mercoledì 9 novembre 2011

Federali.sera_9.11.11. Svizzera, Erminio Ferrari: Se ultimo atto deve essere, la parte del protagonista deve restare sua. E l’esito della giornata pare infatti essere stato questo. Berlusconi si dimetterà, ma solo per essere libero di disputare allo stesso Napolitano le decisioni su che cosa avverrà dopo.----Ambrose Evans-Pritchard: Non si tratta di contagio, qualsiasi cosa ciò possa voler dire. L’Italia è d’un tratto sotto attacco dei mercarti per la semplice ragione che la sua economia sta facendo rotta verso una dura recessione, prevedibile risultato delle politiche di contrazione fiscale e monetaria da anni ’30 del secolo scorso, messe in campo dall’Unione Europea. Le implicazioni delle doppia–recessione dell’Italia sono orribili, già alle prese con una caduta del 40% in competitività della propria manodopera rispetto a quella della Germania e a un collasso del 70% in investimenti diretti esteri dal 2007 a oggi.

Padania, Veneto. «Sì ai Bot, con regia nazionale»
Oltrepadania, Trieste. Famiglia, vive da solo quasi un triestino su due
Oltrepadania, Trieste. La Slovenia premia Demetrio Volcic «Ci aiutò con l’Ue»
L'Italia non dovrebbe stare in un sistema monetario fatto dalla Germania
Grecia, salta nella notte l'accordo per Luca Papademos premier
Il rischio-Italia e quella fuga delle banche straniere
Svizzera. Siamo sempre al penultimo atto



Padania, Veneto. «Sì ai Bot, con regia nazionale»
CAMPAGNA “ACQUISTA IL DEBITO. Si schiera a favore il presidente veneto, e anche Confcommercio e Confturismo
Zaia: «Indicare agli italiani col decreto sviluppo i titoli da acquistare e quali interessi»
09/11/2011
Antonella Benanzato
VENEZIA
La campagna acquisti dei titoli di Stato italiani trova anche la benedizione del presidente del Veneto, Luca Zaia. Che rivendica la "primazia" della proposta «fatta in tempi non sospetti» e rilancia: è necessario di ragionare su «una cabina di regia nazionale» con l'obiettivo di analizzare un'ipotesi di sottoscrizione volontaria e su scala nazionale del debito che grava sul Paese.
«SERVE UNA REGÌA NAZIONALE». Alla luce del gemmare di adesioni, anche nel Nordest, al progetto di risanare il gravame debitorio italiano, Zaia dal consueto punto stampa post-Giunta chiarisce: «Il debito pubblico italiano è di 1900 miliardi di euro, e pro-capite è di 32 mila euro: il prossimo anno saranno 300 miliardi di titoli a scadere e a dover essere sottoscritti. Se i risparmiatori italiani sottoscrivessero il 3-5% del debito, pari a circa 500 euro a testa, accettando un rendimento del 2-3%, avremmo risolto i nostri problemi. Certo, ci vorrebbe una regia nazionale». In ogni caso per Zaia «è ragionevole preoccuparsi di questi 1.900 miliardi di debito pubblico» il cui 36% è detenuto dagli stranieri.
NON POSSIAMO CONTARE SUGLI STRANIERI. «Non possiamo incrociare le dita e pregare tutti i giorni che la Bce o qualche investitore straniero ci diano una mano. Varrebbe la pena fare una conta a livello nazionale per cercare di gestire questo debito pubblico direttamente a livello nazionale». Insomma, ci vuole anche un colpo di reni: «Serve un'azione muscolare forte per tamponare questa continua emorragia». Quello a cui punta il governatore leghista è l'avvio di un «ragionamento su base centrale», poiché un'iniziativa di acquisto dei Btp portata a termine «autonomamente non permetterebbe di raggiungere l'obiettivo che ci prefiggiamo». Ecco perché Zaia ribadisce l'urgenza di inserire una simile proposta in un "decreto sviluppo" che i veneti «vogliono, e che attendo di vedere dal governo». Il primo step da mettere in cantiere, potrebbe essere l'analisi della «possibile ricaduta di una sottoscrizione su scala nazionale» dei Btp, effettuando delle proiezioni su diverse percentuali. «È evidente - assicura Zaia - che non deve trattarsi di un prelievo forzoso: la sottoscrizione deve avvenire in totale libertà. Certo, se tutti lo facessero le quote sarebbero infinitesimali».
CONFCOMMERCIO E CONFTURISMO. Ricompriamo il nostro debito pubblico è lo slogan che ha adottato anche Confcommercio Veneto, arrivata ieri nella lista delle adesioni all'iniziativa lanciata venerdì scorso da una pagina a pagamento sul Corriere della Sera dall'imprenditore Giuliano Melani e fatta circolare in Veneto dall'imprenditore leghista "eretico" Bepi Covre. «Serve uno scatto d'orgoglio - ha sottolineato il presidente Massimo Zanon - Finché c'è la capacità di reagire c'è speranza: è questo il segnale che dobbiamo dare, soprattutto ai giovani, noi che siamo abituati a darci da fare più che a chiedere». Confcommercio Veneto, che conta oltre 50mila imprese, ha deciso quindi di raccogliere adesioni anche attraverso i Consorzi Fidi del suo sistema confederale territoriale. L'iniziativa è stata accolta con entusiasmo anche dal presidente di Confturismo Veneto (17mila imprese associate), Marco Michielli che la butta in polemica. «Il Paese c'è, le imprese ci sono, a dispetto della politica - mette in chiaro - Rispondiamo volentieri alla "chiamata" per i Buoni del Tesoro perché riteniamo che, al di là dell'investimento, il gesto abbia una valenza psicologica formidabile». E il presidente di Confcommercio Veneto dirige la palla nel campo della politica: «Noi il segnale lo abbiamo dato, ora ci aspettiamo dalla politica una risposta altrettanto chiara e, nel vero senso del termine, onorevole».
BERLATO: BRAVI GLI IMPRENDITORI. «Ritengo che l'acquisto di Bot da parte di imprenditori italiani e veneti - dichiara anche l'on. Sergio Berlato (Pdl) - sia un'ottima iniziativa che evidenzia come il mondo produttivo voglia fare la sua parte per il risanamento del debito pubblico, dimostrando amore per l'Italia».

