venerdì 20 gennaio 2012

Federali_mattino_20.1.12. Per i padani dalla pancia strapiena, quella vuota e’ di per se mafiosa. - La Regione italiana dove si registra il tasso di diseguaglianza più alto, in ragione del livello di reddito, è la Sicilia a fronte comunque dell’Italia insulare e di quella meridionale dove rispetto alla media nazionale le famiglie evidenziano le maggiori condizioni di svantaggio.---Il tasso di occupazione della popolazione in età 20-64 anni risulta diminuito nel 2010 di sei decimi di punto rispetto al 2009. La quota di unità irregolari è pari al 12,3% e nel Mezzogiorno può essere considerato irregolare quasi un lavoratore su cinque, nell'agricoltura uno su quattro.---Lo Stato deve settanta miliardi alle imprese. Il debito pubblico è scaricato su di noi e non lo accettiamo più, ha sottolineato la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, osservando che bisogna aiutare le imprese ad ottenere credito accettabile o si blocca tutto, questo è un problema che ho molto presente, vedremo con le banche.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Maiali e porcetti «sardi» nati e allevati in Spagna invadono il mercato isolano
L'UNIONE SARDA - Economia: Se le azioni crescono insieme ai disoccupati
Palermo. Sciopero tir, Grasso: "Indagare su presenza mafiose"
Istat: i poveri superano gli otto milioni
Lavoro e impresa, ecco la micro-Italia
Istat, in 2010 giovani disoccupati salgono al 27,8%
Marcegaglia, lo Stato deve 70 miliardi alle imprese
FMI: Italia attesa da un biennio difficile
Crisi/Ue: bozza patto bilancio, fondo salva-Stati solo a chi ratifica
Svizzera. QuellUngheria che non piace agli eurocrati laicisti



LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Maiali e porcetti «sardi» nati e allevati in Spagna invadono il mercato isolano
19.01.2012
SASSARI. Il mercato sardo consuma carni suine spagnole e tedesche. Gli animali (maiali ma anche porcetti) arrivano vivi in Sardegna dove vengono macellati. E il bollino che li accompagna («macellato in Sardegna») può far insorgere l’illusione che si tratti di carni isolane. L’importazione di carni straniere ha avuto un incremento dopo il blocco all’export di carni suine sarde da parte dell’Ue e ha avuto una impennata nel periodo di Natale. Il comparto accusa in Sardegna serie difficoltà e gli operatori pensano di bloccare l’importazione di carni suine. Il provvedimento dell’Unione Europea di blocco delle esportazioni delle carni suine sarde sta rischiando di creare realmente una situazione di non ritorno alle imprese isolane. Nel periodo di Natale si parlava di un calo del 30% nel fatturato delle aziende isolane, ora il bilancio è di certo ancora più grave, almeno il 5% in più. Un’azienda del nord dell’isola, a esempio, aveva firmato un accordo commerciale che prevedeva l’esportazione di salumi per 7,5 milioni di euro. Il provvedimento dell’Ue, come si sa, ha bloccato tutte le operazioni di export dalla Sardegna. E ora le imprese sarde devono anche pagare le penali per non aver rispettato l’impegno di consegna dei prodotti, entro i termini indicati nei contratti sottoscritti. Le imprese isolane che avevano puntato sulla eccellenza delle carni suine sarde, soprattutto quelle delle razze autoctone, con le quali avevano conquistato buone quote di mercato, dopo il blocco dell’Ue, hanno dovuto lavorare carni non sottoposte al blocco riservato alle carni sarde. Ma, come era prevedibile, gli spazi di mercato lasciati liberi dalle aziende sarde vengono occupati da altre imprese, in particolare da quelle spagnole che, con una operazione eticamente discutibile, pur di occupare stabilmente il mercato stanno abbassando artificiosamente i prezzi. Risultato complessivo dell’operazione: oggi, nel mercato dell’isola, è aumentata a dismisura la quota delle carni suine spagnole e tedesche. Che fare, a questo punto? Se lo chiedono gli operatori interessati che tra le altre misure da mettere in campo, stanno pensando di occupare i porti sardi per bloccare l’arrivo di carni nazionali o estere. La priorità, in questo momento, è riuscire a riprendere l’export di insaccati suini sardi. Ma è evidente che non si può affrontare questo tema fino a quando l’Ue non ha tutte le garanzie che la situazione della peste suina in Sardegna è sotto controllo. Anche a costo di fare delle scelte molto drastiche. E c’è chi, nel comparto, vede nell’anagrafe suina lo strumento per avviare il controllo della situazione. Come? Censendo tutti i maiali degli allevamenti sardi per sottoporre ciascun capo a controlli sanitari e poter certificare l’assenza del virus nelle carni destinate all’export. Abbattendo senza pietà tutti i capi che non sono compresi nell’anagrafe. Se il quadro viene rispettato alla lettera, non ci sarà difficoltà a consentire anche il pascolo brado. L’importante è che non ci sia neanche un caso di suino abusivo e quindi potenzialmente capace di diffondere il virus. Ovviamente dovranno essere abbattuti anche tutti i cinghiali. Una volta «bonificato» il panorama suino sardo sarà necessario procedere con azioni di promozione e valorizzazione delle salsicce e dei prosciutti sardi. La via più efficace (anche se il percorso non è semplicissimo) è la richiesta della Dop per gli insaccati isolani. Con la Dop (denominazione di origine protetta) e la Igp (indicazione geografica protetta) non solo sarà più semplice chiedere e ottenere dall’Europa la possibilità di far arrivare i prodotti sardi nei mercati nazionale e internazionale, ma contenere la concorrenza di prodotti italiani e stranieri. La Sardegna consuma una media di 300mila quintali di carni suine all’anno. Ma di queste ne produce solo 55 mila quintali dei quali l’85% è indirizzato al mercato regionale, il 13% al mercato nazionale e il 2% all’estero.

