domenica 11 dicembre 2011

Federali_mattino_11.12.11. Non mi sei mai piaciuto, Kekko. Per quel che io so — spiega il Capo dello Stato — tra non molti giorni ci saranno iniziative che metteranno a fuoco gli intendimenti del governo e delle Regioni del Mezzogiorno sulle prospettive di impiego dei fondi europei di sviluppo per il Mezzogiorno.----Trieste, oltrepadania, Riccardo Coretti: Sembravano ormai persi e invece ecco riemergere i 32 milioni di euro per la piattaforma logistica che il governo Berlusconi aveva promesso mille volte ma che il Cipe non aveva poi mai stanziato. La presa in giro finalmente è finita.----Torino, padania, Gaetano Farina: Gli amministratori attuali e quelli che hanno promosso e gestito l’evento possono controbattere che è ancora presto per stilare un bilancio finale. Eppure, l’accumulazione di debiti sempre più onerosi non può lasciare indifferente la cittadinanza, specialmente le nuove generazioni che, insieme a figli, nipoti e pronipoti, saranno costretti ad accollarseli.----Il nuovo ttrattato europeo - scrive il FT - probabilmente non è sufficiente a superare il Natale. In particolare il giornale punta il dito sull'impossibilità per la Bce di agire in qualità di prestatore di ultima istanza per aiutare i governi europei.

Matera, scrive «ti amo» sui Sassi: rischia multa
Caos trasporti in Sicilia: tagli da 400 milioni
Napolitano e i fondi europei: «Il Governo ascolterà il Sud»
Trieste, oltrepadania. Passera: pronti i 32 milioni per la piattaforma logistica
Torino, padania. Torino stritolata da debiti e cemento
Veneto, padania. Sconti alle tasse per gli alluvionati, agevolazioni solo per i ritardatari
Milano, padania. Capitali e famiglie in fuga
I dissidenti accomunati dal no all'euro dal nostro inviato Vittorio Da Rold
Financial Times: rischio di nuovi attacchi al debito prima di Natale



Matera, scrive «ti amo» sui Sassi: rischia multa
MATERA - Non è andata a scuola e, in compagnia di due amiche, armata di una bomboletta di vernice spray, ha scritto «Ti amo Kekko», non sulla sabbia, ma sul muro di uno tra gli angoli più suggestivi del Sasso Barisano, vico Santa Cersarea. Un residente ha notato la scena e ha allertato i carabinieri. I militari dell’Arma hanno identificato e denunciato l’autrice del solito stupido graffito, avvertendola che avrebbe fatto seguito una multa. In questi casi, oscilla tra mille e duemila euro.
In tutta questa parte degli antichi rioni di tufo è in corso da anni una feroce guerra mai dichiarata che si combatte a furia di scritte e di nuove tinteggiature, da parte di chi abita e, nelle aree pubbliche, a carico dell’ente locale. Stavolta, l’anonimo di turno, anzi l’anonima, è stata colta sul fatto. Non ha potuto negare. Ha comunque chiesto aiuto ai suoi genitori. Infuriati con lei e mortificati con il proprietario dell’abitazione imbrattata hanno chiesto scusa. L’interessato ha compreso di avere di fronte gente che non naviga nell’oro. Insomma, ha ritirato la denuncia, ha ringraziato i solerti vicini e ora spera che l’episodio serva almeno d’esempio. Ancora una volta, ripulirà a spese sue.

Caos trasporti in Sicilia: tagli da 400 milioni
Nuova emergenza per la Regione, messa nero su bianco dall'assessore all'Economia Armao. Impossibile finanziare il settore per via della manovra Monti e dei tetti imposti dal patto di stabilità
di GIACINTO PIPITONE
PALERMO. C’è una nuova emergenza finanziaria per la Regione. Messa nero su bianco dall’assessore all’Economia Gaetano Armao in una relazione consegnata ieri al Parlamento nazionale. La Sicilia non riuscirà quest’anno a finanziare il trasporto pubblico locale, che costa 400 milioni, per via dei tagli della manovra Monti e dei tetti imposti dal patto di stabilità.
Armao ha rilevato in audizione alla commissione Bilancio della Camera che «le Regioni a Statuto speciale devono poter beneficiare, così come accade per le Regioni a statuto ordinario, di un’aliquota di compartecipazione al gettito delle accise per il finanziamento del trasporto pubblico locale, ferroviario e marittimo». In subordine Armao ha chiesto «che le spese relative vengano escluse dal patto di stabilità». Partita complessa, quella del trasporto pubblico locale: i tagli imposti alle Regioni a statuto speciale obbligano già la Regione a trovare altri 400 milioni che si sommano al miliardo tagliato da Tremonti in estate. In più c’è ancora da reperire quella quota di 650 milioni per completare il budget della sanità. È impossibile che la Regione trovi i soldi per il trasporto pubblico locale, che rischia il ridimensionamento.
Armao però ha sottolineato che per coprire il budget in questo settore nelle Regioni a statuto ordinario «la manovra prevede di attingere alle maggiori entrate frutto della manovra stessa». Significa che «le tasse introdotte in Sicilia dalla manovra servirebbero a coprire la spesa delle altre Regioni per il trasporto pubblico locale senza che ciò valga al contrario».