Oltrepadania, Trieste. Famiglia, vive da solo quasi un triestino su due
Nuclei monocellulari a quota 47%, molte le donne sole over 75: il dato emerge dal Bilancio sociale del Comune. Emorragia demografica fermata dagli stranieri
di Furio Baldassi
Una città sempre più anziana, divisa tra una batteria di over 65 (la fascia d’età più diffusa) e con un’inquietante e non meno estesa porzione di over 75 che vivono da soli. È la fotografia di Trieste che si evince dal bilancio sociale 2010 del Comune di Trieste, presentato ieri in un’affollata sala rossa della Camera di commercio. Dati estremamente precisi e aggiornati, considerato che il documento, impostato dalla giunta precedente, stavolta è annuale e in particolare, si riferisce al 2010, mentre in precedenza era addirittura triennale. Cifre che, come si è capito dall’introduzione del sindaco Cosolini e dalla lettura più tecnica del documento da parte dell’assessore Consoli, non sono comunque solo negative. Se è vero, infatti, che l’età molto elevata di una parte ragguardevole della popolazione impone servizi all’altezza, come ha ammonito il sindaco, è anche verò che grazie all’immigrazione interna ed estera sembra essersi arrestata l’emorragia demografica, che marca una presenza percentuale degli stranieri cresciuta dal 3,83 per cento del 2000 all’8,74 per cento del dicembre 2010, risultando quasi triplicata in un decennio.
Il bilancio sociale è in pratica il rendiconto offerto dall’amministrazione comunale sulla situazione dei servizi svolti a favore della collettività e delle strategie messe in campo per compiere e raggiungere le azioni prefissate attraverso risorse umane e finanziarie. In tale contesto Consoli ha ricordato alcuni concetti che caratterizzano il documento. Per quanto concerne i nuclei familiari, è stato messo in evidenza che sono il 47% quelli formati da un solo componente, i cosiddetti monocellulari, dato riferito non soltanto ai single ma anche agli anziani, in particolare donne over 75 che vivono sole. Diminuisce invece, rispetto al 2008 e 2009, il numero dei minori e degli adulti stranieri accolti: 26 utenti registrati nel 2010, contro i 44 del 2008 e i 24 del 2009. Mentre gli adulti stranieri rifugiati sono stati 97 nel 2010, contro i 115 del 2008 e 127 del 2009.

