mercoledì 29 febbraio 2012

News/am.29.2.12/

Gaeta-Caserta, le città divise dalla storia oggi si riuniscono
Sicilia. Crisi, domani si marcia per lo sviluppo
Crisi, salta vertice Eurozona di venerdì
Portogallo:supera test piano salvataggio
Serbia: Ue, Belgrado sorpresa da 'sgambetto' Romania
Federazione Russa. Putin contro Putin
I marina croati corteggiano gli yacht italiani in fuga



Gaeta-Caserta, le città divise dalla storia oggi si riuniscono
La cittadina laziale luogo di villeggiatura preferito dai casertani fu provincia di Terra di Lavoro fino al 1935
CASERTA — È già tra i luoghi di villeggiatura da sempre più apprezzati dai casertani, metà di vacanze e di gite fuori porta: ora Gaeta potrebbe essere presto anche ufficialmente gemellata con la città della Reggia. Ieri, lunedì, il sindaco Pio Del Gaudio, accompagnato dal presidente del Consiglio Gianfausto Iarrobino e dal consigliere comunale Luigi Cobianchi, ha infatti incontrato il suo collega gaetano, il sindaco Antonio Raimondi, e il vice Salvatore Di Ciaccio, per avviare il percorso che porterà le due città ad ufficializzare un legame che è già nella loro storia e nella loro cultura. Gaeta fu provincia di Terra di Lavoro fino al 1935, e le due comunità furono legate anche da nobili legami: la famiglia Gaetani, la seconda casata nobiliare più antica d'Italia, si legò in matrimonio con la famiglia Acquaviva di Caserta.
Anche nelle inflessioni dialettali gaetane sono riconoscibili parole e cadenze tipiche del Casertano e soprattutto dell'alto Casertano e di Piedimonte Matese, zona vicina alla splendida cittadella sul mare, anche per i continui rapporti e scambi enogastronomici. È anche su questo che si sono confrontati i rappresentanti delle due amministrazioni.
Da Gaeta, punto di approdo anche del turismo crocieristico, potrebbero partire tour verso la Reggia di Caserta o il Belvedere di San Leucio, anche studiando appositi percorsi enogastronomici. «Lo stesso sindaco di Gaeta - ha poi raccontato il presidente Iarrobino - ci ha spiegato come Gaeta si senta ancora profondamente legata a Terra di Lavoro. Sarà un gemellaggio quasi naturale. Una iniziativa su cui con il sindaco stiamo lavorando attentamente e che quanto prima porteremo anche in Consiglio comunale». «C'è un interesse non solo economico-turistico ma anche dal punto di vista della tradizione culturale al gemellaggio delle due città, perché questo enorme patrimonio comune non si disperda», ha aggiunto Cobianchi.

Sicilia. Crisi, domani si marcia per lo sviluppo
di Stiben Mesa Paniagua
La manifestazione è stata organizzata di comune accordo dalle varie associazioni di categoria e dai sindacati. Lo Bello: “Non vogliamo che ci sia la politica ma vogliamo risposte concrete nelle sede istituzionali”
PALERMO – “La Sicilia produttiva marcia per il lavoro e lo sviluppo”. È questo il nome scelto per la manifestazione organizzata da Confindustria, Confcommercio, Cna, Confesercenti, Confartigianato, Cia, Confagricoltura, Confapi, Casartigiani, Claai, Confcoperative, Legacoop, Unicoop, Cgil, Cisl, Uil e Ugl, che domani si svolgerà per le vie di Palermo.
 E quali sia l’obiettivo dei manifestanti lo spiega in una nota Salvatore Puglisi, segretario regionale Confartigianato imprese: “La manifestazione di domani, che vede per la prima volta in Sicilia le associazioni di impresa, i sindacati, i lavoratori e i giovani insieme, ha come obiettivo primario il lavoro. La regione è ferma, bloccata, immobilizzata dal rimpallo di responsabilità fra i due governi, nazionale e regionale, per le risorse comunitarie non spese. A noi poco importa chi le spenderà, ma basta che le spendano ed avviino tutta una serie di lavori, già appaltati ma fermi”.
