giovedì 17 maggio 2012

am_17.5.12/ Ristrutturazione ciclopica. - Gian Arturo Ferrari: Smarriti in questo labirinto e costretti su due piedi a maneggiare un po' di macroeconomia per poter sostenere una decente conversazione, gli europei danno il peggio di sé e riscoprono non le identità nazionali (non parliamo di quella europea), ma i pregiudizi nazionalistici. I meridionali lazzaroni, i tedeschi autoritari, gli inglesi che vogliono stare per loro conto, i francesi arroganti. E più di tutti i greci, poveri greci, felicemente ignari di manifattura, mediterranei vispi, non incupiti dalla criminalità organizzata, illusi che l'Europa fosse una specie di paese di Cuccagna che elargiva fondi, strade, emolumenti e restauri a volontà.---Nessuna esultanza, perché lì, in quell’aula del tribunale dove si scrive la parola fine a storie di vite andate in pezzi, sarebbe fuori luogo.

Marò, ok a trasferimento da carcere
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LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Case pignorate all’asta, una folla a caccia di affari
L'orchestra senza musica
Auto, in Europa sei fabbriche a rischio: 20mila posti di lavoro in pericolo

Marò, ok a trasferimento da carcere
Kerala: tra 20 giorni i due militari in un'altra struttura
17 maggio, 06:09
(ANSA)- NEW DELHI, 17 MAG - Le autorità del Kerala hanno disposto nella notte il trasferimento dei marò Latorre e Girone dal carcere di Trivandrum a un'altra struttura della città, denominata Boston School. Ma solo tra 20 giorni. Domani intanto la polizia presenterà al magistrato le accuse contro di due militari italiani.
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LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Case pignorate all’asta, una folla a caccia di affari
17.05.2012
Nessuna esultanza, perché lì, in quell’aula del tribunale dove si scrive la parola fine a storie di vite andate in pezzi, sarebbe fuori luogo. Ma la soddisfazione trapela, dai volti di chi sa di avere appena fatto un buon affare. Alle 9, quando il giudice non è ancora arrivato, si sta in piedi nella stanza che ospita le aste giudiziarie. È la normalità, dicono gli addetti ai lavori. Ma la folla fa ancora più effetto nello spazio ristretto rispetto al solito: l’aula utilizzata abitualmente è occupata dagli scatoloni zeppi delle schede elettorali degli ultimi referendum. E allora ci si arrangia in un piccolo locale di fortuna dove stanno fianco a fianco avvocati, creditori e aspiranti acquirenti: i debitori no, sono rimasti a casa. L’addio a distanza fa meno male. Sono pochi quelli che si presentano e guardano negli occhi i prossimi occupanti: estranei pronti ad aggirarsi tra le stanze della casa perduta, a calpestarne inconsapevolmente il carico di ricordi.
I beni pignorati. Nei fascicoli del giudice delle esecuzioni immobiliari Maria Grixoni c’è l’elenco dei beni pignorati che saranno venduti all’asta: appartamenti, villette, terreni, box auto e locali commerciali. Spesso i proprietari sono privati cittadini, in altri casi sono imprese di costruzioni che non hanno onorato i debiti con i creditori, cioè le banche. I loro beni sono stati pignorati e affidati in custodia dal giudice all’Ivg, l’Istituto vendite giudiziarie di Sassari: i suoi incaricati si occupano di cercare acquirenti per gli immobili e di provvedere, in presenza di occupanti, al loro sgombero. Poi gestiscono la fase di trasferimento ai nuovi proprietari.
Case all’asta. La mattinata si apre con una villetta a schiera in città, nella zona residenziale di cerniera tra i quartieri di Monte Rosello alto e San Francesco. Fa parte di un lotto, composto da due abitazioni e due box, pignorato nel 2007. Da vendere resta solo un appartamento di circa 90 metri quadri, con terrazzi, giardino e vista panoramica sulla vallata. A contenderselo sono in tre:due signore e un avvocato per conto del terzo potenziale acquirente. L’appartamento è stato valutato 180mila euro. L’asta parte da un’offerta base di 110mila, più l’aumento minimo di 2000. Inizia la trattativa davanti al giudice: rilancio dopo rilancio, la gara si ferma a 144mila euro, vince l’avvocato. Subito dopo ecco un terreno a Ozieri, va via per 80mila euro. Ma resta in famiglia, perché l’acquirente è un parente del debitore. Poi c’è una villa con ampio terreno e piscina, in una zona residenziale di Sassari dove il mattone pesa: la perizia dice che il valore della villa è 490mila euro, una giovane coppia fa l’unica offerta e se l’aggiudica per 265mila, 10 per cento già versato, il resto entro 60 giorni. I due escono dall’aula in punta di piedi, forse in leggero imbarazzo, il battito del cuore accelerato, ma nessuna manifestazione di gioia. Ha l’aria soddisfatta anche un’altra coppia che acquista un locale commerciale a Porto Torres: 98 metri quadri, valore 135mila euro, la loro offerta (l’unica)è di 110mila.
Proprietari gabbati. Dietro quel locale e i 5 appartamenti compresi nel lotto, c’è una storia triste. L’impresa ha venduto sulla carta, gli acquirenti hanno firmato il compromesso e versato una parte dei soldi ma l’atto notarile non è mai stato stipulato. Nel frattempo l’impresa è diventata morosa nei confronti della banca con cui aveva stipulato il mutuo e la palazzina è stata pignorata. Chi aveva pagato è rimasto fregato perché non risulta proprietario. Non solo. In attesa di rivalersi nei confronti dell’impresa, gli inquilini devono versare un’indennità di occupazione per continuare a stare negli appartamenti. I soldi confluiscono in un libretto gestito dall’Istituto vendite giudiziarie. Quando gli immobili saranno venduti, l’importo sarà scalato dal credito spettante alla banca.
La procedura. Quando un bene viene pignorato, al proprietario viene notificato un decreto ingiuntivo dall’ufficiale giudiziario. Se il titolare dell’immobile manifesta la volontà di estinguere il debito si cercano tutte le soluzioni per evitare l’esecuzione, cioè la messa in vendita. Il bene passa sotto la custodia dell’Ivg, che tiene i rapporti tra l’occupante e il giudice e si occupa di fare periziare lo stabile e pubblicizzarne la messa in vendita sul sito www.astagiudiziaria.com (il più visitato tra quelli del settore) e sui giornali. È sempre l’Ivg ad accompagnare gli interessati a visionare l’immobile, spesso scontrandosi con la resistenza dei proprietari per nulla contenti all’idea di offrire le proprie case allo sguardo di estranei. A volte capita che dopo ripetuti solleciti a vuoto, il giudice autorizzi l’Ivg a rivolgersi a un fabbro per entrare negli appartamenti. Ma sono casi eccezionali, perché i debitori alla fine si arrendono. Per non subire un’ulteriore umiliazione, sono loro stessi, a malincuore, ad aprire la porta.
Le offerte. Chi è interessato all’acquisto di un bene pignorato deve presentare un’offerta qualche giorno prima della data fissata per l’asta. Le prime vanno quasi sempre deserte, si aspetta un ribasso sufficiente per assicurarsi l’affare. Spesso accade, a volte però capita che nel gioco del rialzo qualcuno si faccia prendere dalla foga ed esageri: pur di non darla vinta ai concorrenti, eccede con i rilanci e si aggiudica il bene a un prezzo superiore a quello di mercato. Meglio per i debitori: saldati i conti con i creditori, va a loro il resto dei soldi versati dagli acquirenti.
Futuro nero. Il settore delle esecuzioni immobiliari viaggia di pari passo con la crisi economica. Per questo, da almeno 4 anni la corsa non si arresta. Nel 2011, i nuovi procedimenti avviati dal tribunale di Sassari (che comprende la sezione staccata di Alghero) sono stati 391: di questi, 338 sono stati “esauriti”. Significa che i beni sono stati venduti all’asta, solo una piccolissima parte è stata riscattata dai proprietari: quelli che riescono a farlo appartengono a una categoria che si avvia veloce verso l’estinzione.

L'orchestra senza musica
Dopo essersi ammazzati con entusiasmo per oltre duemila anni e aver pacificamente convissuto per poco meno di settanta, gli europei tornano a manifestare qualche reciproca inquietudine. Non è più il sangue e il suolo - o il desiderio di sangue e di suolo - a dividerli, ma un'alchemica mescolanza di cifre, percentuali e termini arcani: rating , spread , bond (o bund ? o eurobond ? mah...). Smarriti in questo labirinto e costretti su due piedi a maneggiare un po' di macroeconomia per poter sostenere una decente conversazione, gli europei danno il peggio di sé e riscoprono non le identità nazionali (non parliamo di quella europea), ma i pregiudizi nazionalistici. I meridionali lazzaroni, i tedeschi autoritari, gli inglesi che vogliono stare per loro conto, i francesi arroganti. E più di tutti i greci, poveri greci, felicemente ignari di manifattura, mediterranei vispi, non incupiti dalla criminalità organizzata, illusi che l'Europa fosse una specie di paese di Cuccagna che elargiva fondi, strade, emolumenti e restauri a volontà. Certo, non si poteva fare l'Europa democratica senza il Paese che la democrazia l'aveva inventata, anche se qualche tempo fa. Ma inserire quella fragile economia (e quella fragile democrazia) nel tritacarne dell'euro non è stata una gran trovata.
