sabato 7 luglio 2012

(1)_7.VII.12/ I travet son veleno per il Sud.===Lorenzo Salvia: Ma il problema Sud resta e ha radici antiche. Le ricorda di nuovo il professor Melis, lo storico della pubblica amministrazione: «Tutto comincia con il patto Giolitti dei primi del '900, un accordo non scritto per il quale i meridionali, rimasti fuori dall'industrializzazione del Nord, entrarono in massa nella burocrazia». Erano 100 mila alla fine dell'800, salirono a 300 mila nel 1915. «E schizzarono in alto dopo le due guerre mondiali, la burocrazia divenne quasi uno strumento di welfare».

Giù il potere d'acquisto delle famiglie: -2% nel primo trimestre del 2012
Scure su sanità, via metà Province
Statali, addio posto fisso
Grecia: Samaras, 2 anni in piu' per risanare conti. Vogliamo l'Europa
Helsinki minaccia: via dall'euro
Udin, oltrepadania. Il governo taglia al Fvg 500 milioni

Giù il potere d'acquisto delle famiglie: -2% nel primo trimestre del 2012
Roma, 6 lug. (Adnkronos/Ign) - Il potere di acquisto delle famiglie, tenuto conto dell'andamento dell'inflazione, è diminuito dell'1% rispetto al trimestre precedente e del 2% rispetto al primo trimestre del 2011. E' quanto emerge dalle rilevazioni diffuse dall'Istat.
Nel primo trimestre del 2012 il reddito disponibile delle famiglie consumatrici in valori correnti e' aumentato dello 0,9% rispetto al corrispondente trimestre dell'anno precedente, mentre la spesa delle famiglie per consumi finali e' cresciuta dello 0,4%. Rispetto al trimestre precedenti, si e', invece, registrato un calo dello 0,5%.
Nei primi 3 mesi del 2012 inoltre, la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici, al netto della stagionalita', e' stata pari al 9,2%, invariata rispetto al trimestre precedente e in aumento (+0,4 punti percentuali) nei confronti del primo trimestre del 2011.

Scure su sanità, via metà Province
ultimo aggiornamento: 06 luglio, ore 21:41
Roma, 6 lug. (Adnkronos/Ign) - Il Consiglio dei ministri dopo un riunione fiume durata oltre sette ore nella notte tra giovedì e venerdì, ha varato il decreto sulla spending review. Il Governo ha approvato interventi per la riduzione della spesa pubblica che consentiranno risparmi per lo Stato per complessivi 26 miliardi in tre anni: 4,5 miliardi per il 2012, 10,5 miliardi per il 2013 e di 11 miliardi per il 2014. Oggi a fine giornata il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha firmato il decreto legge.
Le principali novità contenute nel testo, pubblicato già oggi in Gazzetta Ufficiale, riguardano il congelamento dell'aumento Iva fino al 2014, il dimezzamento delle Province (le modalità per la loro sopravvivenza, con il contributo delle Regioni, saranno rese note solo tra dieci giorni) e i tagli alla sanità. Dal decreto sparisce, comunque, la norma, che aveva sollevato tante polemiche, sulla chiusura del piccoli ospedali con meno di 120 posti letto. Salvi dunque i mini-ospedali, alle Regioni viene, però, "raccomandato" di procedere alla riorganizzazione della rete ospedaliera. "In modo - fanno sapere dal ministero della Salute - che si evitino doppioni e sovrapposizioni".