 Gli fa eco Confindustria, nella persona del presidente, Ivan Lo Bello: “Questa manifestazione nasce da una volontà corale molto forte tra associazioni di categoria e sindacati, sulla scorta di molte altre manifestazioni fatte in passato. Il punto fondamentale è che le parti sociali hanno raggiunto la consapevolezza della fine di un sistema, fatto di clientelismo e sprechi che non portano a nessuna crescita. La Sicilia – ha aggiunto – non cresce da anni, i giovani sono senza lavoro, le famiglie sulla soglia della povertà, le imprese chiudono. Assistiamo a fenomeni migratori. Non si fanno investimenti. Bisogna quindi sostituire quella che è stata una cultura assistenziale e clientelare ad una cultura della crescita. Questa crescita la fanno le imprese ed i lavoratori”.
 C’è grande voglia di cambiamento. In un periodo di crisi  come quello attuale non rimanere con le mani in mano diventa un dovere di tutti i cittadini. “Mi piacerebbe – ha proseguito Lo Bello – che a marciare il primo marzo ci fossero i lavoratori e le imprese. Non vogliamo che ci sia la politica, ma non per un giudizio negativo. In questo momento vogliamo risposte concrete nelle sede istituzionali. Sarà una manifestazione per la Sicilia. Noi non siamo contro nessuno, ma vorremmo spingere la politica a intervenire. Bisogna far capire a questa classe politica che deve mutare per salvare la Sicilia e per salvarla bisogna anche una visione moderna delle parti sociali, che adesso c’è”.
 Trovare sindacati e associazioni di categoria uniti a manifestare non è una cosa comune. Ma la situazione di stasi sembra essere tale da aver portato all’esasperazione tutti. Lo conferma Maurizio Bernava, segretario della Cisl Sicilia. “Tre anni di proposte, – dice – ora in piazza per la prima volta assieme, sindacati e imprese. La situazione è straordinaria e per questo chiediamo a governo e Ars di varare rapidamente un piano straordinario per il lavoro e lo sviluppo. Non chiediamo misure assistenziali né contributi a pioggia, piuttosto provvedimenti anti-crisi selettivi, che finora abbiamo atteso invano, che attraggano investimenti, promuovano innovazione, creino lavoro soprattutto giovanile”. D’accordo anche Mariella Maggio, segretario della Cgil Sicilia. “In un momento drammatico come quello che vive la Sicilia, la marcia per il lavoro organizzata da sindacati e imprese assume un significato importante. La situazione è ormai insostenibile e noi chiediamo alla Regione di svegliarsi e di mettere in campo un piano straordinario per il lavoro e lo sviluppo”.

Crisi, salta vertice Eurozona di venerdì
Herman Van Rompuy (Xinhua) 
ultimo aggiornamento: 28 febbraio, ore 12:41
Bruxelles, 28 feb. (Adnkronos/Aki/Ign) - Non ci sarà venerdì un vertice dell'Eurozona al termine del vertice Ue a Ventisette. Un eurosummit potrebbe però essere convocato prima della fine del mese di marzo. E' quanto apprende Aki-Adnkronos da fonti comunitarie. La riunione avrebbe dovuto essere dedicata al rafforzamento delle capacità del fondo salvastati Esm, a cui la Germania continua a opporre resistenze nonostante le pressioni internazionali dell'Fmi e Stati Uniti.
La convocazione ufficiale del vertice dei Diciassette per questo non era ancora partita alle cancellerie. Il presidente Ue Herman Van Rompuy attendeva di capire se da parte di Berlino ci fosse stata più o meno disponibilità ad aumentare le risorse del fondo salvastati, ma non è stato questo il caso e la riunione è stata quindi rinviata.
Intanto, dopo il nuovo downgrade del rating di Atene, la Banca centrale europea ha annunciato oggi che cesserà di accettare temporaneamente a garanzia di finanziamenti titoli di stato emessi o garantiti dallo stato greco. Il provvedimento riguarda soprattutto le banche greche per la loro elevata esposizione al debito sovrano nazionale.
La decisione della Bce segue la cancellazione del rating sulla Grecia da parte dell'agenzia Standard & Poor's: il giudizio sui titoli di Atene è infatti passato dal livello CC a quello di "selective default" alla luce delle dichiarazioni del governo greco sull'obbligo di concambio imposto ai creditori sul proprio debito pubblico. Per la Banca centrale europea le obbligazioni greche potranno tornare ad essere accettate verso la metà di marzo, quando sarà avviato lo scambio dei titoli greci attraverso il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf).

Portogallo:supera test piano salvataggio
Ministro finanze,ritorno a mercato in 2013 e' compito arduo
28 febbraio, 13:29
(ANSA) - ROMA, 28 FEB - Il Portogallo supera il terzo test per il programma di salvataggio Ue-Fmi da 78 miliardi di euro e avra' l'ok degli ispettori alla nuova tranche di aiuti da 14,6 miliardi. Lo ha detto il ministro delle Finanze Vitor Gaspar, ad una conferenza a Lisbona ripresa da Bloomberg, precisando che il governo prevede per quest'anno una contrazione del Pil del 3,3% e un deficit al 4,5% del Pil. Gaspar ha aggiunto che Lisbona mira al ritorno sul mercato dei bond nel 2013 ma che e' un ''compito difficile''.

Serbia: Ue, Belgrado sorpresa da 'sgambetto' Romania
Questione Valacchi ritarda via libera status candidato
28 febbraio, 19:26
(ANSAmed) - BELGRADO, 28 FEB - A Belgrado regnava oggi sorpresa e stupore per l'inattesa posizione della Romania, che al Consiglio affari generali Ue a Bruxelles si e' a lungo opposta al via libera per lo status di paese candidato alla Serbia. Sorpresa tanto piu' grande se si considera che la Romania e' tenuta in particolare considerazione dalla vicina Serbia, essendo uno dei cinque paesi Ue che non hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo (con Spagna, Grecia, Slovacchia e Cipro).
 A indurre Bucarest a fare lo 'sgambetto' a Belgrado sembra sia stata la questione relativa ai Valacchi, una popolazione di origini romene presente nell'est della Serbia per la quale la Romania chiede maggiori diritti e il riconoscimento formale di 'minoranza etnica'. In realta', e anche questo e' sorprendente, non tutti i circa 30 mila componenti di tale minoranza si riconoscono nell'identita' etnica e culturale romena, sono tanti infatti tra i Valacchi coloro che si sentono piu' serbi e integrati nelle strutture sociali e di governo della Serbia. A dimostrarlo vi sono le dichiarazioni rilasciate oggi alla Tanjug da Radisa Dragojevic, presidente del Consiglio nazionale dei Valacchi.
 La Romania, ha detto Dragojevic, non puo' porre alla Serbia degli ultimatum per cio' che concerne la minoranza valacchia. E questo, ha spiegato, per due motivi: primo perche' i Valacchi non si sentono un popolo privo di diritti, secondo poiche' oltre alla minoranza dei Valacchi in Serbia esiste una precisa e ben definita minoranza di romeni. In base al censimento del 2002, ha precisato, i romeni in Serbia sono circa 31 mila, i Valacchi circa 40 mila. I Valacchi vivono in 19 Comuni nell'est della Serbia, i romeni nel Banato (regione al confine con l'Ungheria), ha precisato.
 ''Si tratta di due distinte minoranze etniche nazionali. I romeni guardano alla Romania come alla loro madrepatria, i Valacchi considerano loro madrepatria la Serbia'', ha ancora detto Dragojevic. ''Noi non abbiamo alcuna necessita' di rivolgerci alla Romania, ne' la Romania ha da chiedere qualcosa a noi''.
 Nel corso della sua visita a Belgrado l'1 e 2 novembre scorsi, il presidente romeno Traian Basescu aveva chiesto a Belgrado maggiori garanzie a favore della minoranza romena in Serbia, per cio' che concerne i diritti linguistici, religiosi e di insegnamento. Ma non e' chiaro a questo punto se si riferisse anche ai Valacchi.
 Popolazione valacchie - che si considerano discendenti degli antichi Daci dell'Impero Romano - risiedono oltre che in Serbia anche in Ungheria, Ucraina, Croazia, Macedonia, Albania, Grecia e Bulgaria. Col tempo, il termine 'Vlach' (valacchio) ha assunto differenti significati, e in certe lingue e' divenuto etimo a indicare gli italiani e l'Italia. Come nel polacco Wlochy (Italia) e Wloch (italiano), e nell'ungherese Olaszorszag (Italia, paese degli Olasz, valacchi).
 Gli attriti sulle minoranze potrebbe spiegare peraltro il perche' la Romania sia con Belgio e Lituania uno dei tre paesi dei 27 Ue a non aver ancora ratificato l'Asa, l'Accordo di associazione e stabilizzazione fra Serbia e Ue. (ANSAmed)

Federazione Russa. Putin contro Putin
di Mauro De Bonis
RUBRICA LE RUSSIE DI PUTIN (E MEDVEDEV). Nonostante la sua figura di uomo indispensabile sia sempre più in discussione, il premier dovrebbe riuscire a evitare l'umiliazione del ballottaggio alle presidenziali di domenica.