L'UNIONE SARDA - Economia: Se le azioni crescono insieme ai disoccupati
19.01.2012
Si vende a duemila dollari, produrlo ne costa duemila e quattrocento: si chiude. È la logica del profitto imposta dall'economia di mercato. Logica dalla quale una società quotata in borsa come l'Alcoa, non può sottrarsi: un azionista può al massimo accettare un anno di conti chiusi in pareggio, mai in perdita. Alcoa di Portovesme non sfugge a questa regola che aveva portato, quasi tre anni fa allo spegnimento dei forni dell'Eurallumina. Anche allora era stato il crollo dei prezzi dell'allumina sui mercati internazionali a indurre la Rusal prima a dimezzare la produzione, quindi a chiudere la fabbrica. Era stata annunciata una chiusura temporanea, un anno, al massimo due. Le lineee di produzione sono ferme da quasi tre anni e non se ne scorge la ripartenza. L'Eurallumina forniva all'Alsar la materia prima (l'allumina) per produrre alluminio. Un nastro tasportatore collegava i due stabilimenti con costi di approvvigionamento quasi nulli. Chiusa l'Eurallumina l'Alcoa ha dovuto importare via nave la materia prima. Operazione complicata anche per via dell'inefficienza del porto industriale che ha comportato spese aggiuntive per dieci milioni all'anno. È uno degli extracosti che, al primo segnale di debolezza del mercato, hanno messo fuori gioco l'Alcoa. Così la crisi dell'Eurallumina ha finito per determinare quella dell'Alcoa e, ora, la chiusura dell'Alcoa rischia di fare saltare il riavvio dell'Eurallumina. Dalle società per azioni si è passati alle reazioni a catena: le quotazioni in borsa crescono insieme al numero dei disoccupati, vincono le multinazionali e perde il Sulcis. (s. m.)

Palermo. Sciopero tir, Grasso: "Indagare su presenza mafiose"
Non c'è dubbio che in realtà complesse e in territori dove c'è da sempre una presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso è possibile che questi fenomeni ci siano. Però vanno accertati con rigore e severità»
PALERMO. «Non c'è dubbio che in realtà complesse e in territori dove c'è da sempre una presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso è possibile che questi fenomeni ci siano. Però vanno accertati con rigore e severità». Lo ha detto il procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso rispondendo a una domanda relativa al blocco dei tir in Sicilia. Si riscontra un inserimento e un infiltrazione di organizzazioni criminali nel settore agroalimentare, ha aggiunto Grasso a margine di un convegno della Coldiretti, e si è scoperto l'interesse mafioso in tutta la filiera, dall'acquisto dei terreni alla produzione, dal trasporto all'acquisto di supermercati. Tutto ciò genera una situazione aberrante.
 I produttori abbandonano e i consumatori pagano un prezzo dieci volte superiore al prezzo normale. Alla tavola degli italiani - ha precisato il Procuratore Antimafia - c'è un invitato in più: l'organizzazione criminale che mangia quello che dovrebbero mangiare gli italiani. Esiste anche una globalizzazione del fenomeno e le indagini hanno come oggetto la produzione di beni contraffatti dislocati in filiere di Paesi anche fuori dall'Europa. C'è un'area grigia accanto all'organizzazione criminale che presta la propria attività: avvocati, commercialisti, società di money transfer, società di import/export, necessari perchè le organizzazioni criminali non hanno queste competenze. La nostra legislazione - ha aggiunto Grasso - è all'avanguardia, ma tutto è migliorabile.

