giovedì 16 febbraio 2012

News/pm.16.2.12/ Forza Moody's&Metohija.---L'Alcoa andrà via dal Sulcis: chiuderà la fabbrica di Portovesme gettando nella disperazione mille famiglie. C'è uno spiraglio per evitarlo: il Governo può intervenire per consentire ad un'altra società di rilevare gli impianti. Di questo si doveva discutere, ieri, durante l'esame delle risoluzioni parlamentari sul caso-Alcoa. Però proprio il Governo non c'era.---Trst (Trieste), oltrepadania, Gianpaolo Sarti: Il welfare padano ha messo alla porta 8 mila e 737 famiglie. Italiani e stranieri. Residenti e non residenti. Un numero che potrebbe crescere e superare la soglia dei 9 mila se, come stima AssoAter, Pordenone si vedrà aumentare le domande del 25%. Migliaia di persone reclamano una casa, che però non possono ricevere perché la Regione è priva di una normativa valida.---Ticino, Franco Citterio: No, oggi assistiamo ad un arrivo di clienti italiani che nelle nostre banche depositano i loro soldi, dichiarati al fisco italiano. Lo fanno da un lato per le preoccupazioni legate all’andamento del “sistema-Italia” e dall’altro perché sanno di trovare nei nostri istituti di credito qualità e buone prestazioni. Sanno che da noi la burocrazia non è invasiva e che i rapporti con lo Stato sono sicuri.

L'UNIONE SARDA - Economia: Il Sulcis brucia ma Roma è assente
Ciclone Moody's, tagli in tutta Europa
Ecco le banche italiane finite nel mirino di Moody's
Moody's taglia giudizio Generali e Unipol e 7 gruppi Ue
Trst, oltrepadania. Case Ater, 75% delle domande inevase
Il Ticino sa attirare nuovi capitali italiani
I conti della Confederazione sorridono
Kosovo: referendum serbi nord, stravince il no a Pristina
L’era del gas russo



L'UNIONE SARDA - Economia: Il Sulcis brucia ma Roma è assente
16.02.2012
Commento
L'Alcoa andrà via dal Sulcis: chiuderà la fabbrica di Portovesme gettando nella disperazione mille famiglie. C'è uno spiraglio per evitarlo: il Governo può intervenire per consentire ad un'altra società di rilevare gli impianti. Di questo si doveva discutere, ieri, durante l'esame delle risoluzioni parlamentari sul caso-Alcoa. Però proprio il Governo non c'era. Un'assenza «grave che denota un comportamento superficiale e insensibile sulla questione», hanno stigmatizzato in Commissione Attività produttive della Camera i deputati Salvatore Cicu, Paolo Fadda, Antonello Mereu e Mauro Pili. Hanno poi aggiunto che «sensibilità politica e istituzionale avrebbe suggerito la presenza del Governo, sia per il ruolo di indirizzo che compete al Parlamento sia per un confronto su una situazione delicata che necessita di risposte immediate e non più rinviabili». Siamo alle solite: il Sulcis brucia, Roma latita. (s. m.)

Ciclone Moody's, tagli in tutta Europa
 Borse in calo, risale lo spread
Abbassato il rating di 114 banche e nove gruppi assicurativi
 Declassate anche Eni e Poste, Regioni, Province e Comuni
MILANO - Moody's ha abbassato il rating o rivisto le prospettive (outlook) su 114 banche europee appartenenti a 16 Paesi. Tra gli istituti colpiti 24 sono italiani. L'agenzia ha declassato anche Eni e Poste, nove gruppi assicurativi europei e diverse egioni, Province e Comuni. Le borse europee, intanto, hanno aperto la seduta in rosso, mentre lo spread tra Btp e Bund tedeschi è risalito oltre i 400 punti base.
I tagli alle banche. Le azioni sui rating riflettono, afferma Moody's, «la pressione combinata» derivante in primo luogo dall'«avverso e prolungato impatto della crisi dell'area dell'euro che rende il contesto operativo molto difficile per le banche europee», in secondo luogo dal «deterioramento del merito di credito dei rating sovrani, che ha portato all'aggiustamento dei rating di nove Paesi lo scorso 13 febbraio» e infine dalle «sfide importanti» che dovranno affrontare le banche con «significative attività sui mercati dei capitali» Queste difficoltà, secondo Moody's, non riescono ad essere compensate dalla presenza di fattori positivi come il supporto offerto dai governi al sistema bancario e la politica monetaria accomodante.
Tagliato il rating di Eni e Poste. Moody's ha tagliato anche il rating dell'Eni e delle Poste da A2 ad A3, mantenendo negative le prospettive, e ha rivisto da stabile a negativo l'outlook di Finmeccanica. L'agenzia spiega che la decisione fa seguito all'abbassamento del rating dell'Italia da A2 ad A3 decisa lo scorso 13 febbraio.
Declassati nove gruppi assicurativi europei. Nel mirino di Moody's anche nove gruppi assicurativi europei: è stato ha abbassato il rating di Unipol, Generali, Mapfre, Caser e Allianz Spa a causa «degli investimenti e dell'esposizione operativa in Italia e Spagna», mentre è stato rivisto l'outlook di Allianz Se, Axa, Aviva a causa dell'indebolimento delle condizioni economiche e delle prospettive per l'Eurozona. Sotto osservazione per un possibile downgrade anche Scottish Widows, Clerical Medical e Sns Reaal.
 Tagli per Regioni, pRovince e Comuni. L'agenzia di rating Moody's ha annunciato l'abbassamento del giudizio relativo a numerose collettività locali di vari Paesi d'Europa, primi fra tutti quelli ai quali aveva ridotto il voto tre giorni fa. Tra questi l'Italia, che oggi trascina con sé le Regioni Lombardia, Toscana, Umbria e Veneto, la Provincia e il Comune di Milano come pure quelli di Firenze, la provincia di Torino e la città di Venezia. La valutazione a lungo termine di Moody's scende di un posto per la Lombardia (A1), la città e la provincia di Milano (A2), la città di Firenze (BAA1), la provincia di Firenze e la regione Toscana (A3), la provincia di Torino (A2), l'Umbria (A3), il Veneto e la città di Venezia (A3). Ribassati anche i rating di varie regioni ed enti locali spagnoli, portoghesi e austriaci, nonché quello di varie società francesi, tra cui quelle ferroviarie. Tre giorni fa aveva abbassato il rating dell'Italia da A2 a A3, del Portogallo, a BA3 e della Spagna, scesa di due gradini a A3, rivedendo al ribasso anche le prospettive per Francia, Regno Unito e Austria.

Ecco le banche italiane finite nel mirino di Moody's
La scure dell'agenzia di rating Moody's ha colpito oggi, tra tagli di rating e riduzioni dell'outlook (prodromiche a possibili futuri tagli di rating) di 114 banche europee, 17 globali. Tagliato il rating di 9 compagnie assicurative europee, fra cui le italiane Generali (ad A3 da A2 e resta sotto esame per ulteriore declassamentoe Unipol (ad A3 da A2 e resta sotto esame per ulteriore declassamento). Abbassato il rating anche di Eni (da A1 ad A2), Poste Italiane (da A2 ad A3) e Cassa depositi e prestiti (da A2/P-1 ad A3/P-2).
Tra gli istituti europei, quelli italiani sono i più colpiti. Sono coinvolti nella nuova azione di Moody's 24 banche italiane, 21 banche spagnole, 8 austriache, 10 istituti di credito francesi, 7 tedeschi, 8 danesi, 6 portoghesi, 9 britannici, 6 svedesi, 4 sloveni, 2 svizzeri e uno rispettivamente di Belgio, Finlandia, Lussemburgo e Norvegia.
Ecco il documento di Moody's da cui si evincono i 24 istituti italiani finiti nel mirino dell'agenzia di rating statunitense con indicazione RuR down (Rating under Review for Downgrade, rating sotto osservazione in vista di un nuovo taglio), che rappresenta un peggioramento rispetto anche al precedente outlook negativo.
1) Banca Carige
2) Banca della Marca credito cooperativo
3) Banca delle Marche
4) Banca Monastier e del Sile
5) Banca Mps
6) Bnl
7) Banca popolare Alto Adige
8) Banca popolare di Cividale
9) Banca popolare di Marostica
10) Banca popolare di Spoleto
11) Banca Sella
12) Banca Tercas
13) Banco popolare società cooperativa
14) Cassa di risparmio di Bolzano
15) Cassa di risparmio della provincia di Chieti
16) Cassa di risparmio di Cesena
17) Cassa di risparmio di Parma e Vicenza
18) Credito Emiliano
19) Credito Valtellinese
20) Iccrea BancaImpresa
21) Intesa Sanpaolo
22) Unicredit
23) Ubi Banca
24) Unipol Banca
Si "salvano", restando con l'outlook negativo, solo Cassa Depositi e Prestiti e l'Istituto Servizi Mercato Agricolo Alimentare (Ismea), entrambe a controllo pubblico.
 16 febbraio 2012

Moody's taglia giudizio Generali e Unipol e 7 gruppi Ue
(AGI) - Milano, 16 feb. - Moody's ha rivisto il giudizio di nove gruppi assicurativi europei, tra cui Generali e Unipol, "in relazione agli investimenti e all'esposizione in Spagna e Italia". In particolare, l'agenzia statunitense ha abbassato il rating di Generali da A1 ad Aa3 con outlook negativo e quello di Unipol da A3 ad A2. Downgrade del rating anche per le spagnole Mapfre e Caser e la tedesca Allianz spa.
 Abbassato l'outlook, invece, ad Allianz Se, ad Axa e ad Aviva. Infine, l'agenzia ha messo sotto osservazione per un possibile down grade Scottish widows e Clerical medical e Sns Reaal.
 In una nota, diffusa da Generali si precisa che "Moody's continua a valutare il rating di Generali due livelli al di sopra del rating sovrano italiano, riflettendo l'ampia diversificazione e le caratteristiche di flessibilita' dei prodotti della compagnia assicurativa che servono ad isolare parzialmente il gruppo dalle tensioni collegate al debito sovrano".

Trst, oltrepadania. Case Ater, 75% delle domande inevase
Il congelamento del welfare mette a rischio anche le 2mila situazioni risolvibili. Oggi il confronto tra Riccardi e presidenti
TRIESTE
Gianpaolo Sarti. Il welfare padano ha messo alla porta 8 mila e 737 famiglie. Italiani e stranieri. Residenti e non residenti. Un numero che potrebbe crescere e superare la soglia dei 9 mila se, come stima AssoAter, Pordenone si vedrà aumentare le domande del 25%. Migliaia di persone reclamano una casa, che però non possono ricevere perché la Regione è priva di una normativa valida. Le Ater, senza una legge che stabilisca i criteri, non pubblicano né bandi né graduatorie. E i 2 mila e 84 appartamenti disponibili, o di prossima costruzione, restano vuoti. Il provvedimento della giunta in tema di welfare, che doveva fare ordine nella giungla di paletti imposti dalla Lega Nord sui requisiti di residenzialità, nelle scorse settimane è stato nuovamente cestinato dal governo perché “discriminatorio” proprio nei confronti dei non residenti. L’esecutivo, in accordo con il Carroccio, fissava 2 anni di residenza in Fvg per italiani e comunitari e almeno 5 in Italia, di cui 2 in regione, per gli stranieri. Secondo il parere del Consiglio dei Ministri «tali disposizioni eccedono dalla competenza legislativa in materia di assistenza sociale attribuita alla Regione e comportano l’esclusione assoluta di intere categorie di persone, fondata sulla mancanza di una residenza temporalmente protratta. E violano il principio di uguaglianza stabilito dall’articolo 3 della Costituzione». Il Friuli Venezia Giulia è in un vicolo cieco. Il caso sarà sottoposto in tutta la sua urgenza all’assessore alle Infrastrutture Riccardo Riccardi nel faccia a faccia di oggi con i presidenti delle Ater di Trieste, Udine, Gorizia, Pordenone e dell’Alto Friuli. Si discuterà anche di affitti, aumentati del 3%, in media, in vista dell’introduzione dell’Imu. «Da Riccardi ci aspettiamo un indirizzo per capire cosa dobbiamo fare per sbloccare la situazione», anticipa Paolo Pittini, presidente di AssoAter Fvg. «Sarebbe stato possibile pubblicare bandi – precisa – ma un qualsiasi ricorso avrebbe rischiato di fermare tutto». La fame di alloggi si fa sentire soprattutto a Trieste: 4 mila le domande presentate a fronte del bando emanato a dicembre 2010; un’istruttoria sospesa, in attesa di norme stabili. Le case disponibili sono 600, di cui 300 di nuova costruzione e altrettante derivanti “in via di risulta”, cioè date in concessione dagli enti locali. 