Mentre noi europei rimuginiamo polverosi stereotipi - ma con acidità, come dopo una cattiva digestione - gli altri attori principali sulla scena mondiale procedono spediti ad applicare e tradurre in pratica i loro principi, le idee costitutive del loro modo d'essere. Gli americani continuano a ragionare in termini di libertà, quella vera però, e di sicurezza: to be free and to be safe restano i loro fari, i loro caposaldi. Gli aspiranti presidenti gareggiano essenzialmente sul tema di chi è più americano. I cinesi applicano con risolutezza spietata i principi del comunismo confuciano e mandarino di loro invenzione, mentre rinsaldano, come tradizionalmente prescritto, i confini dell'impero. Gli islamici perseguono con varietà di mezzi - nucleari, petroliferi, movimentisti, terroristici - l'idea di una teocrazia di cavallo e di spada, com'era all'origine dell'Islam, opportunamente adattata al terzo millennio.
Insomma, sembrano tutti aver ben chiaro che cosa stanno a fare al mondo e che cosa vogliono. Certo, si dirà, ma sono facilitati gli uni dall'unità statuale e gli altri da quella religiosa, mentre la nostra Unione non è nè carne né pesce e quanto alla religione meglio lasciar perdere. Ed è anche vero che in forme diverse - tradizione isolazionista per gli Stati Uniti, comunità dei credenti per l'Islam, sudditanza al Figlio del cielo per la Cina - la chiusura su se stessi ha molto agevolato la determinazione di identità. Mentre l'Europa, nel suo tentativo di comprendere tutto e tutti, di allungarsi su ogni remoto angolo del globo terrestre, ha finito per perdere il senso del proprio baricentro, della propria ragion d'essere. Altro che eurocentrismo!
Soprattutto, quel che i nostri per così dire concorrenti hanno ben chiaro e su cui noi invece annaspiamo, è che la prosperità economica è una conseguenza e non una causa. Che gli uomini fanno l'economia e non l'economia gli uomini. E che per fare una economia prospera gli uomini hanno bisogno di realismo certamente, di coesione senz'altro, ma prima ancora di consapevolezza di se e del proprio ubi consistam .
Un europeo apostata, Henry Kissinger, in alcune pagine lucide e sprezzanti ha asserito che l'Europa non ha più, non avrà mai più, la forza di pensare a un proprio compito, di darsi un destino. Può essere. Ma se così non fosse, e noi vogliamo e dobbiamo pensare che così non sia, non c'è dubbio che il nostro asset principale per scavarci un posto al sole, il fulcro su cui far leva, il tratto identitario fondamentale, è precisamente la cultura, la cultura europea. Non solo e non tanto nel senso patrimoniale ed ereditario, ma più ancora per la sua plasticità, per la sua elasticità, per l'ampiezza e pienezza dei registri. Non è tanto questione di pluralismo, termine tanto abusato da essere ormai vuoto, quanto di ricchezza: la cultura europea è una grande orchestra, la più grande orchestra, in attesa di compositori e di musiche degne di essere suonate.
Più che di un fiscal compact l'Europa ha bisogno, necessità urgente, di un cultural compact , di ritrovarsi, di ritrovare nella propria cultura la ragione profonda del suo essere. La cultura non si mangia, è stato incautamente detto. È vero, non si mangia oggi. Ma se non investiamo oggi in cultura è difficile che i nostri figli e i nostri nipoti possano mangiare qualcosa d'altro domani.
