venerdì 27 gennaio 2012

Federali_sera_27.1.12. Cagliari - Questo sì che è un ultimatum: Da lunedì, vogliamo fatti.---Morya Longo: In Portogallo l'intera economia è piena di debiti – osserva Silvio Peruzzo, economista di Rbs – lo stress finanziario va ben oltre lo Stato. Questo significa che non solo il Governo fatica a trovare finanziamenti: tutti sono alla canna del gas. Un problema enorme, considerando il fatto che per il Portogallo si stima una recessione del 3% quest'anno.---Svizzera, Generoso Chiaradonna: E mai durante questi decenni il Forum economico mondiale ha saputo anticipare uno qualunque dei cambiamenti globali che pure sono capitati. L’edizione dell’anno scorso, da questo punto di vista è stata emblematica: il Nord Africa bruciava e nessuna delle cosiddette élites presenti a Davos aveva avuto il benché minimo sentore o percezione di quanto stava accadendo.

LA NUOVA SARDEGNA - Cronache: Armistizio tra i manifestanti e lo Stato
LA NUOVA SARDEGNA - Cronache: I blocchi restano solo nel Nuorese
Cancellati i mini-debiti col fisco. Non si pagherà fino a 30 euro
Eurispes: 60% giovani pronti a fuga da Italia per lavoro
La silenziosa deriva del Portogallo
Crisi: Spagna, disoccupazione al 22,9%, massimo di 15 anni
Spagna: a dicembre vendite al dettaglio -5,4% su anno
Svizzera. Un evento globale concentrato su se stesso
Federazione Russa. Il grido di Davos



LA NUOVA SARDEGNA - Cronache: Armistizio tra i manifestanti e lo Stato
27.01.2012
CAGLIARI. L’armistizio annunciato c’è stato. I movimenti hanno ascoltato il prefetto. L’assedio ai porti e alle Statali ieri si è allentato. Non è una resa, ha detto chi ha parlato a nome della Consulta. «Nell’aprire i varchi, abbiamo solo dimostrato la nostra buona volontà. Non vogliamo danneggiare nessuno. Ma allo stesso tempo, confermiano che è indispensabile una trattativa con la Regione e lo Stato». Questo sì che è un ultimatum: «Da lunedì, vogliamo fatti». I movimenti hanno fatto quel passo indietro sollecitato dal ministro dell’Interno attraverso il prefetto. Adesso, si aspettano che arrivi la contropartita. Oggi dovrebbe essere l’ultima giornata di protesta della Consulta, ma è possibile che i presidi rimangano, seppure più discreti, fino al giorno delle risposte attese. I varchi nei porti. In quello commerciale di Via Roma e nello scalo industriale di Macchiareddu, ieri le gru e i camion hanno liberato le corsie per le merci. Non c’è più pressione sui cancelli, anche se qualche momento di tensione c’è stato comunque al porto canale. È stato quando prima che arrivasse l’ordine di scuderia («Arretriamo») qualche autotrasportatore ha provato a forzare il blocco che resisteva da martedì. Sono dovute intervenire le forze dell’ordine, per evitare scontri. Alla fine, è ritornata la calma e sono cominciate le operazioni di carico e scarico, con gli svincoli di accesso presidiati comunque dalla polizia per evitare l’arrivo di altri manifestanti. Anche nel porto di Via Roma, gli autoarticolati che tenevano sotto scacco il molo Dogana, si sono spostati nello sterrato vicino e il cancello, seppure guardato a vista da polizia e carabinieri, è stato riaperto. I blocchi stradali. Nel Cagliaritano, non c’è più l’imbuto in Viale Monastir, mentre continuano i presidi, ma meno affollati, sulla Carlo Felice. Nel bollettino della giornata, c’è ancora molto spazio per il Sulcis dove resta alta la tensione. Ieri i camion hanno occupato il ponte di Sant’Antioco insieme ai pescatori. A Villamassargia i commercianti hanno chiuso i negozi per solidarietà, mentre le famiglie non hanno mandato i figli a scuola e il sindaco ha convocato un consiglio comunale straordinario. Il primo vertice. Quello con gli autotrasportatori è stato decisivo per allentare la morsa. L’assessore ai trasporti Christian Solinas ha detto alla delegazione di «Sardegna in movimento» che da marzo ci sarà un secondo collegamento merci della Saremar a tariffe fisse con la penisola - dovrebbe essere il Porto Torres-Genova, oltre all’attuale Olbia-Civitavecchia - mentre per quest’estate è allo studio una terza tratta, la più probabile è il Cagliari-Livorno. Gli autotrasportatori si sono detti soddisfatti delle proposte, ma hanno chiesto a Solinas di farsi anche portavoce col ministro Passera di due richieste: «La diminuzione del prezzo del gasolio e il rispetto delle regole - ha detto Giancarlo Acciaro - a cominciare dalla legge che impone una tariffa minima per ogni chilometro percorso». L’assessore ieri stesso ha inviato la lettera a Passera. Il secondo vertice. Quello sulle cartelle Equitalia è convocato per oggi a Villa Devoto. All’ordine del giorno, i dieci punti che da mesi sono la piattaforma degli indignados di Viale Trento e del gruppo Commercianti liberi. Stamattina Cappellacci dovrebbe confermare l’intervento della Sfirs per dare sostanza al fondo «salva aziende» e potrebbe presentarsi anche con una prima risposta del Governo sull’argomento più delicato: la dichiarazione dello stato di crisi. È l’atto necessario per la sospensione di pagamenti e aste. Banche e consumi. Gli istituti di credito devo essere il prossimo obbiettivo della protesta, lo ha detto il presidente del Psd’Az, Giacomo Sanna: «È anche un’assurda politica creditizia ad aver ridotto la Sardegna alla fame. Bisogna fermare lo strapotere delle banche». Mentre il presidente di Confesercenti, Marco Sulis, è stato perentorio: «Il livello di sopportazione sociale è stato superato e non è possibile la ripresa economica se il potere d’acquisto delle famiglie continua a essere massacrato».