Il (pressoché certo) prossimo presidente della Federazione Russa si guarda allo specchio e vede un altro Putin. E non per i ritocchini a cui sembra aver sottoposto il viso, ma perché la sua immagine di leader non è uguale a quella che è stato abituato a vedere negli ultimi 12 anni al potere. Di questi, 8 passati da presidente e 4 da primo ministro (con il delfino Medvedev a tenergli caldo il trono del Cremlino).
A proposito: con i prossimi 6 anni di presidenza e, forse, con i successivi 6 sempre al comando del paese (per un totale di 24 anni: 20 da presidente e 4 da premier), Putin avrà governato più di quanto riuscì a fare il leader sovietico Breznev (18 anni: dal 1964 al 1982) e poco meno di quanto toccò a Josif Vissarionovic Dzugashvili, meglio conosciuto come Stalin (29 anni: dal 1924 al 1953).
L’immagine che Putin scorge adesso allo specchio è quella di un capo messo in discussione. Di un politico e, come da lui affermato, uomo indispensabile alla guida del paese, che questa volta ha dovuto combattere per poter vincere (al primo turno) le prossime elezioni presidenziali del 4 marzo. Uno sforzo che non era stato calcolato e che ha imposto, ma che soprattutto imporrà, a Vladimir Vladimirovic di cambiare strategia nei confronti di un elettorato sempre più insofferente alle sue scelte politiche.
La campagna elettorale di questa consultazione presidenziale è stata decisamente diversa dalle altre. Le migliaia e migliaia di persone scese in piazza per protestare contro i presunti brogli elettorali nelle elezioni parlamentari di inizio dicembre, hanno rotto un equilibrio che finora aveva consegnato a Putin il posto più alto del Cremlino senza troppe difficoltà. Mai ci si era permessi in Russia di criticare così sfacciatamente l’uomo che aveva tirato fuori il paese dai pantani economici e sociali degli anni Novanta. Mai si era iniziato a pensare ad un’opposizione diversa da quella “istituzionale” che negli anni ha blandamente contrastato le politiche di Putin e della sua cerchia.
Questa volta sì. E Putin aveva subodorato il pericolo da tempo, da quando nel maggio scorso aveva deciso di lasciare il partito Russia Unita al suo destino, perché facile bersaglio dei malumori popolari. Quella compagine che oggi nel paese è meglio conosciuta come “partito dei ladri e dei malfattori”, grazie alle parole del blogger più famoso di Russia, Aleksej Navalnyj. Costui, insieme ad altri, tra i principali responsabili delle proteste di piazza registrate un po’ ovunque nei grandi centri della Federazione Russa. Un movimento composito, tra ferventi ultranazionalisti, gente di destra e di sinistra, tutti uniti contro Putin e il suo regime corrotto.
Quella di Navalnyj è una figura controversa. Carismatico e deciso, il giovane avvocato russo è stato membro del partito Jabloko (quello di Javlinskij, il candidato liberale escluso dalle presidenziali) fino al 2007, quando fu cacciato per le sue simpatie nazionaliste e xenofobe. Lo ritroviamo nel novembre scorso tra i giovani della destra estrema a gridare slogan contro i caucasici. Poi in piena notte davanti casa, appena scarcerato, ad arringare giornalisti e seguaci e a dare loro appuntamento in piazza, per protestare tutti insieme contro la casta asserragliata al Cremlino.
Proteste alle quali Putin ha dovuto rispondere sia portando in strada e negli stadi i suoi sostenitori, sia presentando al paese un suo preciso programma. Una piattaforma che non ha voluto discutere con gli altri candidati alla presidenza nei tanti dibattiti televisivi, ma che ha affidato alle pagine di vari quotidiani russi pronti ad ospitare gli articoli con i quali il candidato Putin ha spiegato cosa c’è da fare per migliorare un paese minacciato da instabilità, stagnazione, ingerenze esterne e quant’altro. Come se non fosse stato lui alla guida della Federazione nel decennio appena trascorso.