SANITA' - Il governo ha confermato, nell'ambito della sanità, tutte le altre misure di riduzione della spesa: taglio del Fondo sanitario nazionale, ridefinizione dei tetti di spesa farmaceutica, riduzione della spesa di acquisto di beni, servizi e prestazioni da privati accreditati. Confermata anche la riduzione dei posti letto ospedalieri: lo standard nazionale scende a 3,7 ogni mille abitanti, con lo 0,7 da dedicare a riabilitazione e lungodegenza. Un taglio - fanno sapere dal dicastero di Lungotevere Ripa - di circa 18 mila posti letto da fare però con razionalità, come già stanno peraltro facendo le Regioni. Ad esempio, se ci sono tre Neurochirurgie una di fianco all'altra, queste si possono accorpare. L'analisi della spesa sanitaria delle diverse Regioni, delle singole aziende sanitarie locali e ospedaliere ha evidenziato - si legge nel comunicato di Palazzo Chigi - una notevole variabilità dei costi sostenuti per l'acquisto di beni e servizi (sanitari e non sanitari) di farmaci e di dispositivi medici. Si è quindi deciso di concentrare gli sforzi per una riduzione dei costi sanitari su quattro capitoli di spesa: condizioni di acquisto e fornitura di beni e servizi; spesa per i farmaci; spesa per i dispositivi medici; acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati. Riguardo al primo capitolo, si prevede anzitutto la rideterminazione degli importi e delle prestazioni previsti nei singoli contratti di fornitura nella misura del 5%, a decorrere dall'entrata in vigore del decreto legge e per tutta la durata del contratto. Tale misura straordinaria produrrà pienamente i suoi effetti a decorrere dal 2013 e sarà basata sull'obbligo per le centrali di acquisto di tenere conto dei nuovi contratti dei prezzi di riferimento che via via l'Autorità di controllo sui contratti pubblici renderà noti e disponibili. Per i contratti già stipulati è prevista invece una rinegoziazione tra azienda sanitaria e fornitori, oppure la possibilità di recesso da parte della struttura pubblica, nel caso di significativi scostamenti (20%) tra i prezzi in vigore e quello di riferimento. In campo farmaceutico, il decreto prevede per il 2012 un aumento dello sconto obbligatorio che le farmacie e le aziende farmaceutiche praticano nei confronti del Servizio sanitario nazionale. Lo sconto passa, per le farmacie, da 1,82% a 3,85% ed è variabile, a partire dall'entrata in vigore del decreto, per il 2012, 2013, e 2014. Per le aziende farmaceutiche lo sconto passa da 1,83% a 6,5%, per il solo anno 2012, a partire dall'entrata in vigore del decreto. Per gli anni successivi la revisione della spesa viene operata tramite una ridefinizione delle regole che prevedono un tetto di spesa sia per la farmaceutica convenzionata territoriale che per la farmaceutica ospedaliera.
TAGLI ALLE REGIONI - 'Le risorse a qualunque titolo dovute dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario, escluse quelle destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale, sono ridotte di 700 milioni di euro per l'anno 2012 e di 1.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012''. E' quanto si legge sulla Spending review varato dal Cdm e appena firmato dal presidente della Repubblica.
IVA - A partire dal 2014 l'Iva agevolata passerà all'11% mentre l'imposta del attualmente al 21% arriverà al 22%. Lo prevede la versione definitiva del decreto legge spending review, uscito da palazzo Chigi. Il provvedimento, inoltre, fa slittare al 30 giugno del 2013 il possibile taglio dei fondi per le detrazioni e il welfare, nel caso in cui non saranno raggiunti gli obiettivi fissati.
INTERCETTAZIONI -''Il ministero della Giustizia adotta misure volte alla razionalizzazione, rispettivamente, dei costi dei servizi di intercettazione telefonica, in modo da assicurare risparmi non inferiori a 20 milioni di euro per l'anno 2012 ed euro 40 a decorrere dall'anno 2013''. E' quanto prevede il testo definitivo decreto legge sulla spending review. Secondo quanto viene spiegato da fonti di governo, il contenimento dei costi delle intercettazioni non intaccherà pero' il numero e la possibilita' di ricorrere a tale strumento. I risparmi deriveranno infatti dalla decisione di indire una gara unica nazionale che conterra' i costi di affitto delle apparecchiature e le spese richieste dai gestori.
PROVINCE - Addio alle Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria e nascita delle relative citta' metropolitane . E' quanto prevede il decreto sulla spending review relativo al riordino istituzionale. "Le province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria sono soppresse, con contestuale istituzione delle relative citta' metropolitane, il 1° gennaio 2014, ovvero precedentemente, alla data della cessazione o dello scioglimento del consiglio provinciale, ovvero della scadenza dell'incarico del commissario eventualmente nominato", si legge nel testo. Il territorio della citta' metropolitana, secondo quanto prevede il decreto, coincide con quello della provincia contestualmente soppressa, fermo restando il potere di iniziativa dei Comuni, come previsto dall'articolo 133 primo comma della Costituzione, di promuovere un mutamento della circoscrizione. "Sono organi della citta' metropolitana il consiglio metropolitano e il sindaco metropolitano, il quale puo' nominare un vicesindaco e attribuire deleghe a singoli consiglieri". Fermo restando che "in sede di prima applicazione, e' di diritto sindaco metropolitano il sindaco del comune capoluogo", si legge nel decreto, "lo Statuto della citta' metropolitana puo' stabilire che il sindaco metropolitano: sia di diritto il sindaco del comune capoluogo" o "sia eletto secondo le modalita' stabilite per l'elezione del presidente della Provincia", "sia eletto a suffraggio universale e diretto".

Statali, addio posto fisso
Così la mobilità e uffici più stretti
Da ottobre, buono pasto di 7 euro per tutti. In caso di mobilità l'80% stipendio calcolato su salario base, senza altre indennità
ROMA - «Impiegato di settima: scrivania in mogano, poltroncina in finta pelle, telefono, pianta di ficus. Impiegato di quinta: lampada di opalina, piano di cristallo, naif jugoslavo alla parete, due piante di ficus». No, non c'è la gerarchia degli arredi raccontata nel Secondo tragico Fantozzi . Ma il decreto sulla «spending review» entra anche fisicamente nelle stanze degli statali. L'articolo 3 parla di «ottimizzazione degli spazi ad uso ufficio» e fissa un «parametro di riferimento compreso tra 20 e 25 metri quadri per addetto». Non è «l'ufficietto da 15 metri» minacciato un paio di mesi fa dal ministro Piero Giarda. Ma la stanza che si restringe è la prova materiale della rivoluzione (in peggio) che sta arrivando per i travet d'Italia.
«Quello che una volta chiamavano "impiegato irto di diritti" si sta avvicinando sempre di più al lavoratore privato» dice Guido Melis, ordinario di Storia dell'amministrazione pubblica alla Sapienza di Roma. «Un percorso ineluttabile - avverte il professore - che va guidato con intelligenza per evitare la brutta sensazione di voler mettere con le spalle al muro un'intera categoria». E che come ogni cambiamento, ogni rivoluzione, ha i suoi simboli. Il buono pasto, ad esempio. Dal primo ottobre si restringerà pure quello, 7 euro per tutti con la fine di quel federalismo del ticket che oggi vede le somme più diverse, quasi sempre più alte. Così lo Stato pensa di risparmiare 50 milioni di euro. Ma per il lavoratore è un'erosione dello stipendio di fatto. «I buoni pasto - dice Gregorio Fogliani, presidente dell'azienda del settore Qui! Group, - rappresentano per 2,3 milioni di persone una mensilità in più. Così si restringono i consumi, creando recessione».
Oltre che di simboli, però, la rivoluzione è fatta anche di sostanza. E la vera preoccupazione è un'altra, la messa in discussione del posto garantito e dello stipendio sicuro. È vero che la mobilità è stata introdotta nel 1993, non a caso dopo un'altra burrasca finanziaria. Anche allora per gli statali fu un colpo. Ma poi, grazie al criterio della volontarietà, non cambiò molto. Questa volta invece la manovra si presenta per loro meno rassicurante. Il taglio all'80% era previsto dalla riforma Brunetta di tre anni fa. Ma adesso la mobilità è più di un'ipotesi perché scatta obbligatoriamente se non bastano i prepensionamenti per rispettare i tagli alla pianta organica dei ministeri, quel 20% per i dirigenti e quel 10% per tutti gli altri che rappresentano il cuore del decreto. C'è un vincolo esterno, insomma, che lascia poche speranze come tutti i vincoli esterni da Maastricht in giù.