LA NUOVA SARDEGNA - Cronache: I blocchi restano solo nel Nuorese
27.01.2012
LULA. Non cala nel Nuorese la mobilitazione del Movimento delle partite Iva che anche ieri ha bloccato il traffico sulla 131 dcn, nei pressi dello svincolo per Lula. Nell’arteria più importante e trafficata della provincia che collega il Nuorese agli scali portuali e aeroportuali di Olbia. Ed è qui che è scattato il blocco stradale. L’ordinato servizio d’ordine ha evitato che la manifestazione creasse troppi disagi. Mezzora massimo il tempo di fermata, che i manifestanti hanno utilizzato per spiegare agli automobilisti i motivi della protesta, incontrando sempre la solidarietà della gente. Verso le 10.30 agli attivisti della bassa Baronia si sono aggiunti quelli di Dorgali e Oliena. E’ stato allora che il Movimento ha deciso di alzare la posta spostandosi sulla 131 dcn e bloccando la superstrada. I blocchhi sono avvenuti sotto la discreta e tollerante presenza di un folto gruppo di carabinieri e poliziotti che si sono limitati a osservare l’evolversi della situazione, sempre sotto il profilo della correttezza «Non è nostro intento creare disagi, nè causare danni alle attività - ha spiegato il portavoce del Movimento, il galtellinese Stefano Zola -. La mobilitazione ha lo scopo di far capire che la nostra sopportazione è giunta al limite e che nessuno può far finta di niente. La gente ci capisce e questo per noi è già molto importante». I manifestanti hanno distribuito volantini per promuovere la grande manifestazione del 3 marzo a Nuoro quando tutti i movimenti si incontreranno alle 8 in piazza Italia. Il blocco sulla 131 Dcn è andato avanti sino a notte fonda povocando code chilometriche. A portare la loro solidarietà e quella delle amministrazioni sono arrivati anche i sindaci di Siniscola Rocco Celentano e di Irgoli Giovanni Porcu. Ed è proprio nei Comuni in occupazione che oggi si concentrerà la mobilitazione.

