martedì 27 dicembre 2011

Destini separati per l'euro e la nuova Ue

di J.H.H. Weiler, Professore alla New York University Law School



L'Europa è in preda a un altro contagio. Nel suo primo discorso da presidente del consiglio incaricato, al Senato, Mario Monti ha ammonito che «la fine dell'euro disgregherebbe il mercato unico, le sue regole, le sue istituzioni. Ci riporterebbe là dove l'Europa era negli anni 50». Le stesse tattiche terroristiche - se fallisce l'euro, fallisce tutta l'Europa - sono state usate dai maggiori leader europei, da Barroso e Van Rompuy ai gemelli Merkozy. Questa tesi, ovviamente, è tutt'altro che scontata.
Il mercato unico, il successo economico più straordinario e longevo dell'Europa, include Paesi che adottano l'euro e Paesi che adottano una loro valuta nazionale. Dieci dei ventisette Stati membri hanno una moneta diversa dall'euro, che in alcuni casi non è nemmeno ancorata all'euro.
È indubbio che i tassi di cambio fissi facilitano il funzionamento del mercato, ed è indubbio anche che una spaccatura dell'euro creerebbe problemi a non finire. Ma a meno di non volerlo trasformare in un desiderio che si autorealizza, l'esistenza del mercato unico, e ancora di più della Ue, non è mai stata vincolata alla valuta unica.
 Perché allora qualcuno mette in giro questa tesi? Collegare il destino dell'euro all'esistenza stessa dell'Unione è uno strumento efficacissimo per annichilire gli avversari e l'opinione pubblica in generale. Volete che il Bundestag sostenga le misure per il salvataggio dell'euro? Allora andate a raccontare ai parlamentari tedeschi che è in gioco l'esistenza stessa dell'Unione! Quale politico tedesco vorrebbe prendersi la responsabilità di aver affossato l'Unione? Le marce indietro della Merkel si possono leggere allo stesso modo.
 Ci sono tutte le ragioni del mondo per salvare l'euro, ma collegare il suo destino all'esistenza stessa della Ue è una tattica sconsiderata, un patto faustiano estremamente dannoso e che tornerà a perseguitarci in futuro, che l'euro si salvi o meno.
 Uno dei grandi successi degli ultimi decenni in tutti gli Stati membri tranne uno (il Regno Unito) è stato quello di tramutare l'integrazione europea da qualcosa che l'Europa fa a qualcosa che l'Europa è: da progetto politico specifico a quadro generale entro cui si discutono e si confrontano progetti politici specifici. Si discute della forma dell'Europa e del suo futuro, non della sua esistenza. E l'idea di abbandonare l'Europa (o, ancora più assurdo, di esserne cacciati) equivarrebbe a uno smembramento dello Stato. Ora tutto questo è cambiato. Con le loro parole i custodi stessi dell'ideale europeo hanno messo in forse queste percezioni coltivate nel corso di anni. Hanno inferto un colpo micidiale a un bene che non è misurabile in euro e in centesimi, e hanno risospinto l'Unione nella visione concettuale dell'Europa imperante in Gran Bretagna, quella del «che ci guadagno?».
 A livello europeo la crisi viene usata, con un certo cinismo, per far progredire l'integrazione. Per ottenere quello che la normale politica di integrazione europea non riesce a ottenere. L'unione monetaria non è mai stata troppo amata dai cittadini. L'unione delle politiche di spesa e di bilancio lo è ancora meno. Che legittimità può avere un'Europa che non si basa sulla convinzione e sull'idealismo, ma sulla paura e su pressioni del genere «non c'è altra scelta"?
 A un livello ancora più profondo, il "no-euro-no-Europa" vanifica un altro processo di lungo periodo, che era riuscito a rimodellare l'Europa trasformandola da un costrutto politico legato principalmente alla sfera materiale ed economica a una concezione più ampia che affonda la sue radici nell'ambito umano e culturale. Questa visione più ampia, che proprio in un momento di crisi economica avrebbe dovuto tornare utile, ha sofferto anch'essa per una serie di autogol. La tesi fondata sulla solidarietà sociale dell'Europa e su un più generale sostrato idealistico è stata rimpiazzata da un argomento utilitaristico in cui salvare l'euro e l'Unione risponde a interessi nazionali egoistici.
 Intendiamoci: una spaccatura dell'euro, qualora dovesse avvenire, sarebbe drammatica e getterebbe tante persone sul lastrico; questo lo ammettono sia coloro che considerano questo esito come inevitabile sia coloro che lo considerano auspicabile. Ma se dovesse succedere, ci sarebbe bisogno di una Ue più forte che mai e ben preparata. E invece, uomini politici che pensano solo ai loro interessi politici di corto respiro e se ne infischiano degli interessi di fondo dell'Europa con le loro dichiarazioni sconsiderate infliggono danni enormi, visibili e invisibili.

Nessun commento: