sabato 14 luglio 2012

(1)_XIV.VII.MMXII/ “Svolta negativa di valore epocale”

Infrastrutture, due sono decisive
Poste taglia la Basilicata chiudono 17 uffici postali
Moody's declassa Italia; ira Monti, dovrebbero premiarci
Torino, padania. Tav, adesso l’Ue si tira indietro
Bozen, oltrepadania. Monti resuscita l’asse Bolzano-Trento

Infrastrutture, due sono decisive
di Rosario Battiato
Senza Termini Imerese e Augusta la Sicilia sarà tagliata fuori dai mercati europei del futuro. Per il porto siracusano si chiude a breve, l’altro caso è molto più complicato
PALERMO – Da straordinaria opportunità in pessima figura. I fondi europei avrebbero potuto rifare la Sicilia, rendendola un po’ più europea e meno isola. Invece i risultati, ad oggi, non sono proprio lusinghieri. Basta voltarsi indietro di qualche giorno e si trova il blocco di 600 milioni di euro deciso dall’Ue  in seguito ad una serie di irregolarità riscontrate nelle procedure di assegnazione dei fondi. Poi c’è il capitolo infrastrutture strategiche. Nei giorni scorsi Salvatore Iacolino, europarlamentare Pdl, ha incontrato a Bruxelles il vicepresidente della Commissione Europea, Joaquin Almunia, per discutere degli aspetti legati alla Concorrenza per il co-finanziamento europeo del Porto di Augusta e dell’interporto di Termini Imerese. Due passaggi essenziali che potrebbero stimolare o chiudere definitivamente lo sviluppo dell’Isola.
 Senza infrastrutture adeguate, lo testimonia il trend del mercato nazionale ed europeo, la Sicilia sarà definitivamente tagliata fuori. Il trasporto su gomma, oltre che essere ormai anni luce distante dalle politiche Ue sulla mobilità sostenibile, è destinato a rivedere la sua quota del 90% del trasporto delle merci isolane. Una dipendenza che inquina e allontana i prodotti isolani dai ricchi mercati del Nord. Le buone notizie potrebbero arrivare dall’Ue che dovrebbe sbloccare la quota di cofinanziamento per il porto di Augusta e l’interporto di Termini Imerese.
 Per l’ammodernamento e ampliamento del porto siracusano l’Autorità portuale e il ministero delle Infrastrutture dovrebbero essere in grado di inviare la documentazione richiesta entro la prossima settimana, così – almeno stando a quanto riferito da Almunia - da ricevere entro tempi ragionevolmente brevi il via libera definitivo una volta verificata la coerenza della documentazione prodotta con il progetto messo a finanziamento. Si presenta lievemente più complicata la situazione per l’interporto di Termini Imerese dove è necessario, si legge nella nota diffusa da Iacolino, “imprimere una forte accelerazione all’istruttoria: dallo scorso novembre 2011, infatti, la Regione non ha ancora inviato la richiesta formale di co-finanziamento attraverso i fondi strutturali alla DG Affari Regionali e nemmeno la notifica sulla compatibilità con la legislazione europea sugli aiuti di Stato alla DG Concorrenza”.
 L’importanza vitale delle due infrastrutture è innegabile. “Si tratta di due grandi opere strategiche per lo sviluppo della Sicilia orientale - ha confermato Salvatore Iacolino - e il Commissario Almunia si è reso disponibile a consolidare un dialogo strutturato con le Istituzioni locali per accelerare il percorso che dovrebbe portare al co-finanziamento e alla realizzazione dell’hub portuale e dell’interporto”. Poi la stoccata alla Regione, sebbene Lombardo avesse promesso una rapida soluzione in merito ai 600 milioni bloccati. “L’ennesima pesantissima bocciatura della Regione siciliana nella gestione dei fondi strutturali FESR 2007/2013 – ha concluso l’esponente del partito popolare europeo - è la concreta dimostrazione della carenza di cultura progettuale e dell’assenza di relazioni forti e continue con la Commissione Europea che sarebbero state risolutive per la finalizzazione dei progetti”.

Poste taglia la Basilicata chiudono 17 uffici postali
di Mimmo Sammartino
POTENZA - Diciassette uffici postali da chiudere nei piccoli centri della Basilicata. Altri 21 da «razionalizzare» (con orari di apertura ridotti). Uno scenario che si aggiunge ai tagli annunciati nel settore recapito, con prevista soppressione di un centinaio di posti di lavoro e la cancellazione di 50 zone recapito su 326 complessive. Si tratta di esuberi (non licenziamenti) con ricollocazione di questo personale in ambiti, al momento, non meglio indicati. Inoltre, il centro postale di Potenza (il luogo in cui smista la posta) è destinato a essere «declassato» con relativo dimensionamento. Il piano delle Poste, secondo le notizie filtrate, dovrebbe partire già dalla metà di questo mese.
Gli uffici postali da chiudere riguardano i comuni di Avigliano scalo, Calle di Tricarico, Borgo Macchia di Ferrandina, Acquafredda di Maratea, Agromonte di Latronico, Baragiano, Dragonetti di Filiano, Magnano di Latronico, Marsicovetere, Mezzana di San Severino, Possidente di Avigliano, Sant’Ilario di Atella, Sterpito di Filiano, Gaudiano di Lavello, San Nicola di Melfi, San Cataldo e Sant’Antonio Casalini a Bella.
Gli uffici sottoposti a «razionalizzazione» sono quelli di Cirigliano, Calvera, Guardia Perticara, San Paolo Albanese, Teana, San Costantino di Rivello, Armento, Missanello, Carbone, Campomaggiore, Castelgrande, Castelmezzano, Castelluccio Superiore, Cersosimo, Cogliandrino, Maratea (porto), Monticchio Bagni di Rionero, Pergola di Marsico Nuovo, Scalera di Filiano, Seluci di Lauria, Trivigno.
Insomma, l’azienda Poste italiane manda a dire ai lucani che loro, le loro necessità, i loro diritti, contano poco o niente sui tavoli dei manager postali. Distribuire la posta, garantire un servizio di sportello per Poste italiane non significa occuparsi dei filoni più redditizi. E dunque, tanto vale mollare simili incombenze. E pazienza se a rimetterci c’è la qualità di vita, dei servizi e dei diritti di cittadinanza delle popolazioni che vivono nelle aree dell’interno i piccoli borghi. E pazienza se, oltretutto, questo genere di decisioni comporta la perdita di posti di lavoro. Anzi, sarà titolo di merito per un sistema che si compiace dei «tagliatori di testa» e ignora chi invece mostra rigore, qualità e temperanza nello svolgimento delle proprie mansioni.
Poste italiane d’altra parte, grazie alla card carburanti per i patentati lucani, ha potuto incamerare un discreto rientro (5 milioni, sostengono Anci e sindacati). E questo mentre, da leader mondiale del settore, può vantare un utile netto di bilancio di circa 850 milioni per il solo 2011. Ciò nonostante si «sega» tutto ciò che è ritenuto superfluo. È la filosofia che ha portato a decidere, in tutta Italia, il 20 per cento dei tagli. In cifre significherà la quantificazione di circa 12 mila esuberi. E la Basilicata è stata scelta fra le prime cinque regioni italiane sulle quali Poste italiane ha deciso di calare la mannaia (le altre sono Toscana, Piemonte, Marche, Emilia Romagna). Già in questo primo giro (nelle cinque regioni prescelte), calcolano i sindacati, si metterebbero alla porta 1.763 esuberi.