Cancellati i mini-debiti col fisco. Non si pagherà fino a 30 euro
Le imprese potranno rientrare negli appalti con l’accordo sulle rate
ROMA — I contribuenti che hanno debiti fiscali di modestissima entità, e magari noie procedurali enormi per assolverli, possono tirare un sospiro di sollievo. Con il decreto per la semplificazione tributaria, atteso in Consiglio dei ministri venerdì prossimo, il governo dovrebbe raddoppiare il limite al di sotto del quale l'amministrazione non darà corso alla riscossione dei crediti dovuti allo Stato o agli enti locali, portandolo a 30 euro per «ciascun tributo» e per «ciascuna annualità d'imposta » (ma con una clausola anti furbi). Nel decreto, inoltre, dovrebbe esserci una norma che consentirebbe alle imprese che hanno debiti fiscali scaduti, ma per i quali è stato concordato un piano di rateizzazione, di rientrare in ballo negli appalti e nelle commesse pubbliche. Mentre dovrebbero cadere alcune incombenze da parte dei contribuenti, come l'indicazione del domicilio fiscale negli atti destinati all'amministrazione.
Le misure a costo zero
Il testo definitivo del provvedimento deve ancora essere messo a punto dal ministero dell’Economia, ma si annuncia corposo. Le misure del pacchetto riguarderanno sia i cittadini che le imprese e il decreto, sottolineano a via XX settembre, non avrà impatto sul bilancio pubblico. La maggior parte degli interventi punta a rimuovere gli ostacoli inutili all'attività delle imprese, e come il decreto sulla semplificazione che il governo approverà oggi, a ridurne gli oneri amministrativi. Eventuali misure che avessero effetti finanziari, assicurano al Tesoro, sarebbero comunque compensate all'interno dello stesso provvedimento.
Da 32.000 lire a 30 euro
L'aumento della soglia di franchigia fiscale, una specie di «bonus evasione», era scontato. Il tetto, fissato a 16,53 euro, non veniva ritoccato da tredici anni, dava luogo ad un contenzioso inutile, anzi costoso. E comunque noioso, sia per i contribuenti che l'amministrazione fiscale. Tanto più che per gli agenti della riscossione l'esazione di crediti fiscali da 20 o 25 euro era diventata un'attività in perdita: costava più andarseli a prendere dai contribuenti, che cancellarli. Ora il limite raddoppia e dal primo luglio del 2012 l'Agenzia delle Entrate non procederà più «all’accertamento, all’iscrizione a ruolo e alla riscossione dei crediti relativi ai tributi erariali, regionali e locali, qualora l’ammontare dovuto, comprensivo di sanzioni amministrative e interessi, non superi, per ciascun credito, l’importo di euro 30, con riferimento ad ogni periodo d’imposta». I furbi, però, stiano attenti. L'abitudine a non pagare mai le tasse di pochi euro sarà da ora in poi sanzionata, perché la franchigia non verrà riconosciuta a chi dovesse violare ripetutamente e per il medesimo tributo gli obblighi di versamento.
Rate salva-imprese
Nel decreto dovrebbe essere inserita anche una norma che permetterebbe alle imprese che hanno avuto problemi con il fisco, ma che comunque hanno pagato e stanno pagando le tasse, di rientrare nel giro degli appalti e dei contratti pubblici. Oggi chi ha un debito fiscale accertato e scaduto è tagliato fuori, perché viene considerata una violazione grave e risulta nella certificazione dei carichi pendenti che le imprese devono ottenere per partecipare alle gare. Il decreto stabilisce invece che il fisco possa concedere il suo nulla osta quando quel debito, anche se formalmente scaduto, è stato oggetto di un accordo di rateizzazione e si è in regola con il pagamento delle rate. Una parte del provvedimento riguarda la semplificazione degli obblighi e delle procedure di comunicazione dei cittadini e delle imprese con l'amministrazione delle Finanze. Tra le norme che sono al vaglio dei tecnici ce n'è una, ad esempio, che eliminerebbe l'obbligo di indicare il domicilio fiscale negli atti che vengono portati a conoscenza o che sono indirizzati al fisco, come l'atto di compravendita di una casa. Per le persone fisiche il domicilio fiscale, che determina l'ufficio tributario territorialmente competente, coincide con la residenza anagrafica, ma per le imprese può valere la sede legale, indipendentemente da quella operativa. Si possono creare confusioni, ad esempio nel caso delle procedure di concordato dove è necessario sapere quale ufficio territoriale deve ricevere le istanze dei creditori, che la norma risolverebbe eliminando l'obbligo di indicare questo dato nella consapevolezza che l'informazione è comunque generalmente conosciuta dal fisco.
La nuova Irap
Dovrebbe essere reso più flessibile anche l'accesso delle imprese ai regimi opzionali, come il consolidato fiscale o l'Iva di gruppo. Oggi un semplice ritardo nella comunicazione della scelta all'amministrazione, anche se è tutto in regola, impedisce la definizione della pratica. Domani il fisco sarà più tollerante con i ritardatari, e un po' meno esigente nei confronti degli altri contribuenti. Per l'adesione ad alcuni altri regimi speciali, come la tonnage tax o il calcolo dell’Irap, basterà provvedere in dichiarazione dei redditi, senza dover comunicare nulla all'Agenzia delle Entrate.
Mario Sensini
27 gennaio 2012 | 7:37

