venerdì 15 giugno 2012

am_15.6.12/ Burrasca nel Mediterraneo.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Imprese sarde piccole e casalinghe
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze comunica i dati di sintesi del conto del settore statale del mese di aprile 2012.
La Spagna salva le banche, non il suo debito
Grecia: caos sociale, pensioni a rischio, boom disoccupati

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Imprese sarde piccole e casalinghe
14.06.2012
Crescita strutturale e sguardo verso i mercati esteri. Sono questi i due ingredienti necessari all'economia sarda per poter riemergere evidenziati durante il convegno organizzato dalla Banca Carige ieri pomeriggio a Villa Mimosa sotto la guida del giornalista del “Sole 24 Ore” Gianfranco Fabi. «È un momento difficile per tutti – ha esordito il vicedirettore generale della Carige Gabriele Delmonte – anche per le banche. La crisi ha dato il via a un circolo vizioso apparentemente senza fine, ma ne usciremo. Le banche italiane hanno una struttura solida ed è giusto che supportino soprattutto le piccole e medie imprese che puntano verso i mercati internazionali. È questo il primo passo da fare per invertire la tendenza e noi lo stiamo già facendo». In base ai dati raccolti dalla banca genovese l'economia sarda risente di un livello di internazionalizzazione ridotto che ancora oggi vede l'industria della raffinazione petrolifera fare la parte del leone. Un dato allarmante che sottolinea la drammatica incapacità da parte del tessuto imprenditoriale locale di sfruttare il proprio potenziale, frenato da un evidente sottodimensionamento strutturale delle imprese. «In un clima di forte instabilità – ha detto Guido Papini dell'ufficio pianificazione della Carige – le uniche aziende che hanno dimostrato di poter reggere l'onda d'urto sono state quelle che hanno puntato con decisione sui mercati esteri e su standard qualitativi elevati dei processi di produzione». Una soluzione che sembra fare a pugni col «nanismo delle nostre aziende» come sottolineato dal professor Marcetti. «Se vogliamo aumentare la nostra capacità di penetrazione nei mercati esteri – ha spiegato il presidente di Confindustria per il Nord Sardegna Pierluigi Pinna – dobbiamo crescere sia da un punto di vista dimensionale che in termini di capitale d'investimento». Ed è proprio qua che nasce l'annoso problema dell'accesso al credito. La realtà sarda si ritrova a fare i conti con un numero elevato di imprese di dimensioni estremamente ridotte che rifiutano con decisione qualunque tipo di interazione ma sopratutto di integrazione con altre aziende del territorio, limitando così la propria competitività sui mercati internazionali. «Gli imprenditori sardi – ha aggiunto Piergiorgio Saladini, responsabile per i servizi alle imprese della Carige – devono comprendere che la cosiddetta “small size” rischia di frenare sia l'export che l'innovazione di prodotto e di processo tagliando fuori dal mercato realtà dotate di un grande potenziale». Preservare l'integrità e l'identità della propria impresa sembra infatti essere uno di quei punti fermi ai quali gli imprenditori sardi non vogliono rinunciare. Un'esigenza comprensibile che gli addetti ai lavori non vedono però vincolante: «Le reti d'impresa esistono proprio per questo. Preservano l'identità aziendale ma consentono al tempo stesso un'integrazione orizzontale che permette al piccolo di agire come se fosse grande».

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze comunica i dati di sintesi del conto del settore statale del mese di aprile 2012.
Fabbisogno del settore statale del mese di aprile 2012
        Milioni di euro
Formazione del fabbisogno       
Entrate   33.117
Spese     35.142
di cui: spesa per interessi  5.904     
Fabbisogno (-) / Disponibilità (+)        -2.025
Copertura     
Totale     2.025
Titoli a breve termine 3.550
Titoli a medio-lungo termine      -10.035
Titoli esteri    2.293
Altre operazioni (1)      6.217
 (1) Comprendono la raccolta postale e la variazione del conto di disponibilità.
In conformità al programma Special Data Dissemination Standard (SDDS) del Fondo Monetario Internazionale, il calendario delle pubblicazioni dei dati sopraesposti è disponibile sul sito (Collegamento a sito esterno http://
dsbb.imf.org).
Roma, 14 giugno 2012

La Spagna salva le banche, non il suo debito
di Giorgio Arfaras
La crisi della Spagna ha la sua origine nel settore immobiliare. Le banche iberiche - e soprattutto le Casse di risparmio - hanno compiuto cospicui investimenti, anche con crediti erogati da istituti finanziari esteri. La costruzione è andata avanti a un ritmo insostenibile, anche vista la domanda in contrazione e la grande offerta ha fatto cadere i prezzi. Gli immobili invenduti sono circa un milione. Il credito del settore bancario verso quello immobiliare è di 600 miliardi di euro e i crediti inesigibili sono cospicui.
Le banche spagnole debbono perciò far emergere i crediti inesigibili verso il settore immobiliare. Per farlo devono però ridurre il patrimonio netto (i crediti sono infatti nell’attivo e devono pareggiare il patrimonio netto, il passivo). Tuttavia, così facendo, devono erogare meno crediti, perché questi sono erogabili un numero limitato di volte il patrimonio netto (la famigerata leva bancaria).
Per evitare questa mossa che manderebbe in crisi l’economia, le banche devono varare degli aumenti del proprio capitale di rischio. Gli istituti finanziari non trovano però dei sottoscrittori privati o, meglio, potrebbero anche trovarli ma a condizioni capestro per i vecchi azionisti e per i dirigenti (questo punto cruciale sarà ripreso più avanti).
Deve perciò intervenire lo Stato che emette obbligazioni per sottoscrivere gli aumenti del capitale delle banche. Qui arrivano le complicazioni. La crisi economica ha ridotto le entrate fiscali e, a differenza del passato, la Spagna ha cominciato ad avere un cospicuo deficit pubblico. Il deficit alimenta il debito pubblico, perché è finanziato con l’emissione di obbligazioni e non con moneta. Nel giro di pochi anni, il debito spagnolo passerà dal 60% al 90% del pil.
La notevole crescita del debito spinge i mercati a chiedere rendimenti maggiori per sottoscriverlo (un’offerta crescente di debito spinge i prezzi all’ingiù: nel caso delle obbligazioni la cedola è fissa, perciò se il prezzo dell’obbligazione scende, sale il rendimento, pari alla cedola sul prezzo). I maggiori oneri finanziari peggiorano i conti pubblici, facendo così aumentare il deficit, dando il via a una spirale di crisi.
Tempo fa il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha fatto delle stime per il 2012 e il 2013 sull’andamento dell’economia spagnola nel caso in cui le cose prendano la piega peggiore: A) il pil diminuirebbe cumulativamente del 5,7%; B) la borsa del 51,7%; C) il prezzo degli immobili del 23,5%; D) il credito del 26,5%.
In questo scenario dell’orrore, per bilanciare le perdite sui crediti le banche spagnole avrebbero bisogno di capitale per 37 miliardi di euro, secondo l’Fmi. Un numero alla fine modesto data l’entità del cataclisma. Dall’eurozona sabato scorso è arrivato un aiuto di 100 miliardi di euro. Possiamo perciò dire che le banche spagnole (si noti che in difficoltà sono le Casse di risparmio e non le grandi banche spagnole internazionalizzate) a questo punto siano blindate.
Tutto bene allora? Non proprio. Vi sono due punti aperti. Il primo è che la Spagna ha ricevuto l’aiuto senza alcuna condizione, ma quei 100 miliardi vanno registrati come un incremento del debito pubblico, in quanto ricevuti dai vari fondi "salva Stati" dell’eurozona. Il debito pubblico spagnolo - per la spinta del deficit centrale e regionale - punta al 90% del pil ma arriva al 100%, contabilizzando l’aiuto dei paesi dell’euro area alle banche.
Il secondo problema è che sono le Casse di risparmio ad essere mal messe. In questi istituti si concentrano i poteri locali, i quali sono sottoposti al giudizio dei poteri centrali spagnoli e di nessun altro. Ergo, la sovranità nazionale spagnola non è minimamente scalfita. In altre parole, i paesi dell’euro, temendo un riverbero della crisi delle banche iberiche sulle loro, hanno aperto il portafoglio, rinunciando però a controllare l’impiego dei fondi.
La conclusione è triplice. A) Positiva per quanto riguarda l’entità del salvataggio, che blinda i conti delle banche. B) Negativa perché si accelera la crescita del debito pubblico. C) Negativa relativamente alla sopravvivenza dei poteri locali, che hanno contribuito alla generazione della crisi alimendo l’investimento immobiliare. Altrimenti detto, l’Europa dell’euro compra tempo per evitare nel breve periodo una crisi maggiore del proprio sistema bancario. Dal canto suo, la Spagna aumenta il proprio debito pubblico, salva le banche più a rischio mentre il regolamento dei conti avviene fra i suoi diversi poteri, senza che i creditori abbiano voce in capitolo. Il salvataggio senza condizioni del sistema bancario spagnolo solleva il problema dell’unificazione dei controlli bancari in Europa.
Intanto nel fine settimana si vota in Grecia. Alèxis Tsìpras, leader del partito favorito Syriza, ha dichiarato che, qualora vincesse le elezioni, la Grecia non abbandonerà la valuta comune, riformerà l’intervento pubblico e cercherà di mantenere sul livello medio europeo sia la spesa (ora in linea) sia le entrate (al momento ben al di sotto di esso).

Grecia: caos sociale, pensioni a rischio, boom disoccupati
E mancano i soldi per pagare i sussidi a chi non ha lavoro
14 giugno, 18:04
I graffiti sui muri di Atene rispecchiano lo stato d'animo del popolo greco alle prese con una catastrofica crisi economica
(ANSAmed) - ATENE - Le profezie piu' nere per la Grecia sembra si stiano materializzando una ad una e ogni giorno che passa la situazione peggiora. Oggi e' la volta della previdenza sociale mentre, sempre oggi, l'Istituto di statistica ellenico (Elstat) ha reso noto che il tasso di disoccupazione ha toccato un altro massimo storico salendo al 22,6% nei primi tre mesi di quest'anno dal 20,7% del trimestre precedente.
 A lanciare l'allarme sulla disastrosa situazione dei fondi degli istituti di previdenza sociale del settore privato e' stato Antonis Roupakiotis, ministro ad interim del Lavoro e della Previdenza Sociale, il quale ha dichiarato senza mezzi termini che i fondi degli istituti di previdenza sociale del settore privato greco "sono al punto di rottura" e che non si sa se gli istituti saranno in grado di pagare le quote dovute questa estate. Poi, sempre senza giri di parole, ha aggiunto: "Sulla base dei dati di cui dispongo, prevedo che per luglio i pensionati dovranno cominciare a preoccuparsi".
 "Le finanze di tutti i fondi di previdenza sociale e soprattutto quelli sovvenzionati dal bilancio dello Stato sono in cattive condizioni," ha detto ancora Roupakiotis precisando che l'Oaed, l'agenzia per l'impiego delle risorse umane (in pratica l'ufficio collocamento) ha bisogno di 260 milioni di euro per pagare i sussidi di disoccupazione. Il ministro ha inoltre definito "umiliante" il sussidio di disoccupazione e ha sottolineato che solo un disoccupato su cinque lo riceve. Roupakiotis, fra l'altro, ha reso noto che circa 500 dipendenti di sindacati sono senza stipendio da mesi e che i programmi di turismo sociale, che forniscono ai lavoratori vacanze sovvenzionate, sono stati sospesi. Ma ci sono brutte notizie in arrivo anche per gli impiegati statali. Sempre Roupakiotis, infatti, ha proposto una serie di misure che riguardano la limitazione della liquidazione spettante ai dipendenti pubblici da parte dell'Ente erogatore competente, l'Istituto per la Previdenza degli impiegati statali (Tpdy). Secondo la proposta del ministro, d'ora in poi avranno diritto all'importo totale della liquidazione soltanto coloro che avranno superato i 25 anni di servizio. Per gli impiegati che avranno fra i 12 e i 25 anni di servizio il ministro propone il versamento del totale della somma dei contributi versati nel periodo lavorato con l'aggiunta dei relativi interessi ma senza la rivalutazione collegata all'inflazione e ad altri parametri. Gli impiegati che hanno invece fra i 6 e i 12 anni di servizio, riceveranno il 70% dei versamenti effettuati piu' i relativi interessi. Infine coloro che avranno meno di sei anni di servizio (da uno ai 6 anni) non avranno diritto a nulla.
 Obiettivo di tale misura, secondo il ministro, e' quello di diminuire il numero degli aventi diritto alla liquidazione in modo da riuscire a ridurre il deficit dell'Ente, indebitato per oltre 1,5 miliardi di euro. La proposta - che naturalmente non manchera' di suscitare aspre polemiche tra governo e parti sociali - sara' esaminata dall'esecutivo che uscira' dalle urne il 17 giugno. Attualmente sono oltre 53.000 gli impiegati statali in attesa di ricevere la liquidazione mentre il tempo medio per riscuotere l'indennita' di fine rapporto supera i quattro anni.
 Sempre nell'ambito dell'assistenza pubblica, questa volta sanitaria, i farmacisti greci hanno fatto sapere che continueranno nella loro agitazione finché l'Ente per la Prestazione di Servizi Sanitari (Eopyy) non provvederà all'estinzione dei debiti nei loro confronti che riguardano il periodo sino alla fine di aprile 2012.(ANSAmed).

Nessun commento: