lunedì 30 luglio 2012

(1) XXX.VII.MMXII/ I negri se ne vanno. I pomidoro la frutta e gli ortaggi son li’, aspettano i bric: indiani cinesi e russi. Lo vedi un bric far la raccolta? Io no e sbaglio; forse. Intanto una cimice oltrepadana, allevata per “ciucciar sangue altrui”, proclama: Specie nel caso del Friuli Venezia Giulia, che - ha detto ancora Tondo ieri - «più di altre Regioni speciali ha dimostrato di avere la capacità di gestire il proprio bilancio», con tagli «superiori a quelli fatti a livello centrale».

Ilva, i pm: «Ecco le prove»
Foggia, nel 2011 persi 5 mila posti di lavoro
LA NUOVA SARDEGNA - Trasporti e infrastrutture: I primi interventi sono al Sud
Italia, mezzo milione di irregolari
Udin oltrepadania. Tondo:«Non possiamo pagare per Regioni che non conoscono i propri bilanci»


Ilva, i pm: «Ecco le prove»
Paolo Crecchi
Taranto - C’è una nuvola rossa che si staglia contro la luna: «Ferro!». C’è una nuvola nera che si adagia sul mare: «Carbone!». E via così, 400 sfiati abusivi documentati dalle telecamere e dalla voce entusiasta del perito, «sono immagini ad altissima risoluzione». Il perito è un carabiniere, nucleo operativo ecologico, capacità investigativa e strumentazioni sofisticatissime. Per quaranta giorni e quaranta notti ha registrato le malefatte dell’Ilva, comprese le «emissioni fuggitive»: quelle che non vengono convogliate nelle ciminiere né risultano diffuse nei parchi minerali, per manifestarsi invece dove non devono. «O l’impianto era rotto, oppure lo hanno fatto apposta».
Stavolta Riva è davvero nei guai. Lo inchiodano fotografie, dati, protocolli non rispettati, evidenti tentativi di corruzione. In un filmato si vede un perito del tribunale incontrare un dirigente Ilva, di notte, dietro un distributore di benzina a ottanta chilometri dalla città. Un pm del pool ecologico: «Ha preso e messo in tasca una busta bianca. Certo, magari era un’indagine epidemiologica interna. E quel dirigente, la mattina, aveva ritirato diecimila euro dalle casse aziendali per fare beneficenza». Venerdì si riunisce il Tribunale del riesame, e potrà revocare il sequestro solo se l’azienda dimostrerà di aver già avviato la messa in sicurezza degli impianti. Difficile: l’ordinanza ricorda ben quattro protocolli di intesa sottoscritti dall’Ilva, tra il 2004 e il 2006, e regolarmente disattesi.
«Basta leggere l’ultimo - scrive il giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco - per rendersi conto della colossale presa in giro». Come potrà, il Riesame, accordare fiducia a un imprenditore che si comporta da anni «come se il problema delle 680 tonnellate di polveri provenienti dai parchi non esistesse, e così quello del benzo(a)pirene ed Ipa proveniente dalle cokerie, e della diossina proveniente dall’agglomerato con l’avvelenamento e l’abbattimento di oltre 2.170 animali...?». Un elenco impietoso, che per la magistratura «dimostra la volontà di continuare pervicacemente in un’attività criminale e pericolosa per la salute delle persone», e che in questi giorni registra pure la distruzione coatta di venti tonnellate di mitili: diossina, tanto per cambiare.
Difficile concedere una prova d’appello a Riva, come hanno invocato il sindaco Stefàno, il governatore Vendola, i sindacati, i partiti, persino il ministero dell’Ambiente che «dovrebbe essere parte lesa», sono rimasti sbalorditi in Procura, «e costituirsi parte civile, al processo, per chiedere i danni». Corrado Clini ha invece convenuto che certe prescrizioni sono «ridondanti rispetto all’obiettivo del risanamento», altre «non fattibili»: e insomma c’è uno schieramento trasversale, che va da Taranto a Roma a Genova (se si bloccano gli altiforni saltano anche i posti di lavoro del ciclo a freddo) che sta facendo pressioni enormi sulla magistratura.
Giovedì, alla vigilia della sentenza, gli operai sfileranno in città con le mogli e i figli per mano, pagati come se fossero rimasti in fabbrica. Due giorni fa il sindaco ha concordato, il particolare è incredibile, l’occupazione del consiglio comunale da parte dei dimostranti. Anzi, l’ha suggerita lui. Un’insurrezione comprensibile, considerando che sono in ballo almeno 15 mila posti di lavoro diretti e lo stesso ruolo dell’Italia tra i paesi produttori di acciaio.
«Tuttavia - si ragiona in Procura - l’idea che ci possa essere una trattativa con la magistratura è assolutamente sbagliata. Le nostre controparti non sono i politici, sono gli imputati: e qui nessuno sembra prendere in considerazione che Riva e l’Ilva subiranno comunque un processo, al di là del sequestro, e che nulla potrà più essere come prima». I reati contestati vanno dal disastro ambientale alla violazione di mezzo codice penale: avvelenamento di sostanze alimentari, danneggiamento aggravato di beni pubblici, violazione delle norme sulla sicurezza, inquinamento di aria e acqua… Se non c’è l’omicidio colposo «è solo perché mancano i nomi e i cognomi da mettere in relazione accertata con la causa di morte».
I pm del pool ecologico di Taranto sanno bene che ora comincia la partita politica: «Ma ci auguriamo che gli operai non vadano sul serio a manifestare davanti al Tribunale del riesame, sarebbe uno smacco per l’intera collettività». Figurarsi. Lo stesso governo nazionale, se non si spinge a suggerire il dissequestro tout court, «si augura» che ciò avvenga, e non spende una parola sul disastro ambientale e sanitario.
Spiega un magistrato del pool che «c’è un equivoco di fondo, e cioè che il diritto al lavoro sia uguale al diritto alla vita. Sbagliato. Tutti i diritti sono moderatamente comprimibili tranne quello, sostiene la Costituzione. Altrimenti si arriverebbe a una contrattazione folle: mille posti di lavoro, due morti all’anno. Diecimila posti, venti morti. Inaccettabile». Non tutti la pensano così. L’Ilva ha sempre negato il problema. Venerdì il riesame non riguarderà solo il sequestro degli stabilimenti tarantini, ma un modello industriale e sociale consolidato: potrebbe davvero succedere di tutto.