Nella stesura del bilancio sociale sono stati considerati - ha ricordato Consoli - cinque diversi ambiti di intervento: welfare locale, ambiente e sicurezza, istruzione e cultura, territorio e azienda Comune, all’interno dei quali sono stati individuati: le strategie politiche, la dimensione economica, le risorse umane impiegate, le opere pubbliche, le strutture e le attività. «Quest’anno – ha concluso Consoli – si è aggiunta un’appendice dedicata alle pari opportunità per mettere in luce le azioni positive realizzate dall’assessorato alle Pari opportunità, dalla relativa Commissione e dai Comitati paritetici pari opportunità e mobbing».
A ricordare infine che il bilancio sociale dà vita a un vero e proprio valore aggiunto ha provveduto la curatrice prof. Mei, che partendo dalla riclassificazione dei dati elaborati dalla contabilità finanziaria per arrivare in pratica al valore economico-sociale prodotto e distribuito, quasi una sorta di Pil aziendale del Comune stesso.

Oltrepadania, Trieste. La Slovenia premia Demetrio Volcic «Ci aiutò con l’Ue»
Il ministro Žbogar affronta anche il problema dei soldi alla minoranza, dopo l’ennesimo pasticcio
di Furio Baldassi
Il più sorpreso, alla fine, sembra proprio lui, Spiazzato da un riconoscimento che, assicura, gli era stato anticipato solo un paio di giorni prima. «Quando me l’hanno detto credevo che scherzassero», ridacchia Demetrio Volcic, già europarlamentare, senatore ma soprattutto corrispondente da Mosca della Rai negli anni della Cortina di ferro, quando da Sesana fino a Vladivostok il regime era praticamente unico, e lui spiegava agli increduli occidentali cosa significava vivere «di là».
Ma l’età porta consiglio, «e attualmente scherzo poco», assicura a chi gli chiede se gli sia scappata qualcuna delle sue famose battute durante la cerimonia che gli è valsa un riconoscimento particolare della Repubblica di Slovenia e le belle parole del ministro degli Esteri Samuel Žbogar. Un omaggio, viene fatto capire, di alta valenza simbolica, perchè cade proprio a vent’anni dalla proclamazione dell’indipendenza da parte della Slovenia e che va a premiare più il politico che il reporter.
Il Volcic , insomma, che si è fatto in quattro a Roma come a Bruxelles per garantire a Lubiana l’attesa entrata nell’Unione europea, facendo affidamento sul suo ricco carnet di conoscenze e su una preparazione di politica estera ineccepibile.
A festeggiarlo, nel consolato sloveno di via San Giorgio, un parterre de roi della minoranza slovena in italia che comprende la senatrice Tamara Blazina , Igor Kocijancic e Igor Gabrovec, Igor Svab derll’Sso e Rudi Pavsic dell’Skgz. Perchè se è vero che la Slovenia ha risolto i suoi problemi con l’Europa, lo è anche che è ben lungi dal risolvere quelli, econonomici, proprio con l’Italia. Žbogar ascolta attento le rivendicazioni di politici e associazioni legate a quel famoso finanziamento alle minoranze che, come Godot, non arriva mai. Nè, con gli attuali chiari di luna nel nostro paese, ha grandi possibilità di venir sbloccato a breve. Volcic insomma, suo malgrado, finisce per fare anche l’indiretto testimonial del malcontento, sia pure tra un brindisi e l’altro.
Il discorso è abbastanza chiaro: ai conti della minoranza slovena mancano tuttora due milioni e mezzo di euro. Bloccati a Roma nei meandri di una burocrazia pasticciona, per non dire fantozziana che ha sbagliato per due volte l’inserimento del provvedimento in finanziaria (ne riferiamo qui sopra). Non è servita neanche la visita a Roma dello stesso presidente sloveno Turk, viene fatto presente alla delegazione, perchè nonostante le tante assicurazioni del governo Berlusconi pare che gli uffici abbiano sbagliato di nuovo e che, con l’esecutivo quasi alla vigilia dell’ultimo valzer, bisognerà aspettare parecchio per uscire dal cul de sac burocratico, forse un altro anno almeno. Ma la festa è comunque per Volcic, italiano di etnia slovena, anche se dei 5 milioni e 300mila euro aspettati e garantiti ne sono arrivati solamente due milioni e 800mila.
Parlare di soldi, di questi tempi , è quasi inutile. Spazio alle onorificenze, allora.