Armao ha chiesto al Parlamento di accelerare l’emissione del decreto con cui si dà attuazione al federalismo fiscale in Sicilia. Senza questa norma non arriveranno i finanziamenti aggiuntivi e non si potrà neppure introdurre nuove imposte previste dalla manovra, come l’Imu cioè la nuova Ici che dovrebbe finanziare i Comuni. L’assessore non ha escluso che «si possa arrivare a un nuovo scontro con lo Stato per avere questo decreto». Dopo il plauso iniziale, sarebbe quindi un ritorno a un clima di ostilità che già caratterizzava i rapporti fra Lombardo e il governo Berlusconi. Il governatore ieri ha puntato il dito contro la norma che aumenta il costo della benzina malgrado in Sicilia avvenga la maggior parte della produzione: «È un tema che poniamo sempre a Roma. Ma il problema è la forza politica che la protesta ha alle spalle. Fino a quando i siciliani si affideranno a partiti nazionali che penalizzano il Sud, non possiamo lamentarci».

Napolitano e i fondi europei: «Il Governo ascolterà il Sud»
Il governatore Stefano Caldoro, il sindaco e Vendola hanno espresso preoccupazioni in merito ai tagli
NAPOLI — Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ritorna a Napoli per un altro appuntamento per il 150 anno dell'unità d'Italia. Questa volta è un convegno organizzato dalla Società nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Napoli e dall'accademia dei Lincei. E torna da re Giorgio, come lo ha incoronato il New York Times qualche giorno fa. La folla di studenti in via Mezzocannone lo acclama. Ci sono anche i Bros e i lavoratori delle cooperative sociali che gli urlano: «Presidente, il lavoro, il lavoro, siamo disoccupati».
La manovra Monti e il Sud per ora sembrano essere due temi inconciliabili. «Per quel che io so — spiega il Capo dello Stato — tra non molti giorni ci saranno iniziative che metteranno a fuoco gli intendimenti del governo e delle Regioni del Mezzogiorno sulle prospettive di impiego dei fondi europei di sviluppo per il Mezzogiorno». Ecco una delle questioni aperte, affrontate nell'incontro privato tenuto ieri in prefettura con il governatore Stefano Caldoro e il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, alla presenza anche del prefetto Andrea Di Martino. E nel pomeriggio con i vertici sindacali di Cgil, Cisl, Uil e Ugl. A conclusione della giornata Napolitano invita al dialogo governo, istituzioni locali e forze sociali per risolvere i problemi di Napoli e della Campania. «Ho trovato grande senso di consapevolezza e responsabilità tra i dirigenti sindacali. L'importante è guardare avanti, al di là dell'esito che avrà in Parlamento il confronto sul decreto, un provvedimento che è solo il primo passo del nuovo governo. È importante che tra i successivi passi ci sia anche l'apertura, come chiedono presidente della Regione e sindaco, di un dialogo, diciamo di un flusso di rapporti, tra nuovo governo, istituzioni rappresentative e forze sociali di Napoli». E ripete: «Ci saranno in brevissimo tempo iniziative sul governo con il coinvolgimento delle regioni meridionali che sono ancora nel cosiddetto Obiettivo 1, cioè hanno titolo all'uso dei fondi strutturali». Il Capo dello Stato si riferisce all'incontro in programma oggi con i ministri Corrado Passera e Fabrizio Barca. Le regioni meridionali, infatti, hanno un contenzioso aperto col nuovo esecutivo e promettono battaglia. Il problema aperto riguarda la parte di cofinanziamento statale delle risorse europee, pari al 35 per cento e che, in termini assoluti, si aggira intorno ai 9 miliardi di euro. Il governo Monti vorrebbe ridurre questa percentuale di molto per stornare i fondi in favore di opere di interesse nazionale, come per esempio l'Alta capacità e la Salerno-Reggio Calabria, che, però, non saranno pronte prima di quindici anni.
Ovviamente questa ipotesi è osteggiata dalle regioni meridionali, Campania e Puglia in particolare: «Per noi — spiega Caldoro — è prioritario continuare ad avere cantieri aperti e portare avanti i nostri grandi progetti. Dalla depurazione, alla Mostra d'Oltremare, al porto, al centro storico. Perdere queste risorse significa abbandonare quelle che per noi sono priorità e soprattutto frenare lo sviluppo territoriale in un momento di crisi. Credo che Vendola abbia ragione quando dice che sta prevaricando il grande sistema nazionale (Fs-Anas) a danno di quelli regionali». Il presidente della Repubblica è un interlocutore molto attento del Mezzogiorno ed ha ascoltato le ragioni di sindaco e governatore. «La prima questione è il lavoro e glielo abbiamo detto entrambi», dice ancora Caldoro. «Ho portato al presidente il grido d'allarme sul mondo del lavoro per le misure in atto e annunciate dal governo che rischiano di mettere in ginocchio la città», spiega de Magistris, «visto che non ho ricevuto nemmeno una telefonata dal nuovo governo». La richiesta del sindaco è di aprire subito «un tavolo tecnico con il governo per Napoli, che non può essere sempre ignorata. Ho motivo di ritenere che Napolitano diventi il più autorevole portavoce delle istanze del Sud. Non c'è più tempo. Abbiamo dimostrato umiltà istituzionale rispetto a città come Palermo, Catania, Milano e Roma che hanno ricevuto ingenti risorse. Ma la nostra umiltà non deve passare per mancanza di preoccupazione. Se non si interviene sul lavoro diventa un tema esplosivo. Non so più che farmene delle promesse. Non c'è più tempo».