Foggia, nel 2011 persi 5 mila posti di lavoro
FOGGIA - E’ l’ultimo treno di finanziamenti. Poi con la riforma delle Province gli enti «intermedi» perderanno le competenze in materia di formazione professionale. In tutto 16 milioni di euro le risorse impiegate dalla Provincia per il biennio 2012-2013.
Gli interventi programmati con il Piano di Attuazione interessano lo sviluppo di sistemi di formazione e servizi per i lavoratori per migliorare la loro adattabilità ai cambiamenti (756.000 euro); la diffusione di modalità di organizzazione del lavoro più innovative e produttive (205.648 euro); lo sviluppo di sistemi di anticipazione dei cambiamenti economici e dei fabbisogni futuri delle imprese (340.000 euro); il supporto all'ingresso nella vita attiva dei giovani attraverso azioni di sostegno integrate (3.812.200 euro); la permanenza attiva sul mercato del lavoro degli adulti attraverso azioni per l'adattamento delle competenze alle esigenze del sistema produttivo (630.000 euro); il sostegno al lavoro autonomo e all'avvio di imprese (630.000 euro); gli incentivi per agevolare nuove assunzioni; percorsi integrati e individualizzati per il recupero e la transizione al lavoro delle donne in condizione di disagio sociale (1.620.000 euro); interventi di istruzione e formazione tecnica superiore (5.320.000 euro); interventi di integrazione tra i sistemi dell'istruzione e del lavoro per una preparazione professionale specifica utile all' inserimento nel mondo del lavoro (2.675.948 euro).
La programmazione elaborata dalla Provincia muove dall'analisi del quadro complessivo del 2011. Nel corso del 2011, infatti, il sistema produttivo di Capitanata ha perso ulteriori 5mila posti di lavoro, aggravando lo stato della platea occupazionale, attestatasi a 181.800 addetti. La contrazione ha interessato principalmente il settore terziario (-5.200 addetti) e in modo più attenuato quello agricolo (-500 addetti), a fronte dei lievi incrementi verificatisi negli altri comparti, segnatamente in quelli dell'industria manifatturiera. A mostrare la perdita più rilevante è stata la componente del lavoro dipendente (-5.100 unità), mentre è risultata in lievissima crescita quella autonoma (+100 unità).
L'assetto produttivo foggiano continua a caratterizzarsi per l'esistenza di una miriade di piccole aziende a cui si affiancano pochissime imprese di media e grande dimensione. In provincia di Foggia le unità locali con meno di 9 addetti rappresentano il 96,3% di quelle complessive e danno lavoro al 64,3% degli addetti. Il rilevamento dei dati, inoltre, conferma l'esistenza in Capitanata di due precise specializzazioni produttive: l'agroalimentare e il turismo. La conferma è data sia dalla rilevanza del numero di imprese operanti che dagli addetti, sia ancora dalla particolare distribuzione/concentrazione territoriale. In primo luogo, i circa 3.800 addetti alle industrie alimentari sui 17.000 circa del comparto manifatturiero e la maggiore concentrazione sviluppano un coefficiente di specializzazione produttiva pari a 3,6: in altri termini questo distretto presenta una concentrazione di addetti all'agroindustria oltre tre volte e mezzo maggiore di quella della media italiana. Dello stesso tipo sono le considerazioni che riguardano il settore turistico che, con oltre 8mila unità sui 70mila addetti dei servizi, presenta elevati livelli di concentrazione nel territorio garganico.

Nello specifico si tratta di un bando pubblico che punta a sviluppare le competenze di disoccupati e inoccupati nella pratica dei mestieri tradizionali dell'artigianato per favorire l'avvio di nuove realtà imprenditoriali (con uno stanziamento complessivo di 1 milione 980mila euro); di un bando rivolto a migliorare e potenziare le tecnologie della comunicazione e dell'informazione da parte del sistema delle piccole e medie imprese (con uno stanziamento complessivo di 1 milione 260mila euro); di un bando rivolto alla formazione di figure direttive o di management del sistema turistico provinciale (con uno stanziamento complessivo di 472mila 500 euro); di un bando finalizzato alla formazione degli adulti in materia di informatica, multimedialità e lingue (con uno stanziamento complessivo di 486mila euro).

LA NUOVA SARDEGNA - Trasporti e infrastrutture: I primi interventi sono al Sud
30.07.2012
CAGLIARI Oggi il primo passo della Nuova Tirrenia, e domani? Prima di tutto bisognerà vedere come, nei prossimi mesi, la «Compagnia italiana di navigazione» riuscirà a districarsi fra le maglie delle indagini in corso a Bruxelles (vecchi contributi, convenzione 2012-2020 e privatizzazione) e uscire indenne anche dalle polemiche sulla cessione, contestata dalla Regione (pronta al ricorso) e dai parlamentari sardi, che hanno presentato un’infinità di interrogazione al ministro Passera, per «conoscere nel dettaglio le clausole di un ancora misterioso contratto di vendita». Non c’è dubbio, per il presidente e amministratore delegato di Tirrenia-Cin, Ettore Morace, all’orizzonte ci sono ancora mesi di passione e non solo sul fronte del marketing, questa è una delle strade da percorrere se, come annunciato, Cin vuole rilanciare subito l’ex compagnia pubblica di navigazione. Se l’accordo con i sindacati nazionali è cosa fatta, mercoledì è in programma la presentazione del piano industriale, sul resto c’è ancora molto da lavorare. Il primo avversario da sconfiggere è la diffidenza di molti intorno a una privatizzazione che continua a essere un tormentone nonostante la firma. Ettore Morace può riuscire nell’impresa se terrà fede a quanto promesso in queste ultime settimane. Dopo il rilancio da oggi in poi della rotta Cagliari-Civitavecchia con i due cruise ferry veloci «Bonaria» e «Amsicora», il piano Tirrenia-Cin prevede l’abbattimento delle troppe ore di navigazione (sono venti) sulla Cagliari–Napoli, a settembre, e il rafforzamento, in autunno, della linea merci Cagliari-Livorno. Con in più, l’impegno a intervenire prima o poi anche sulle rotte del Nord Sardegna verso Genova e Civitavecchia. In altre parole, servono fatti che possano far dimenticare in fretta l’incubo della vecchia Tirrenia e far ricredere presto chi contesta la nuova. (ua)

Italia, mezzo milione di irregolari
Roma - Mezzo milione: è questo il numero degli immigrati irregolarmente presenti in Italia, secondo le stime di più fonti. Uno ogni dieci in posizione regolare. E rispetto a dieci anni fa sono dimezzati.
Secondo il quarto Rapporto dello European Migration Network, curato da Idos e Ministero dell’Interno, dal 2002 all’inizio del 2011 gli irregolari si sono dimezzati, passando da un milione a circa 500 mila. È diminuito, inoltre, nell’ultimo decennio, il numero delle persone respinte alle frontiere italiane (da 30.287 nel 2001 a 4.215 nel 2010) e anche delle persone espulse (da 90.160 a 46.955). Cifre che coincidono con quelle del Dossier statistico Caritas/Migrantes.
L’immigrazione irregolare, secondo il rapporto dello Emn, si è ridotta per il concomitante effetto delle modifiche normative degli ultimi anni e della crisi economica. E la sua incidenza rispetto alla presenza regolare è stimabile al 1 gennaio 2011 attorno al 10% dei quasi 5 milioni di cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia.
Secondo il rapporto, inoltre, la presenza irregolare è dovuta, nella maggior parte dei casi, non all’ingresso in Italia senza autorizzazione bensì alla permanenza che si protrae oltre i tre mesi concessi dal visto di ingresso in Italia per motivi turistici. Visti che negli ultimi dieci anni sono invece aumentati: oltre un milione e mezzo quelli rilasciati nel 2010 dall’Italia (+63% rispetto al 2001), e un milione e 700 mila nel 2011 (+11%). E la maggior parte delle richieste provengono dai Paesi cosiddetti bric, quelli a più forte crescita, cioè India, Cina e Russia.

Udin oltrepadania. Tondo:«Non possiamo pagare per Regioni che non conoscono i propri bilanci»
Il governatore sulla spending review: l’emendamento sulle competenzenon basta.  «Non mi soddisfa – ha detto in coda alla conferenza stampa convocata in mattinata per dar conto del via libera ai finanziamenti pro terza corsia arrivato dalla Cassa depositi e prestiti -, non lo ritengo sufficiente».
di Maura Delle Case
 UDINE. Un emendamento insufficiente, che potrebbe però tornar utile comunque nel caso in cui il Friuli Venezia Giulia dovesse decidere di ricorrere alla Corte costituzionale contro la spending review. Così il presidente della Regione, Renzo Tondo, ha bollato ieri l’emendamento bipartisan approvato dalla commissione bilancio del Senato: «Non mi soddisfa – ha detto il governatore in coda alla conferenza stampa convocata in mattinata per dar conto del via libera ai finanziamenti pro terza corsia arrivato dalla Cassa depositi e prestiti -, non lo ritengo sufficiente». Non almeno rispetto alle aspettative del Friuli Venezia Giulia che al Governo chiede, anzitutto, di tener conto degli accordi firmati con il già ministro Tremonti, prima di andare oltre.
 «La spending review, invece, questo non lo fa», ha tagliato corto il presidente, duro anche nel giudizio sulle imposizioni del Dl sul taglio alla spesa pubblica in materia di sanità. «Non è possibile che una Regione come la nostra, che gestisce in proprio il fondo sanitario, dopo aver pagato per sé debba dare soldi agli altri che sono commissariati e che non conoscono neppure i propri bilanci», ha detto Tondo citando ad esempio il presidente della Regione Campania. «Un amico», lo definisce, ma in fatto di sanità «non sa nemmeno quanti dipendenti ha».
 Dietro alle dichiarazioni del governatore c’è l’amarezza del doversi confrontare con un esecutivo nazionale che non sembra voler fare alcuna differenza tra Regioni più o meno in ordine con i conti e che «considera – dice Tondo - anche quelle impegnate in un’opera di risanamento non come dei partner con cui impostare un lavoro comune, ma come soggetti concertativi, alla stregua dei sindacati o di Confindustria». Ne deriva una difficoltà di dialogo con il Governo che, secondo il presidente, dovrebbe coinvolgere le Regioni nelle scelte relative all’abbattimento del debito piuttosto che presentare solo il conto alla fine. Specie nel caso del Friuli Venezia Giulia, che - ha detto ancora Tondo ieri - «più di altre Regioni speciali ha dimostrato di avere la capacità di gestire il proprio bilancio», con tagli «superiori a quelli fatti a livello centrale».
 Come è noto, l’emendamento è stato approvato venerdì dalla commissione bilancio del Senato ed è entrato così a far parte della manovra sulla spending review varata dal governo e che dovrebbe essere approvata a palazzo Madama probabilmente martedì prossimo, 31 luglio.

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