sabato 3 marzo 2012

News/pm.3.3.12/ Futili e vanesi padani Vs il burosauro romano.

Il ministro Ornaghi: «Tre anni per salvare gli scavi di Pompei»
Sale il Pil, ma è poca roba. Il debito pubblico galoppa
Moody's, rating Grecia a 'spazzatura'
Ticino. Iniziative contro l’indifferenza in Italia
Ticino. Un altro Putin che passa per lo stesso di sempre
Treviso, padania. Anche il Veneto ha il suo Sud
Zaia: «Tesoreria unica, per colpa di Roma dovremo indebitarci»



Il ministro Ornaghi: «Tre anni per salvare gli scavi di Pompei»
Il cronoprogramma: entro marzo i primi bandi per il restauro di cinque domus. Disponibili i 105 milioni Ue
NAPOLI — Tre anni per salvare Pompei. La scadenza l'ha fissata il ministro per i Beni culturali Lorenzo Ornaghi che ha stilato e reso noto il cronoprogramma. Intanto ieri, prima al ministero, poi a Pompei e a Napoli sono arrivate le rappresentanti di due gruppi imprenditoriali francesi che intendono contribuire ai restauri ed entrare nel programma lanciato da Regione, Unione industriali e costruttori di Napoli per l'area circostante gli Scavi. «I danni al patrimonio archeologico esposto alle intemperie — ha spiegato Ornaghi alla Camera martedì, in occasione del question time — si sono sempre verificati. Anche Pompei, area scavata di oltre 66 ettari, con i resti degli edifici del I secolo privi di copertura ed esposti agli effetti climatici, da oltre 250 anni subisce danni alle strutture murarie e agli apparati decorativi». Per il poco tempo a disposizione, il ministro ha solo parzialmente illustrato in aula il proprio piano, e ha poi integrato la spiegazione sul sito del Mibac.
Il programma si fonda su due premesse fondamentali. La prima è che «per la prima volta ci si trova di fronte all'urgenza di un progetto complessivo, e oltremodo complesso, in grado di affrontare in forma interconnessa i principali problemi di Pompei». La seconda è che i finanziamenti da impiegare per un intervento radicale ci sono, e sono principalmente costituiti dai fondi strutturali stanziati dalla Commissione europea, 105 milioni già nella disponibilità del Tesoro. Ornaghi ha annunciato che saranno indette gare pubbliche, «con modalità telematiche a garanzia di trasparenza, integrità e maggiore celerità». E ha sottolineato che è determinante il «rispetto di un calendario rigoroso, che a oggi prevede: a fine marzo 5 bandi per consolidamento e restauro di 5 domus; a metà aprile bando per la riduzione del rischio idrogeologico nel terrapieno delle Regiones III e IX, ossia l'area interessata dal crollo del novembre 2010 lungo via dell'Abbondanza; entro il 31 luglio bandi per la messa in sicurezza di tre Regiones e bando per il consolidamento e il restauro delle murature e degli apparati decorativi, e l'apertura al pubblico di almeno una domus lungo il percorso di visita, al momento chiusa; entro il 31 dicembre 2012 bandi per la messa in sicurezza delle altre cinque Regiones (in tutto sono nove). Il progetto si concluderà auspicabilmente a fine 2015». Contemporaneamente, ha affermato il ministro, sarà pubblicato «un elenco di ulteriori interventi da finanziare mediante sponsor privati, in applicazione della procedura semplificata prevista dal decreto legge 34 del 2011 su Pompei, in modo da valorizzare l'apporto, anche economico, dei privati». Sarà inoltre avviato «un dibattito aperto a tutti gli interessati, sul piano scientifico-disciplinare e sul piano degli impatti economico-sociali».