Istat: i poveri superano gli otto milioni
Nel nostro Paese ci sono oltre otto milioni di persone che versano in una condizione di povertà relativa. A rilevarlo, in accordo con i dati 2010, è stato l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) nel Rapporto intitolato “Noi Italia – 100 cento statistiche per capire il paese in cui viviamo”. Questi individui in condizioni di povertà relativa appartengono all’11% delle famiglie che vivono in Italia; ed all’interno di questi poveri ci sono quelli che versano in uno stato di povertà assoluta. Sono il 4,6% delle famiglie per complessive 3,1 milioni di persone.
La Regione italiana dove si registra il tasso di diseguaglianza più alto, in ragione del livello di reddito, è la Sicilia a fronte comunque dell’Italia insulare e di quella meridionale dove rispetto alla media nazionale le famiglie evidenziano le maggiori condizioni di svantaggio. Nel commentare i dati Istat, intanto, il Codacons con una nota ha sottolineato come purtroppo i dati comunicati dall’Istituto siano destinati a peggiorare.
C’è infatti in Italia un terzo delle famiglie che per arrivare alla fine del mese ha palesi difficoltà. Per questo, tra l’altro, l’Associazione auspica che il Governo del Premier Monti adotti in materia di liberalizzazioni dei provvedimenti forti senza timori rispetto a chi, invece, si oppone al cambiamento per conservare i privilegi e le rendite di posizione. D’altronde già i contribuenti italiani hanno già dato con manovre finanziarie lacrime e sangue, ed è quindi il tempo che qualcosa venga loro restituito. Altrimenti il rallentamento dell’economia, con una recessione nel 2012 data oramai quasi per certa, rischia di accentuarsi a causa di una ulteriore contrazione dei consumi.

Lavoro e impresa, ecco la micro-Italia
La fotografia dell'Istat: quattro addetti in media per azienda. Il nostro Paese al penultimo posto per dimensioni d'impresa
MILANO - «Con circa quattro addetti, l'Italia si colloca, insieme al Portogallo, al penultimo posto nella graduatoria Ue27 per dimensione media di impresa. In ambito nazionale, la dimensione media delle imprese è più bassa nel Mezzogiorno». La fotografia è scattata dall'edizione 2012 del «Noi Italia», presentato questa mattina dal presidente dell'Istat, Enrico Giovannini. In Italia, aggiunge l'Istat, operano circa 64 imprese ogni mille abitanti, un valore nettamente superiore alla media europea. Tra il 2008 e il 2009 l'indicatore segnala una lieve riduzione, in conseguenza della distruzione netta di attività determinata dalla crisi. Nel 2009 in Italia il tasso di imprenditorialità - calcolato come rapporto tra numero di lavoratori indipendenti e totale dei lavoratori delle imprese - è di poco inferiore al 32%.
L'IMPRENDITORIALITA' - La propensione all'imprenditorialità risulta elevata in tutte le ripartizioni geografiche, con valori nettamente superiori alla media europea.Il turnover lordo delle imprese, che fornisce una misura del grado di dinamicità di un sistema economico, si legge ancora nel rapporto Istat,in Italia è pari al 14,9%. I valori sono molto diversificati a livello regionale: una maggiore instabilità si riscontra nel Mezzogiorno, mentre il Nord-est si caratterizza per una minore nati-mortalità delle imprese. Nel 2009 il livello di competitività delle imprese italiane si attesta a 112,5 euro di valore aggiunto ogni 100 euro di costo del lavoro, in calo rispetto all'anno precedente. La diminuzione è maggiore nel Nord-est e più contenuta per le imprese del Centro. Nel confronto europeo, l'Italia, si posiziona nella parte bassa della graduatoria. La struttura produttiva dell'economia italiana appare altamente diversificata a livello di macro aree regionali. Nel Mezzogiorno prevalgono le micro imprese, sia di servizi, sia dell'industria; nel Nord-ovest predomina la grande industria; nel Nord-est le piccole e medie imprese dell'industria; nel Centro le grandi imprese dei servizi.

