sabato 10 dicembre 2011

Federali_sera_10.12.11. Eppure, solo queste infrastrutture possono riscattare la Puglia e il Mezzogiorno dall’isolamento che si abbatte sulla mobilità delle persone e delle merci. Suona come una beffa che nella stessa seduta siano stati approvati finanziamenti per il secondo lotto dell’Alta velocità Milano-Genova - continua Vendola - e per il secondo lotto dell’Alta velocità Treviglio-Brescia, per quasi 2 miliardi di euro. Non è il segnale che sulle infrastrutture ci attendevamo dal nuovo governo.----Svizzera, Generoso Chiaradonna: La richiesta di esonerarla dall’applicazione delle regole più restrittive sui servizi finanziari è parsa agli altri membri dell’Unione una condizione non accettabile poiché proprio da questo settore sono nati molti dei problemi dell’attuale crisi. L’Ungheria non merita commenti per la situazione politica interna che sta vivendo improntata all’euroscetticismo con venature di vera e propria eurofobia, se non peggio.----Svizzera, Corrado Bianchi Porro: D’altra parte non si capisce perché Londra, che non partecipa all’euro, dovrebbe pagare ad esempio la tassa sulle transazioni finanziarie a favore di altre piazze quando circa l’80% passa oggi dalla City. Insomma, la rottura è consumata.

Bari. Emergenza treni
Trieste, oltrepadania. Tondo impugna il decreto “Salva-Italia”
Svizzera. L’ora della verità non arriva mai
Svizzera. L’Europa spaccata a 2 velocità



Bari. Emergenza treni
Giallo sui fondi per la Bari-Napoli
Vendola scrive a Barca
BARI - Il governo che smentisce Rfi sul finanziamento Cipe del Nodo ferroviario di Bari e i sindaci che scendono in piazza per protestare contro i tagli dei treni in Puglia decisi da Trenitalia. È guerra di nervi tra la Regione, gli enti locali e Palazzo Chigi sui collegamenti ferroviaria e l’Alta capacità Bari-Napoli, il progetto strategico interregionale che aveva già ottenuto lo sblocco dal governo Berlusconi e per il quale era atteso l’ok del Cipe. Ieri il governatore Nichi Vendola ha solidarizzato coi sindaci pugliesi, ma ha anche chiesto la convocazione di un tavolo urgente col governo per dipanare la questione dei finanziamenti.
«Occorre che si ribalti immediatamente il paradigma che negli ultimi anni ha fatto passare anche sui binari la divisione del Paese - dice Vendola - i sindaci rappresentano il disagio di milioni di cittadini che potrebbe, solo tra qualche giorno, diventare insopportabile». Non solo il 12 dicembre scatta il nuovo orario applicato da Trenitalia, che prevede la cancellazione di 4 coppie di treni da e per la Puglia, ma sull'Alta Capacità Bari-Napoli si addensano nebbie: da un lato i dirigenti Rfi che, usciti dalla riunione presso il Dipartimento per le politiche di coesione, annunciano il de-finanziamento del Nodo ferroviario, dall’altro il ministro Fabrizio Barca che li smentisce, confermando gli stanziamenti Cipe. «A questo punto - tuona Vendola - è auspicabile la partecipazione al tavolo col governo anche di Trenitalia e Rfi, alle quali però si chiede un ruolo di attuazione degli indirizzi strategici e non, invece, di suggeritori».
Le rassicurazioni fornite dal ministro, dice Vendola, servono a poco: «resta motivo di grande preoccupazione la notizia secondo la quale la lista delle opere da finanziare sarà definita solo dopo una complessiva operazione di accertamento e istruttoria. Per cui ad oggi non sappiamo se il nodo ferroviario di Bari sarà finanziato oppure no. Per quel progetto - sottolinea il governatore - non siamo all’anno zero e non è consentito più alcun rinvio. Qualsiasi ulteriore ritardo è inaccettabile e fuori luogo». Il progetto, inizialmente inserito all’ordine del giorno della riunione Cipe, «sarebbe stato prima cancellato e poi persino rimosso dai progetti finanziati nell’ambito del contratto di programma di Rfi» aveva detto Vendola in mattinata, per poi ricevere rassicurazioni dal ministro. Eppure, «solo queste infrastrutture possono riscattare la Puglia e il Mezzogiorno dall’isolamento che si abbatte sulla mobilità delle persone e delle merci. Suona come una beffa che nella stessa seduta siano stati approvati finanziamenti per il secondo lotto dell’Alta velocità Milano- Genova - continua Vendola - e per il secondo lotto dell’Alta velocità Treviglio-Brescia, per quasi 2 miliardi di euro. Non è il segnale che sulle infrastrutture ci attendevamo dal nuovo governo».
Chiede chiarezza sull’approvazione del progetto preliminare «con la prevista copertura di 400 milioni del primo stralcio funzionale al tratto sud» anche l’assessore alla Mobilità Guglielmo Minervini. È una provocazione di Trenitalia chiedere i contributi per finanziare i treni notturni per Milano dopo che sono stati tagliati 900 milioni di euro per il trasporto pubblico locale. «ll governo e le aziende pubbliche nazionali - dice - comincino a credere che il Sud è la risorsa per salvare il Paese».