1.350 le richieste giunte invece a Gorizia; allo stato attuale, tra ristrutturazioni e realizzazioni, si potrà rispondere a 389 famiglie. L’Ater di Udine ha in programma di pubblicare nel corso del 2012 16 bandi, di cui 13 per l' edilizia sovvenzionata e 3 per la convenzionata. Le domande attese sono circa 2 mila e 300, a fronte delle quali si stima di assegnare circa 900 alloggi. L’Ater di Pordenone aveva programmato di uscire con i bandi a febbraio; sulle scrivanie degli uffici ci sono circa 900 richieste, «ma si può ragionevolmente prevedere un aumento del 20-25%», evidenzia AssoAter. 150, in totale, gli appartamenti offerti. L’Alto Friuli, territorio che comprende la zona montana della provincia di Udine, potrebbe infine accontentare 45 famiglie. «La gravità della situazione deve spingere da subito la giunta Tondo a modificare la normativa impugnata », commenta in una nota Sergio Lupieri (Pd) vice-presidente della Commissione Sanità e Servizi sociali. «Tondo deve raccogliere le considerazioni del Consiglio dei Ministri, per rendere operativo quanto prima un provvedimento che dia regole e requisiti certi per i bandi – osserva – una norma che sia completamente al di fuori dei profili di illegittimità costituzionale che hanno portato alle impugnazioni delle leggi regionali. Hanno paralizzato il welfare penalizzando le migliaia di famiglie che attendono la prima casa Ater - ricorda Lupieri – e tutti coloro che si rivolgono ai servizi sociali dei Comuni per la carta famiglia, per i bonus bebè, per non parlare degli assegni di studio Erdisu. Nessuna amministrazione ha mai provocato, nei quasi 50 anni di storia della Regione – conclude il consigliere del Pd – un tale malgoverno sul tema più vicino ai cittadini, qual è quello delle politiche sociali».

Il Ticino sa attirare nuovi capitali italiani
Il settore bancario cantonale tira le somme del 2011
di GianMaria Pusterla
Non è andata benissimo ma poteva andare peggio. Il settore bancario cantonale tira le somme del 2011 e si trova da un lato con qualche occupato in meno (-187 unità, su un totale di 6.859 tempi pieni), ma è riuscito a stabilizzare la massa patrimoniale amministrata così come a mantenere il volume dei crediti alla clientela. E, cosa più importante, sono iniziati nuovi afflussi di capitali dichiarati dall’Italia, da parte di clientela che nel Belpaese si trova sempre più disorientata.
«Non possiamo dirci soddisfatti dell’andamento del 2011 nel settore, ma ci aspettavamo di peggio». Esordisce così il direttore dell’Associazione BancariaTicinese (ABT), Franco Citterio. «Per quanto riguarda l’occupazione il calo registrato è avvenuto soprattutto attraverso la normale fluttuazione del personale (compersi i prepensionamenti)». E per quest’anno? «L’evoluzione è incerta, per questo la terremo sotto controllo con ulteriori verifiche. C’è da dire che in Ticino la piazza è votata soprattutto al fronte e quindi alcune ottimizzazioni sono già avvenute negli anni scorsi. Il calo di occupazione nel settore, così come preconizza un recente studio del BAK (10.000 posti di lavoro in meno entro i 2013 in Svizzera nel settore bancario, dei gestori indipendenti e delle assicurazioni, ndr), toccherà di più la regione di Zurigo, dove ci sono i “quartieri generali” delle banche, che devono trovare una maggiore produttività».
Frontalieri in basso numero
Le cifre proposte dall’ABT dimostrano che nelle nostre banche sono soprattutto i ticinesi e i domiciliati a lavorare. Sono solo 249, ossia il 3,6%, i frontalieri occupati, «e questo a dimostrazione che da noi non si licenziano ticinesi per dare spazio a frontalieri, magari sotto pagati», puntualizza Citterio.
Nessuna bolla immobiliare
Il volume dei crediti alla clientela ha tenuto bene, anche grazie a tassi di interesse estremamente bassi. Rischio di bolla immobiliare? «No, le banche lo confermano. Nelle zone più “pregiate” e turisticamente attrattive assistiamo ad un aumento dei prezzi per esempio dei terreni, ma le persone che acquistano e che chiedono crediti hanno generalmente le “spalle coperte” e potrebbero quindi sostenere eventuali aumenti dei tassi. Non ci sono invece aumenti nelle zone perifiriche, dove un eventuale aumento dei tassi potrebbe creare problemi ai proprietari». C’è inoltre da osservare che in questi anni si assiste ad una grande concorrenza.
Il Ticino è attraente
Citterio: «Giochiamo le nostre carte
Il direttore dell’ABT Franco Citterio conferma: «L’afflusso di capitali dichiarati da clientela italiana è in aumento in Ticino». Sono frottole, a suo giudizio, le storie che rimbalzano dai media italiani di clienti italiani alla disperata ricerca di cassette di sicurezza (addirittura negli alberghi) per depositare i propri soldi cash. «No, oggi assistiamo ad un arrivo di clienti italiani che nelle nostre banche depositano i loro soldi, dichiarati al fisco italiano. Lo fanno da un lato per le preoccupazioni legate all’andamento del “sistema-Italia” e dall’altro perché sanno di trovare nei nostri istituti di credito qualità e buone prestazioni. Sanno che da noi la burocrazia non è invasiva e che i rapporti con lo Stato sono sicuri. Per questo diversi clienti hanno deciso di trovare in Ticino la residenza per loro e per la loro famiglia. E molti hanno o stanno pure portando da noi le loro attività imprenditoriali. È un atout sul quale il nostro Cantone dovrà investire, facendo al meglio la promozione economica. Ed è un fattore che comunque ci fa essere moderatamente ottimisti per il futuro.
16.02.2012

I conti della Confederazione sorridono
La Svizzera si è nuovamente dimostrata un “allievo modello” in materia di bilancio statale. La Confederazione ha infatti chiuso i conti 2011 con un’eccedenza di 1,9 miliardi di franchi, risultato ben migliore rispetto al deficit preventivato di 600 milioni di franchi. Il Consiglio federale ha preso atto ieri di un risultato finanziario in attivo per il sesto anno consecutivo. L’inversione di tendenza la si è avuta nel 2005, quando al posto del deficit preventivato di 1,8 miliardi è stato possibile ridurre la maggiore uscita a un centinaio di milioni. Dal 2006, le eccedenze si sono finora ripetute. Il debito lordo accumulato è sceso da 130 a 110,5 miliardi nel 2011.
Non si tratta di una «sopresa attesa», ha ammesso la ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf. Una situazione del genere non dovrebbe però ripetersi a iosa. Il preventivo per il 2012 si annuncia equilibrato, con entrate e uscite per 64,1 miliardi. Il governo prevede deficit strutturali di circa 100 milioni nel 2013 e di 796 milioni per il 2014, quando lancerà un programma di risparmio.
Il miglioramento dei conti 2011 è soprattutto dovuto a introiti supplementari (+1,8 miliardi di franchi), ciò che ha permesso alle entrate di raggiungere i 64,2 miliardi, ma anche a una diminuzione delle spese (-700 milioni di franchi), per un totale di 62,3 miliardi di franchi. Sul fronte delle entrate, l’imposta preventiva ha ampiamente superato i valori preventivati (+1,2 miliardi). La ripresa dell’economia nel 2010 ha pure comportato un aumento del gettito dell’imposta federale diretta (+300 milioni) e dell’imposta sul valore aggiunto (+200 milioni). Rispetto al 2010, gli introiti sono aumentati del 2,2%, ossia meno della progressione del PIL (2,5%).
Sul fronte delle spese, il calo avrebbe addirittura dovuto essere di 2 miliardi di franchi se non ci fossero stati il programma di 800 milioni per lottare contro il franco forte e i supplementi ordinari al preventivo per complessivi 400 milioni. Grazie a una severa disciplina finanziaria, vari crediti non sono stati completamente utilizzati, ha osservato Widmer-Schlumpf; ha citato il debole carico degli interessi e il ritardo di certi progetti, segnatamente nel campo dell’armamento. Rispetto al 2010, le spese sono aumentate del 5,2%. L’incremento maggiore è segnalato per la previdenza sociale (+11,4%). Tuttavia, questa progressione è essenzialmente legata al meccanismo di finanziamento dell’AI (1 miliardo) e ai 500 milioni dell’assicurazione disoccupazione, nell’ambito del pacchetto contro il franco forte. Senza questi due settori, l’aumento si limiterebbe al 3%. Sempre per quanto riguarda la spesa, la forte progressione nel settore «relazioni con l’estero» (+7,3%; +191 mio) rispecchia la decisione del parlamento di aumentare allo 0,5% del reddito nazionale le uscite per l’aiuto allo sviluppo.
Nel bilancio straordinario figurano uscite per 2 miliardi. Si tratta del contributo di risanamento della Cassa pensioni FFS e di un nuovo versamento al fondo infrastrutturale. Le entrate straordinarie ammontano a 300 milioni. Tenuto conto del bilancio straordinario, il risultato dei finanziamenti chiude con 200 milioni.

Kosovo: referendum serbi nord, stravince il no a Pristina
99,74% contro potere centrale albanese. Sfida a governo
16 febbraio, 09:16
(ANSAmed) - BELGRADO/PRISTINA, 16 FEB - Come era largamente nelle previsioni, la stragrande maggioranza dei serbi del nord del Kosovo si è detta al 99,74% contro la sovranità e le strutture di governo di Pristina, in un referendum tenuto martedì e ieri in aperta sfida al governo di Belgrado, alla Ue e a tutte le altre istituzioni internazionali. La consultazione, senza alcuna rilevanza giuridica e che non avrà alcuna conseguenza concreta nell'assetto istituzionale del Kosovo, si è tenuta alla vigilia del quarto anniversario della proclamazione unilaterale di indipendenza del Kosovo dalla Serbia, avvenuta il 17 febbraio 2008. A più riprese il governo serbo e il presidente Boris Tadic avevano condannato il referendum definito inutile, controproducente e dannoso agli interessi statali della Serbia, impegnata sulla strada verso l'integrazione europea. La consultazione rischia infatti di irrigidire le posizioni e di accrescere le tensioni interetniche fra minoranza serba e maggioranza albanese del Kosovo, ostacolando ulteriormente la ripresa del dialogo fra Belgrado e Pristina. Il prosieguo del negoziato e il miglioramento della situazione in Kosovo e dei rapporti tra Belgrado e Pristina è la condizione posta da Bruxelles per la concessione alla Serbia dello status di paese candidato nel vertice europeo di inizio marzo.