L'Italia non dovrebbe stare in un sistema monetario fatto dalla Germania
di Ambrose Evans-Pritchard
9 Novembre 2011
Non più tardi di venerdì scorso, il rendimento di un bond italiano a 10 anni rispetto a un Bund tedesco ha toccato il picco di 458 punti base sancendo il record dall’istituzione dell’Emu - l’Unione monetaria europea (ndt. l'altro ieri è stato raggiunto il record di 490 punti base). Un punto di non ritorno in prossimità del quale le vendite non si fermano più e la situazione sfugge di mano.
La Banca centrale europea ha fino ad ora giocato a prendere tempo, mantenendo posizioni di seconda linea: da una parte forse ha raggiunto i limiti di accumulo con 80 mld. di euro in debito italiano; dall’altra forse aspetta ad acquistare nella speranza di far cadere il governo Berlusconi – se così fosse sarebbe davvero un gioco dannoso.
Le mani della Banca centrale europea sono ovviamente legate. Il veto della Germania e gli impedimenti che discendono dai trattati europei ne bloccano un intervento maggiore e vigoroso come prestatore di ultima istanza. In più la banca centrale è essa stessa a rischio di sovra-estensione nell’acquisto dei titoli, senza un tesoro dell’Ue e una singola entità sovrana a sostenerla.
Questa mancanza di un garante che assicuri l’acquisto di quei titoli andati invenduti, è una falla imperdonabile nella struttura istituzionale dell’Unione monetaria europea. Come ha spiegato in suo paper Brad DeLong, professore a Berkeley, tale “assoluta mancanza di riguardo rispetto alla stabilità finanziaria - e ancor meno per il welfare dei lavoratori e per le imprese che fanno l’economia – è un radicale allontanamento dalla tradizione della banca centrale”.
La Banca d’Inghilterra fu costretta ad alleggerirsi da tali idiozie reazionarie nel 1825 in seguito all’esplosione della bolla del canale. Intervenne in violazione del proprio stesso mandato, sommersa da urla di protesta dai sostenitori della moneta forte, i quali mettevano in guardia dal “millennio degli spacciatori di carta moneta”. Ne è seguito un secolo di gentile deflazione.

Mario Draghi ha seguito ubbidientemente la linea della Germania al suo debutto da capo della Bce la scorsa settimana – a dispetto forse da quel che questo studente di Robert Sollow al MIT di Boston pensi veramente – affermando che l’acquisto di titoli di debito sia giustificato solo se assunti “temporaneamente”, per “ammontari limitati”, e se compiuto per restituire al sistema una “trasmissione monetaria”. Sarebbe “inutile” per la Bce tentare di portare giù i tassi di rendimenti per un qualsiasi periodo di tempo.

Potrebbe difficilmente dire altrimenti, specialmente da italiano che cerca di sedurre un pletora di critiche da parte tedesca. I politici in Germani hanno giorni addietro deciso che la Bce deve recedere dal continuare l’acquisto di titoli di debito come condizione perché il Bundestag approvasse il piano di capitalizzazione del fondo di stabilizzazione europeo, l’Efsf.

Nonostante la sua istituzione, la macchina fiscale europea rimane una mera finzione, e l’Efsf solo un’entità disegnata per Grecia, Irlanda e Portogallo, messo terribilmente sotto stress da una serie di artifici per sostenere (alla buona) l’intero edificio della Unione monetaria europea.

Il mercato ha già emesso il suo verdetto sulla terza versione da 1 trilione di euro del Efsf -  quello che avrebbe dovuto essere l’assicuratore ‘first - loss’ sui titoli italiani e spagnoli - vedendo in esso uno schema che concentra rischi letali sugli Stati creditori – spacciando chiaramente la tripla AAA della Francia - e destinato probabilmente a contaminare il resto del centro molto velocemente.