Trieste, oltrepadania. Tondo impugna il decreto “Salva-Italia”
Il governatore ricorre alla Corte costituzionale sui tagli: «Scelte che vanno contro il nostro statuto di autonomia»
TRIESTE. Mario Monti finisce come Giulio Tremonti: avvisato di impugnazione. Ma stavolta pare che si andrà fino in fondo. Troppi tagli scritti sulla carta per il Friuli Venezia Giulia e la Regione, Renzo Tondo in testa, preannuncia il ricorso alla Corte costituzionale contro la manovra nazionale. Al tempo stesso, visto che il governo infila nel decretone “salva-Italia” anche un intervento sull’Irap, il centrodestra decide di modificare qualche numero della Finanziaria regionale di fine anno. E di ridurre, in particolare, la sua operazione sull’imposta più detestata dalle imprese da 95 a 35 milioni di euro. Il governatore e Sandra Savino hanno fatto i conti e convocato in fretta un vertice di maggioranza. All’obbligo di contenere la spesa, Roma ha aggiunto pure il congelamento di una quota di compartecipazioni erariali, un totale per le autonomie “speciali” di 860 milioni di euro (più altri 60 da cui si salvano solo Sicilia e Sardegna).
 Secondo gli ultimi numeri resi noti da Tondo, si tratta di 155 milioni a carico del Friuli Venezia Giulia. Troppo, decisamente troppo, visto che nel 2012 e nel 2013, tra effetti dei decreti Tremonti e manovra Monti, la nostra Regione è chiamata a sopportare un totale di circa 950 milioni di minore possibilità di spesa. Quasi una vendetta dopo che l’asse Tondo-Savino aveva preso la decisione di congelare a sua volta i 370 milioni di euro di quota per un federalismo fiscale che ancora non c’è. Ma la questione è anche di principio: perché non solo il Fvg ha già provveduto a ridurre di suo la spesa di 350 milioni, ma si vede pure ledere un diritto statutario: incassare secondo decimi le compartecipazione da tributi. «Per la prima volta nella storia della Regione ci bloccano le entrate», denuncia Tondo. Il presidente non nasconde lo stupore: «Proprio noi che abbiamo dimostrato virtuosità sulle uscite». Di qui la decisione condivisa in maggioranza di ricorrere alla Corte costituzionale: «È una cosa che va contro il nostro statuto di autonomia. Se verrà confermata, dovremmo rivolgerci alla Consulta per questioni non solo di forma. Sulla sostanza siamo disposti a sederci a un tavolo, ma qui si tratta di tutelare l'autonomia della Regione che prevede che la compartecipazione alle entrate sia un compito nostro».
 Quello di ieri è stato anche il giorno in cui, approfondito il testo del decreto nazionale, la giunta ha assunto la determinazione di cambiare la sua Finanziaria. «La situazione non è semplice – dice ancora Tondo – . Abbiamo lavorato su vari documenti e l'ultimo prevede per noi 155 milioni in meno. Cinquanta li recupereremo dalle compartecipazioni all'Irpef, ma saremo costretti a fare una nuova manovra di circa 110 milioni». Le modifiche riguarderanno il versante dell’Irap. Posto che anche lo Stato interviene con uno sconto, la Regione ritiene che, per raggiungere lo stesso risultato previsto mettendo a bilancio 95 milioni, basterà ora dirottare su quel capitolo una quota di circa 35 milioni. Un dato che permetterà, secondo il governatore, di mantenere il bilancio con alcuni tagli ai comuni che però scenderanno a una quindicina di milioni rispetto all'ipotesi iniziale di 35. Ci si ferma qui, al momento, «perché sull'Imu non si sa ancora quanto rimarrà nelle casse comunali».
 Il Pd tuttavia, non condivide. Carlo Pegorer invoca «trasparenza e responsabilità al tavolo con il governo» e avverte: «Dal rischio di default non ci si salva con l’autonomia speciale». All’attacco anche Gianfranco Moretton: «Il ricorso non risolverà i problemi di una Finanziaria Fvg che non guarda in prospettiva». Il capogruppo del Pd prosegue: «Se il presidente, prendendo una posizione demagogica anti-Monti, crede di far dimenticare le sue deficienze politiche, come quella dello sciagurato accordo sottoscritto con Tremonti, si sbaglia di grosso». Roberto Asquini (gruppo Misto) approva invece il ricorso e lancia un appello: «Va rafforzata la nostra specialità allo scopo di eliminare un divario economico con i paesi esteri che rischierebbe di determinare, a causa della manovra del governo, effetti opposti a quelli realmente voluti».