Il ministro ha infine aggiunto che la Soprintendenza di Napoli e Pompei continuerà a intervenire «con fondi propri e, come nel caso del distacco di intonaco degli ultimi giorni, con il proprio laboratorio di restauro. I 25 giovani neo-assunti lavoreranno tutti esclusivamente su Pompei». Quale sarà invece il ruolo dei privati a Pompei? «Con i fondi della Commissione europea effettueremo gli interventi sistemici, ma abbiamo confermato che siamo lieti di accogliere finanziamenti e sponsorizzazioni o elargizioni liberali»: questo è quanto l'architetta Antonia Pasqua Recchia, direttrice del segretariato del ministero, ha detto ieri a Joëlle Ceccaldi-Raynaud, deputata francese, sindaca di Puteaux e rappresentante del consorzio Epadesa. L'elenco di restauri per i quali saranno ben accetti i fondi privati, ha aggiunto, sarà pronto «entro un mese», quindi la collaborazione sarà operativa molto presto. Al ministero ieri non si è discusso di cifre, ma a Parigi, nel novembre scorso, quando fu ufficialmente annunciata la disponibilità di Epadesa, si parlò di somme comprese tra 5 e 10 milioni l'anno per un periodo indefinito. La legge francese, spiega Antonia Pasqua Recchia, «è molto invitante, infatti probabilmente potremo contare su una futura espansione della collaborazione». Anche con gli imprenditori italiani, naturalmente, sebbene la nostra normativa sia più complessa e meno favorevole di quella transalpina.
Parallelamente e contemporaneamente agli interventi all'interno degli Scavi, procede l'iniziativa volta a favorire interventi nel contesto circostante, cioè a Pompei ma anche a Ercolano, Boscoreale, Torre Annunziata e Castellammare. Iniziativa sollecitata dall'Unesco. Proprio da tale sollecitazione è scaturito il protocollo d'intesa sottoscritto — sempre a Parigi nello scorso novembre — dal governatore Caldoro con gli imprenditori napoletani, rappresentati dal presidente dell'Unione industriali Paolo Graziano, e dai costruttori, per i quali era presente il leader Rodolfo Girardi. Anche di questo si è parlato ieri, prima a Villa Campolieto, a Ercolano, e poi a Napoli, in Regione. Nella villa vesuviana c'erano Francesco Caruso, ex ambasciatore e oggi consigliere speciale dell'Unesco, Maurizio De Stefano, presidente di Icomos Italia, Diana De Feo, della Commissione Cultura del Senato, Joëlle Ceccaldi-Raynaud e con lei Joëlle Chauvin, direttrice immobiliare del Gruppo Aviva, Graziano, Girardi e anche il presidente della Camera di commercio Maurizio Maddaloni. Il leader dell'ente camerale ha infatti dichiarato la propria «forte attenzione» per le iniziative in corso. Non ancora un'adesione, perché l'eventuale decisione deve passare «attraverso approfondimenti interni». Ma, aggiunge Maddaloni, «siamo sicuramente sensibili al tema e questo tipo di iniziative sul filone culturale è già nell'azione che da tempo e con molta concretezza la Camera di commercio sta sviluppando. La cultura può contribuire alla crescita dell'economia e quindi del sistema delle imprese, può costituire il volano di un meccanismo virtuoso». Nel pomeriggio l'intera delegazione è stata ricevuta dal presidente della Regione Stefano Caldoro a Palazzo Santa Lucia, con il quale ha fatto il punto della situazione a seguito dell'intesa firmata a Parigi alla fine del 2011. E Caldoro ha ringraziato tutti per la confermata disponibilità a realizzare investimenti sul territorio.
Angelo Lomonaco

Sale il Pil, ma è poca roba. Il debito pubblico galoppa
di  Redazione
L’Istat ha diffuso il quadro del 2011: i consumi si sono fermati
ROMA - Crescita bassa, debito in aumento e consumi delle famiglie fermi, con un preoccupante brusco calo della spesa per i generi alimentari. è il quadro che emerge dagli ultimi dati diffusi dall’Istat.
 Nel 2011 il Pil ai prezzi di mercato è stato pari a 1.580.220 milioni di euro correnti, con un aumento dell’1,7% rispetto all’anno precedente. La variazione del Pil in volume è stata pari allo 0,4%.
 I dati finora disponibili per i maggiori paesi sviluppati, rileva l’Istat, mostrano un aumento del Pil in volume nel Regno Unito (0,9%), in Francia (1,7%), negli Stati Uniti (1,7%) e in Germania (3%) e una diminuzione in Giappone (-0,9%).
 Dal lato della domanda nel 2011 si registra una crescita del 5,6% delle esportazioni di beni e servizi e una diminuzione dell’1,9% degli investimenti fissi lordi, mentre i consumi finali nazionali sono rimasti stazionari. Le importazioni sono aumentate dello 0,4%.
 A livello settoriale, il valore aggiunto ha registrato un aumento in volume pari all’1,2% nell’industria in senso stretto e allo 0,8% nei servizi; le costruzioni hanno invece mostrato una flessione del 3,5% e l’agricoltura, silvicoltura e pesca dello 0,5%.
 Quanto poi al rapporto debito/pil, sale al 120,1% dal 118,7% del 2010. Nel 2009 era al 116,1%. Scende invece il rapporto deficit/pil in Italia, che nel 2011 si è attestato al 3,9% dal 4,6% del 2010. L’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil e’ stato pari al -3,9%, in miglioramento di 0,7 punti percentuali rispetto a quanto registrato nel 2010. In valore assoluto l’indebitamento netto e’ diminuito di circa 9,1 milioni di euro, attestandosi sul livello di -62.363 milioni di euro.
 In lieve calo la pressione fiscale rispetto al pil, che nel 2011 è scesa al 42,5% dal 42,6% del 2010. Nel 2009 era al 43%.
 L’Istat ‘fotografa’ infine la situazione delle famiglie italiane. Nel 2011 la spesa per consumi finali ha mostrato un incremento in volume dello 0,2%, con variazioni più contenute rispetto a quelle registrate nel 2010 (+1,2%). A trainare i consumi è stata soprattutto la spesa per i servizi (+1,6%), mentre il consumo di beni è diminuito (-0,9%); particolarmente marcata nella media dell’anno è stata la flessione della spesa per i generi alimentari (-1,3%).
 le cifre diffuse dall’Istat preoccupano le associazioni dei consumatori. ‘’Senza misure di rilancio ed in presenza della forte contrazione dei consumi, un andamento simile del pil era purtroppo inevitabile" affermano in una nota congiunta Adusbef e Federconsumatori.
 Secondo i presidenti delle due associazioni, Elio Lannutti e Rosario Trefiletti, il dato sulla caduta dei consumi nel settore alimentare è anche sottostimato perché in realtà arriverebbe al -4%. ‘’Un indicatore che segna la gravità della situazione: in tempi di crisi, infatti, i consumi alimentari sono sempre gli ultimi ad essere intaccati. Puntare sulla ripresa e sulla crescita - avvertono - diventa a questo punto un dovere imprescindibile’’.
Articolo pubblicato il 03 marzo 2012

Moody's, rating Grecia a 'spazzatura'
Valutazione ridotta da Ca a C, e' sull'orlo del default
03 marzo, 01:58
(ANSA) - NEW YORK, 3 MAR - L'agenzia internazionale Moody's taglia il rating della Grecia a 'spazzatura', abbassandolo a C da Ca. La decisione è legata alla proposta di ristrutturazione del debito della Grecia che impone "perdite per gli investitori di oltre il 70%, e ciò è in linea con i criteri di Moody's per un rating C" si legge in una nota di Moody's. Nei giorni scorsi Standard & Poor's ha tagliato il rating della Grecia a "default selettivo" mentre Fitch l'ha ridotto a C da CCC prevedendo un default a breve.

Ticino. Iniziative contro l’indifferenza in Italia
Alla ricerca di un nuovo slancio nelle relazioni con i nostri vicini a sud delle Alpi
La controversia sugli evasori fiscali ha incrinato i rapporti con l’Italia. Però per la maggior parte degli italiani la Svizzera resta un paese sconosciuto. La diplomazia vuole porre rimedio. Un’ edizione speciale della nota rivista „Limes“ segna il primo passo.
Con i suoi 740 chilometri quello italiano è il confine più lungo della Svizzera. Viceceversa anche per l’Italia quello con la Confederazione Elvetica è il il confine settentrionale più lungo. Sin dall’inizio dei rapporti diplomatici tra Berna e Roma, immediatamente dopo l’Unità d’Italia avvenuta nel 1861, i due stati confinanti hanno avuto un ruolo reciproco importante nel campo politico, economico, sociale e culturale.
Così vicini eppur così lontani
Oggi l’Italia e la Svizzera mantengono, così come un tempo, stretti rapporti di collaborazione. Di grande importanza è l’intenso scambio economico tra i due paesi. Per la Confederazione Elvetica l’Italia è il secondo partner commerciale dopo la Germania, viceversa la Svizzera, come nono investitore straniero, dà lavoro nella repubblica dell’Appennino a circa 75000 persone. Tra il 1950 e il 1970 sono emigrati complessivamente tra 3 e 4 milioni di italiani in Svizzera. Attualmente in Svizzera vivono non meno di mezzo milione di italiani, e formano il gruppo più numeroso di stranieri. In Italia sono residenti circa 50000 cittadini svizzeri.