Lo spread sui titoli emessi dal Efsf è già triplicato, attestandosi a 151 punti base oltre i titoli di debito tedesco, lasciando il Giappone e gli altri acquirenti della prima ora in odor di perdite. Il fondo di stabilizzazione europea ha già subito un’asta a vuoto la scorsa settimana, con un taglio sull’emissione da 5 mld. a 3 mld. di euro.
Gary Jenkins di 'Evolution Securities' ha dichiarato che lo “spaventevole” sviluppo delle cose è che l’Efsf è stato di fatto messo alla porta dai mercati di capitale. “Se la situazione continua ad andare in questa direzione, allora lo stesso fondo di salvataggio avrà bisogno di un salvataggio”, ha aggiunto Jenkins.
Il tentativo europeo di allargare la rete di credito andando a prendere denaro nelle riserve mondiali degli Stati (ndt. il Fondo monetario internazionale) ha suscitato l’irritazione di quasi tutti a Cannes, e una sferzante  presidente del Brasile, Dilma Rousseff, non ha risparmiato le sue critiche: “Non ho la minima intenzione di contribuire direttamente allo Efsf; se non lo fanno loro, perché dovrei farlo io?”.
L’Europa sta tirando fuori dal cilindro queste pagliacciate perché i suoi Stati più ricchi – in primis la Germania – ancora rifiutano di fare i conti con le devastanti implicazioni di cui è portatrice una moneta che loro stessi hanno creato, e che ha generato danni a perdita d'occhio visto che ha permesso il dilagare di denaro a basso costo verso quella metà vulnerabile dell’unione monetaria.
Si può discutere sui dettagli, ma la formula necessaria per  salvare l’Emu, ha a che vedere con una qualche forma di eurobond, debt-pooling (ndt. una sorta di accordo informale tra debitore e creditore per un abbattimento sui rendimenti dei titoli di debito), trasferimenti fiscali, e chiaramente la rivoluzione costituzionale che ne discenderebbe. Questo almeno farebbe guadagnare un po’ di tempo, benché sia difficile pensare che anche un’unione fiscale possa ridurre il divario Nord–Sud in Europa.
I tribolamenti dell’Italia hanno poco a che fare con il dramma della Grecia. Non si tratta di contagio, qualsiasi cosa ciò possa voler dire. L’Italia è d’un tratto sotto attacco dei mercarti per la semplice ragione che la sua economia sta facendo rotta verso una dura recessione, prevedibile risultato delle politiche di contrazione fiscale e monetaria da anni ’30 del secolo scorso, messe in campo dall’Unione Europea.
Le implicazioni delle doppia–recessione dell’Italia sono orribili, già alle prese con una caduta del 40% in competitività della propria manodopera rispetto a quella della Germania e a un collasso del 70% in investimenti diretti esteri dal 2007 a oggi.
Un rapporto recentemente stilato da REF Ricerche mette in guardia sul futuro dell’economia italiana, sottolineando come l’Italia rimarrà intrappolata in una recessione per tutto il 2012, finanche per tutto il 2013. Questa ricaduta economica sta già provocando un abbassamento del gettito fiscale, e non certo una mancanza di rigore nei conti pubblici. “Quel che sta trascinando sul fondo la credibilità dei conti pubblici italiani nel medio periodo è la mancanza di prospettive di crescita”, si dice nel rapporto REF.
Ciononostante il tandem Merkel e Sarkozy continua a chiedere all’Italia d’intraprendere ulteriori misure stringenti in materia fiscale mentre lo stivale accelera la sua entrata in una nuova recessione, anche se è uno dei pochi paesi dell’OECD con un avanzo primario e benché il suo debito nella sua combinazione privato-pubblico, sia solo del 250% del Pil – ben sotto quello di Olanda, Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone. Ciò a dimostrazione di come la politica dell’Unione Europea sia diventata assolutamente demente.
Il sig. Berlusconi ha fatto sorridere a Cannes quando si è fatto sfuggire che “i ristoranti sono ancora pieni”. Di un'altra sua dichiarazione però si è dato minor conto, ovvero di quella con la quale il premier italiano ha commentato il fatto che il tasso di cambio del suo paese dentro l’Emu sia mal allineato e che ciò sia stato “paralizzante per l’Italia”.
Questo è un punto fondamentale. L’Italia sta nella moneta sbagliata. Non dovrebbe affatto trovarsi nell’unione monetaria della Germania.
La crisi dell’Italia si farà più acuta per della ragioni fondamentali che vanno al di là dal tardo impero in disintegrazione del sig. Berlusconi. E’ difficile immaginare che una missione di polizia della Ue – sotto le mentite spoglie del Fondo monetario internazionale – possa raggiungere qualche risultato positivo a Roma, salvo quello di suscitare un’ondata di fervore patriottico da parte italiana.
Il ministro per la semplificazione normativa, Roberto Calderoli (Lega Nord) ha dato la misura di dove questa incauta euro-intromissione porterà in ultima istanza, quando gli è stata posta la domanda “se valesse ancora la candela” restare nell’Unione Europea: “Il trattato di Lisbona ha un sacco di aspetti negativi ma uno positivo: si può uscire dall’Europa”.
Tratto dal quotidiano britannico The Telegraph

