giovedì 26 gennaio 2012

Federali_mattino/2_26.1.12. A cuccia, Lassie. - Lombardo: Abbiamo trovato nel premier Mario Monti e nei ministri una competenza tecnica e una disponibilità senza precedenti: ora raccomando grande responsabilità agli autotrasportatori, è opportuno che cessino forme di protesta che creano danni ad altre categorie.---Il problema è se riusciranno a circoscrivere il contagio alla Grecia o se dovranno estenderlo al Portogallo, ha detto Hugo Dixon fondatore e direttore di Reuters Breakingviews a margine del Wef a Davos.

Lombardo da Monti: sì al Ponte, slitta il confronto sulla benzina         
Timori di contagio da Atene a Lisbona
La laurea non è un pezzo di carta



Lombardo da Monti: sì al Ponte, slitta il confronto sulla benzina         
Il presidente della Regione ha incontrato il premier: da lui grande disponibilità, ora basta proteste. Le accise? Se ne parlerà in un tavolo tecnico la prossima settimana.
PALERMO. "Abbiamo trovato nel premier Mario Monti e nei ministri una competenza tecnica e una disponibilità senza precedenti: ora raccomando grande responsabilità agli autotrasportatori, è opportuno che cessino forme di protesta che creano danni ad altre categorie". Lo ha detto il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, al termine di un incontro con Monti a Palazzo Chigi, in cui ha presentato un dossier di richieste avanzato dal cosiddetto movimento dei forconi. Alla riunione hanno preso parte anche il ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri, ed il ministro dell'Agricoltura, Mario Catania.
"Sono state - ha spiegato Lombardo - due ore e mezzo di confronto serrato ed abbiamo affrontato in modo esauriente una serie di punti importanti. Abbiamo chiesto la flessibilità nella riscossione dei tributi, l'impegno a varare norme precise a tutela della sicurezza alimentare per tutelare i nostri prodotti dalla concorrenza sleale di altri Paesi ed abbiamo anche stabilito la partecipazione di alcune imprese siciliane nelle opere che verranno fatte in Libia". "La prossima settimana il Governo costituirà un tavolo tecnico sulla questione del bilancio, della spesa sanitaria e del federalismo fiscale ed in quell'occasione si tratterà di accise e costo della benzina".
Ma non solo: "Il Governo ci ha detto che nell'ultima riunione del Cipe non c'é stato alcun definanziamento dei fondi per il ponte sullo Stretto di Messina e che si attende l'ok della Valutazione di impatto ambientale per reperire le risorse".
Lombardo ha poi incontrato una delegazione di sindaci siciliani in piazza Colonna, a Roma, al termine dell'incontro con il premier Mario Monti. Lombardo ha illustrando ai primi cittadini presenti l'esito della riunione con Monti, invitandoli a "avere senso di responsabilità" in merito alla 'protesta dei forconi'.

Timori di contagio da Atene a Lisbona
Vittorio Da Rold
 DAVOS. Dal nostro inviato
 Nuove tensioni di mercato sul Portogallo - anche legate allo stallo delle trattative per il salvataggio della Grecia tra privati e governo Papademos - hanno spinto i certificati assicurativi contro l'insolvenza (Cds) a valori record mentre i rendimenti sui titoli a 10 anni di Lisbona hanno anch'essi toccato valori da primato.
 I Cds a 5 anni sul Portogallo, che di fatto operano come un'assicurazione anti-insolvenza sul debito del Paese, hanno toccato i livelli dello scorso mese di aprile a 1.310 punti base.
 «Il problema è se riusciranno a circoscrivere il contagio alla Grecia o se dovranno estenderlo al Portogallo», ha detto Hugo Dixon fondatore e direttore di Reuters Breakingviews a margine del Wef a Davos.
 Il premier portoghese, Pedro Passos Coelho, sostiene che l'Europa sta attraversando una fase di «rischio sistemico» e che «occorre definire un meccanismo che eviti il contagio dalla crisi greca», mentre il leader degli industriali portoghesi, Antonio Saraiva, sostiene che il suo Paese ha bisogno di altri 30 miliardi di euro di aiuti internazionali, oltre ai 78 miliardi di euro già previsti dal salvataggio di Ue e Fmi.
 Il presidente di Bnp Paribas, Baudouin Prot, al World Economic Forum di Davos ha detto che l'ultima offerta avanzata dalle banche nelle trattative sullo swap del debito greco è «il massimo accettabile per un accordo volontario». Poi ha aggiunto che «un default greco non sarebbe la fine dell'euro». Anche per Daniel Gros, presidente del Ceps l'eventuale default greco è «una sconfitta locale ma il morale del resto delle truppe è alto».
 Beatrice Weder di Mauro, svizzera di nascita e di cui si ipotizzza l'ingresso nel board a tre della banca centrale svizzera nonché membro del team dei consiglieri economici del cancelliere Angela Merkel, ha invece affermato sempre a al Wef che un «eventuale default greco non avrebbe un grande impatto sull'eurozona».
 Insomma Atene non è più un problema a Davos «anche perché – dice Stefano Aversa di Alixpartners - un default di fatto c'è già e ora si tratta di trovare una soluzione che arriverà come in tutte le trattative di ritrutturazione alla 23° ora». Giuseppe Recchi, presidente dell'Eni, ha ricordato come la crisi del debito sovrano europeo abbia fatto scendere in campo i tecnocrati in Italia, con l'approvazione del parlamento, e «i cittadini sono pronti a fare ciò che serve per tenere la barca a galla con un consenso al premier Mario Monti del 61%». Poi si è chiesto ironicamente come «possa la Gran Bretagna avere ancora la tripla A» in una condizione economica certamente non florida e una industria manifatturiera in difficoltà.
 Così mentre le trattative tra la Grecia e suoi creditori privati sembrano sempre più difficili, montano le pressioni, Fmi in testa, sulla Bce che ha 45 miliardi di bond greci perché faccia uno sforzo maggiore e intervenga a sollevare Atene dal suo debito, partecipando alle perdite sulle obbligazioni greche da cui ora è invece esclusa. Ma da Bruxelles e Francoforte la risposta è unanime: i patti non si cambiano, lo sforzo è già grande.
 Una cosa è certa: tutti a Davos stanno cercando soluzioni alla crescita che può avvenire attraverso nuove quote di mercato o maggiore esportazione. «Ecco perché l'Italia deve dirigersi con mentalità nuova - dice sempre a Davos Alessandro Castellano, ammnistratore delegato di Sace - verso i Paesi in crescita come i Brics».

La laurea non è un pezzo di carta
 Alessandro Schiesaro
 Due circostanze rendono oggi possibile e necessario discutere concretamente, forse per la prima volta, di abolizione del valore legale della laurea. L'Italia sta lavorando intensamente per rilanciare l'economia e per liberare le energie di un Paese troppo ingessato; allo stesso tempo, le norme su accreditamento e valutazione definitivamente varate la settimana scorsa dal Consiglio dei ministri in attuazione della riforma universitaria offrono le premesse indispensabili per dare corpo a un dibattito finora troppo astratto, visto che l'accreditamento costituisce l'unica alternativa credibile al valore legale.
 È utile in ogni caso evitare entusiasmi eccessivi o anatemi a priori: come spiega benissimo Sabino Cassese, «il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali». Una nebulosa, appunto, cioè una stratificazione di norme dirette e indirette, non un semplice articolo di legge che basta cassare con un tratto di penna. "Abolire" il valore legale - per strano che possa sembrare - è infatti un problema che riguarda solo indirettamente le università, perché la gran parte di quel "valore" è conferito alle lauree da norme sull'accesso alle professioni regolate o ai concorsi pubblici, oppure da regolamenti sui passaggi di carriera nelle amministrazioni statali. Abolire, o rivedere, questo coacervo di norme non intaccherebbe in alcun modo né il valore scolastico dei titoli (il fatto, per esempio, che serve una laurea triennale per accedere alla magistrale, come la licena elementare per iscriversi alle medie), né tantomeno l'obbligo, per gli atenei, di operare in un regime di autorizzazione e riconoscimento pubblici. Regime che, con le variabili del caso, esiste ovviamente in tutti i Paesi, anche i più liberali: per questo su internet offrono in vendita la laurea di Berkley (fasulla) ma non quella di Berkeley, università vera, autorizzata e accreditata.
 La limpida distinzione tra valore scolastico ed extrascolastico della laurea era il cardine dell'impianto previsto dal testo unico del 1933, che separava in modo rigoroso il "valore di qualifiche accademiche" attribuito ai titoli di studio e l'abilitazione professionale conseguita invece tramite l'esame di Stato, cui, certo, si poteva essere ammessi solo in possesso della laurea. Nei decenni successivi, e, paradossalmente, a partire dalle leggi sull'autonomia universitaria del 1989, il confine tra queste due funzioni della laurea si è poco a poco confuso. Proprio la legge sull'autonomia (la 168 del 1989), imponendo agli atenei «l'adozione di curricula didattici coerenti ed adeguati al valore legale dei titoli di studio rilasciati dall'università», prefigurava una sorta di subordinazione funzionale dei percorsi di studio all'esito finale, quello della spendibilità professionale racchiusa appunto nel concetto di "valore legale". Ancora più netta, in questo senso, la svolta rappresentata da una legge dell'anno successivo, la 341, che prevede l'adozione di decreti per individuare "i profili professionali per i quali… il diploma di laurea è titolo valido per l'esercizio delle corrispondenti attività, nonché le qualifiche funzionali del pubblico impiego per le quali il diploma di laurea costituisce titolo per l'accesso». È vero che questi decreti non sono poi stati emanati, ma il principio sancito si colloca agli antipodi rispetto al testo del 1933.
 È dalle modifiche introdotte negli ultimi decenni che derivano, più o meno direttamente, gli eccessi poi esibiti a riprova della pericolosità del concetto di valore legale, prima fra tutte la possibilità, nel pubblico, di essere inquadrati automaticamente a un livello superiore se solo si consegue la laurea, stimolo a migliaia di deboli o debolissime lauree triennali "in convenzione" che garantiscono promozioni sul campo a prescindere dall'accertamento di effettive competenze acquisite grazie al titolo, oppure il punteggio anch'esso automaticamente attribuito al voto di laurea in alcuni concorsi, senza ponderazione qualitativa rispetto ai contenuti del piano di studi o alle competenze effettivamente dimostrate.
 Ripulire il quadro normativo da alcune di tali storture consentirebbe certamente di evitare questi e altri problemi, e lascerebbe liberi gli atenei di impostare la propria programmazione didattica con maggiori margini di autonomia, ma potrebbe anche creare più spazio per le lauree triennali, oggi ancora sottovalutate, a torto, specie nel settore pubblico: difficile dare qualche chance in più ai giovani se li tiene sui banchi, nel migliore dei casi, tre anni più dei loro colleghi di altri Paesi. Fermo restando l'obbligo di autorizzazione ex ante, sarebbero poi l'accreditamento e la valutazione dei corsi e delle sedi a offrire a studenti, famiglie e datori di lavoro gli elementi di giudizio necessari per compiere le proprie scelte. Scelte, non va dimenticato, che sono effettivamente possibili solo in un sistema di borse di studio non solo ben finanziato, ma anche rivisto nei suoi presupposti culturali, perché oggi poco propenso, anche per la sua struttura regionale, a favorire la mobilità degli studenti.
 "Abolire" il valore legale, sia chiaro, non rappresenta un toccasana miracoloso, ma rivederne limiti e funzioni in relazione all'accesso all'impiego pubblico e alla disciplina degli ordini professionali può contribuire a far tramontare la passione per il "pezzo di carta" in quanto tale e spingere invece a concentrarsi piuttosto sui contenuti e le opportunità offerte dagli studi universitari, che rischiano altrimenti di perdere peso come fattore (insostituibile) di mobilità sociale.

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