venerdì 8 giugno 2012

am_8.6.12/ Aprile tedesco: export +1,7%, importazioni -4,8%

Province, in Sicilia sono costate ai cittadini 238 milioni di euro        
Germania: ad aprile migliora surplus nel commercio estero
Crisi: Grecia, disoccupazione tocca nuovo record al 21.9%
Irlanda, 14,8% disoccupazione primo trimestre
Fitch declassa la Spagna, da A a BBB. E avverte: se la Grecia esce dall'euro downgrade a tappeto
L’impero fortuito

Province, in Sicilia sono costate ai cittadini 238 milioni di euro          
Secondo un rapporto Istat, agli abitanti dell'Isola i salari dei 5.534 dipendenti delle 9 amministrazioni è costato in media 47 euro a testa, il doppio rispetto agli abitanti della Lombardia, dove la spesa pro capite è stata di 27 euro
PALERMO. Ai siciliani, nel 2010, pagare gli stipendi dei 5.534 dipendenti delle 9 amministrazioni provinciali è costato in media 47 euro a testa, il doppio rispetto agli abitanti della Lombardia, dove la spesa pro capite è stata di 27 euro. Nelle Province dell'isola per il personale sono stati spesi 238 milioni di euro. È quanto emerge dal rapporto dell'Istat sui bilanci consuntivi delle amministrazioni provinciali nel 2010. Secondo lo studio, l'isola si colloca al secondo posto della graduatoria nazionale stilata dall'istituto nazionale di statistica, preceduta proprio dalla Lombardia, dove la spesa per il personale ammonta a 273 milioni di euro ma viene distribuita su una popolazione che è circa il doppio rispetto a quella siciliana. Nell'isola per l'acquisto di beni e servizi le amministrazioni provinciali hanno speso 208 milioni di euro (41 euro pro capite); infine, per le altre spese correnti (esclusi gli stipendi) la spesa è di 93 milioni (18 euro pro capite).

Germania: ad aprile migliora surplus nel commercio estero
08 Giugno 2012 - 08:31
 (ASCA) - Roma, 8 giu - Migliora ad aprile l'interscambio col'estero della Germania. Il saldo commerciale ammonta a 16,1 miliardi di euro rispetto ai 14 miliardi di marzo per effetto di una flessione dell'export dell'1,7% mentre le importazioni sono scese 4,8%.
did/                  

Crisi: Grecia, disoccupazione tocca nuovo record al 21.9%
07 giugno, 17:28
(ANSAmed) - ATENE, 7 GIU - Il tasso di disoccupazione in Grecia ha toccato un nuovo record, arrivando al 21.9% nel mese di marzo scorso dopo che a febbraio aveva segnato il 21.7%. Lo riferisce oggi dall'Istituto ellenico di statistica Elstat. Dal dato si evince che a tutt'oggi in Grecia vi sono 1,075,081 persone senza lavoro, cioe' in pratica un greco ogni cinque e' disoccupato mentre il numero delle persone che ha un lavoro e' di 3,843,905. Tra i giovani di eta' fra i 15 e i 24 anni il tasso di disoccupazione ha toccato invece il 52.8% ovvero piu' di un giovane su due e' senza lavoro rispetto al 42% di un anno prima. Si e' registrato anche un sostanziale aumento dei disoccupati nella fascia di eta' fra i 25 e i 34 anni che sono saliti al 29.8% rispetto al 22.1% del marzo 2011. Il tasso di disoccupaziome, rileva Elstat, e' piu' elevato nei grandi centri ed in particolare nella capitale Atene. (ANSAmed).

Irlanda, 14,8% disoccupazione primo trimestre
Il tasso di disoccupazione in Irlanda è salito nel primo trimestre al 14,8%, dal 14,1% registrato nello stesso periodo dello scorso anno. Lo ha reso noto l'ufficio di statistica nazionale (Cso). Si tratta del livello di disoccupazione più elevato dall'inizio della crisi bancaria del Paese, nel 2007. Il tasso di disoccupazione irlandese si attestava al 4,7% nel 2007.

Fitch declassa la Spagna, da A a BBB. E avverte: se la Grecia esce dall'euro downgrade a tappeto
Fitch ha nuovamente declassato il rating della Spagna, che esce così dalla categoria 'A' nelle valutazioni dell'agenzia finendo a quota 'BBB'. Ben tre gradini in meno, dunque, mentre le prospettive di rating restano negative, ha aggiunto Fitch con un comunicato, fattore che può preludere a ulteriori declassamenti. Il peggioramento delle valutazioni riflette innanzitutto i probabili costi di ricapitalizzazione del settore bancario spagnolo, si legge, che secondo Fitch costerà ben oltre i 40 miliardi prospettati, anzi tra 60 e 100 miliardi di euro: rispettivamente tra il 6 e il 9 per cento del Pil dell'intero paese.
«La Spagna - ha ribadito tuttavia il presidente dell'eurogruppo Jean Claude Juncker - finora non ha avanzato alcuna richiesta di aiuto finanziario ma se ciò avverrà sarà evidentemente fatto». Juncker ha aggiunto che «non è il momento di speculare sulle cifre» relative salvataggio delle banche spagnole.
Ovviamente Fitch tira diritto, come le consorelle agenzie di rating. Poco prima di sforbiciare il rating di Madrid, l'agenzia aveva rincarato la dose riguardo ai destini dell'Eurozona. Secondo il direttore generale, Edward Parker, se la Grecia uscisse dall'euro i rating di Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro verrebbero abbassati «in modo automatico» e tutti i paesi dell'Eurozona verrebbero messi sotto osservazione per un eventuale downgrade. A rischio, ma questa volta non per "colpe" europee, sarebbe anche il rating del debito pubblico degli Stati Uniti.
Parlando a New York, Parker ha spiegato che secondo Fitch «gli Stati Uniti non hanno un piano credibile di risanamento fiscale», e che «se dopo le elezioni presidenziali di novembre non ne emergerà uno, sarà molto probabile un downgrade». Oggi Fitch classifica il debito Usa con tripla A, con outlook negativo.
 7 giugno 2012