 Il Parlamento kosovaro ha adottato da parte sua una risoluzione in cui si sostiene che il referendum viola l'ordine costituzionale del Kosovo. Sui poco più di due milioni di abitanti del Kosovo, in larga maggioranza di etnia albanese, oltre 100 mila sono serbi, quasi la metà dei quali concentrati nel nord del Kosovo, gli altri sparsi in enclavi serbe in tutto il paese. Quelli del nord sono i più radicali e oltranzisti, 'manovrati' in larga parte secondo Belgrado dall'opposizione nazionalista e ultraconservatrice serba, desiderosa di trarne vantaggio in vista delle elezioni di primavera. I serbi delle enclavi non hanno partecipato al referendum. Dalla scorsa estate la tensione si mantiene alta nel nord del Kosovo, dove i serbi hanno eretto blocchi e barricate contro la presa di controllo di due posti di frontiera con la Serbia da parte di poliziotti e doganieri albanesi inviati da Pristina. Nel referendum - che si è tenuto senza incidenti - si chiedeva di rispondere alla domanda 'Accettate le istituzioni della cosiddetta repubblica del Kosovo installata a Pristina?'. Sui 35.500 aventi diritto al voto nelle quattro principali municipalità serbe del nord (Zvecan, Zubin Potok, Leposavic e settore serbo di Kosovska Mitrovica) hanno votato martedì e ieri 26.725 cittadini. Di essi 26.524 si sono detti contro la sovranità di Pristina, pari al 99,74%. L'affluenza è stata del 75,28%. I risultati finali ufficiali saranno resi noti il 19 febbraio. Critiche e condanne del referendum sono venute dall'Unmik, la missione dell'Onu in Kosovo, e dalla Ue, secondo cui i problemi del Kosovo possono essere risolti non con atti di forza, la violenza o le barricate ma solo con il dialogo e il compromesso.(ANSAmed).

L’era del gas russo
16 febbraio 2012
Sergej Grinjaev
Con il petrolio agli sgoccioli, la potenza economica della Federazione nel settore dell'energia mette paura a Nato e Stati Uniti
I problemi dell’economia europea, che continuano vertiginosamente ad aumentare, comportano anche problemi di natura politica. La crisi dell’Unione Europea potrebbe causare, in un futuro non troppo lontano, una crisi della Nato, dal momento che i partner europei degli Stati Uniti si dimostrano sempre meno in grado di adempiere ai loro obblighi in seno all’alleanza atlantica.
Secondo il Pentagono, tuttavia, la minaccia principale per la Nato, proverrebbe oggi dalla Russia. E non dalla classica opposizione strategico-militare, bensì da una sfera che tradizionalmente non è connessa al settore militare, ovvero la competizione economica. Ne sono una conferma, da questo punto di vista, i risultati dello studio “Il gas naturale quale sistema della politica nazionale russa”, pubblicati alla fine del 2011 dall’Istituto di Studi Strategici dell’Army War College degli Stati Uniti.
Secondo gli autori dello studio, la lenta rinascita della Russia, nonostante il potenziale delle sue forze armate continui a essere limitato, costituisce una minaccia sempre più significativa al dominio globale degli Stati Uniti. Ciò si deve al fatto che l’era del petrolio si sta avvicinando al suo epilogo. Questa constatazione obbliga gli analisti del Pentagono a rivedere radicalmente le previsioni di sviluppo relative alla situazione mondiale per il prossimo decennio.
Effettivamente, l’ordine mondiale attuale è tale per cui il “sangue della civiltà”, vale a dire il petrolio, è controllato dalla potenza militare ed economica degli Stati Uniti. Le forze Usa controllano più del 60% delle regioni produttrici di petrolio del mondo. Le imprese americane controllano una porzione significativa dell’industria petrolifera mondiale, in tutte le fasi del ciclo tecnico-economico: dall’esplorazione ed estrazione alla lavorazione e creazione di mercati di distribuzione per il prodotto finito. La Borsa americana determina quale sarà il prezzo del greggio di domani, mentre le banche americane elaborano i principali indici finanziari del mercato azionario.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’intero sistema dell’ordine mondiale si era allineato in modo tale da garantire il controllo e l’acceso diretto alla maggior parte delle riserve mondiali di petrolio. Questa corsa è stata vinta dagli Stati Uniti. Ma ecco che agli inizi del XXI secolo, la situazione è cambiata. Si è arrivati alla conclusione che i giacimenti per l’estrazione del petrolio sono agli sgoccioli e le fonti alternative di energia (biocombustibili, energia eolica, ecc.) non possono ancora essere utilizzate su scala industriale.
In una situazione simile, il primo posto nella gerarchia dei combustibili è occupato inevitabilmente dal gas naturale. È il combustibile più adatto a sostituire il petrolio che sta ormai per finire. E le sue riserve sono tali da poter rifornire la civiltà moderna (se si mantengono gli attuali tassi di consumo), come minimo, per altri 250 anni.
Tuttavia, secondo gli analisti del Pentagono, questa evoluzione del ruolo del gas naturale e la sua scalata verso le prime posizioni comporterà inevitabilmente una nuova ripartizione dell’intero sistema dell’ordine mondiale. Non sarà più il “mondo del petrolio”, in cui gli Stati Uniti avevano assunto una posizione di leadership, ma il “mondo del gas”, dove gli Stati Uniti si dimostrano più deboli. 
Il mercato del petrolio e quello del gas presentano differenze radicali, pertanto non risulta possibile sfruttare il potenziale militare-politico accumulato per garantire la supremazia del “mondo del petrolio” anche per raggiungere il dominio del “mondo del gas”. 
Il gas è distribuito nel mondo in modo più uniforme rispetto al petrolio. Ciò richiede un dispendio di forze e risorse di gran lunga superiore per il controllo dei giacimenti più grandi. Il gas, al giorno d’oggi, viene commercializzato attraverso una rete di gasdotti, e il ruolo che svolge nelle economie dei Paesi che lo consumano, è piuttosto notevole. Questo crea, tra i Paesi-consumatori e i Paesi-fornitori, un legame che è più stretto rispetto a quello esistente per il consumo del petrolio. Le stesse infrastrutture e regole del mercato del gas si sono evolute, negli ultimi dieci anni, senza la partecipazione degli Stati Uniti. Mentre la Russia occupa una posizione di leadership in questo settore.
Gli sforzi degli Stati Uniti di influenzare in qualche modo quanto sta accadendo si concentrano sullo sviluppo del sistema di fornitura del gas naturale liquefatto (Gnl) e sull’elaborazione di una tecnologia d’estrazione del gas da scisti bituminosi. Tuttavia il Gnl richiede infrastrutture molto costose per le operazioni di liquefazione e successiva gassificazione, mentre l’estrazione del gas da scisti bituminosi è estremamente pericolosa per l’ambiente. 
Tutte queste circostanze, naturalmente, danno alla Russia un vero e proprio vantaggio economico e geopolitico. Già l’attuale sistema di accordi bilaterali per la fornitura di gas mina l’unità non solo dell’Europa, ma anche della Nato. Dopotutto la maggioranza dei membri del blocco oggi sono consumatori di gas russo, e tenendo conto del rifiuto a utilizzare l’energia nucleare, questa dipendenza potrà solo aumentare in futuro.
Che cosa possono fare gli Stati Uniti per contrastare questa tendenza? Molto probabilmente insisteranno sull’abbandono del sistema di accordi bilaterali per la fornitura di gas che Mosca intrattiene con i Paesi dell’Europa e richiederanno la formazione di una posizione unitaria nel settore del gas.  Anche se ciò non sarà affatto facile: con la crisi economica i Paesi europei saranno sempre più disposti ad andare incontro alla Russia, solo per ottenere il gas a un prezzo inferiore rispetto al valore di mercato.
Inoltre, probabilmente, gli Stati Uniti continueranno a lavorare attivamente per introdurre sul mercato europeo il gas da scisti bituminosi ed estendere le infrastrutture per il Gnl, nonostante questo possa condurre a nuovi problemi, non solo economici, ma anche ambientali.
C’è da aspettarsi anche un tentativo di rafforzamento della Nato attraverso la costruzione forzata del sistema di difesa antimissile.
Per quanto riguarda la Russia, si prospettano tempi duri per la sua leadership politica. La pressione politica estera crescerà anno dopo anno. I gasdotti per l’esportazione, entrati in funzionamento, saranno soggetti al controllo attento dei concorrenti. Non vi è da escludere anche la possibilità di sabotaggi o azioni terroristiche contro le infrastrutture del North e South Stream.
L’aumento delle minacce renderà necessario rivedere alcune disposizioni della strategia di sicurezza nazionale. L’era del gas richiederà alla Russia una tenacia incredibile, nonché decisioni ponderate e la scelta degli alleati giusti.

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