Svizzera. L’ora della verità non arriva mai
di Generoso Chiaradonna - 12/10/2011
E così il vertice dell’ultima chance ha partorito un topolino. Alle attese della vigilia, non sono corrisposte le posizioni “ferme” e “rivoluzionarie” che i mercati si attendevano o che la calibrata e ormai chiara regia prevertice, lasciavano intendere.
Dall’inizio della cosiddetta crisi dei debiti sovrani nella primavera del 2010 questo è il quarto vertice europeo definito della verità. Il duo MerkelSarkozy dall’alto di non si sa quale autorità e soprattutto in nome di chi, dà inizio alle danze con un copione quasi palese. Si inizia con gli incontri bilaterali in cui si ribadisce l’ovvio: la gravità della situazione finanziaria, delle banche sull’orlo del collasso, e dei bilanci pubblici dissestati da anni di spesa allegra e dai salvataggi bancari del 2007-2008.
Quest’ultimo punto non lo si ripete mai troppo. Si lascia intendere che si ha sotto controllo ogni cosa. Poi dietro la spinta dei mercati la situazione sembra precipitare e sfuggire di mano. La crisi si aggrava, le agenzie di rating danno cattivi voti a governi e banche come fossero maestrine, ma con la memoria corta.
Lo spread si allarga e diventa magicamente concreta l’ipotesi dello sfaldamento dell’euro. Bisogna correre ai ripari. Il duo franco-tedesco si rifà vivo con la ricetta in tasca: “O si fa come diciamo noi, oppure salta l’intera costruzione monetaria europea” con le conseguenze che tutti possono immaginare, ma che nessuno osa citare. Solo l’evocazione mette tutti in riga, almeno fino a quando la tensione non si riaccende e le pressioni dei mercati finanziari non obbligano tutti a sedersi a un tavolo per l’ennesimo vertice che di volta in volta diventa: salva-banche, salvaStati o addirittura salva-euro.
Si è seguita questa strada con il primo piano di salvataggio della Grecia, poi con l’istituzione del cosiddetto fondo di stabilità e ora con questo nuovo trattato a 23 (altri tre Paesi prima di dire sì dovranno sentire i propri parlamenti) che impone di fatto il pareggio di bilancio prima di tutto ai Paesi membri dell’Eurozona e poi a chi vorrà. Si è stati alla larga da eurobbligazioni o da poteri più incisivi da dare alla Banca centrale europea, proprio ciò di cui non voleva sentire parlare la Germania. I tedeschi sono stati rassicurati: l’unico obiettivo che dovrà continuare a perseguire la Bce sarà la stabilità dei prezzi e poco altro. Entro la fine di marzo dell’anno prossimo il trattato diventerà realtà.
La solita Gran Bretagna si è tirata fuori da qualunque accordo che vincoli i suoi governi a ulteriori e future strette di bilancio. A riprova che il Regno Unito è nell’Unione europea semplicemente per controllare e frenare il processo d’integrazione, non per parteciparvi attivamente. La richiesta di esonerarla dall’applicazione delle regole più restrittive sui servizi finanziari è parsa agli altri membri dell’Unione una condizione non accettabile poiché proprio da questo settore sono nati molti dei problemi dell’attuale crisi. L’Ungheria non merita commenti per la situazione politica interna che sta vivendo improntata all’euroscetticismo con venature di vera e propria eurofobia, se non peggio.
Il vertice ha comunque il pregio di aver fatto un passo avanti verso un’unità economica più marcata. Imporre la parità di bilancio con poteri di controllo e sanzione alla corte di giustizia europea non è ancora l’auspicata, da più fronti, unità fiscale, ma è meglio di nulla. L’ulteriore rafforzamento del fondo di stabilità che diventerà permanente entro la prima metà dell’anno prossimo e l’affidamento della sua gestione alla Banca centrale europea non sono ancora la trasformazione della Bce in un vero e proprio istituto di emissione sulla falsariga della statunitense Fed, ma nell’epoca storica che stiamo vivendo e dati i rigidi paletti dei trattati vigenti è il massimo a cui si può ambire. L’Europa, le sue istituzioni politiche, la sua moneta, hanno da sempre il volto di chi le ha volute così come sono. Rispecchiano la volontà e la sintesi politica del periodo storico in cui sono state pensate e realizzate. A volte con spinte ideali elevatissime, altre volte con lo sguardo rivolto all’orizzonte limitato della vita politica del leader di turno.
Questo periodo appartiene alla seconda situazione. L’euro, la moneta senza Stato, nonostante tutto ha guadagnato un ulteriore pezzettino di credibilità e i tempi della sua frantumazione se non scongiurati del tutto sono stati rimandati a un periodo remoto.

Svizzera. L’Europa spaccata a 2 velocità
di Corrado Bianchi Porro
Poche le novità dal vertice europeo di Bruxelles. La più rilevante è la spaccatura tra Londra e il tandem Berlino-Parigi. La Gran Bretagna non firmerà i nuovi trattati. Cechia e Svezia lo faranno dopo aver ottenuto l’approvazione dei rispettivi Parlamenti (come sembra giusto). Gli altri invece si accodano “volontariamente” al diktat della zona euro, secondo il noto principio del magistrato italiano Borrelli: resistere, resistere, resistere. L’Ungheria ha aderito in zona Cesarini dopo essersi tirata indietro per molte ore. Nessuna novità di rilievo: molte cose già dette e risapute. 1) La “golden rule” del rispetto del bilancio iscritta (senza scadenza di data) nelle Costituzioni degli Stati. 2) Possibilità di sanzioni quasi automatiche applicate dalla Commissione in caso dello sforamento del deficit oltre il 3% del Pil (furono la Francia e la Germania a superarlo tra le prime). 3) Il Fondo Salva Stati (ESM) entra in attività dal luglio del 2012 e non nel 2013. Le altre questioni aperte: Eurobond, il ruolo della Banca centrale europea (Bce), il funzionamento della sorveglianza, potrebbero trovare una risposta a giugno 2012 o a marzo, per il patto fiscale. Potrebbero, ma non è detto, visto che già l’accordo attuale è dipinto solo come l’inizio di un nuovo ciclo. Insomma, se a Bruxelles si era andati col motto “qui si fa l’Europa o si muore”, tutto è posticipato di mesi, ammesso che i mercati aspettino. Paradossalmente, se giovedì le borse dopo la buona notizia del taglio dei tassi della Bce erano andate a rotoli, ieri dopo la cattiva notizia del mancato accordo a 27 hanno in parte festeggiato. Sarkozy, che per ragioni elettorali interne gioca ora la carta del grande statista di stampo internazionale, ha affermato che il primo ministro britannico Cameron avrebbe chiesto per aderire alla revisione dei trattati «condizioni inaccettabili di esonero sulle regole dei servizi finanziari». D’altra parte non si capisce perché Londra, che non partecipa all’euro, dovrebbe pagare ad esempio la tassa sulle transazioni finanziarie a favore di altre piazze quando circa l’80% passa oggi dalla City. Insomma, la rottura è consumata. Ma Londra deve riconoscere che anche la City ha bisogno di stabilità finanziaria. La Merkel indubbiamente tiene il manubrio del tandem perché non vuole sempre pagare la fattura, mentre Sarkozy si è sforzato di proclamare vittoria. Ma un vertice decisionista e burocratico da parte di élite tecniche funziona solo per le emergenze, che oggi indubbiamente esistono. Se si rompe la caldaia dell’euro non si fa un’assemblea di condominio per aggiustarla, ma il controllo democratico deve esservi a priori e a posteriori. L’Europa va a due velocità. Ma dove?

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