L’impero fortuito
di George Soros
NEW YORK – E’ ormai chiaro che la crisi dell’euro è stata determinata dalla cessione del diritto di stampa della moneta da parte degli stati membri alla Banca Centrale Europea. I paesi dell’UE, così come le autorità europee, non hanno infatti capito cosa avrebbe comportato tale cessione.
Con l’introduzione dell’euro, i regolatori hanno permesso alle banche di acquisire somme illimitate di obbligazioni statali senza mettere da parte alcun capitale azionario, mentre la BCE ha ridotto il prezzo dei titoli di stato di tutta l’eurozona in ugual misura. Le banche commerciali hanno trovato vantaggioso accumulare le obbligazioni dei paesi più deboli per guadagnare qualche punto base extra, il che ha portato ad una convergenza dei tassi di interesse in tutta l’eurozona. In questo contesto, la Germania, in difficoltà a causa del peso della riunificazione, ha implementato una serie di riforme strutturali diventando più competitiva, mentre altri paesi hanno goduto invece del boom immobiliare e dei consumi sulla spinta del credito a basso tasso di interesse, diventando così meno competitivi
Poi è arrivato il crollo del 2008 e i governi si sono trovati a dover salvare le loro banche. Alcuni di loro si sono trovati nella posizione dei paesi in via di sviluppo con un eccesso di indebitamento in una valuta sulla quale non avevano il controllo. L’Europa si è quindi divisa tra paesi creditori e debitori, rispecchiando in tal modo la divergenza delle prestazioni economiche.
Quando i mercati finanziari hanno scoperto che le obbligazioni statali, presumibilmente prive di rischio, potevano in realtà finire in un default forzato, hanno deciso di alzare vertiginosamente il premio di rischio. Questa mossa ha reso le banche commerciali potenzialmente insolventi a causa del peso di tali obbligazioni sul loro bilancio, provocando le cosiddette crisi gemelle del debito sovrano e del sistema bancario.
L’eurozona sta ora riproducendo le modalità utilizzate dal sistema finanziario globale per risolvere le crisi del 1982 e del 1997, simili a quelle attuali. In entrambi i casi, le autorità internazionali inflissero misure austere sui paesi periferici per proteggere i paesi centrali, ed ora la Germania sta inconsapevolmente svolgendo lo stesso ruolo.
I dettagli sono diversi, ma l’idea di base è la stessa, ovvero lo spostamento da parte dei creditori di tutto il peso degli aggiustamenti sui paesi debitori, con l’elusione da parte del centro della propria responsabilità nei confronti degli squilibri. E’ interessante notare che i termini centro e periferia sono rientrati nell’uso quasi inavvertitamente. Tuttavia, nella crisi dell’euro, la responsabilità del centro è persino maggiore rispetto al 1982 o al 1997, per aver progettato un sistema monetario difettoso senza correggerne i difetti. Negli anni ’80, l’America latina si trovò a subire un decennio perduto, un destino simile attende ora l’Europa.
All’inizio della crisi, un crollo dell’euro sembrava inconcepibile. Gli attivi e passivi denominati nella moneta unica erano talmente intrecciati che un eventuale fallimento avrebbe portato ad un tracollo incontrollabile. Ma con il progredire della crisi, il sistema finanziario è stato ridefinito sempre di più su base nazionale, una tendenza che ha preso slancio soprattutto negli ultimi mesi, mentre l’operazione di rifinanziamento a lungo termine della BCE ha permesso alle banche di Spagna e Italia di acquistare le proprie obbligazioni statali e ottenere un ampio spread. Allo stesso tempo, le banche hanno preferito liberarsi degli asset al di fuori delle frontiere nazionali, mentre i risk manager tentano di trovare una corrispondenza tra attivi e passivi a livello nazionale piuttosto che collettivamente all’interno dell’eurozona.
Se questa situazione dovesse continuare per diversi anni, un crollo dell’euro diventerebbe possibile senza tuttavia implicare un tracollo generale, ma lascerebbe comunque un enorme credito da parte dei paesi debitori, che sarebbe senza alcun dubbio difficile da recuperare per gli stati creditori. Oltre ai trasferimenti e alle garanzie intergovernative, il 30 aprile scorso le richieste di rimborso inoltrate alle banche centrali dei paesi periferici all’interno del sistema Target2 risultavano pari a 644 miliardi di euro (804 miliardi di dollari), e la somma continua ad aumentare in termini esponenziali a causa della fuga di capitali.