Putin, forte dell’appoggio della Chiesa ortodossa e con un parterre di candidati/sfidanti che, con l’eccezione del miliardario Prokhorov, non è certo il nuovo che avanza, ha illustrato alla popolazione quanto ci sia da lavorare per riportare la Russia nei piani alti che le competono del teatro internazionale. E per garantire “una vita decente ai cittadini di un grande paese”.
Innanzitutto, bisognerà procedere ad un effettivo sviluppo democratico, come a dire che il modello verticale di sovranità democratica, proposto dal suo ex consigliere Surkov e puntualmente seguito da Putin, non ha poi funzionato così bene. Inoltre, bisognerà combattere la corruzione, ridimensionare il potere della burocrazia ed evitare che si formino e continuino a dettar legge oligarchie locali e centrali che hanno finora indirizzato il paese verso l’interesse di pochi.
Bene, anche se Putin dimentica di dire che durante la sua leadership oltre 2 milioni di persone hanno abbandonato definitivamente la Russia, che tutti gli uomini della sua cerchia sono diventati miliardari e che contro gli 1,5 trilioni di dollari di petrolio esportato durante il suo “regno” il paese non ha visto sorgere quelle infrastrutture necessarie ad un territorio così immenso come quello della Federazione Russa.
L’attuale premier promette voli gratis per i tifosi russi che vorranno godersi dal vivo le partite di Euro 2012, un forte sconto sul prezzo della benzina per gli agricoltori. Di raddoppiare gli stipendi ad alcune categorie, come quella degli insegnanti, dal prossimo settembre, di evitare l’innalzamento dell’età pensionabile, di migliorare le condizioni di vita del 60% delle famiglie russe, di abbassare i prezzi delle abitazioni del 20-30% e, tra le altre cose, di elargire una cifra mensile alle famiglie per il terzo figlio, e successivi, per tre anni.
Esperti del centro ricerche macroeconomiche della russa Sberbank calcolano che per mantenere tutte queste promesse pre-elettorali Putin dovrà spendere circa 170 miliardi di dollari nei prossimi sei anni. Soldi che le casse statali non hanno e che non si riusciranno a trovare facilmente, visto che il prossimo presidente russo ha previsto una spesa di 768,46 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni per rimodernare le forze armate, da sommare alle ingenti spese previste per le olimpiadi invernali di Soci del 2014 e per organizzare in Russia i campionati mondiali di calcio del 2018.
L’intento di Putin è anche quello di scalare la classifica dei paesi che al mondo attraggono più capitali stranieri, e passare dal 120esimo posto che la Russia occupa attualmente al 20esimo nel giro di qualche anno. Prima, però, il prossimo capo del Cremlino dovrà fermare l’emorragia di capitali russi che prendono il volo oltre confine, visto che nel solo gennaio scorso sono usciti dalla Federazione ben 17 miliardi di dollari, la cifra più alta registrata dal 2009, e che nel 2011 il totale è stato di oltre 84 miliardi di dollari. La stessa Standard and Poor’s, prevedendo instabilità per il paese nel corso di tutto il 2012, conferma che la fuoriuscita dei capitali russi non diminuirà.
Soldi diretti verso l’estero. Soprattutto verso quell’Occidente che Putin ha individuato in campagna elettorale come una minaccia alla sicurezza della Russia. In prima fila gli Stati Uniti di Barack Obama, che, secondo il premier, vogliono poter controllare tutti e tutto e alimentano ai confini della Federazione focolai di guerra e instabilità. Compito della nuova presidenza sarà quello di bloccare questa strategia ed impedire che forze straniere influenzino l’andamento della vita politica e sociale della Federazione Russa.
Stiamo parlando ancora di Washington e delle trame che avrebbe ordito a ridosso delle manifestazioni di dissenso del dicembre scorso. Allora il nuovo ambasciatore americano a Mosca avrebbe incontrato i leader dei dimostranti per meglio organizzare la protesta, e questo, secondo Putin, su direttiva della stessa Clinton. Un’accusa in linea con la fobia anti-americana pre-elettorale, alla quale però, secondo un sondaggio, crede soltanto il 23% dei russi.
Un popolo che non conosce appieno il nemico, visto che appena il 48% degli abitanti della Federazione ha una vaga idea di cosa sia la Nato, e con soltanto il 9% di loro (il 15% due anni fa) che la considera un’organizzazione dagli intenti aggressivi. La percentuale però si alza fino al 55% (dato registrato a gennaio e che va paragonato al 47% di due anni fa) quando si parla di una possibile invasione della Russia da parte di forze straniere.