Grecia, salta nella notte l'accordo per Luca Papademos premier
Trattative ad oltranza, spuntano altri nomi. No dei conservatori a mettere per iscritto gli impegni con la Ue
MILANO - È di nuovo in salita la strada Lucas Papademos per il governo di Atene. Quello dell'economista ed ex vicepresidente della Bce resta il nome più quotato per guidare l'esecutivo di unità nazionale, ma i negoziati tra socialisti e conservatori hanno subito a sorpresa una brusca battuta d'arresto nella notte. Tanto che si starebbe guardando ad altre opzioni, secondo quanto scrivono le agenziae di stampa citando fonti di entrambi gli schieramenti I media greci hanno fatto i nomi del presidente del parlamento Filippos Petsalnikos e del parlamentare del Pasok Apostolos Kaklamanis, ma entrambi hanno smentito.
GLI IMPEGNI CON BRUXELLES - La destra starebbe tentando di evitare di impegnarsi per iscritto con Bruxelles sulle misure di austerity richieste per salvare il paese dal fallimento. Secondo la Bbc online, il nuovo governo dovrebbe comunque annunciato mercoledì
Paola Pica
09 novembre 2011 08:13

Il rischio-Italia e quella fuga delle banche straniere
L'estate appena trascorsa è stata la stagione della fuga dall'Italia. Come stupirsene con gli spread sui BTp a inanellare ogni giorno nuovi record storici? Si aggiunga l'effetto B., quella sensazione di paralisi del Governo Berlusconi incapace di dare risposte convincenti alla crisi e la conclusione non poteva che essere «Via dal rischio Italia». Lo slogan, magari grossolano ma efficace, ha visto in prima linea le grandi banche straniere. La prova? È nei conti del terzo trimestre appena divulgati da alcuni dei big internazionali. La britannica Royal Bank of Scotland ha ridotto l'esposizione sui titoli italiani da 2,78 miliardi di sterline che ancora erano in pancia alla banca a fine giugno a soli 294 milioni di fine settembre. Un taglio drastico di quasi il 90% che equivale di fatto a un azzeramento del rischio-Italia. In proporzione il peso della Grecia (quella sì a rischio default) resta più alto con un'esposizione per 705 milioni che perdura tuttora. Anche la francese SocGen non è stata a guardare. L'esposizione netta sull'Italia era di 5 miliardi ancora a fine giugno. Tre mesi dopo eccola dimezzata a quota 2,5 miliardi. Un altro esempio della poca affezione per l'Italia? Eccolo. La banca elvetica Ubs aveva un'esposizione netta sul nostro paese per 3,85 miliardi di franchi svizzeri a giugno 2011. A settembre è scesa di un miliardo, fermandosi a 2,8. Il paradosso è che è cresciuta la quota sui BTp, ma si è dimezzata quella sulle banche italiane portando il risultato finale più basso di un miliardo di franchi svizzeri. L'effetto fuga si è visto eccome: sia sulle quotazioni dei BTp che sui corsi azionari delle banche.
 9 novembre 2011

Svizzera. Siamo sempre al penultimo atto
di Erminio Ferrari - 11/09/2011
Non si è dimesso, si dimetterà. Ieri, il voto della Camera sul rendiconto 2010 ha certificato (308 sì, 321 non votanti) che Silvio Berlusconi non dispone più della maggioranza parlamentare.
Salito poi a colloquio con il presidente della Repubblica, il capo del Governo ne è uscito assicurando che prima chiederà al Parlamento di votare la Legge di stabilità contenente gli impegni assunti con l’Unione europea e subito dopo si dimetterà.
Di qui a considerare Berlusconi ormai fuori dai giochi, ce ne corre. Certo, l’ammissione di non disporre più di una maggioranza è da parte sua un esercizio di realismo a cui non si era abituati. Ma l’apparente disponibilità ad accogliere l’invito di Napolitano a onorare gli impegni presi con l’Europa, prima, e poi a pagare il debito contratto con il Paese, induce anche a pensare che Berlusconi ritenga di avere ancora diverse opportunità per volgere a proprio favore l’ennesima tempesta. Se ultimo atto deve essere, la parte del protagonista deve restare sua.
E l’esito della giornata pare infatti essere stato questo. Berlusconi si dimetterà, ma solo per essere libero di disputare allo stesso Napolitano le decisioni su che cosa avverrà dopo.
Non che il presidente sia così ingenuo. Ha sì concesso a Berlusconi di restare al suo posto sulla sola parola, ma garantendosi sulle prerogative che la Costituzione gli assegna (e che in circostanze come queste sono di natura specialmente politica piuttosto che istituzionale). Il comunicato emesso dal Quirinale al termine dell’incontro è esemplare, al riguardo: dopo l’approvazione della Legge di stabilità, “il presidente del Consiglio rimetterà il suo mandato al capo dello Stato, che procederà alle consultazioni di rito dando la massima attenzione alle posizioni e proposte di ogni forza politica, di quelle della maggioranza risultata dalle elezioni del 2008 come di quelle di opposizione”. Il che tiene la partita aperta.

Ancora a fine giornata, Berlusconi ha convocato i leader della maggioranza per informarli, se mai avessero dubbi, che dopo essersi dimesso chiederà le elezioni anticipate. Richiesta che metterebbe Pdl e Lega d’accordo (benché Bossi, per tirare là, sarebbe disposto anche a sostituire il milanese Berlusconi con ilterroneAlfano), ma che, notoriamente, è il contrario di quella dell’Udc e del Partito democratico che insistono sulla necessità di un governo tecnico (l’ormai celebre quanto fantomatico “governo Monti”) che traghetti la legislatura al prossimo voto provvedendo almeno alla riforma della legge elettorale. E va da sé che su questa opposizione la sobrietà dei toni uditi ieri sera si trasformerà in bagarre.
Non solo per l’oggettiva incompatibilità delle prospettive, ma soprattutto perché la giornata di ieri non sarà trascorsa senza lasciare tracce. Basterebbe aver visto l’espressione di Berlusconi al momento dello scrutinio che rivelava senza finzioni che la sua vantata maggioranza non esisteva più. Lo sgomento e il dispetto dell’uomo con l’ego più esteso d’Italia vi erano rappresentati come meglio non si sarebbe potuto.
Qualcuno, con eccesso di ottimismo, ha parlato di fine d’un’epoca. No. Per ora (per sempre?) siamo solo al penultimo atto. Ma è vero che quella di ieri è stata più di una sconfitta numerica per Berlusconi (la cui maggioranza, peraltro, era stata assicurata da una schiera di peones prezzolati, o voltamarsina, o Scilipoti-boys che li si voglia chiamare). Pur calcolatore, capace illusionista e dotato di istinti ferini notevoli che ne hanno fatto la fortuna, un Berlusconi così smarrito non lo si era ancora visto.
Chi lo conosce avverte che già da oggi si sarà ripreso. Ma le cicatrici restano ed è probabile che attorno a un trono vacillante le dispute fra i consiglieri della corona si faranno aspre. La prudenza curiale di un Letta si scontrerà con il vitalismo garrulo di un Giuliano Ferrara. Anche dalla scelta tra l’uno e l’altro dipenderanno i prossimi passi di Berlusconi.
Proprio ieri, Ferrara esortava Berlusconi (o esaltava la propensione di Berlusconi, non si capisce mai bene chi dei due suggerisce e chi ascolta) a “cercare la bella morte”. Che è poi ciò a cui si erano votati i giovanissimi miliziani fascisti della cadente repubblica di Salò. Ferrara non è uno che usa le parole a caso. Il suo è parso un programma della fine grottesca e disperata di un regime.
Se sarà così, le dimissioni annunciate ieri saranno il prologo di giorni dannati.

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