Eurispes: 60% giovani pronti a fuga da Italia per lavoro
Rapporto Italia 2012 di Eurispes: per 53% utili sacrifici per far uscire Italia da crisi
26 gennaio, 17:20
ROMA - Quasi il 60% dei giovani tra 18 e 24 anni, seguiti a poca distanza dai 25-34enni, si dice disposta, oggi, ad intraprendere un progetto di vita all'estero: e' quanto emerge da un sondaggio contenuto nel Rapporto Italia 2012, appena pubblicato dall'Eurispes.
Piu' precisamente, il 59,8% dei giovani (18-34 anni) si dichiara disponibile a lasciare il Paese, così pure 57,1% tra i 25-34enni. Il dato scende al di sotto del 50% tra i 35-44enni (45,2%) per poi calare in maniera più decisa tra i 45-64enni (35%) e ancor tra gli over65 (20,5%). Sulle motivazioni alla base di un ipotetico trasferimento all'estero, non ci sono dubbi: a prevalere nettamente sono le maggiori opportunità lavorative (22,9%), seguite a molta distanza dalle opportunità più genericamente intese (14,1%) e dal minore costo della vita (11,8%).
Quanto invece a spendersi in prima persona per le sorti collettive, gli italiani, dal sondaggio, non sembrano molto propensi a farlo: la maggioranza del campione (59,6%) si è infatti detto "poco" (42,9%) o "per niente" (16,7%) stimolata ad impegnarsi per la ripresa del Paese; a fronte di un 38,3% che si è invece definito "abbastanza" (30%) o "molto" (8,3%) spronato in tal senso.
Il quadro cambia, almeno parzialmente, quando si chiede se valga la pena fare sacrifici per superare l'attuale momento di difficoltà dell'Italia: oltre la metà (53,1%) si esprime in questo caso in senso positivo, giudicando "abbastanza" (41,3%) o "molto" (11,8%) utili i sacrifici richiesti per far fronte allo scenario di crisi attraversato dal Paese.
L'Eurispes comunque segnala che gli scettici arrivano a circa il 45% (il 32% è poco d'accordo con l'idea che sia utile fare sacrifici e il 13,1% non lo è per niente). I più convinti dell'utilità dei sacrifici richiesti risultano gli elettori di centro-sinistra; i meno convinti si dimostrano, rispettivamente, coloro che non hanno saputo indicare un'area politica di appartenenza (45%) e infine gli elettori di destra, che comunque si sono detti abbastanza o molto convinti dell'utilità dei sacrifici nel 44,9% dei casi.
UN PAESE A CORTO DI SPERANZA, SOPRATTUTTO AL SUD I GIOVANI I PIU' SFIDUCIATI. PIU' OTTIMISTI AL SUD E NELLE ISOLE (ANSA) - ROMA, 26 GEN - Se si chiede agli italiani di guardare alla situazione del Paese, e di esprimere in merito un sentimento prevalente, ben il 63,2% si dice "spesso" (45,5%) o "sempre" (17,7%) sfiduciato. Altrettanto diffusa è poi una sensazione di impotenza, cioe' di incapacità o impossibilità di incidere attivamente per migliorare l'attuale condizione, condivisa (spesso 33,8% e sempre 23,9%) dal 57,7%. Circa un terzo dichiara, inoltre, di non sentirsi "mai" né ottimista (35,1%) né sereno (32,8%) guardando al presente dell'Italia. L'immagine di un Paese a corto di speranza e di ottimismo emerge da un sondaggio contenuto nel Rapporto Italia 2012 dell'Eurispes. Ancora piu' preoccupante e' il fatto che sono soprattutto i giovani tra i 25 e i 34 anni, ovvero le classi "biologicamente" più proiettate verso il futuro, a dichiararsi, in oltre il 75% dei casi, "spesso" o addirittura "sempre" sfiduciate, seguite dai 45-64enni (63,8%), dai 35-44enni (60,5%), dai 18-24enni (58,9%) e infine da chi ha 65 anni o più (56,6%). Quanti poi hanno dichiarato di non sentirsi rappresentati da alcuna area politica, nel 73,2% dei casi si sono anche definiti "spesso" o "sempre" sfiduciati, seguiti dal 68,1% di coloro che non hanno saputo indicare un'area politica di appartenenza. Nelle restanti situazioni, sono i potenziali elettori dei partiti più estremi, di sinistra (66,7%) e di destra (63,2%), ad esprimere con più frequenza questo sentimento. Chi invece si riconosce nelle forze schierate al centro appare coinvolto "a metà" nella sensazione di sfiducia: il 52,6% dei potenziali elettori di centro-sinistra, il 50,6% di quelli di centro-destra e il 49,4% di quelli di centro si è infatti dichiarato sfiduciato. Così come il sentimento di sfiducia, anche quello di impotenza coglie "spesso" (33,9%) o addirittura "sempre" (26,8%) soprattutto i giovani tra 18 e 24 anni (60,7%). Incoraggiante e' invece vedere che nel Sud e nelle isole gli intervistati si dimostrano ben più inclini all'ottimismo rispetto alle regioni del Nord e soprattutto del Centro. Nelle isole, in particolare, c'e' la percentuale minore di quanti dicono di non sentirsi mai ottimisti. E nel sud c'e' una decisa prevalenza di persone disposte a definirsi 'spesso' o 'sempre' ottimiste.

La silenziosa deriva del Portogallo
Morya Longo
 Mentre sui titoli di Stato spagnoli e italiani torna un po' di fiducia, mentre le Borse toccano i massimi degli ultimi sei mesi, in Europa c'è un Paese che senza dare troppo nell'occhio sta finendo alla deriva: il Portogallo. Le vendite sui titoli di Stato di Lisbona nelle ultime settimane sono state così violente, che i rendimenti quinquennali sono ormai vicini al 18% e quelli decennali al 14 per cento. Questo significa che Lisbona, se volesse raccogliere finanziamenti decennali, sarebbe costretta a pagare tassi d'interesse quasi 12 punti percentuali superiori a quelli tedeschi. Insomma: il Paese rischia di sprofondare in una nuova crisi di liquidità. O nell'insolvenza.
 Ne è convinto Antonio Saraiva, presidente della Confindustria portoghese: a suo avviso il Paese ha bisogno di nuovi aiuti internazionali. Almeno 30 miliardi, a suo dire, che si sommerebbero ai 78 già ottenuti. Il primo ministro Pedro Passos Coelho lo nega ufficialmente: «Il Portogallo – ha affermato – non chiederà né di rinegoziare gli attuali aiuti, né di ottenerne altri». Il mercato, però, crede poco alle sue parole. Per due motivi. Uno: il Governo di Lisbona ha negato che avrebbe chiesto aiuti anche nel 2011, quando poi li ha effettivamente chiesti. Due: i dati che arrivano dall'economia portoghese lasciano poco spazio all'ottimismo.
 Il Portogallo, per certi versi, ha infatti guai più seri di quelli della Grecia. Se Lisbona ha un debito pubblico più controllato, stimato dal Fondo monetario al 116,3% del Pil nel 2012 contro il 140% di Atene, è sul fronte privato che non regge. Le famiglie (stima la Bri per fine 2010) sono oberate da un debito pari al 106% del Pil: il doppio rispetto al 65% greco o al 53% italiano. Le imprese (calcola sempre la Bri) hanno sulle spalle un debito pari al 153% del Pil: ben più del 65% greco o del 128% italiano. Basti vedere l'esempio della più grande utility del Paese: la Energias de Portugal che ha debiti per 16 miliardi, quasi 5 volte la sua capacità di produrre reddito.
 «In Portogallo l'intera economia è piena di debiti – osserva Silvio Peruzzo, economista di Rbs – lo stress finanziario va ben oltre lo Stato». Questo significa che non solo il Governo fatica a trovare finanziamenti: tutti sono alla canna del gas. Un problema enorme, considerando il fatto che per il Portogallo si stima una recessione del 3% quest'anno.
 E se l'economia vacilla, non possono che stare male anche gli istituti di credito. In Portogallo si è replicato il modello Atene: le banche sono andate a sostegno del Governo accumulando montagne di titoli del debito pubblico. Caixa Geral ne possiede per 7,5 miliardi; il Banco Commercial per 7,8. Solo le prime quattro banche hanno in pancia bond portoghesi per 23 miliardi. Un valore che supera ampiamente il loro capitale. Quei bond valgono in media la metà sui valori d'acquisto: vuol dire mettere a bilancio quasi 12 miliardi di perdite, che il sistema creditizio non potrebbe certo sostenere. Stesso discorso per le aziende a partecipazione pubblica: quando le banche internazionali hanno smesso di finanziarle, sono intervenute quelle locali. Concentrando sulle loro spalle ulteriore rischio-Portogallo.
 Tutto questo rende la situazione, secondo molti osservatori, insostenibile: qui è l'intera economia del Paese a rischiare l'insolvenza. E, sebbene si tratti di uno Stato piccolo, questo potrebbe essere un grosso problema per l'intera Europa: da mesi le autorità (Bce in primis) sostengono che il caso greco resterà isolato ma la deriva portoghese rischia di smentirle. E di gettare nuovo panico sui mercati. Tra l'altro anche l'Eurotower soffrirebbe. Le stime di Barclays Capital aggiornate al 9 gennaio (prima dell'ultimo declassamento di rating e quindi in difetto) parlano di 5 miliardi di perdite (se Bce dovesse valutare a prezzi di mercato) sui 20 miliardi di bond portoghesi posseduti dalla Bce. Speriamo che gli investitori internazionali, ora inebriati dalla super liquidità, non se ne accorgano.

