme per un Paese che conta poco più di 11 milioni di abitanti. Segno evidente che c’è molto lavoro per il ministro delle Finanze e che i guai non derivano dall’aver aderito all’euro. È verosimile che già con la Dracma la situazione non fosse tanto diversa.

Nuove discariche via libera a Foggia
Napoli. Disoccupati bloccano l'auto del sindaco
Spagna, si contrae oltre attese settore servizi in ottobre
Ue, Ankara spera in Berlino
Svizzera. Eppure il referendum avrebbe fatto chiarezza
Svizzera. Chi fa più paura?


Nuove discariche via libera a Foggia
Sospeso il Gargano
di Filippo Santigliano
FOGGIA - Non ci sarà un’emergenza rifiuti legata alla discarica di Foggia, mentre rimane al momento «sospesa» quella per il Gargano. Nel vertice di ieri all’assessorato all’ambiente della Regione Puglia sono emerse novità importanti per «Passo breccioso», ovvero per la discarica di servizio all’impianto di biostabilizzazione che, ormai ultimata, rischiava di non entrare in funzione per uno sconfinamento dello «scavo» in un’area protetta. La Regione «sanerà» questo errore con un muro di contenimento. Nel frattempo i rifiuti continueranno ad essere stoccati nell’impianto originario di «Passo Breccioso» dopo l’autorizzazione all’innalzamento dello stesso di qualche altro metro. Tempo di consegna del nuovo manufatto 60 giorni.
La decisione che riguarda «Passo Breccioso» nei fatti metterà a «regime» l’impianto di biostabilizzazione dell’Amica, uno stabilimento che «tratta» i rifiuti, il più grande della Capitanata uno dei più grandi della Puglia. Bisogna rimarcare che il problema era stato sollevato in tempi non sospetti dalle organizzazioni sindacali aziendali di Amica, Cgil, Cisl, Uil, Fiadel e Ugl e, puntualmente, si è presentato alla scadenza. Irrisolto. Ora però si va verso una normalizzazione che consentirà all’Amica, azienda dichiarata fallita ed ammessa alla cosiddetta Prodi bis e cioè l’amministrazione controllata, di poter utilizzare a regime sia l’impianto di biostabilizzazione sia la discarica di servizio di «Passo Breccioso». Va migliorata la raccolta dei rifiuti in città ma questo è un altro discorso legato anche al piano industriale e al progetto che l’Amministrazione comunale ha presentato alla Regione per il cosiddetto «porta a porta».

Altro discorso invece per la questione Gargano. I comuni del promontorio al momento continueranno a sversare i rifiuti nella discarica «Forcone Cafiero» di Cerignola dopo la decisione dell’Amministrazione provinciale di Foggia di firmare l’ordinanza per l’apertura di quest’impianto ai 28 comuni garganici per un periodo di 90 giorni.
Il problema è legato non alla cattiva volontà del Comune di Cerignola e della società di gestione della discarica di «Forcone Cafiero», la Sia, ma alla necessità di capire come stanno le cose perché negli ultimi anni l’impianto di Cerignola ha aperto le porte alle emergenze, da quella di Foggia a quella del Gargano appunto e persino del Salento. Ma la sensazione, come nel caso del Gargano, è che l’emergenza è diventata qualcosa di permanente e non provvisoria. L’impianto di «servizio» per i comuni del promontorio, che hanno bisogno della discarica come il pane, è stato individuato a San Nicandro Garganico ma di avvio dei lavori non se ne parla anche se, come ha ricordato l’assessore all’ambiente della Provincia di Foggia, Stefano Pecorella, l’iter è ormai completato. Il segretario provinciale del Pd, Paolo Campo, ha sollecitato tuttavia la Provincia a farsi interprete di quest’esigenza e da quel che si è capito ieri a Bari anche la Regione Puglia ha intenzione di prendere in mano la situazione. Così alla discarica di San Nicandro Garganico sarà dedicato un nuovo incontro, in programma sempre a Bari, tra Regione Puglia e Provincia di Foggia.