Simona Brandolini

Trieste, oltrepadania. Passera: pronti i 32 milioni per la piattaforma logistica
Il nuovo ministro delle Infrastrutture ha inserito il finanziamento per l’opera per il porto di Trieste nella prossima lista che passerà al vaglio del Cipe
 di Riccardo Coretti
 Sembravano ormai persi e invece ecco riemergere i 32 milioni di euro per la piattaforma logistica che il governo Berlusconi aveva promesso mille volte ma che il Cipe non aveva poi mai stanziato. La presa in giro finalmente è finita. L’ex presidente del porto Claudio Boniciolli li aveva chiesti per anni invano. L’annuncio che il Governo finanzierà la piattaforma logistica, così strategicamente importante per il rilancio del Porto di Trieste, lo ha dato il ministro delle Infrastrutture, Corrado Passera, nel corso dell’audizione di ieri in commissione, alla Camera. Un’ulteriore conferma arriva dal deputato triestino del Pd, Ettore Rosato. «Il finanziamento da 32 milioni di euro per l’opera - ha aggiunto Passera - sarà approvato dal Cipe entro 15 giorni».
 Per l’opera, l’Autorità portuale di Trieste ha pubblicato un bando, che - dopo alcune proroghe - scade a fine mese e ha riscontrato l’interesse di svariati investitori privati. Il valore stimato dell’investimento è di 132 milioni 432 mila euro, di cui 102 milioni 432 mila da contributi pubblici e 30 milioni a carico dell’aggiudicatario, che potrà contare su una concessione della durata massima di 30 anni dalla conclusione dei lavori. Come detto, le risorse da parte del Cipe sono attese da anni, ed erano state ripetutamente annunciate dall’ex ministro, Altero Matteoli. Il progetto della piattaforma logistica recupera all’utilizzo portuale una superficie complessiva di 250 mila metri quadrati, dei quali 140 mila ricavati da aree attualmente occupate dal mare e prevede la realizzazione di una piattaforma che include nuovi raccordi ferroviari e stradali, la costruzione di gru da banchina e un nuovo attracco per navi Ro-Ro.
 Il nuovo ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Corrado Passera, ha redatto una lista per sfoltire una serie di finanziamenti già erogati e concentrare le risorse su determinati capitoli di spesa per progetti che potrebbero diventare cantiere in tempi brevi. Sembra, quindi, che i 30 milioni della piattaforma logistica per il porto siano tra le priorità del nuovo governo a guida Mario Monti. Non a caso la presidente Marina Monassi non c’era al Logitrans di Istanbul, fiera della logistica dove Authority e Camera di commercio stanno promuovendo il sistema portuale triestino. È infatti a Roma per seguire da vicino le sorti dei possibili finanziamenti per la piattaforma logistica.
 Lo ha confermato il presidente della Camera di commercio di Trieste, Antonio Paoletti (il cui ente cura il marketing all’Authority), durante la premiazione del ceo di Un Ro-Ro. «La presidente Monassi non ha potuto presenziare a questo importante appuntamento perché impegnata a Roma – ha detto Paoletti – su quella che per il porto di Trieste è una partita decisiva». Dopo alcune promesse di impegno, nelle scorse settimane il Gruppo Gavio si era tirato indietro dicendosi non più interessato all'operazione, così come aveva fatto Enrico Samer.

Torino, padania. Torino stritolata da debiti e cemento
Venerdì, 9 dicembre 2011 - 18:50:26
Di Gaetano Farina
Ai torinesi le Olimpiadi Invernali del 2006 sono state vendute come un’opportunità irrinunciabile per la rigenerazione del tessuto sociale ed economico. A cinque anni da quell’evento, però, Torino si ritrova comune più indebitato d’Italia: i piani di “riqualificazione” e le strutture olimpiche sono state pagati solo in parte da Stato e privati; non sapendo come riutilizzarle, la maggior parte delle nuove strutture destinate alle discipline sportive (specialmente i siti e gli alberghi di montagna) sono rimaste un “costo” tanto che per alcune si ipotizza già lo smantellamento; troppi locali, in primis il “villaggio degli atleti” che sta letteralmente cadendo a pezzi, sono rimasti inutilizzati, mentre centinaia di costosissimi “addobbi” olimpici sono divorati dalla ruggine nei magazzini comunali.
 Solo qualche giorno fa, il programma Striscia La Notizia ha denunciato il triste stato di abbandono dei trampolini di Pragelato costruiti disboscando mezza montagna ma con l’obiettivo di proseguire nel tempo l’attività agonistica, creare un vivaio di atleti dell’arco alpino occidentale ed affittarli alle squadre internazionali. Già il presidente della FISI Pietro Marocco aveva gridato allo scandalo “per il totale inutilizzo di questi impianti anche nella stagione agonistica”.