Crisi: Spagna, disoccupazione al 22,9%, massimo di 15 anni
27 gennaio, 10:41
(ANSAmed) - ROMA, 27 GEN - Il tasso di disoccupazione in Spagna è volato al 22,9% nel quarto trimestre dello scorso anno, più del doppio della media europea e al massimo di 15 anni. Lo riferisce l'ufficio statistico spagnolo.(ANSAmed).

Spagna: a dicembre vendite al dettaglio -5,4% su anno
27 Gennaio 2012 - 09:08
 (ASCA) - Roma, 27 gen - Nel mese di dicembre le vendite al dettaglio in Spagna hanno registrato una contrazone pari a -5,4% su base annuale.
com/vam

Svizzera. Un evento globale concentrato su se stesso
di Generoso Chiaradonna - 01/27/2012
Dove si prendono le decisioni che influenzano il mondo? O meglio, dove si prendono quelle decisioni che poi hanno un effetto concreto sulla vita di tutti i giorni di noi poveri mortali? La risposta è semplice: a Washington, Pechino, Mosca, Berlino o Bruxelles a seconda dei casi e non certo a Davos dove in questi giorni sono confluiti ‘i potenti’ di tutto il mondo, almeno di quello che conta. E per potenti si intendono i soliti: governanti, dirigenti di multinazionali e banchieri uniti in un esclusivo club.
È dal 1971, anno del primo vertice informale tra potenti, che a cadenza quasi annuale – prima centinaia di fortunati e ora ormai migliaia di ospiti eccellenti, per la gioia dell’ente turistico grigionese – si incontrano nella rinomata località alpina. Era un mondo, quello di 41 anni fa, ancora diviso in due blocchi e il fatto che ci fosse un luogo, in un Paese neutrale, dove si potesse esercitare la cosiddetta diplomazia informale, era importante. A distanza di tanti anni il mondo è cambiato. E mai durante questi decenni il Forum economico mondiale ha saputo anticipare uno qualunque dei cambiamenti globali che pure sono capitati. L’edizione dell’anno scorso, da questo punto di vista è stata emblematica: il Nord Africa bruciava e nessuna delle cosiddette élites presenti a Davos aveva avuto il benché minimo sentore o percezione di quanto stava accadendo. Furono sorpresi dalle rivolte popolari in Egitto e in Tunisia esattamente quanto e come gli altri comuni mortali. Eppure soltanto due anni prima il figlio ‘illuminato’ del colonnello libico Muammar Gheddafi – Saif al-Islam, l’intellettuale con il Kalashnikov – veniva ricevuto al Forum come un presunto e credibile interlocutore del regime libico, in un momento in cui c’era una difficile crisi diplomatica tra Svizzera e Libia. Sappiamo come sono andate le cose negli ultimi dodici mesi.
Nessuno pretende facoltà divinatorie ai partecipanti o al Wef in sé, ma da chi frequenta o addirittura fa parte a pieno titolo del mondo della finanza, dell’economia e della politica che contano qualche indicazione e attenzione in più per ciò che potrebbe accadere è giustificato attendersela.
Quest’anno a Davos tiene banco la crisi dell’eurozona e della sua moneta anche se il tema è dedicato alla ‘Grande trasformazione: sviluppare nuovi modelli’. Un tema enorme e volutamente vago.
L’ospite d’onore dell’edizione 2012, la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha in un certo senso rassicurato sul futuro dell’euro e questo a pochi giorni dal prossimo vertice europeo, quello di lunedì prossimo, che dovrà mettere nero su bianco il trattato sull’unificazione di bilancio tra le economie aderenti alla moneta unica. A Davos, però, si sono date convegno anche tutte le ‘Cassandre’ che pronosticano la fine della moneta unica entro breve. Non è questione di ‘se’, ma di ‘quando’ ciò avverrà, affermano.
Speriamo che anche quest’anno la scarsa capacità predittiva del popolo del Wef sia rispettata.
La seconda è l’altezzosità moralisteggiante di un’Europa, in questo caso impersonata dalla Francia, che blandisce Ankara mentre la tiene a distanza e le detta l’inventario di ciò che è buono e ciò che non lo è. Una Francia lanciata verso le elezioni presidenziali, nelle quali i voti della cospicua diaspora armena, ormai assimilata, possono risultare preziosi per un Sarkozy in cerca di riconferma all’Eliseo.
Non è solo una questione di convenienze o di frizioni diplomatiche. Sappiamo bene, avvicinandosi la Giornata della memoria, quanto deve la nostra coscienza di europei all’assunzione di responsabilità per gli abominii di cui la nostra storia è stata capace. Ma conosciamo bene anche quanto dolore, quanto disgusto generino le tesi negazioniste, mentre è anche provato che solo un impegno di insegnamento e uno sforzo di conoscenza possono arginare e confutare le più aberranti teorie dei Faurisson e dei loro adepti. Sforzo emotivo per chi ha conosciuto l’enormità di quel crimine e a cui è ciclicamente richiesto di riviverlo per alimentare una memoria che altrimenti andrebbe persa; sforzo di intelletto, perché lo studio e la Storia autentici non si praticano senza fatica.
Ruolo della politica (se mai è rimasto un significato degno a questo esercizio) agire perché negazionismo e pressapochismo – non meno pernicioso e ambiguo – non trovino ascolto. Ma di una politica che non riproduca i meccanismi di discriminazione ed esclusione, entro la cui cornice allignano e – ove i tempi si prestino – maturano le ideologie genocidiarie. Ciò da cui la politica europea oggi non può dirsi immune, per un orientamento di pensiero e per calcolo.
Il caso Francia-Armeni-Turchia è oggi rivelatore di un vizio, di forma e di contenuti, che rischia di compromettere l’importanza e la nobiltà di un atto quale il riconoscimento (e la condanna) della natura di genocidio ai massacri compiuti ai danni della popolazione armena da quei Giovani Turchi ai quali pur si deve la nascita della moderna Turchia.
Il rifiuto della politica e della società turche di riconoscere quell’evento è anacronistico e colpevole; ed è un crimine senza altri aggettivi la persecuzione di cui è vittima in Turchia chi soltanto lo evochi. Ma almeno incauta è la pretesa francese di legiferare sulla storia altrui.
Ed è proprio quell’altrui che ci interpella: oltre una certa misura, infatti, un crimine non consente alterità. Tutti, carnefici, vittime o ignari osservatori ne siamo coinvolti. Almeno questo il Novecento dovrebbe avercelo insegnato. Ma perché non sia un arbitrio o stucchevole retorica, fare legge di questa consapevolezza richiede che la nostra storia sia la prima a essere posta in causa: più recente di quello degli Armeni, c’è ad esempio il genocidio ruandese a sollecitare a Parigi un coerente atto di verità. Parigi oggi, beninteso; e domani, o altrove, Berlino, Roma, Londra, Mosca... e Ankara. Certo anche Ankara.