Napoli. Disoccupati bloccano l'auto del sindaco
Volano insulti: «Anche tu come gli altri»
De Magistris fermato per 15 minuti dai senzalavoro
NAPOLI - Pugni contro l'auto del sindaco. Manifestanti, soprattutto donne, che impediscono alla macchina di partire. E poi una pioggia di insulti. «Sei anche tu come gli altri». Sul sindaco di Napoli Luigi de Magistris si scatena l'ira dei disoccupati. Sono degli ex appartenenti al progetto di reinserimento che va sotto la sigla «Bros», ben nota in città. I senzalavoro hanno bloccato per circa 15 minuti la sua vettura impedendogli di allontanarsi da viale dei Pini ai Colli Aminei, dove si era svolta una manifestazione con la partecipazione di decine di alunni di scuole elementari e medie. Tra i manifestanti, una trentina, molte donne che hanno insultato e colpito con pugni la macchina con de Magistris a bordo.
TENSIONE - Momenti concitati: prima si avvicina una vecchina e «intrattiene» il sindaco per un minuto parlandogli del problema alloggi. Dopodiché gli animi si scaldano. Alcune signore rinfacciano al sindaco mancate assunzioni per la raccolta differenziata. Vola anche qualche bestemmia. Si tratta del primo scontro plateale col sindaco, al netto dei quotidiani sit-in davanti al Comune.

DIFFERENZIATA - Da tempo gli ex appartenenti ai corsi di formazione Bros battono sul tasto dell'utilizzo di forza lavoro per il «porta a porta». E infatti il drappello di protesta si è formato all'esterno dell'istituto dove de Magistris stamane ha presenziato, insieme con i tecnici dell'Asia l'azienda di igiene urbana, un incontro per mostrare il primo compost verde realizzato in città.

ASSESSORI - L'attacco all'inquilino di palazzo San Giacomo, sede del municipio, segue le contestazioni rivolte, vis-à-vis, ai suoi assessori. Sette giorni fa toccò al responsabile alla Legalità Giuseppe Narducci, vittima degli strali (guarda il video) di alcuni cittadini contrari al provvedimento della Ztl al centro antico.

STESSA SORTE DELLA IERVOLINO - Napoli è città che ribolle. La rabbia dei disoccupati si è spesso scagliata contro i sindaci, sfiorando il faccia a faccia. Più volte è stata contestata anche Rosa Russo Iervolino (calci contro lo sportello dell'auto blu). E negli anni '90 anche Antonio Bassolino.

LA SOLIDARIETA' DI CALDORO - Il governatore della Campania Stefano Caldoro ha telefonato a de Magistris per esprimergli la sua solidarietà e informarsi sull'accaduto. «Il disagio sociale - ha detto Caldoro - non può e non deve trasformarsi in proteste violente come quella inscenata stamattina contro il sindaco».
Alessandro Chetta

Spagna, si contrae oltre attese settore servizi in ottobre
Contrazione nettamente superiore alle attese per il settore servizi spagnolo in ottobre, mai così debole da oltre due anni, un'altra prova del possibile passaggio in negativo della crescita del paese nel quarto trimestre. È quanto emerge dall'indagine Markit sui direttori d'acquisto, il cui indice Pmi relativo al settore servizi è sceso a quota 41,8 punti in ottobre - decisamente sotto i 44 punti delle stime - da 44,8 di settembre.
Si tratta della quarta rilevazione consecutiva sotto la soglia dei 50 punti - linea di demarcazione tra contrazione ed espansione - e il peggior dato dal luglio 2009. "Ogni ottimismo che c'è stato nella prima parte dell'anno sulla possibilità che la Spagna si avvicinasse ad una ripresa si è dissipato, e sembra che tempi ancora più difficili ci attendano" commenta l'economista di Markit Andrew Harker.
L'indice relativo ai nuovi ordini nel settore servizi è sceso a 40,2 punti dai 44,8 di settembre, livello più basso dal maggio del 2009. L'indice Pmi manifatturiero, diffuso l'altro ieri, ha invece certificato la contrazione del comparto per il sesto mese consecutivo. In settimana la banca centrale spagnola ha diffuso previsioni di una stagnazione dell'economia nel terzo trimestre, dopo la debole crescita del secondo.

Ue, Ankara spera in Berlino
Pubblicato il04/11/2011 da Pierluigi Mennitti
L’occasione è stata di quelle solenni, i 50 anni dalla stipula dell’ accordo fra Germania e Turchia per l’immigrazione dei cittadini turchi nella Bundesrepublik del miracolo economico. Ma le visite di Recep Tayyip Erdogan in terra tedesca non sono mai momenti di semplice celebrazione e si caricano sempre di polemiche e tensioni che lo stesso premier turco ama sollevare. Così, anche questa volta, fra un bicchiere di prosecco bevuto con il presidente Christian Wulff e una stretta di mano scambiata con Angela Merkel, il dominus di Ankara non ha rinunciato alle esternazioni provocatorie e spigolose con le quali adora mettere sulla difensiva la controparte tedesca.
«La Germania non apprezza mai abbastanza il lavoro dei 3 milioni di turchi presenti nel suo Paese», aveva detto il 1° novembre in un’intervista alla Bild, tanto per mettere subito le cose in chiaro, «eppure, dai Gastarbeiter di 50 anni fa sono nati i 72mila imprenditori che oggi assicurano 300mila posti di lavoro e accademici e artisti che arricchiscono il panorama culturale tedesco. E proprio perché noi turchi proviamo sentimenti di gratitudine e di ammirazione per i tedeschi che ci sentiamo spesso lasciati soli dai suoi politici».
L’accusa di indifferenza rivolta alla Germania punta però in questa occasione a raggiungere un obiettivo tutto politico: quello di smuovere Berlino dalla posizione negativa verso l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Così al bastone, Erdogan ha alternato la carota. E come ha raccontato lo Spiegel, nell’intervento ufficiale tenuto davanti alla cancelliera il 2 novembre il premier turco ha aggiunto: «Cinquanta anni fa i lavoratori turchi hanno offerto non solo il loro lavoro, ma anche la loro buona volontà. E in questi 50 anni voi tedeschi avete dato una patria a degli stranieri». Un crescendo retorico culminato in una frase ad effetto, di quelle destinate a restare nella storia delle visite ufficiali, tanto più che Erdogan l’ha scandita in tedesco: «I nostri Paesi appartengono l’uno all’altro». Un po’ John Kennedy, un po’ Willy Brandt. Al primo appartiene il marchio del celebre «Ich bin ein Berliner», scandito nel 1963 di fronte alla massa di berlinesi dell’ovest terrorizzati dalla costruzione del Muro, al secondo il più letterale «Ora torna a crescere assieme quel che si appartiene», pronunciato proprio all’indomani della caduta del Muro.
Insomma Erdogan ha pescato con astuzia nella bisaccia della memoria berlinese per chiedere al governo di Berlino un passo coraggioso e chiaro verso l’obiettivo che Ankara ormai insegue da decenni, l’ingresso nell’Unione Europea: «La Germania è quel Paese da cui ci attendiamo soprattutto il sostegno».
Se questo appello riuscirà a rimuovere gli ostacoli che Berlino frappone alla piena membership turca nell’Ue, è presto per dirlo. Angela Merkel non è politico da lasciarsi troppo condizionare dai sentimentalismi e un eventuale cambio di rotta nella politica europea tedesca avrà bisogno di lunghi tempi di maturazione. Nel suo intervento successivo a quello di Erdogan, la cancelliera non ha in alcun modo toccato l’argomento e non le è passato neppure per la mente di cercare uno spunto originale rispetto al canovaccio prestabilito per cogliere l’assist del suo ospite. «Angela Merkel ha elogiato la capacità di integrazione mostrata dai lavoratori turchi in Germania», ha proseguito lo Spiegel, «ma ha anche rilevato che non tutti i problemi sono stati risolti e che permangono alcuni deficit. E ha indicato nell’istruzione e nell’apprendimento della lingua tedesca i mezzi cui le famiglie di origine turca devono ricorrere per raggiungere una completa integrazione».
Resta dunque sullo sfondo, almeno per Berlino, la questione della Turchia nell’Ue. Dagli incontri bilaterali che sono seguiti alla cancelleria, è trapelato solo un laconico dispaccio: la Germania sarebbe pronta ad aprire un nuovo capitolo di trattativa nei colloqui sull’ingresso turco nell’Ue, ma solo quando ce ne saranno le condizioni. Eppure, come ha evidenziato lo stesso magazine in un altro articolo, «il Paese è testimone ormai da anni di una crescita economica formidabile, tanto da essersi ormai guadagnata l’appellativo di Cina europea». Un certificato di buona salute che potrebbe essere prezioso per un continente alle prese con la crisi finanziaria e con dati di crescita molto deludenti: «Sebbene la ricchezza economica pro-capite dei turchi sia un quinto rispetto a quella dei tedeschi, la Turchia è in pieno boom economico. Erdogan può fare conto su tassi di crescita tra l’8 e il 9%, mentre la Germania deve accontentarsi per l’anno in corso di un misero 1%. E il deficit pubblico di Ankara misura il 41,2% del prodotto interno lordo (Pil), quasi la metà della media dei Paesi dell’Unione e ben distante dal 120% dell’Italia».
Una performance che ha convinto di recente Standard & Poor’s a rivalutare il rating di Ankara, e anche questa è una notizia che può fare invidia a molti Stati europei. Nonostante la politica estera turca sia alla ricerca di nuovi spazi geografici su cui espandere la propria influenza, dal punto di vista economico resta fortemente legata all’Europa, dalla quale dipendono la maggior parte dei commerci. E anche per questo Berlino non potrà eludere ancora per troppo tempo l’appello che Erdogan ha riproposto nella sua visita tedesca. Un sì o un no, ma questa volta chiaro e argomentato.