 Gli amministratori attuali e quelli che hanno promosso e gestito l’evento possono controbattere che è ancora presto per stilare un bilancio finale. Eppure, l’accumulazione di debiti sempre più onerosi non può lasciare indifferente la cittadinanza, specialmente le nuove generazioni che, insieme a figli, nipoti e pronipoti, saranno costretti ad accollarseli.
 Nel frattempo, l’amministrazione comunale prova a far cassa vendendo ai privati immobili di prestigio e, soprattutto, fette di territorio potenzialmente edificabile tanto che, nei prossimi vent’anni, la popolazione sarà travolta da una valanga di cemento…
 La Costituzione italiana, all’articolo 9, pone tra i Principi fondamentali come compito della Repubblica, la “tutela del paesaggio e del patrimonio artistico della nazione”. Le nostre città hanno conservato contesti storico-artistici ed ambientali preziosi, paesaggi incomparabili, opportunità uniche per affermare un’alta qualità della vita, che, tuttavia, rischiano di perdere valore per colpa dell’espansione edilizia incontrollata, oltre che dell’invasione del traffico automobilistico.
 Uno dei “migliori” esempi di questi rischi è proprio Torino che è stata invasa e sarà ancora invasa da opere di dubbio gusto che portano con sé tanto cemento ed inquinamento.
 Negli anni scorsi le critiche più accese si sono concentrate sul piazzale-parcheggio “Valdo Fusi”, davanti alla Camera di Commercio; sul “disboscamento” del Parco Sempione e di Piazza d’Armi, due dei principali parchi cittadini; sull’inutile sottopasso di corso Spezia che ha eliminato decine di alberi; sull’orribile “Palafuksas”, frontale al famoso mercato di Porta Palazzo, che solo da quest’anno, dopo tredici anni di ingloriosa inattività, si è trasformato in centro commerciale; sulle torri “popolari” di via Orvieto, nella cosiddetta “spina 3”, destinate a diventare simboli di degrado moderno: oggi, invece, sull’ambizioso progetto della banca Intesa Sanpaolo di costruire un grattacielo nella zona centrale della città, e sul nuovo Palazzo della Regione, sempre formato –“grattacielo”, ancora una volta a firma di Massimiliano Fuksas.
 Sin dalla presentazione del progetto di Sanpaolo nel 2006, sviluppato dall’archistar Renzo Piano, una larga fetta dell’opinione pubblica cittadina si è mobilitata, indignata per il superamento, in altezza, del simbolo monumentale torinese, la Mole Antonelliana. Di risposta, si è provveduto a modificare il progetto originario “sotterrando” alcuni piani per non intaccare il primato della Mole. Anche se, in realtà, l’impatto non cambierà, dato che l’edificio dell’Antonelli termina con una guglia, mentre il grattacielo sarà una struttura compatta e piena.
 Un’altra “pietra” dello scandalo è il progetto di costruzione di un palazzone proprio a ridosso della Mole, che, però, almeno questo, pare accantonato.
 Il malcontento è diffuso anche in altri quartieri. Nel popolare San Paolo, ad esempio, sono iniziati i lavori per l’erezione di nuovi palazzoni e di un ennesimo centro commerciale, in sostituzione dello storico stabilimento Lancia. Oltre che a creare i soliti prevedibili disagi per residenti ed esercizi commerciali, questo progetto è ritenuto dal comitato spontaneo "Parco Lancia” “insostenibile, se non rovinoso”, perché va ad aumentare paurosamente la densità abitativa di un'area che è già a rischio di congestione, a fronte dell'insufficienza dei servizi primari presenti. Si calcola, infatti, che i nuovi palazzi potranno accogliere seicento famiglie, oltre 1800 persone, in un territorio che registra l'affollamento delle scuole, degli asili e dell'ASL. Senza mai ottenere una risposta positiva, i residenti ed il comitato hanno chiesto, in questi anni, nuove scuole, un asilo, alloggi per le fasce deboli, luoghi di incontro per i cittadini e di ridurre l'area edificabile da 56 a 14 mila mq.
 Ma il disagio è manifesto anche in aree più “chic” come quella di Borgo Valentino dove i residenti, appendendo sui balconi drappelli di protesta, si oppongono alla costruzione di un grosso complesso sull'area ex Isvor (stabilimento FIAT) considerandola una “mera speculazione edilizia anche poco redditizia per la Città”. Mentre volantini e manifesti sono stati diffusi nelle vie più importanti per protestare contro la spianata di cemento che ospiterà il nuovo parcheggio sotterraneo di piazza Albarello, storico punto di partenza d’ogni manifestazione e sciopero. A dispetto delle campagne di disincentivazione all’uso dell’automobile, l’amministrazione torinese, infatti, ha moltiplicato esponenzialmente l’offerta di garage sotterranei.
 A Collegno, invece, nella prima cintura torinese, sono preoccupati che venga devastato l’immenso verde del Campo Volo. L'area, infatti, pur ricompresa entro i confini del paese, è di proprietà di una Banca e per acquisirla l’amministrazione comunale ha avviato una trattativa con i suoi vertici che riceverebbero, in cambio, delle generose concessioni edilizie. I cittadini, però, temono che vengano “occupate” proprio le aree del Campo Volo.
 Notizia delle ultime ore è quella della rinuncia, per mancanza di risorse, al boulevard di corso Principe Oddone - interessato dai lavori del passante ferroviario sotterraneo - che così, collegandosi a corso Mediterraneo, assomiglierà ad un’autostrada cittadina. Un’altra mazzata per le migliaia di residenti che da quasi dieci anni non possono aprire le finestre per rumore, polvere ed inquinamento.
 L’ultimo spottone elettorale della giunta Chiamparino s’inscenò lo scorso aprile con l’inaugurazione del Parco Dora. Un’area immensa in cui l’attività decennale delle industrie ha inquinato acqua e terreno e dove si è scelto di non abbattere (perché troppo costoso) i resti dei capannoni industriali preesistenti, in particolare lo scheletro d’acciaio dell’ex Teksid che copre i nuovi campetti sportivi e che, insieme ai piloni arancioni arrugginiti alti più di trenta metri, creano un panorama quantomeno “discutibile”, se non “inquietante”, aggettivo usato da un gruppo di architetti presenti all’inaugurazione. Il “pacchetto” di obiezioni mosse al progetto, sin dalla sua gestazione, si concentrava sull’opportunità di sfruttare quelle strutture, su cui oggi s’arrampicano pericolosamente i ragazzini, per il trasloco dell’ospedale Amedeo di Savoia, ridotto alla fatiscenza, che avrebbe liberato spazio proprio sulla riva del fiume Dora, in una zona ancora più indicata per sviluppare il parco.
 Eppure, il progetto che avrebbe dovuto suscitare le proteste più accese è stato celebrato, oltre che dalle autorità, dalla quasi totalità della popolazione. Ci riferiamo al nuovo stadio della Juventus, inaugurato solo tre mesi fa, per il quale si è dovuta approvare una variante che ha trasformato l'area dell’ ex Stadio delle Alpi da area destinata a servizi pubblici a “zona urbana di trasformazione” con la concessione - da parte del Comune di Torino - di 349mila metri quadri per 99 anni al prezzo stracciato di meno di un euro al metro quadro per ogni anno. E, come se non bastasse, è arrivata una seconda variante che ha permesso di costruire, accanto allo stadio, due centri commerciali che la società Juventus ha dato in gestione alle cooperative Cmb, Unieco, Nordiconad. Chi rivendica l’assoluta centralità dell’ “interesse pubblico”, dovrebbe rimarcare, infatti, come, sin dagli sprechi e le morti bianche degli anni Novanta per la costruzione dello stadio dei Mondiali, una vasta area pubblica un tempo agricola (la Continassa al confine con Venaria) - destinata dal Piano Regolatore originariamente a “Verde e Servizi” - è stata completamente affidata ai soggetti privati ed ai grandi operatori commerciali che non le hanno lasciato più un metro di verde.
 Sempre alla società Juventus è stata praticamente regalata l’Arena Rock della Continassa che, sinora, non è mai stata utilizzata.
 Per gli ambientalisti, quella della Continassa è una delle più grandi sconfitte: da immensa area agricola adatta a diventare il primo parco cittadino per estensione, è stata trasformata in una distesa di cemento e supermercati.
 Il Piano Regolatore di Torino è, ormai, giunto alla sua “duecentesima edizione”, con l’approvazione, appunto, del progetto preliminare della “variante 200” pochi mesi prima della scadenza di mandato della giunta Chiamparino.
 Per le associazioni ambientaliste ed i comitati di quartiere essa non risponde certo all’esigenza di uno sviluppo urbano equilibrato, bensì a quella di far cassa velocemente da parte dell’amministrazione, in concerto con gli interessi privati, attraverso la valorizzazione immobiliare delle aree che vi sono ricomprese. E così la città sarà invasa da torri abitative da venti-trenta piani e nuovi centri commerciali, come se se ne sentisse la mancanza.
 Nessun rispetto nemmeno per i morti, dato che la nuova variante sembra fregarsene della cosiddetta “fascia di rispetto cimiteriale”, prevedendo la costruzione di due torri, una da 80 metri e l’altra da 60, e dell’ennesimo centro commerciale da 25mila metri quadri proprio a ridosso del cimitero monumentale.
 Per i più critici, infatti, la realizzazione delle seconda linea di metropolitana è solamente una scusa, dato che non ci sono i soldi nemmeno per terminare la prima. L’urgenza dei governatori locali sarebbe quella di riaggiustare il bilancio e, quindi, di vendere il più possibile licenze di edificazione.
 Uno dei principali “complici” del processo di cementificazione è lo stesso Politecnico nella persona dell’ingegner Mondini che, con la sua SITI (Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l'Innovazione), è consulente della Città in materia di valutazione ambientale e non manca mai di avallare, se non suggerire, piani di espansione edilizia. Per la generazione di nuovi diritti edificatori si inventano le formule più assurde come quella di “trasferire” capacità edificatorie di spazi in cui è impossibile o vietato costruire in altre aree anche non immediatamente vicine: è il caso del parco Sempione (a cui sono stati strappati 180 alberi come a piazza D’Armi per i lavori del passante ferroviario) a cui è stata assegnata capacità edificatoria da poter trasferire ed aggiungere a quella dell’area della fabbrica Gondrand (periferia Nord) dove si prevede di costruire quattro nuovi palazzoni.
 Fra i privati, invece, il ruolo da protagonista lo gioca la famiglia di architetti Ponchia e la loro Gefim (www.gefim.it) che, sin dal 1880, compra terreno da rivendere, ma, soprattutto, può esercitare una forte influenza sull’amministrazione pubblica perché gestisce i diritti edificatori sulle diverse aree FIAT dismesse, essendo proprio una “creatura” della FIAT.
 Il governo cittadino conta molto sugli oneri di urbanizzazione, a cui è obbligata ogni impresa costruttrice, che, al posto di trasformarsi in servizi per la cittadinanza, vengono monetizzati per ingrassare le casse.
 Ovviamente, soldi ai servizi socio-assistenziali ed educativi-culturali non se ne possono più dare e si è anzi ricorso a tagli drastici: gli asili nido e le scuole d’infanzia, in primis, sono ormai rette da un esercito di precari, alcuni dei quali con contratti della durata di pochi mesi.
 Cosa se ne faranno i torinesi di tutti questi nuovi grattacieli (anche nelle aree Michelin di corso Romania e strada Cebrosa, al posto dell’Alfa Romeo di via Botticelli e sull'area ex-Materferro), parcheggi interrati, fra cui quelli mercatali e di interscambio che sono sfruttati in minima parte, ed ipermercati che sostituiscono le ex fabbriche (Esselunga debutterà a Torino prendendosi l’ex Officine Grandi Motori di corso Novara e l’ex Comau di corso Traiano, il Palazzo del Lavoro diventerà un centro commerciale, stesso destino per piazza Bengasi) quando si contano 57000 alloggi sfitti e la popolazione residente è costantemente diminuita negli ultimi vent’anni come i comparti produttivi? Mentre aumenta la “popolazione” di quelli che vanno a frugare dentro i cassonetti, non solo composta da immigrati stranieri, ma anche da torinesi che appartenevano al ceto medio sino a poco tempo fa…A meno che non ci si accontenti di diventare il “dormitorio” di Milano, come già paventato da qualcuno…
 Ma le “generazioni post-Olimpiadi” dovranno fare i conti non solo con le “promesse di cemento”, anche con tutte le promesse non mantenute: a parte il sistematico prolungamento temporale di ogni cantiere e l’irrefrenabile impulso a costruire parcheggi sotto i giardini ed i piazzali storici più suggestivi, si possono citare la mancata assegnazione ad O.N.G. ed associazioni interculturali del palazzo che ospitò il comitato organizzatore delle Olimpiadi, ora abbandonato a se stesso; la rinuncia al nuovo centro culturale cittadino presentato con effetti speciali di ogni tipo; la non compensazione delle centinaia di alberi eliminati da piazza D’Armi con i campi di proprietà dell’Esercito che non pare proprio disposto a lasciarli; la presa in giro dei “gianduiotti” (per la loro forma) dell’Atrium, le mega-strutture funzionali alla promozione del circo olimpico e per le quali si erano prospettate diverse soluzioni di riutilizzo sino a che non sono state completamente rimosse senza trovare qualcuno disposto ad acquistarle; e, non per ultima, la mancata riqualificazione dello storico calzaturificio Superga con un poliambulatorio in spina 3, area gravemente deficiataria di servizi assistenziali, ma traboccante di centri commerciali.
 Non parliamo, poi, dell’ “affare TAV”; ma tanto, anche in questo caso, ci ha già rassicurato l’ex ministro dei trasporti Matteoli per il quale “ai debiti ci penserà il Futuro”…

Veneto, padania. Sconti alle tasse per gli alluvionati, agevolazioni solo per i ritardatari
Salvi liguri, toscani e i veneti che presenteranno fattura nel 2012. Ma il termine per i rimborsi regionali scadeva a novembre. Zaia: «Ho parlato con Giarda»
VENEZIA—Lacrime e sangue. E anche un primo pasticcio. Perché l’articolo pro-alluvionati inserito nelle pieghe della manovra di Mario Monti è stato scritto e pensato solo per le inondazioni liguri e gli esondamenti toscani, ma non per le catastrofi venete. L’articolo 4 della manovra che permette di detrarre il 36% dai lavori dovuti a calamità naturali fino a un massimo di 48 mila euro, infatti, si applicherà alle fatture emesse dopo il 1 gennaio 2012 ma non a quelle precedenti. Un dettaglio - certificato dall’ordine triveneto dei commercialisti per bocca del suo presidente Dante Carolo - che escluderà i 10.040 alluvionati del novembre dello scorso anno che hanno già fatto riparare le loro abitazioni e le loro aziende presentando richiesta di rimborso alla Regione il mese scorso. «Bastava che Zaia facesse qualche pressione in più sul governo e includesse una postilla perché la legge fosse retroattiva - sbotta amareggiato Alberto Danieli del Comitato alluvionati - invece il Veneto come al solito è rimasto senza voce».
In realtà tra gli oltre 1400 emendamenti presentati alla Camera qualcosa è stato fatto visto che il presidente Luca Zaia ha coinvolto i parlamentari e la Protezione civile e il commissario Perla Stancari ha attivato i suoi uffici per valutare l’interpretazione della norma e estenderla anche alla nostra Regione. «Ci stiamo lavorando e ho già parlato con il ministro Giarda - puntualizza Zaia - Quella veneta è stata l’alluvione più catastrofica degli ultimi anni e il governo non può pensare di blindare la manovra. La norma va ripensata ». Dello stesso parere il commissario Stancari che ricorda che «la legge non può creare disparità di trattamento». «Sono certa che il governatore non lascerà nulla di intentato - continua il commissario - ma il decreto dovrà essere studiato e rivisto». D’altro canto finora il Veneto è stata la Regione che ha ottenuto i maggiori stanziamenti per la catastrofe dell’anno scorso che ha coinvolto 262 Comuni e ha macinato quasi mezzo miliardo di euro di danni. Finora infatti sono stati stanziati 211 milioni di euro per Comuni e 161 milioni per le imprese e le famiglie che hanno la possibilità di essere rimborsati fino al 75% dei danni stimati. Il 36% di sgravi sul rimanente 25% dei lavori fatturati però sarebbe utile alla maggior parte degli alluvionati considerato che, a sentire Nicola Biasin dei Comitati, «la Regione ha adottato parametri di riferimento che sottostimano i prezzi di mercato e la complessa burocrazia ha reso difficile parte dei rimborsi».
In attesa che si sciolga il nodo dei tempi di rimborso e della manovra Monti comunque l’Unione europea sta per deliberare uno stanziamento da 17 milioni di euro che andranno a sommarsi a quelli previsti dal governo. Resta il fatto che non tutti gli alluvionati veneti dovranno aspettare una modifica al decreto «Salva Italia» per ottenere la detrazione del 36%. Il commissario Stancari infatti ha dovuto prorogare i tempi di consegna della fatture dei Privati perché una parte degli alluvionati non ha ancora ricevuto la visita dei tecnici del Comune di riferimento per fare la valutazione del danno. E se prima le proteste dei Comitati si sono fatte sentire adesso, per paradosso, chi non ha ancora iniziato i lavori può dormire sonni tranquilli. Indipendentemente dall’interpretazione finale della normativa infatti i ritardatari potranno contare sia sul rimborso del 75% del danno peritato che sul 36% di sgravi fiscali sul restante 25% pagato di tasca propria.
Alessio Antonini

Milano, padania. Capitali e famiglie in fuga
Un pezzo d'Italia sceglie la Svizzera
Sono imprenditori e liberi professionisti e hanno tra i 40 e i 50 anni. Temono l'incertezza politica ed economica, una stretta fiscale e sono in cerca di un investimento immobiliare sicuro. Sono loro i protagonisti della nuova migrazione oltralpe
 di FRANCO ZANTONELLI
MILANO - Una discreta transumanza di capitali, ma anche di persone. Durante l'agonia del governo Berlusconi, intimoriti dalla giostra dello spread, più recentemente dal rigore del governo Monti, molti italiani benestanti hanno deciso di trasferire i loro soldi, in alcuni casi anche i loro cari, in Svizzera. "Quelli che hanno grossi capitali, intere famiglie, stanno cercando di piazzare i propri beni in posti sicuri e in qualcosa che duri nel tempo", ha confermato, in un'intervista alla radio pubblica elvetica, la presidente della federazione di fiduciari del Canton Ticino, Cristina Maderni.
"Noi fiduciari siamo stati interpellati, per valutare se c'è la possibilità di un trasferimento totale di alcune famiglie", ha aggiunto. Per poi spiegare che "il  fenomeno è sempre esistito ma è vero che, in questi ultimi mesi, abbiamo assistito a un'accelerazione delle richieste di questo tipo". Quindi la presidente dei fiduciari ticinesi rileva, pure, che quello che sta avvenendo assomiglia a una vera e propria fuga, dal belpaese. "Ci sono, ad esempio - dice - persone e gruppi famigliari, con consistenti patrimoni, che chiudono la loro attività imprenditoriale, per trasferirsi in Svizzera". Dove, in molti casi, chi lascia l'Italia e i suoi problemi, ha già sovente una residenza e, magari, un cospicuo gruzzoletto.
"Il più delle volte si tratta di 40-50 enni, in prevalenza  lavoratori autonomi e imprenditori", ci conferma Giancarlo Cervino, del Centre for International Fiscal Studies di Lugano, secondo il quale il fenomeno è in corso da circa un anno e mezzo. Tutta questa gente, come ha avuto modo di constatare Cristina Maderni "è angosciata dall'insicurezza esistente, oggi, in Italia e nel resto dell'Europa" e, quindi, cerca posti come la Svizzera "dove  la stabilità economica e politica e la forza della moneta sono tali, da trasformarsi in una sorta di polizza sulla vita".
Anche se, di questi tempi, di approdi sicuri ce ne sono sempre meno. Nella Confederazione, ad esempio, i prezzi di vendita, al metro quadro, degli immobili di un certo livello, vanno dai 10 mila euro in su di Lugano e dell'Engadina, ai circa 40 mila di Zurigo, tanto da far temere l'esplosione di una bolla immobiliare. Va detto, poi, che in caso di definitivo deragliamento dell'Ue e della moneta unica, la Svizzera ne soffrirebbe, pesantemente, le conseguenze.
Già adesso, in presenza della crisi nell'eurozona, la crescita del prodotto interno lordo elvetico è continuamente rivista al ribasso tanto che, l'anno prossimo, non dovrebbe superare  lo 0,5 per cento. Anche nella Confederazione, inoltre, pur con uno Stato che, quest'anno, ha chiuso i conti in attivo, la pressione fiscale sta aumentando. Dal prossimo anno, ad esempio, potrebbe venire introdotta un'imposta di successione del 20 per cento, sui beni superiori ai due milioni di franchi, la qual cosa ha indotto molti benestanti a una corsa frenetica negli studi notarili, per trasferire i propri patrimoni agli eredi ed evitare, così, la stangata. "Ma la paura di un epilogo italiano alla greca, con manifestazioni di piazza e attentati anarchici, unito al timore di un default delle banche, è tale da indurre chi se lo può permettere ad andarsene", constata il fiscalista Cervino. "Sicuramente - conclude - in nessuna città svizzera metteranno mai una bomba davanti all'Agenzia delle Entrate, come è capitato a Roma".
(10 dicembre 2011)

I dissidenti accomunati dal no all'euro dal nostro inviato Vittorio Da Rold
BRUXELLES - Il «no» britannico al nuovo trattato ha fatto nascere l'euro-Schenghen, il patto intergovernativo per una fiscalità rafforzata, un firewall più robusto, con 23 paesi già pronti ad aderire e tre dissidenti che hanno chiesto prima di accettare di conoscere il parere preventivo dei rispettivi parlamenti. Un solo autoescluso: la Gran Bretagna, isolata dal Continente.
Ma perché la Svezia, l'Ungheria e la Repubblica ceca hanno preso tempo? Tre diverse posizioni di partenza ma con identiche prudenti soluzioni di arrivo.
La Svezia è d'accordo con il rigore e la disciplina di bilancio, ma non crede nell'euro. L'80% degli svedesi vogliono tenersi la loro amata corona con cui hanno una politica monetaria indipendente. Stoccolma ha i conti in ordine ed è nell'Unione senza opt-out (come ad esempio è il caso della Danimarca e Gran Bretagna) e quindi se rispettasse tutti i parametri di Maastricht dovrebbe entrare nell'euro. Per evitare l'ingresso indesiderato Stoccolma "manovra" la politica monetaria ad arte per mancare almeno uno degli obiettivi e poter restare fuori. La vicina Norvegia, invece, è fuori dall'Unione europea ma è nello spazio economico europeo, cioè accetta i principi del mercato comune, ed ecco spiegato perché ieri il premier Mario Monti ha definito la scelta inglese una posizione che rischia di condurre Londra a una posizione di limbo simile a quella norvegese.
Diverso il caso della Repubblica ceca. Il presidente dello Stato, l'euroscettico Vaclav Klaus, ha definito «pragmatico» il risultato del summit di Bruxelles sull'euro e ha invitato a prendere tempo prima di correre in soccorso all'euro, «un progetto sbagliato il cui prezzo continuerà ad aumentare in futuro». Secondo quanto reso noto ieri dal premier ceco, Petr Necas, Praga ha bisogno di tempo per riflettere. La Repubblica ceca infatti è nella Ue dal 2004 ma non fa parte dell'Eurozona, contenta di continuare a usare la propria moneta.
L'Ungheria del premier di centro destra Victor Orban ha fatto marcia indietro alla velocità della luce. Ddopo un secco e perentorio «no» al nuovo trattato ha dato la colpa a un'errata traduzione degli uffici di Bruxelles della posizione espressa da Budapest e si è allineata ieri mattina a Svezia e Repubblica ceca. Orban ha capito di aver fatto un passo falso e che rischia il posto di premier, dopo aver sfidato in un duro braccio di ferro la commissione europea sulla famosa legge sulla libertà di stampa. Senza contare la norma sui mutui in franchi svizzeri che ha spostato il rischio cambio in capo alle banche, provocando non pochi malumuri. Ora l'opposizione ungherese e parte del mondo del business, stanchi di essere rappresentati all'estero da un leader spesso criticato per le sue posizioni radicali e a volte demagogiche, spera in un governo tecnico che rimetta sulla strada europea il governo di Budapest, peraltro in grave difficoltà economica e con il fiorino sotto attacco costante della speculazione.
 10 dicembre 2011

Financial Times: rischio di nuovi attacchi al debito prima di Natale
«Resta il rischio che il debito dei paesi periferici sarà attaccato prima di Natale». L'allarme lo lancia il Financial Times in un commento pubblicato in prima pagina. «Rimane il rischio - si legge sul giornale britannico - che i mercati verificheranno la determinazione di mr. Draghi, attaccando il debito dei paesi periferici nelle due settimane prima di Natale, specie se un'agenzia di rating gli fornirà una scusa». «Il nuovo ttrattato europeo - scrive il FT - probabilmente non è sufficiente a superare il Natale». In particolare il giornale punta il dito sull'impossibilità per la Bce di agire in qualità di prestatore di ultima istanza per aiutare i governi europei.
 10 dicembre 2011

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