Federazione Russa. Il grido di Davos
27 gennaio 2012
Ekaterina Kravshenko, Michail Overshenko , Vedomosti.ru
I partecipanti al Forum Economico Mondiale prevedono un peggioramento della crisi globale e intendono cercare un nuovo modello di crescita economica. Le imprese russe si dimostrano salde
La 42esima edizione del Forum Economico Mondiale (Wef) di Davos, in Svizzera, ha come tema centrale “La Grande Trasformazione: immaginare muovi modelli”. Il capitalismo nella sua forma attuale non è più adatto alla nostra società, ha annunciato il fondatore e Presidente del Wef Klaus Schwab. “Non abbiamo imparato dalla crisi del 2009. Abbiamo urgentemente bisogno di trasformazioni globali, e bisogna iniziare con un rinnovato senso di responsabilità sociale”. Gli organizzatori del forum ritengono che per realizzare e non limitare il potenziale dell’umanità nell’attuale secolo, siano necessari nuovi modelli di sviluppo, idee coraggiose e talento personale.
Gli incontri del Wef sono dedicati alla ridefinizione dei valori tradizionali: dagli indicatori dei successi economici e sociali al ruolo delle Banche Centrali, dalla capacità dei metodi democratici di superare la crisi economica e politica ai benefici della globalizzazione e dei progressi tecnologici. Il discorso inaugurale è stato letto dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel.

 La soluzione a molti di questi quesiti è legata a quali modelli di sviluppo potranno offrire i Paesi asiatici, a essi è dedicata più di una decina di incontri del forum, sei solo alla Cina. Alla Russia, invece, è dedicato solo un incontro, dal titolo “Prospettive della Russia”. Ospiti l’ex ministro delle Finanze, Alexei Kydrin, il Presidente del Gruppo Vtb Capital, Andrej Kostin, il vice premier, Igor Shuvalov, l’amministratore delegato di Alcoa, Klaus Kleinfeld, il presidente della Bers, Tomas Mirov, il presidente del consiglio d’amministrazione di Vimpelcom, Augie Fabela, e l’editrice di Thomson Reuters, Christina Freeland.