Gian Arturo Ferrari

Auto, in Europa sei fabbriche a rischio: 20mila posti di lavoro in pericolo
ROMA - Ormai è routine: ogni 15 giorni radio,tv e internet italiani diffondono i dati della crisi del settore dell’auto. A inizio mese si tratta dei dati nazionali e poi, a metà mese, di quelli (li stessi di prima) sommati a livello europeo, ma il titolo dei media è sempre, invariabilmente, lo stesso: il mercato cala e Fiat crolla. Ma le cose stanno veramente così? A giudicare dalla drammatica riunione dell’Acea (l’Associazione dei costruttori europei) che si è svolta ieri in Svizzera il quadro è molto più articolato. Secondo indiscrezioni per la prima volta Marchionne e i suoi parigrado di Opel, Renault e compagnia bella, hanno affrontato brutalmente un tema che da anni viene continuamente rinviato: la chiusura dialcuni stabilimenti in Europa.
Le fabbriche in bilico sono già note fra gli addetti ai lavori. Si parte dal più vecchio stabilimento della Peugeot, quello di Aulnay a due passi da Parigi, per passare a quello tedesco di Bochum della Opel che si appresterebbe anche a trasferire in Inghilterra alcune lavorazioni oggi concentrate a Russelsheim. Anche Renault dovrebbe svuotare uno dei suoi 14 stabilimenti europei (in cima alla lista pare ce ne sia uno spagnolo) mentre quelli Fiat in qualche modo in pericolo sarebbero due ma dal Lingotto finora non sono uscite ulteriori indicazioni. Ford infine ha già fatto sapere di voler fermare per qualche giorno la produzione delle sue Fiesta nella fabbrica di Colonia. Complessivamente i posti in pericolo nel comparto automotive sono circa 20 mila cui si associerebbero almeno altri 50 mila addetti dell’indotto.
Quella che si profila dunque è una ristrutturazione ciclopica, di livello continentale, ben più ampia di quella che toglie il sonno ai molti dipendenti in cassa integrazione della Fiat. «Il fatto è – dicono gli osservatori più attenti – che in Europa sono presenti ben 120 stabilimenti automobilistici, in grado di produrre fra 18 e 20 milioni di pezzi mentre quest’anno il mercato europeo assorbirà non più di 12 milioni di auto». In queste condizioni i produttori generalisti sono obbligati a produrre a ritmi rallentati col risultato di gonfiare a dismisura i costi fissi e le perdite. Si parla ormai, per tutto il comparto, di decine di milioni che vanno in fumo ogni giorno.
L’anno scorso Opel (controllata dall’americana General Motors) ha perso circa 750 milioni di dollari che si sommano alle perdite degli ultimi 12 anni. Peugeot nel solo secondo semestre ha dichiarato un rosso di circa 440 milioni di euro. Fiat perde intorno ai 500 milioni di euro annui ed anche in questo caso il rosso è cronico. Anche Ford Europa prevede forti perdite per il 2012. L’unica eccezione (marche premium a parte che però vivono in un mondo a parte) è la Volkswagen i cui utili derivano soprattutto dalla lussuose Audi (5 miliardi) e dalla Cina. In Europa il colosso di Volfsburg brilla molto di meno: la sua filiale spagnola Seat perde circa 400 milioni e per mantenere alta la sua quota di mercato non esita ad abbassare i prezzi.
Per uscire dalla crisi secondo i costruttori d’auto europei non c’è che da copiare il modello americano dove nel 2009, dopo il fallimento di GM e Chrysler, sono stati chiusi 28 stabilimenti e bruciati 88 mila posti di lavoro. Oggi, ad appena tre anni di distanza, l’industria dell’auto americana è tornata ad assumere massicciamente mentre quest’anno una dozzina di stabilimenti non chiuderanno durante le ferie estive perché la domanda è superiore all’offerta.
Sia come sia, i dati sulle vendite europee diffusi oggi dall’Anfia fanno capire la dimensione del problema auto in Europa. Nei primi quattro mesi del 2012 nei 27 Pasi Ue oltre che in Svizzera, Norvegia e Islanda, le immatricolazioni sono scese sotto quota 4,5 milioni con una diminuzione di 350 mila pezzi. Come se in appena quattro mesi fosse sparito uno stabilimento come Melfi.
Delle 350 mila vetture rimaste sui piazzali o neanche prodotte, 140 mila le ha perse il mercato francese e ben 135 mila quello italiano. I costruttori più colpiti? Il primo in assoluto è Renault che lascia sul terreno ben 100 mila pezzi e perde l’1,4% di quota di mercato. Peugeot e Citroen perdono assieme 85 mila auto, il gruppo Fiat 64 mila e Opel 55 mila. Meno forti gli arretramenti di Toyota (-17 mila) e Ford Europa (-27 mila). Gli unici ad approfittare della crisi sono i coreani di Hyundai e Kia che hanno venduto 33 mila auto in più.

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