Moody's declassa Italia; ira Monti, dovrebbero premiarci
UE e Berlino, quadrato su Roma; bene asta Btp, altalena spread
13 luglio, 20:18
(di Giovanni Innamorati) (ANSAmed) - ROMA - Il ''percorso di guerra'' per l'Italia preconizzato due giorni fa dal premier Monti e' iniziato nella notte: l'Agenzia di rating Moody's ha declassato a freddo i titoli di Stato italiani, a poche ore da un'asta di Btp (che pero' sono andati a ruba) con i mercati che hanno ignorato il giudizio dell'Agenzia, come ha evidenziato Monti; il premier ha definito ''una disgrazia'' il declassamento, che non tiene conto di come l'Italia sia divenuto un Paese ''virtuoso'', ma ciononostante ''invece di premiarci ci puniscono''.
 A far quadrato attorno all'Italia, e all'Euro stesso, sono scesi in campo la Commissione Europea, il governo tedesco e perfino quello giapponese. Il downrating di ben due ''step'' da parte di Moody's, da A3 a Baa2, ha scatenato il coro indignato dei partiti che sostengono il Governo (Pdl, Pd, Udc, Fli), con le forze di opposizione che invece hanno attaccato l'esecutivo. Le Associazioni imprenditoriali, in una nota comune hanno sottolineato la ''solidita''' e la ''vitalita''' dell'economia reale italiana, che e' poi alla base dell'affidabilita' della Finanza pubblica. Concetti ribaditi dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e dai sindacati Confederali.
 Immediata la reazione del ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, per il quale ''il giudizio di Moody's e' del tutto ingiustificato e fuorviante'' dato che ''non tiene conto del lavoro che il nostro paese sta facendo''.
 Proprio questo impegno e' stato sottolineato tanto dal governo tedesco, in una dichiarazione del portavoce Steffen Seibert, quanto dal commissario Ue all'Economia Olli Rehn, per il quale le riforme avviate dall'Italia sono ''impressionanti, se non senza precedenti''. E Rehn ha definito ''inappropriata'' e ''discutibile'' la tempistica della decisione di Moody's, visto che in giornata il Tesoro doveva collocare 3 miliardi di Btp a scadenza triennale. Questi sono andati collocati senza difficolta', con tassi in netto calo dal 5,30% al 4,65% vista la richiesta doppia rispetto all'offerta. Fatto sottolineato in serata dal Tesoro con ''soddisfazione''.
 Lo spread, dopo un'iniziale fiammata a 485 punti base, e' sceso a 470 per poi seguire per tutto il giorno un percorso altalenante e chiudere poco sotto i valori massimi a 480.
Mercati e Borse hanno comunque ignorato il responso dell'Agenzia di rating che e' finita sul banco degli imputati. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha ricordato come essa, il giorno prima del crack di Lehmann Brothers, le attribuiva un rating lusinghiero. E dubbi sulla trasparenza dell'Agenzia sono stati sollevati dai partiti italiani, con il Pdl che propone una commissione parlamentare di Inchiesta
 E proprio oggi la procura di Trani ha depositato l'atto di chiusura delle indagini su Moody's, in cui si afferma che due dei suoi analisti, Abertcomby e Wassemberg ''fornivano intenzionalmente ai mercati informazioni tendenziose, distorte (e come tali falsate)'', nel rating sull'Italia del 6 maggio.
 Rimangono irrisolte comunque diverse questioni. Innanzi tutto la bassa crescita dell'economia italiana di cui parla Moody's ed ammessa da tutti che, come ha sottolineato il presidente di Nomisma Piero Modiano, ''restringe sempre piu' i margini'' della politica fiscale restrittiva scelta da Monti sin dall'inizio.
Potrebbero allora rialzarsi le tensioni con Pdl e Pd che hanno sollecitato il premier a un intervento per abbassare lo stock del Debito pubblico, finora escluso da Monti. Questa scelta alleggerirebbe la pressione sui redditi e aumenterebbe quella sui patrimoni. E a livello Europeo le politiche monetarie ed economiche dell'Ue volute da Germania, espongono non solo i Paesi deboli ma l'Euro stesso a rischi incalcolabili, come hanno sottolineato in modo bipartisan i partiti che sostengono Monti.
 Un' apertura e' giunta oggi da Peter Bofinger, consigliere economico di Angela Merkel, per il quale ''Mario Monti ha ragione a volere un programma di acquisti di bond per stabilizzare gli spread nel mercato''. (ANSAmed).

Torino, padania. Tav, adesso l’Ue si tira indietro
Torino - Dopo la frenata di Parigi sulla Tav Torino-Lione, arriva quella dell’Unione Europea. Il governo italiano fa quadrato intorno all’opera, mentre la Francia ribadisce il suo impegno ma chiede un nuovo accordo.
L’unico a garantire assoluta certezza sulla realizzazione dell’opera è il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera: il progetto, assicura, è «totalmente confermato da parte nostra e in maniera piena da parte del governo francese. Non c’è in nessuna delle loro ipotesi una modifica ai piani approvati».
A poche ore di distanza il ministero dei Trasporti francesi diffonde una nota in cui ricorda che la Torino-Lione è legata ad «accordi internazionali e a un trattato. Francia e Italia hanno messo la loro parola e ritornare su questa parola è fuori discussione», ma per il progetto ora serve «un nuovo accordo che tenga conto dei finanziamenti disponibili, in particolare europei». E proprio da Bruxelles arriva questa volta la frenata. Spiega il commissario europeo ai trasporti Siim Kallas: «La Commissione Ue ha un ruolo limitato. La Tav è un progetto di Italia e Francia» e da questi due Paesi devono venire i finanziamenti principali».
Invita invece «ad andare avanti sulle reti transeuropee», il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani perché «fermare le infrastrutture sarebbe un errore in quanto vogliono dire lavoro, investimenti e produttività».
«Evitiamo le strumentalizzazioni. Piuttosto andiamo avanti nell’opera», afferma il governatore del Piemonte, Roberto Cota, mentre il leader dei Verdi, Angelo Bonelli invita il governo a riconoscere di avere sbagliato e il segretario di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero, accusa il ministro Passera ´`di difendere gli interessi dei costruttori e non quelli del Paese».
Esulta il popolo No-Tav. «Gli argomenti su cui discutono oggi in Francia sono gli stessi che noi sosteniamo da anni per manifestare la nostra contrarieta´ all’opera», sottolinea Guido Fissore, consigliere comunale a Villar Focchiardo (Torino), che è uno dei 46 indagati all’udienza preliminare per gli scontri fra No Tav e forze dell’ordine in Valle di Susa dell’estate 2011. In serata arriva anche il Presidente della Commissione intergovernativa italo-francese per la realizzazione della Tav Torino-Lione, l’ex ministro Louis Besson. Sulla Torino-Lione - dice - la «sola dichiarazione ufficiale delle nuove autorità francesi da ritenere è quella del Presidente della Repubblica, Francois Hollande, del 22 giugno scorso a Roma». In una lettera al Commissario straordinario del Governo italiano per la Tav, Mario Virano, Besson dice di essere dispiaciuto per «le interpretazioni di un quotidiano francese, che, fino a prova contraria, non è diventato il portavoce della nuova maggioranza presidenziale francese, abbiano trovato una tale eco nella stampa italiana». «È la conferma - commenta Virano - che è una tempesta in un bicchier d’acqua».