Però la maggior parte degli italiani che vive a sud del confine sa ben poco della Svizzera. Il quadro generale della Confederazione Elvetica è dominato da stereotipi e pregiudizi, come uno studio d’immagine ha recententemente dimostrato. A ciò si aggiunge che l’anno scorso i media locali hanno scritto abbondantemente della controversia in materia di evasione fiscale tra Svizzera e Italia.
Ora una serie di iniziative dovrebbe contrastare la diffusa indifferenza e la cronaca spesso superficiale da parte dei media. Un primo passo è stato realizzato in Italia dalla celebre rivista di geopolitica „Limes“, che per la prima volta, poche settimane fa, ha pubblicato un numero speciale sulla Svizzera. Nell’edizione speciale di 240 pagine, pubblicata con il titolo „L’importanza di essere Svizzera”, saggisti vari cercano con numerosi articoli, che vale la pena di leggere, nonché mappe e grafici, di avvicinare agli italiani la storia, la politica, l’economia, la cultura e la società svizzeri.
Promuovere il dialogo
In occasione di una conferenza a Roma sulla pubblicazione della rivista, il caporedattore della rivista, Lucio Caracciolo, ha rivelato la sua decisione, di dedicare un intero numero alla Confederazione Elvetica. In Italia ci si dovrebbe interessare di più alla Svizzera, ha dichiarato Caracciolo, perchè, oltre ad occupare un’ importante collocazione finanziaria su piano internazionale e avere una moneta forte a differenza del panorama economico italiano, possiede molti grandi imprenditori, i quali potrebbero garantire un alto livello occupazionale. La Svizzera, in qualità di mediatrice, ha portato a termine inoltre difficili missioni tra stati e istituzioni. Come nessun altro paese della sua grandezza ha una vocazione, risolvere le controversie tra incompatibili punti di vista .
La pubblicazione del numero speciale di Limes è per Caracciolo, secondo quanto lui stesso ha dichiarato, l’inizio di un tentativo, per agevolare il finora in parte lento scambio di opinioni tra Italia e Svizzera. In questo contesto, l’Ambasciata Svizzera a Roma, come pure la rivista «Limes» stanno esaminando l’istituzione di un forum per il dialogo tra la Svizzera e l’Italia. Il Forum si avvarrebbe dell’intervento di selezionati rappresentanti dell’industria, dei media e della cultura. Attualmente non esiste niente di simile, ha dichiarato Caracciolo dopo la conferenza.
Un forum di discussione italo-svizzero sembra pertanto ancora più importante, dato che negli ultimi mesi il rapporto tra i due paesi confinanti è stato piuttosto teso a causa di conflitti sulla politica fiscale. «Le polemiche non erano quelle che intercorrono solitamente tra due paesi che mantengono rapporti così stretti», ha detto l’ambasciatore svizzero, Bernardino Regazzoni, a Roma. La controversia fiscale è stata tuttavia solo un sintomo di un più ampio dibattito che riguarda la tutela reciproca..
Le recenti differenze secondo Regazzoni non hanno minato la solidità delle relazioni. Piuttosto hanno indicato una salvaguardia del ruolo sempre più in attenuazione che entrambi i paesi hanno svolto in vari campi. In primo luogo si tratta di relazioni commerciali bilaterali importanti, ma anche della conoscenza della storia comune, le relazioni culturali e scientifiche. La divergenza tra percezione e realtà è motivo di preoccupazione e richiede dei provvedimenti, ha detto l’ambasciatore . “Se qualcuno non sa e non percepisce correttamente o apprezza quanto importante sia una persona o un paese, questo non è una buona base per un rapporto di collaborazione”, ha dichiarato Regazzoni.
Sguardo al passato
In questo senso un più intenso scambio di opinioni con l’Italia dovrebbe essere stimolato in modi diversi. L’ambasciata a Roma punta su nuove forme di comunicazione per raggiungere il pubblico e per promuovere il dialogo. Dopo la presenza svizzera in occasione delle recenti celebrazioni per il 150 ° anniversario dell’unità d’Italia, che con numerose iniziative hanno ricordato il contributo della Confederazione al Risorgimento, fervono attualmente i preparativi per l’Expo del 2015 a Milano. C’è grande enfasi su questo evento, ossia presentare all’esposizione mondiale la Svizzera come uno spazio di ricerca e un paese innovativo.
Anche a Berna in futuro si farà di più per superare le differenze tra le relazioni italo-svizzere, così ha dichiarato il segretario di stato Peter Maurer. Attualmente, si dovrebbe investire di più nelle risorse umane in campo diplomatico per il mantenimento di un buon vicinato. Alla fine della conferenza Maurer ha ha dichiarato per quanto riguarda le recenti tensioni, che il trattato fiscale firmato dalla Svizzera con la Germania e il Regno Unito potrebbe servire in futuro da modello per altri paesi .
Per l’ambasciatore Regazzoni un eventuale accordo fiscale con l’Italia non dovrebbe essere una copia di altri contratti. Il diplomatico ha assicurato che la Svizzera ha interesse in una soluzione per trovare soddisfazione da entrambe le parti. A tale scopo è tuttavia essenziale che dopo i toni insolitamente forti del passato entrambi i paesi ritornino ad essere consapevoli dell’importanza reciproca. «Bisogna sedersi ad un tavolo e negoziare, perché siamo un partner importante l’uno per l’altro».
[Articolo originale "Initiativen gegen das Desinteresse in Italien" di Romina Spina]

Ticino. Un altro Putin che passa per lo stesso di sempre
 di Giuseppe D’Amato - 03/03/2012
Putin pompiere, i russi preoccupati. Un quadro semplice da sintetizzare dopo una campagna elettorale poco entusiasmante: “la stabilità” contro la “rivoluzione”, la “prosecuzione delle riforme” oppure il nulla. Insomma la solita solfa, come quando un padre vuole convincere a tutti i costi i figli a mangiare la minestra e a non rischiare di saltare il pasto. L’unica grande novità delle ultime settimane è che chi non vota per “il leader nazionale” è contro la Patria. Un bel progresso, non c’è che dire!
Dopo il 24 settembre, il giorno dell’annuncio della staffetta con Medvedev, Vladimir Putin non ha sbagliato una mossa. Mediaticamente è stato perfetto. Ma la sua discutibile scelta autunnale di tornare al Cremlino ha incendiato gli animi. Per l’apatica società federale ha avuto un effetto peggiore di un electroshock. Ecco la ragione delle migliaia di persone scese in piazza a protestare.
Se nel 2000 Putin fu considerato come l’uomo in grado di risollevare il Paese adesso non è più così.
I russi allora vedevano in lui una persona come loro, semplice e con buoni modi. Tutti avrebbero voluto essere come questo ex agente del Kgb dagli occhi di ghiaccio: figlio esemplare, marito e padre di famiglia integerrimo, uno che non beveva – come si dice a queste latitudini.
Dodici anni sono, tuttavia, lunghi e le cose cambiano. Ora i russi hanno altre esigenze e non sono più affamati come a inizio secolo. Si rendono conto che vivono in una realtà corrotta fino al midollo, piena di problemi economici nascosti ed il promesso “ascensore sociale” non esiste. Il sistema, creato da Vladimir Putin, non funziona. In Occidente una tale sentenza pensionerebbe qualsiasi politico. In Russia non è così per “il leader nazionale”.
A scorrere la lista dei candidati vengono da rizzarsi i capelli in testa. Chi avrebbe dovuto partecipare alle presidenziali, o non è stato in grado di presentarsi o è stato lasciato fuori con i soliti giochetti. In breve, i russi sceglieranno il meno peggio e non il migliore. L’incommensurabile fortuna di Putin è che le composite opposizioni hanno troppi capi di seconda fascia e nessun candidato in corsa per le presidenziali di domani. Sono unite contro il primo ministro, ma litigherebbero su qualsiasi altro argomento.
In Russia, però, quando la gente protesta, storicamente succede sempre qualcosa di inatteso, qualcosa di irrazionale. Putin lo sa bene: non per niente si è affrettato a dichiarare che non vi sarà alcuna repressione contro gli oppositori e non verrà approvata alcuna riforma troppo penalizzante per la popolazione.
Le immagini di questa surreale campagna elettorale, ormai entrata in archivio, sono due. La prima, tetra, della manifestazione pro-Putin del 4 febbraio scorso con sostenitori coscritti o pagati per partecipare come in un set cinematografico. In televisione l’apparato è riuscito a contrabbandarla con una partecipazione di 130mila persone. Invero, non ve ne erano manco 20mila. La seconda, colorata, in contemporanea nello stesso giorno con la società civile in strada a tentare di far valere i propri diritti.
Nel mondo odierno non è tanto importante la realtà o la verità, ma cosa si riesce a far credere all’opinione pubblica. E Putin, erede del patrimonio storico della “disinformatsija” di sovietica memoria, si è dimostrato un vero maestro.

Treviso, padania. Anche il Veneto ha il suo Sud
Usl virtuose contro le sprecone
I dg delle Usl trevigiane: basta tagli a noi. Nel mirino Bussolengo e Arzignano. Sacconi invoca costi standard, l’assessore Coletto: no a guerre tra poveri
TREVISO - È proprio vero che esiste sempre un Nord più a nord del Nord. Infatti non c’è solo la battaglia sulle risorse tra il Veneto e il Sud, ma pure nello stesso Veneto ora ci si attacca tra Usl e Usl, tra «virtuosi » e «spreconi». Così, per la prima volta, anche i direttori generali escono allo scoperto, al grido di «basta tagli alle aziende sanitarie virtuose». Per le altre, invece, si faccia avanti la scure. Prima o poi doveva succedere, e l’occasione è arrivata durante un convegno della Cisl di Treviso sul futuro della sanità veneta. Davanti a un parterre di pensionati inferociti per le future riorganizzazioni, i d.g. delle tre Usl trevigiane si sono fatti i conti i tasca e hanno chiesto alla Regione, a fronte degli sforzi già compiuti, di non penalizzarle. «Non vorrei ci fossero dei razionamenti con tagli alle risorse che vanno dal 5 al 10% - ha messo le mani avanti il d.g. dell’Usl 9 Claudio Dario -ma se così fosse, non è giusto colpire anche chi ha dimostrato di essere virtuoso ».
Dati alla mano, l’Usl 8 di Asolo, la 7 di Pieve di Soligo e la 9 di Treviso, «ricevono una quota pro capite inferiore di 65 euro alla media regionale ». «Se tutte le aziende sanitarie fossero finanziate con una simile ripartizione - analizza Dario - in Veneto si spenderebbero ogni anno 320 milioni di euro in meno, riuscendo ovviamente a garantire gli stessi servizi ». Basta sapersi organizzare. «I trasferimenti regionali sono adeguati, ma ci sono delle differenze da non dimenticare. Per esempio, nell’Usl di Treviso abbiamo solo due reparti di Pronto Soccorso per un territorio con oltre 400mila abitanti. A Bussolengo, nel Veronese, dove gli utenti sono 210mila, ne hanno addirittura 6. Oppure Arzignano, dove sono attivi 4 Pronto Soccorso per 180mila utenti, meno della metà di quelli presenti nel nostro territorio ». Dalla battaglia tra Nord e Sud a quella tra Est e Ovest, insomma. Della stessa opinione Renato Mason, direttore generale dell’Usl 8, che accosta il concetto di «spread» al futuro dei conti della sanità veneta: «Prevediamo un aumento delle risorse annue dell’1% a fronte di una crescita dei costi del 3,5%. Vuol dire che in Veneto si salverà solo chi saprà riorganizzarsi, cercando di portare i servizi nel territorio, fuori dall’ospedale».
«Bisogna chiudere i bottegoni », aveva rilanciato la scorsa settimana a Mestre l’ex ministro delWelfare, Maurizio Sacconi, riferendosi agli ospedali inefficienti, ribadendo la necessità di introdurre principi finanziari uguali per tutti: «Bisogna iniziare ad applicare i costi standard non solo tra regione e regione in Italia, ma anche all’interno delle stesse regioni, tra città diverse ed aziende sanitarie diverse». In modo che agli stessi servizi corrispondano ovunque gli stessi costi. Cerca di gettare acqua sul fuoco e chiudere la bagarre tra «virtuosi» e «spreconi» l’assessore regionale alla Sanità, il veronese Luca Coletto, secondo cui «questa polemica tra direttori generali è una guerra tra poveri: invece di alimentare tensioni tra di noi - avverte Coletto - preoccupiamoci di Roma che ci sfila il portafogli. E’ vero che c’è un disequilibrio tra Usl - ammette l’assessore - ma non è un problema di costi delle singole strutture bensì di territorio, perché ci sono zone scarsamente antropizzate o caratterizzate da difficoltà ambientali ». Quanto alle Usl veronesi, «sono un problema che non c’è, basta guardare le quote pro capite per vedere che sono in linea con il resto del Veneto. In ogni caso parte degli ospedali verranno riconvertiti. E credo sarà possibile, anche se molti pensano il contrario, procedere con la riduzione del numero delle aziende sanitarie». Forse non Usl provinciali, ma basate sul numero dei residenti: «L’indicazione ottimale sarebbe una ogni 300mila abitanti».
Alberto Beltrame

Zaia: «Tesoreria unica, per colpa di Roma dovremo indebitarci»
Il governatore torna all’attacco di Unicredit: «Rescindiamo il contratto e chiediamo i danni». Ad aprile secondo trasferimento da 400 milioni
VENEZIA — Dice che Unicredit ha avuto una sola sfortuna, «quella di fare da tesoriere alla Regione mentre il presidente della Regione sono io. Mi spiace». Che «se le banche fossero state al nostro fianco, dimostrando di avere le radici ben salde qui, avremmo vinto insieme questa battaglia» ma siccome la banche hanno preferito schierarsi con Monti, segnando una spiacevole sconfitta per Palazzo Balbi, «allora stiamo valutando se è possibile rescindere il contratto di tesoreria, trovandone un’altra con gara europea, e se ci sono gli estremi per chiedere pure i danni». Forte dell’appoggio del suo partito, la Lega, ma anche di decine di Comuni di diverso colore, il governatore Luca Zaia non arretra ma rilancia nella sfida contro lo Stato sul trasferimento dei depositi a Bankitalia. Anche perché se il primo round ormai è andato, ce n’è però un secondo da combattere, il 16 aprile prossimo: «Ed è quello che conta - spiega Zaia -. Per quella data è infatti fissato il secondo trasferimento, che si annuncia pesante, visto che di qui al prossimo mese incasseremo i bolli auto. Stiamo parlando di circa 400 milioni di euro».
Quelli sì che possono far male, altro che i 4 milioni che hanno preso il volo mercoledì. «Prima o poi sapremo che fine fanno questi soldi» chiosa il governatore. C’è chi dice che faranno da garanzia per le future aste dei titoli di Stato, chi dice che verranno utilizzati per pagare i debiti della pubblica amministrazione, «secondo me serviranno per coprire gli stipendi degli statali». Nell’attesa di svelare l’arcano, cresce in laguna la preoccupazione per il possibile indebitamento a cui potrebbe essere costretta la Regione nel caso avesse bisogno di liquidità immediata. Perché un conto è avere i denari sotto casa, un altro doverli chiedere al burosauro romano: «Gli uffici sono già in allerta perché qua non si tratta di fare un semplice giroconto: la tesoreria unica ci dà un interesse all’1% - continua Zaia - per cui se dovessimo andare a prestito, la differenza tra gli interessi sul nostro credito e quelli sui debiti che saremmo costretti a fare nell’attesa di avere i soldi dallo Stato, sarebbero tutti a carico nostro».
Piccolo inciso: la tesoreria unica dispone già di un 1,35 miliardi «tutti veneti », quelli bloccati dal patto di stabilità. A questo punto, direbbe Lubrano, la domanda sorge spontanea: perché la Regione non investe tutto in titoli di Stato, come ha fatto la Provincia di Treviso, unica a sfuggire alla longa manus di Monti? Il presidente la mette su due piani. Il primo è puramente contabile: «Stiamo parlando di cifre completamente diverse, le nostre sono un po’ più complicate da movimentare». Il secondo, se si vuole, è quasi morale, etico: «I miei soldi non intendo darli a Roma, punto. Investirli in Bot significherebbe consegnarli comunque allo Stato, col paradosso di risparmiargli perfino la fatica». La speranza, a questo punto, è tutta riposta nella pronuncia del Tribunale di Venezia, il 13 marzo, che dovrà dire, in buona sostanza, se vale di più una legge dello Stato, seppur priva di sanzione, oppure un contratto tra una banca ed un ente pubblico, che è legge sì, masolo tra le parti, e se non la si rispetta qualche guaio si rischia di correrlo. «L’atteggiamento delle banche è stupefacente - chiude Zaia - ma capisco che anche loro sono vittime di questa dittatura finanziaria. La situazione si sta facendo critica, i veneti si preparino a delle turbolenze in volo».
Marco Bonet

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