La crisi continua quindi a crescere e le tensioni all’interno dei mercati finanziari hanno raggiunto nuovi picchi. Particolarmente significativo è il fatto che il Regno Unito abbia registrato i profitti storicamente più bassi pur avendo mantenuto il controllo della sua valuta, e che il premio di rischio sulle obbligazioni spagnole abbia raggiunto un nuovo picco.
L’economia reale dell’eurozona è in declino, mentre la Germania continua a prosperare, il che significa che le divergenze si stanno ampliando. Anche le dinamiche politiche e sociali stanno portando verso la disintegrazione. L’opinione pubblica, come risulta evidente dai recenti risultati elettorali, si oppone sempre di più alle misure di austerità e questa tendenza continuerà molto probabilmente fino ad un’inversione di politica. Bisogna pur concedere qualcosa.
A mio avviso, le autorità hanno una finestra di tre mesi per correggere i loro errori e invertire le tendenze attuali. Questo richiederebbe l’attuazione di misure straordinarie per tornare a delle condizioni il più vicino possibile alla normalità, in conformità con i trattati vigenti che potrebbero poi essere rivisti in un clima più tranquillo per evitare nuovi squilibri.
E’ difficile, ma non impossibile, individuare alcune misure straordinarie in grado di soddisfare questi requisiti. Tali misure dovrebbero poter contrastare contemporaneamente i problemi bancari e del debito sovrano, senza tuttavia trascurare la diminuzione delle divergenze nella competitività.
L’eurozona ha bisogno di un’unione bancaria: uno schema di assicurazione-deposito per contenere la fuga di capitali, una fonte europea di finanziamento per la ricapitalizzazione delle banche ed un sistema di supervisione e regolamentazione per tutta l’eurozona. I paesi altamente indebitati avrebbero poi bisogno di un alleggerimento dei costi finanziari che potrebbe essere attuato in diversi modi. Il problema è che tutte le modalità possibili richiedono il sostegno attivo della Germania.
Ecco dove è l’ostruzione. Le autorità tedesche stanno lavorando affannosamente per avanzare una serie di proposte in tempo per il vertice dell’Unione Europeo previsto per fine giugno, ma tutti i segnali stanno a indicare che offriranno solo le misure minime sulle quali è possibile raggiungere un accordo tra le varie parti, il che implicherebbe, ancora una volta, un allentamento solo temporaneo.
Siamo comunque ad un punto di flessione. La crisi greca rischia di arrivare al culmine in autunno anche nel caso in cui le elezioni diano il mandato ad un governo disposto a rispettare gli attuali accordi della Grecia con i suoi creditori. Per allora, anche l’economia tedesca sarà indebolita tanto che sarà ancora più difficile per il Cancelliere Angela Merkel persuadere l’opinione pubblica tedesca ad accettare nuove responsabilità a livello europeo.
Riuscendo ad impedire un incidente simile a quello della bancarotta della Lehman Brothers, la Germania sarebbe sicuramente in grado di evitare il crollo dell’euro, ma l’UE diventerebbe molto diversa dalla società aperta che un tempo animava l’immaginazione delle persone. La divisione tra paesi debitori e creditori diventerebbe permanente e la Germania avrebbe un ruolo dominante, mentre i paesi periferici diventerebbero l’hinterland depresso.
Un contesto simile solleverebbe inevitabilmente dei sospetti rispetto al ruolo della Germania in Europa, ma qualsiasi paragone con il passato tedesco è del tutto inappropriato. La situazione attuale non è dovuta ad un piano premeditato, bensì alla sua mancanza. Si tratta di una tragedia di errori politici. La Germania è una democrazia ben funzionante con la stragrande maggioranza che propende per una società aperta. Nel momento in cui i tedeschi verranno a conoscenza delle conseguenze, si spera non troppo tardi, vorranno senza dubbio correggere i difetti del progetto dell’euro.
E’ chiaro ciò di cui abbiamo bisogno: un’autorità fiscale europea in grado e disposta a ridurre il peso del debito dei paesi periferici, ed un’unione bancaria. La cancellazione del debito potrebbe assumere altre forme rispetto agli Eurobond, sempre condizionate al rispetto dei termini del trattato di stabilità da parte dei paesi debitori. Il ritiro totale o parziale della cancellazione del debito nel caso della mancata conformità dei termini del trattato sarebbe una protezione efficace contro un eventuale rischio morale. Spetta alla Germania provare di essere all’altezza delle responsabilità di leadership che sono ricadute su di lei per il suo stesso successo.
Traduzione di Marzia Pecorari
George Soros è Presidente del Soros Fund Management e dell’Open Society Institute.
Copyright: Project Syndicate, 2012.www.project-syndicate.org


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