«La chiamano mobilità per fare meno paura ma la sostanza è che ti mettono alla porta», dice Pompeo Savarino, presidente dell'Associazione dirigenti delle pubbliche amministrazioni. Dopo due anni di mobilità chi non trova un altro posto viene licenziato. «E con i tempi che corrono essere ricollocati è un'illusione» prevede Savarino che per questo dice sì al blocco del turn over ma no alla mobilità. C'è poi un'altro problema. L'80% dello stipendio incassato durante la mobilità viene calcolato sul salario base, senza straordinari o indennità, e diventa quindi la metà di quello che uno è abituato a portare a casa ogni mese.
I sindacati del pubblico impiego non ci stanno, anche se usano toni diversi: Cgil e Uil pensano a uno sciopero a settembre mentre la Cisl parla di mobilitazione. E la paura si allarga dal centro alla periferia, visto che i tagli potranno essere imposti anche agli enti locali se supereranno del 40% la media nazionale nel rapporto fra dipendenti e popolazione. Qui a tremare è soprattutto il Sud, ma si riuscirà poi davvero a provare lo sfondamento previsto dalla norma? Considerando l'Italia intera la media è di un dipendente comunale ogni 128 abitanti. Ma se abbassiamo la lente di ingrandimento vediamo che in Sicilia è di uno ogni 87 mentre in Lombardia di uno ogni 142. «Mettere un numeretto e via non funziona» dice il presidente dell'associazione dei Comuni Graziano Delrio, che considera questa misura «a rischio di incostituzionalità».
Ma il problema Sud resta e ha radici antiche. Le ricorda di nuovo il professor Melis, lo storico della pubblica amministrazione: «Tutto comincia con il patto Giolitti dei primi del '900, un accordo non scritto per il quale i meridionali, rimasti fuori dall'industrializzazione del Nord, entrarono in massa nella burocrazia». Erano 100 mila alla fine dell'800, salirono a 300 mila nel 1915. «E schizzarono in alto dopo le due guerre mondiali, la burocrazia divenne quasi uno strumento di welfare». Nel suo campo il professor Melis è un'autorità, ma la sua scienza non lo aiuta abbastanza in queste ore: «Mi scrivono decine di amici che lavorano nel pubblico. Hanno paura di perdere il posto, vogliono sapere come andrà a finire». È riuscito a tranquillizzarli? «Neanche uno».
Lorenzo Salvia

Grecia: Samaras, 2 anni in piu' per risanare conti. Vogliamo l'Europa
06 Luglio 2012 - 20:16
 (ASCA) - Roma, 6 lug - La Grecia chiede ai suoi creditori una proroga di due anni per risanare i conti pubblici del Paese.
Lo ha annunciato oggi il premier Antonis Samaras, presentando il programma politico del nuovo governo al Parlamento ellenico all'indomani del primo incontro con i tre rappresentanti della troika, Poul Tomsen (Fmi), Servaz Deruz (Ue) e Klaus Masuch (Bce) svoltosi al Megaro Maximou, l'edificio che ospita la sede dell'esecutivo.
 Samaras ha delineato i passi del nuovo cammino che il Paese intraprendera' per scongiurare il rischio di un'uscita dall'euro. Misure che il leader di Nuova Democrazia aveva concordato nei giorni scorsi con i colleghi di coalizione Evangelos Venizelos e Fotis Kouvelis e che mirano una revisione radicale del comparto pubblico attraverso la ''fusione e la chiusura di diversi enti statali entro la fine del 2012''.
 Il nuovo governo ha proposto anche un condono fiscale per il rimpatrio dei fondi depositati all'estero dagli investitori ellenici e garantito che le privatizzazioni degli enti pubblici andranno oltre quanto richiesto dalla cordata Ue-Bce-Fmi.
 ''Il nostro problema non e' quello di varare le riforme, che senza dubbio saranno fatte, non e' raggiungere un obiettivo, che certamente andra' raggiunto, ma e' porre fine alla recessione nel Paese'', ha affermato Samaras rivolgendosi all'assemblea.
 ''Faremo di tutto per cambiare cio' che deve essere cambiato. L'obiettivo e' assicurare il posto nella zona euro alla Grecia lottando contro chi quel posto sta tentando di minarlo'', ha poi affondato il conservatore.
 La rinegoziazione del Memorandum per raggiungere gli obiettivi di bilancio entro il 2016 ventilata dal nuovo esecutivo rischia tuttavia di trascinare Atene lontano dal mercato dei capitali fino al 2017 e, secondo gli analisti, un provvedimento tale comporterebbe per il Paese un ulteriore biennio di dipendenza finanziaria dall'Eurozona. Secondo le prime stime si tratterebbe di fornire alla Grecia altri 16-18 miliardi di prestiti.
rba/sam/

Helsinki minaccia: via dall'euro
Beda Romano
 NICOSIA. Dal nostro inviato
 Non passa giorno senza che appaiano nuove tensioni politiche nella zona euro, mentre Commissione e Consiglio lavorano per dare concretezza all'accordo della settimana scorsa a Bruxelles su una futura unione bancaria. Da un lato è emerso che Cipro, contraria a un programma economico europeo troppo impegnativo, ha chiesto fino a cinque miliardi di euro alla Russia per evitare il tracollo finanziario. Dall'altro, la Finlandia ha velatamente minacciato l'uscita dall'unione monetaria.
 «La Finlandia è impegnata nella zona euro, e crediamo che l'euro sia utile alla Finlandia - ha detto il ministro delle Finanze finlandese Jutta Urpilainen in un'intervista al giornale Kauppalehti pubblicata ieri -. Detto ciò non vogliamo legarci all'euro a tutti i costi e siamo pronti ad altri scenari». Successivamente, complici le reazioni di mercato, un portavoce del Governo finlandese ha voluto rettificare il tiro: «Le speculazioni che la Finlandia voglia lasciare la zona euro sono semplicemente false».
 La presa di posizione della signora Urpilainen è da prendere con cautela, a uso e consumo di un'opinione pubblica sempre più irritata dai salvataggi sovrani. La Finlandia tuttavia sta ostacolando non poco la reazione europea alla crisi debitoria. Vuole chiedere alla Spagna il versamento di un collaterale in cambio di aiuti alle banche spagnole, e ha detto di volersi opporre ad acquisti di obbligazioni sovrane da parte dei fondi di stabilità Esm ed Efsf sul mercato secondario.
 Nel frattempo, mentre il Nord si dice freddo all'idea di dare nuovi aiuti finanziari ai Paesi in crisi, il Sud è critico dei programmi di austerità negoziati con Bruxelles. Sempre ieri la Russia ha annunciato che Cipro le ha chiesto una linea di credito per cinque miliardi di euro. «Abbiamo ricevuto una richiesta da Cipro e la stiamo valutando», ha spiegato da Mosca il ministro delle Finanze Anton Siluanov. Già nel 2011 la Russia ha garantito un prestito a Cipro di 2,5 miliardi di euro. Qui a Nicosia il Governo cipriota non ha confermato l'ammontare, ma due giorni fa aveva rivelato di avere chiesto aiuto alla Russia. Il piccolo Paese mediterraneo, che ha appena assunto la presidenza dell'Unione, è in grave difficoltà a causa delle sue banche, esposte come poche altre allo sconquasso greco. La scelta di chiedere il sostegno russo, oltre che europeo, è causa di imbarazzo a Bruxelles e in altre capitali.