Più spazio è dedicato agli incontri informali russi: le colazioni di Sberbank e del Gruppo Vtb Capital con gli investitori e il ricevimento del Fondo russo di investimenti diretti. L’idea della colazione è comoda, osserva il Presidente del Gruppo Vtb Capital: “Per molti investitori la giornata lavorativa inizia presto, i lavori della parte principale del forum non sono ancora iniziati, quindi non sono distratti”.

Il forum riunisce i capi di Stato e governo di più di 30 Paesi; "La delegazione russa è guidata da Igor Shuvalov", dichiara l’assistente del Presidente, Arkadij Dvorkovich, che partecipa al Forum. Dvorkovich riconosce che della manifestazione non sono tanto importanti gli interventi pubblici quanto i colloqui informali.
Il progetto russo più importante presente a Davos sarà il Fondo russo di investimenti diretti, nel quale lo Stato investirà 10 miliardi di dollari a condizione che gli investimenti siano condotti congiuntamente con investitori stranieri. 
In Russia, gli ottimisti, nel 2012, sono più numerosi che nel resto del mondo (48 per cento), ma di meno rispetto all’anno scorso (60 per cento). La Russia ha ancora dei margini di crescita, che altri Paesi, come ad esempio l’Europa, colpita dalla crisi, possono solo sognarsi, osserva il direttore del Fondo russo di investimenti diretti, Kirill Dmitriev, che rientra nella lista dei giovani leader mondiali del Wef. Le prospettive per le imprese russe sembrano migliorate, concorda il presidente del gruppo Vtb, Andrej Kostin, tuttavia c’è stato un calo di liquidità, i mercati di capitale occidentali hanno chiuso quasi completamente. Kostin non si aspetta un inasprimento delle condizioni creditizie per il settore delle imprese domestiche.

"I tassi di crescita del mercato cadranno, ci sono già dei problemi di liquidità", riconosce anche il presidente di AvtoVAZ Igor Komarov. "Peggiore sarà la situazione del settore reale con la riduzione del livello di liquidità e il conseguente aumento dei tassi sui prestiti di 1-1,5 punti percentuale -, concorda l’amministratore delegato di EuroSibEnergo, Evgenij Fedorov. - Ci auguriamo, tuttavia, che il sistema bancario, anche grazie all’aiuto del Governo, si regoli con le attuali condizioni e la liquidità ritorni sul mercato”.
"La situazione economica, politica e di settore peggiorerà, ma le imprese potranno migliorare le prestazioni economiche", ne è sicuro l’amministratore delegato di Rusargo Maksim Basov.
Il 70 per cento dei top-manager mondiali progettano di cambiare strategia viste le dinamiche della domanda dei consumatori e le condizioni economiche. I manager russi intervistati da Vedomosti o non intendono affatto cambiare la loro business strategy o la chiamano semplicemente correzione. "Si correggono solo le tattiche e i mezzi per raggiungere gli obiettivi strategici, tenendo conto della complessa situazione dell’economia mondiale", osserva, ad esempio, Kostin. Ciò nonostante, tutti i manager russi intervistati puntano a ridurre le spese.

"La crisi è possibile solo nella sfera finanziaria", ritiene l’amministratore delegato di Magnit Sergej Galickij. "Le imprese russe hanno i loro problemi -, ribadisce Basov. - Con il peggioramento della percezione degli investitori stranieri, aumentano i costi (gas, energia elettrica, fertilizzanti, materiali combustibili e lubrificanti, stipendi), la qualità delle infrastrutture zoppica, e non vi è nessuna garanzia di fronte a un aumento delle tariffe”.
Il Fondo Skolkovo e Bazovyj Element si sono presentati con il numero maggiore di delegati. "Nella nostra delegazione ci sono cinque partecipanti", dichiara il presidente di Bazovyj Element. "Dal momento che è un partner strategico, - spiega -, il gruppo è sempre stato rappresentato così al forum". Questo status gli permette di iscrivere un numero simile di partecipanti. Il Wef ha 109 partner di questo tipo, il costo dello status è di 500 mila franchi svizzeri all’anno. I partner russi del forum, oltre a Bazovyj Element sono il gruppo Vtb, Lukoil, Sberbank, Trojka dialog e Vimpelkom.
Il sondaggio condotto da PricewaterhouseCoopers su 1.258 dirigenti d’impresa di 60 Paesi ha mostrato come il 40 per cento dei direttori si dimostri più fiducioso nei confronti delle prospettive delle proprie imprese rispetto a quelle dell’economia globale.

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