Il tema della sicurezza contro la minaccia esterna, così come quello del miglioramento delle condizioni di vita della gente, sembra comunque funzionare. Pura demagogia, si dirà, la campagna elettorale del primo ministro uscente. Sembrerebbe di sì, ma i risultati dei sondaggi che si sono succeduti negli ultimi due mesi sulle preferenze degli elettori verso Putin sembrano indicare che la minestra propinata dal premier russo, anche se ampiamente riscaldata e dal gusto tipicamente sovietico, continua a piacere. Da un possibile risultato inferiore al 50% dei voti, con seguente ballottaggio, si è passati, infatti, al 52% del 3 febbraio scorso. Poi, una settimana dopo, al 53,3%. Il 21 febbraio si è toccato il 58%, fino al 66% di preferenze registrate qualche giorno dopo.
Se così sarà, Putin avrà evitato l’umiliazione del ballottaggio e il rischio a questo connesso e da lui stesso evocato, senza specificarne i motivi, di una sicura destabilizzazione del paese. Staremo a vedere. Così come saremo attenti a capire, dopo che a maggio avrà sostituito ufficialmente l’uscente Medvedev alla guida del Cremlino, se Putin riuscirà a vedere riflesso nel suo specchio un altro Putin, più democratico e riformatore.

I marina croati corteggiano gli yacht italiani in fuga
La supertassa voluta da Monti scatterà a maggio: 500 domande arrivate all’Aci «Ma gli ormeggi liberi sono più di mille». E in futuro potrebbero salire a 10mila
POLA
C’è chi fa la stima di almeno 10mila yacht italiani in fuga. Ma, anche se i numeri sono ancora incerti, di sicuro la stampa croata non manca d’insistere sul “fuggi fuggi” dei diportisti del Belpaese alla ricerca di un marina straniero che consenta di evitare la nuova maxi-tassa di stazionamento che scatterà a partire dal maggio prossimo e che colpirà gli scafi da 12 metri in su.
Del resto, quella imposta dal governo di Mario Monti è una batosta non da poco: si va da un importo minimo annuo di 2mila euro a uno massimo di 130mila euro per i megayacht di oltre 64 metri. E così sono molti i proprietari di barche che cercano “riparo fiscale” lungo la costa Adriatica orientale, dall’Istria al Quarnero sino alla Dalmazia.
Al momento, la direzione della società Aci-Adriatic Club International - che gestisce la maggior parte dei marina croati - ha ricevuto poco meno di 500 domande ma il numero è destinato a salire con l’avvicinamento del fatidico primo maggio.
Ci sarà posto per tutti? Da come stanno le cose, al momento, pare proprio di sì, smentendo le stesse fonti croate che si erano espresse molto dubbiosamente solo a inizio anno. «Stringendoci un po’ - affermano gli addetti ai lavori - si potrebbero ricavare altri 1.000–1.500 ormeggi». Eppoi, se la strategia di sviluppo del turismo nazionale varata nel 2008 troverà applicazione concreta, entro pochi anni saranno disponibili almeno 10mila ormeggi nuovi di zecca.
Nel piano di ampliamento dell’offerta rientrano i nuovi marina pinaificati a Barbariga, di fronte alle Isole Brioni e a Pola, nell’ambito del progetto “Brioni Riviera”, per il quale a dire il vero non c’è un grosso interesse da parte degli investitori.
Un discorso a parte riguarda i megayacht, visto che in Croazia almeno per ora non esistono strutture apposite. La prima del genere sarà inaugurata entro primavera nella zona di Mandalina a Sebenico. Si tratta di un progetto del Gruppo Dogus turco e del croato Ncp da 18 milioni di euro. La nuova struttura sarà in grado di accogliere 79 megayacht di lunghezza fino a 140 metri, oltre a 370 di dimensioni “normali”.
La sua apertura coinciderà con la quarta edizione dell’Adriatic Boat Show che avrà luogo dal 17 al 20 maggio e costituirà dunque dunque la rampa di lancio per la stagione nautica 2012. La fiera occuperà l’area di 60mila metri quadrati di spazio aperto. Per la prima volta sarà incluso il segmento specializzato della flotta charter con equipaggio fisso, offerto agli appassionati di nautica, agli agenti charter, ai capitani, ai membri dell’equipaggio come pure a tutti i potenziali investitori nel settore. (p.r.)

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