Svizzera. Eppure il referendum avrebbe fatto chiarezza
di Generoso Chiaradonna - 11/04/2011
La democrazia è nata in Grecia duemilacinquecento anni fa ed è morta ieri, sempre in Grecia. All’annuncio a sorpresa da parte del premier ellenico George Papandreou di voler indire un referendum per far partecipare i greci alle gravi decisioni di finanza pubblica è seguito il ritiro, altrettanto a sorpresa, dello stesso nel giro di 48 ore.
Erano troppi i rischi di un no popolare al piano di aiuti europei che di fatto avrebbe azzerato i timidi passi avanti del duo franco-tedesco nella costruzione di un solido cordone sanitario per evitare che la malattia dell’eccesso di debito dal mar Egeo si propagasse alle coste mediterranee e da lì ai bilanci delle già traballanti banche europee troppo esposte nei confronti dei titoli di credito di Atene. E questo non perché da quest’ultima attirate nelle spire di un prevedibile default, ma semplicemente ingolosite da elevati tassi d’interesse. È la ricerca del profitto facile che ha contribuito a scatenare tutto, non soltanto la gestione ‘dissennata’ delle finanze pubbliche del precedente governo.
La decisione di Papandreou che all’inizio era apparsa benzina sul fuoco dell’acceleratore della disgregazione dell’euro, se ponderata tenendo conto della situazione non solo economica, ma anche sociale della Grecia e al netto delle facili previsioni catastrofiste sulla fine dell’Unione europea e della moneta unica, poteva fare emergere altre verità per molti scomode. Prima tra tutte quella che i veri malati di questa crisi non sono solo gli Stati, ma gli attori del sistema finanziario internazionale tutto. I leader del mondo occidentale, primo fra tutti il presidente statunitense Barack Obama, hanno già perso il treno del 2008 quando era possibile e doveroso mettere un argine allo strapotere della finanza. Nessuno immaginava di imbrigliare le banche, ma regole più stringenti e limiti più severi al proliferare di vendite allo scoperto, Cds, Cdo e sigle elencando era il minimo che si poteva e doveva fare per riportare il peso della finanza a livelli più fisiologici nei confronti dell’economia reale.
Salvare la Grecia, è stato scritto più volte, equivale a salvare i suoi creditori. E pur di non far morire uno solo di essi non si esita a spremere come limoni i cittadini greci così come quelli portoghesi, spagnoli, irlandesi e italiani. Cedere sovranità finanziaria non dovrebbe significare automaticamente annientamento o arretramento della democrazia. I cittadini di questi Stati dovrebbero poter dire la loro ed essere attori consapevoli delle scelte, anche impopolari, che derivano dall’essere parte di un’organizzazione sovranazionale e condividere, come si suol dire, onori e oneri. La cittadinanza attiva non dovrebbe essere solo un bel diritto retorico scritto nelle Costituzioni degli Stati europei. Se i cittadini di questi Paesi non sono pronti a farlo è perché nelle alternative proposte intravedono qualcosa di errato, di profondamente ingiusto.

Il caso greco è emblematico di questa situazione. Confrontata da ormai 15 trimestri di recessione – un record –, Atene è attaccata all’ossigeno vitale degli aiuti finanziari europei che gratuiti comunque non sono. Nel contempo la società greca è ridotta allo stremo da misure draconiane di finanza pubblica che non hanno portato ad alcun risultato tangibile e dal rischio che la già fragile coesione sociale salti del tutto. È notizia degli scorsi giorni che i capitali ellenici all’estero, soprattutto in Svizzera, ammontino a oltre 200 miliardi di euro. Una somma enorme per un Paese che conta poco più di 11 milioni di abitanti. Segno evidente che c’è molto lavoro per il ministro delle Finanze e che i guai non derivano dall’aver aderito all’euro. È verosimile che già con la Dracma la situazione non fosse tanto diversa.
Una possibile involuzione anche politica e una sterzata populista è quindi molto elevata, con o senza voto popolare. Per questa ragione un referendum avrebbe fatto chiarezza. Un no o un sì avrebbero ridato ai greci la facoltà di decidere del proprio destino. L’Unione monetaria avrebbe probabilmente fatto a meno di un suo membro considerato dall’opinione pubblica e dai politici europei un peso sulla strada della costruzione di una più solida realtà economica e sociale.

Svizzera. Chi fa più paura?
Ferruccio Doga, Vacallo
 Chi sono i nuovi terroristi, quei poveracci dei black block o quel “fantastico” manipolo di “finanzieri d’assalto” che abitano nei dintorni di Wall Street (e di tutte le Wall Street del mondo) e che, a puro scopo speculativo e nell’interesse di pochissimi, tiene in scacco il mondo intero e giorno dopo giorno crea le basi per la creazione di un nuovo ordine (o disordine?) mondiale, alla faccia di chi si danna l’anima, all’interno di fabbriche, uffici, negozi, scuole, ospedali per render questo mondo migliore e più ricco di possibilità? Chi fa più danni, qualche centinaio di deficienti disperati con i caschi neri e gli estintori contro le vetrine di qualche città, o altrettanti boss dell’investment banking mondiale che quotidianamente distruggono i sogni di migliaia di famiglie in tutto il mondo? Di chi devono avere più paura i nostri figli per il loro futuro, dei nipotini di Bin Laden o di qualche economista nostrano (ma anche d’importazione, ben inteso) che, magari con tanto di erre moscia e visione “olistica” del mondo cerca di farci credere che le soluzioni ai nostri problemi economici sono nei metodi che funzionavano (peraltro male) 20 o 30 anni fa? Chi è più “anti-democratico”, un dittatore come Gheddafi che schiaccia palesemente (quasi sinceramente) il suo popolo per decenni, o alcuni governi storicamente “democratici” le cui classi politiche, mentre si spacciano subdolamente per paladini dei deboli e dei giovani, sono “schiave” delle lobby finanziarie a tal punto da veder portare sull’orlo del crac l’intero mondo tre anni fa e oggi, senza aver fatto nulla di nulla, ci dicono che siamo ai piedi della scala e chiamano alla cassa, ancora una volta, i soliti onesti cittadini (che si vedranno privare ancora delle risorse necessarie per potenziare infrastrutture, formazione, sanità, credito alla micro impresa ecc...)? Ma quando andiamo a votare, eleggiamo coloro che rappresenteranno i nostri valori di libertà, giustizia, sicurezza e solidarietà o i tirapiedi/portaborse di quel 2-3% di “tiranni della finanza” che possiedono il 90% delle risorse di questo pianeta..? È questo quello che voglio che i miei figli ereditino? Un mondo dove i pochi che hanno quasi tutto fanno ciò che vogliono dei molti che non hanno quasi nulla? È questa la democrazia/civiltà/società che voglio?

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