 Durante una conferenza stampa, il presidente cipriota Demetris Christofias ha giocato la carta dell'ironia: «Non vi preoccupate. Non porteremo il comunismo nell'Unione!». Cipro vuole cercare di usare la leva russa per ammorbidire la richiesta europea di imporre condizioni a un eventuale sostegno comunitario. Incontrando ieri un gruppo di giornalisti a Bruxelles, il ministro delle Finanze Vassos Shiarly ha sostenuto che i problemi ciprioti sono legati a scelte europee. «La decisione di imporre perdite agli investitori nella ristrutturazione del debito greco è stata infame. La svalutazione dei titoli greci ha provocato nei bilanci delle banche cipriote perdite per 4,2 miliardi di euro, pari al 25% del Pil nazionale».
 Dalla Grecia intanto il premier Antonis Samaras, a caccia della fiducia in Parlamento, ha ribadito che chiederà due anni di tempo in più per approvare i tagli alla spesa chiesti alla Ue. Il suo ministro delle Finanze, due giorni fa, aveva invece affermato che Atene non può chiedere di modificare le condizioni degli aiuti prima di aver fatto le riforme.
 I nodi da sciogliere all'Eurogruppo di lunedì
AIUTI ALLA SPAGNA
Aria di slittamento
 Di aiuti alle banche spagnole si discuterà lunedì all'Eurogruppo ma difficilmente verrà chiusa la partita. Probabile infatti un'altra convocazione dei ministri il 20 luglio. Da definire ancora l'ammontare del pacchetto (si parla di 50-60 miliardi) e il veicolo del prestito (Efsf, il fondo salva-Stati provvisorio o Esm, quello definitivo che però non è ancora in vigore).
 È ormai assodato che il pacchetto passerà attraverso lo Stato spagnolo e quindi andrà a pesare sul debito pubblico. Questo perché il vertice di Bruxelles ha deciso che la ricapitalizzazione diretta può avvenire solo dopo l'unificazione della vigilanza bancaria, che richiederà diversi mesi
LE NOMINE
Eurogruppo, Bce, Esm
 Le nomine alla presidenza dell'Eurogruppo, al board della Bce e alla guida del fondo salva stati Esm saranno il primo punto nell'agenda della riunione dei ministri delle finanze di lunedì a Bruxelles. La discussione si preannuncia calda, soprattutto per la sostituzione del presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker, il cui incarico scade il 16 luglio. Juncker non sarebbe intenzionato a restare, anche se alcuni Paesi stanno spingendo per un prolungamento del suo mandato fino a fine anno. Juncker avrebbe legato la sua uscita di scena ad una condizione: la nomina del lussemburghese Ives Mersch nel board Bce al posto dello spagnolo Gonzalez-Paramo
CIPRO E GRECIA
Atene e Nicosia sotto i riflettori
 In discussione anche il salvataggio di Cipro dopo che ieri, secondo il ministro delle Finanze di Mosca, l'isola avrebbe chiesto un prestito di 5 miliardi di euro alla Russia. Questo non toglie, ha sempre affermato il Governo cipriota, che venga accordato un prestito anche dall'Unione europea.
 Sulla Grecia verranno valutati i primi passi del nuovo Governo.
 La questione è se dare più tempo ad Atene per abbassare il deficit. Finora la troika si è detta contraria. Non è attesa una decisione su questo, anche perché le trattative con la troika sono appena cominciate e continueranno nei prossimi giorni

Udin, oltrepadania. Il governo taglia al Fvg 500 milioni
Tondo chiede un incontro urgente a Monti. Galasso (Pdl): manovra inaccettabile. A rischio Insiel, Fvg Strade e Aeroporto
di Anna Buttazzoni
UDINE. Meno risorse da utilizzare, sanità, Partecipate, personale, auto blu, Province. L’ultimo decreto del governo Monti ha l’effetto di una tagliola, anche sullo “speciale” Friuli Venezia Giulia. Il governatore Renzo Tondo e i “tecnici” della Regione sono alla ricerca di un contatto con il governo, perché la preoccupazione è alta.