Bozen, oltrepadania. Monti resuscita l’asse Bolzano-Trento
Dai tagli ai bilanci al redditometro, dall’aeroporto ai negozi: rapporti più forti. Pan: «Lavoro di squadra»
di Francesca Gonzato
BOLZANO. La crisi e le manovre del governo Monti, ultima la spending review, hanno fatto il miracolo. È spuntato un nuovo asse Bolzano-Trento. Data per spacciata, riacquista peso l’entità politica regionale.
E’ stato uno spettacolo pressoché unico il vertice che mercoledì ha riunito giunta regionale, giunta provinciale di Bolzano e giunta provinciale di Trento per concordare una linea comune di difesa dell’autonomia. Ed è solo l’esempio più eclatante. Più cresce il timore di una svolta negativa di valore epocale, più si intrecciano i rapporti tra Durnwalder e Dellai , con le rispettive giunte, mentre i parlamentari invocano un migliore coordinamento.
Sul fronte dell’economia, il presidente di Assoimprenditori Stefan Pan coltiva buoni rapporti con i colleghi trentini e austriaci e, sottolinea, «all’insegna del motto “chi fa squadra vince” sto cercando di irrobustire i contatti con il Nordest». Prosegue Pan: «Condivido la linea in cui si stanno muovendo Durnwalder e Dellai, prospettando una spending review locale, senza esservi costretti dal governo centrale».
Si punta su una alleanza politica, consapevoli che non è sufficiente aver la giurisprudenza dalla propria parte. E’ proprio di mercoledì una nuova sentenza della Corte costituzionale che dà ragione a un ricorso presentato dalle autonomie speciali (articolo a lato). Ma «non possiamo andare avanti a colpi di ricorsi alla Consulta», ha messo in chiaro Durnwalder, prospettando con Dellai una richiesta di intervento del presidente della Repubblica Napolitano e del presidente austriaco Fischer, oltre alla richiesta di incontro con il governo.
I primi scricchiolii si sono avvertiti a Bolzano sul finire del governo Berlusconi, quando i voti della Svp non erano più decisivi. Con il governo Monti è stato palese che l’autonomia gode ancora di uno status sulla carta (costituzionale), ma non negli atti delle leggi, che tagliano finanziamenti senza passare per la trattativa con le «speciali» garantita dallo Statuto. Affanni condivisi dai trentini, ai quali si aggiunge l’ansia di un affare internazionale, con Bolzano che chiama Vienna e Trento si trova in mezzo al guado.
Così nei mesi si è rafforzato il legame. Qualche esempio. Il decreto sulle liberalizzazioni nel commercio ha visto interventi all’unisono dell’assessore Thomas Widmann con l’omologo trentino Alessandro Olivi concordati in riunioni congiunte.
Inedita anche la conferenza stampa sul Durp dell’assessore Richard Theiner con il collega Ugo Rossi della giunta Dellai. Come detto, la trattativa con Roma, già sfociata nell’accordo di Milano del 2009, da allora ha visto Bolzano e Trento muoversi concordando le proposte da portare al governo, in particolare l’offerta di assunzione dei costi dei servizi statali sul territorio (450 milioni solo a Bolzano), per chiudere la stagione dei tagli non concordati.
Quasi simbolica a questo punto la proposta della Provincia di Bolzano a Trento di rilevare il 30% delle quote della società aeroportuale Abd.
I parlamentari Svp spingono per un coordinamento più convinto anche tra Province e loro stessi. Il senatore Oskar Peterlini racconta: «Dobbiamo predisporre gli emendamenti alla spending review. Ho chiesto ai presidenti Durnwalder e Dellai di farmi avere le loro proposte. Noi siamo praticamente soli, mentre loro hanno fior di uffici legali e dipartimenti».


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