Istat, in 2010 giovani disoccupati salgono al 27,8%
Nel 2010 continua ad aumentare la disoccupazione giovanile (15-24 anni), con un tasso che si attesta al 27,8, in aumento di 2,4 punti percentuali rispetto all'anno precedente. Si tratta del valore più alto dell'ultimo decennio. Lo rende noto l'Istat, nel rapporto Noi Italia.
Per il terzo anno consecutivo, rivela l'Istat, cresce anche il tasso di disoccupazione, attestandosi all'8,4%, inferiore però al dato Ue27 del 9,6%. Il tasso di occupazione della popolazione in età 20-64 anni risulta diminuito nel 2010 di sei decimi di punto rispetto al 2009. La quota di unità irregolari è pari al 12,3% e nel Mezzogiorno può essere considerato irregolare quasi un lavoratore su cinque, nell'agricoltura uno su quattro.
La forza lavoro degli stranieri è pari al 9,4% del totale. Il tasso di occupazione è piú elevato di quello degli italiani (67% a fronte del 60,6%).

Marcegaglia, lo Stato deve 70 miliardi alle imprese
"Lo Stato deve settanta miliardi alle imprese. Il debito pubblico è scaricato su di noi e non lo accettiamo più", ha sottolineato la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, osservando che "bisogna aiutare le imprese ad ottenere credito accettabile o si blocca tutto, questo è un problema che ho molto presente, vedremo con le banche.
Stare in questa situazione vuol dire condannarci ad un futuro che non meritiamo. Siamo ancora la settima potenza al mondo, nonostante crisi e competitor aggressivi. Ognuno trovi la sua strada e sappia riposizionarsi".
"Dobbiamo creare una rete d'impresa che mantenga le individualità ma ottimizzi investimenti e aumenti il potere contrattuale così da essere più competitivi, piú grandi ed internazionali, per creare benessere e occupazione", ha aggiunto.

FMI: Italia attesa da un biennio difficile
19/01 19:38 CET
Il Fondo Monetario Internazionale chiama e la Commissione europea risponde. Dopo i 600 miliardi di dollari chiesti dall’FMI per limitare le conseguenze
della crisi nel Vecchio Continente, Bruxelles ha annunciato che, oltre ad aver deciso un incremento di 150 miliardi di euro lo scorso 9 dicembre, al G20 di febbraio potrebbe essere raggiunto un nuovo accordo.
Così Amadeu Altafaj, portavoce del commissario agli Affari economici e monetari Olli Rehn: “Sosteniamo fortemente un incremento sostanziale delle risorse del Fondo Monetario Internazionale. Primo perché questo sarebbe un segnale molto chiaro per i mercati e poi perché si rafforzerebbe la capacità dell’FMI di adempiere alle sue responsabilità di supporto a tutti i suoi membri. E sto parlando globalmente, non solo in termini di membri europei”.
Secondo intanto il World economic Outlook dell’FMI nel 2012 la zona euro andrà in recessione. Per l’Italia i prossimi due anni saranno complicati: il Prodotto interno lordo del Paese scenderà del 2,2% nel 2012 e dello 0,6% nel 2013.

Crisi/Ue: bozza patto bilancio, fondo salva-Stati solo a chi ratifica
19 Gennaio 2012 - 19:26
 (ASCA-AFP) - Bruxelles, 19 gen - I fondi di salvataggio saranno offerti solo a quei Paesi europei che ratificheranno il nuovo patto di bilancio Ue, che mira proprio ad evitare il ripetersi della crisi del debito sovrano dell'Eurozona. E' quanto prevede una bozza del trattato, di cui l'Afp e' entrata in possesso.
 ''L'accoglimento della richiesta di aiuto, nel quadro dei nuovi programmi sotto il Meccanismo di stabilita' europeo'', cioe' il nuovo fondo permanente salva-Stati che entrera' in funzione a luglio, ''sara' condizionato, a partire dal 1 marzo 2013, alla ratifica di questo trattato'', si legge nell'introduzione della bozza del nuovo patto di bilancio. Il 30 gennaio il Consiglio europeo dovrebbe approvare il documento.
sam/

Svizzera. QuellUngheria che non piace agli eurocrati laicisti
di Luca Volontè*
C’è un pregiudizio di fondo, nella vicenda europea che vede contrapposta la moderna Ungheria di Viktor Orban e una Commissione UE che ne denuncia le mancanze democratiche. Un pregiudizio antico, che prescinde dalle decisioni politiche di Budapest e che si rivolge ai valori cardine che la nuova Costituzione promuove: tradizione cristiana, valore della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna e tutela della vita fin dal suo concepimento.
Ma andiamo con ordine, e partiamo dall’inizio. Qualche giorno fa, l’UE ha inviato tre lettere d’infrazione al premier ungherese, relative a tre nuove leggi magiare riguardanti l’indipendenza della Banca centrale di Budapest, dell’autorità garante della privacy e il meccanismo di pensionamento anticipato dei magistrati. Si tratta di verificare la compatibilità di queste norme con le leggi europee. In realtà, due giorni fa, nel Parlamento europeo vi è stato un acceso dibattito mosso da preoccupazioni, addirittura, “per le sorti della democrazia, della libertà e dello Stato di diritto in Ungheria”. Presente anche Orban che, nel suo intervento, non minimizza, ma certamente affronta a testa alta l’Europarlamento. Lo fa ricordando che, ancora fino al 2010, «l’Ungheria era uno Stato sull’orlo del collasso economico», con migliaia di persone che vivevano al di fuori degli aiuti statali e con le piazze gremite di gruppi paramilitari. Per questo sono state necessarie grandi riforme strutturali, in linea con i valori dell’Unione europea, per ridurre il debito pubblico, sanzionare le frange estremiste e proteggere tutte le minoranze. Molto è stato fatto per migliorare e riformare magistratura, istruzione, sanità, pensioni e introdurre un nuovo welfare. Queste trasformazioni politiche hanno condotto al varo di nuove leggi e anche a una sostanziale modifica del testo costituzionale ungherese, che risaliva al 1949. Quindi, fino al 1 gennaio 2012, data dell’entrata in vigore della nuova Costituzione, l’Ungheria era l’ultimo Paese dell’Europa dell’Est ad avere ancora una Costituzione “stalinista”. Orban ha sempre saputo che tutto questo avrebbe comportato un dibattito. Tuttavia, le questioni sollevate dalla Commissione non osano lambire la nuova Costituzione e i grandi principi cristiani in essa rappresentati: s’impuntano piuttosto su leggi transitorie, perciò facilmente modificabili. Del resto, Orban è forte del mandato politico dei cittadini ungheresi, che a larga maggioranza nel 2010 l’hanno eletto: tagliare i legami con tutte le tendenze politiche del passato e riformare il Paese. Cosa che, a tutti gli effetti, sta facendo.
Il PPE è certo della bontà delle riforme del Governo ungherese e non pone il muro contro muro in sede di discussione, suggerendo, semplicemente, «di dare attuazione ai suggerimenti della stessa Commissione e modificare ciò che non è conforme ai trattati». Di tutt’altro avviso liberali, verdi e gran parte della sinistra, che da settimane puntano il dito contro il Governo magiaro. Sono i gruppi parlamentari che male han digerito la sconfitta politica in Ungheria nel 2010 e le riforme adottate dall’attuale maggioranza. Riforme che, come abbiamo visto, si sono concretizzate in un testo costituzionale rinnovato (nel cui merito l’UE non entra) e in norme necessarie per rilanciare il Paese (di tutte, solo tre contestate dalla Commissione europea). Orban, due giorni fa a Strasburgo, ha ribadito: «Abbiamo sentimenti cristiani, pensiamo che il sentimento di appartenenza ad una Nazione sia un valore importante come il valore della famiglia», ribadendo poi la sua disponibilità a modificare le tre leggi contestate in modo che siano in linea con i dettami europei.
Il punto sta qui: le procedure di infrazione adottate dall’UE non sono una novità. Molte altre volte sono state avviate nei confronti di altri Paesi. Senza questa pioggia di critiche a senso unico che oggi investe l’Ungheria. Qui sembrano prevalere ostilità e pregiudizi verso i valori fondamentali e cristiani che ispirano la maggioranza dei parlamentari della coalizione di maggioranza in Ungheria.
* parlamentare europeo (PPE)

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