 A palazzo si ripete che «il decreto va analizzato con attenzione», ma la lettura preliminare non promette nulla di buono. Una stima dice che i sacrifici chiesti al Fvg saranno di 500 milioni in tre anni, mentre cinque sono le società partecipate a rischio – tra cui Insiel, Fvg Strade e Aeroporto – e le Province di Gorizia e Pordenone potrebbero essere chiuse o almeno accorpate. Decisioni che erano nell’aria, tanto da spingere Tondo a chiedere un incontro urgente a Monti.
 Roma taglia i soldi
 Prova a fare due conti Daniele Galasso, capogruppo del Pdl in Consiglio. Perché il decreto conferma che alle Regioni speciali saranno tagliati tre miliardi in tre anni. «La ripartizione va stabilita, ma visti i precedenti ipotizzo che il Fvg dovrà rinunciare a 80 milioni quest’anno, 170 il prossimo e 250 nel 2014. Così – afferma Galasso – raggiungiamo il picco dell’iniquità, è una manovra inaccettabile da ogni punto di vista. Abbiamo già dato 300 milioni nell’era di Giulio Tremonti, 170 con la prima manovra Salva-Italia e ci sono i 370 da consegnare per il federalismo, senza considerare il sovragettito Imu da dare allo Stato e che va ancora calcolato».
 Sanità
 I dettagli della manovra vanno confezionati, ma il Fvg è inserito nel Fondo sanitario nazionale e quindi anche alla Regione potrebbe venire richiesto di abbassare la spesa per i dispositivi medici. «È un capolavoro – attacca Galasso –, perché la sanità la paghiamo da soli e quindi il Fvg non può rientrare nel calderone nazionale. Il governo è incompetente». E ci sono anche i fondi dallo Stato per l’edilizia ospedaliera, 150 milioni circa, per Udine, Pordenone e Trieste. Congelati.
 Personale
 Il decreto vuole la riduzione delle piante organiche, dirigenti compresi. Ma i tagli riguardano anche i buoni pasto e il sistema di ferie e permessi.
 Auto blu dimezzate
 Anche il parco macchine va ridotto, anzi dimezzato. Il decreto stabilisce per il 2013 un limite di spesa del 50% rispetto ai costi sostenuti nel 2011.
 Le Partecipate
 Le società a totale partecipazione della Regione sono Insiel, Fvg Strade, Aeroporto Fvg, Ares (Agenzia regionale per l’edilizia sostenibile) e Gestione Immobili Fvg. La cura-Monti impone di avere Cda con al massimo tre componenti, di cui due dipendenti della Regione e in nessuna delle cinque è così. Di più. La Regione dovrà “liberarsi” di quelle che nel 2011 hanno ottenuto un fatturato da prestazione di servizi a favore delle pubbliche amministrazioni superiore al 90%. Che fare? «È un provvedimento astruso – sbotta Galasso –, ci costringono agli artifici, a trasformare le società in enti pubblici». Come accaduto di recente con Promotur.
 Province
 La scure sulle Province potrebbe abbattersi su Gorizia e Pordenone. «Abbiamo competenza primaria sugli enti locali – conclude il capogruppo del Pdl –, lo Stato ha impugnato la nostra volontà di fare una riforma e quindi c’è un contenzioso aperto. Vedremo. Comunque quella del governo non è una soluzione, è un atto di disperazione».
 Università salve
 «Non c’è più – esulta il senatore della Lega Mario Pittoni – il taglio di 200 milioni ai finanziamenti ordinari alle università. Il nostro appello a non fare come l’artigiano, che per saldare i debiti vende gli attrezzi di lavoro, è stato accolto. Con la quota premiale progressiva inserita nella riforma abbiamo quasi azzerato i vecchi tagli agli atenei virtuosi».

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