martedì 3 luglio 2012

pm_3.7.12/ Ammuina locale nel casino globale

Caldoro: sì al Senato delle Regioni
Nasce il marchio per i prodotti «doc» del Parco dell’Alta Murgia
Salerno. Rifiuti, gli indisciplinati messi alla gogna sul web dal Comune
P.A.: Grilli, in Italia c'e' un problema di qualita' del personale
Crisi in Italia: le ricette del professor Monti stanno per fallire?
Salva-Stati, no di Finlandia e Olanda
Ticino. Il futuro dell’Europa è uno Stato sociale
Ticino. Padania is nothing

Caldoro: sì al Senato delle Regioni
Il presidente della Regione riprende l'appello lanciato dal nuovo segretario del Carroccio, Roberto Maroni
NAPOLI — Sì al Senato delle Regioni per velocizzare le decisioni che riguardano le aree diverse del paese e per puntare, finalmente, su una interlocuzione istituzionale più spedita e meno ingessata sulle decisioni. E no al disco rotto della «retorica unitaria» che serve soltanto a «depotenziare le realtà territoriali». Il governatore campano Stefano Caldoro porta avanti il suo attacco contro le «zavorre di Stato» che impediscono di proiettare azioni di sostegno in quelle realtà dove lo sforzo per uscire dalla crisi non viene premiato — benché i risultati conseguiti vengano oggettivamente apprezzati — per correre in aiuto delle aree più privilegiate del Settentrione. Quindi, riprende l’appello del neosegretario della Lega, Roberto Maroni, che ha invocato un patto di solidarietà tra le Regioni del Nord per risolvere il problema degli esodati, «un dramma che rischia di gettare sul lastrico più di trecentomila famiglie».
Maroni immagina una sorta di parlamentino territoriale che unisca le istanze di alcune aree per rappresentarle più adeguatamente. Un’iniziativa che fa il paio con la nascita della macroregione alpina, sulla quale il presidente della Campania ha già espresso un giudizio positivo: «È opportuno e legittimo che le aree territoriali omogenee si organizzino, in questa ottica le regioni del Sud hanno il dovere di fare sistema». Ora, sulla proposta di Maroni di unificare i consigli regionali di Lombardia, Veneto e Piemonte, Caldoro offre la sua sponda: «Riunire i consigli regionali su temi specifici mi sembra una buona idea — afferma —. Anche su esodati e cassa integrazione siamo stati noi come Campania, in parte, a indicare un percorso risolutivo. I problemi sono noti, è necessario confrontarsi sulle soluzioni e soprattutto sui tempi di attuazione di esse. Credo che una soluzione possa essere rappresentata dal Senato delle Regioni, e nell’ottica di una necessaria riforma istituzionale auspico una istituzione che possa lavorare con le Regioni ed il sistema delle autonomie locali. E questo per lanciare il federalismo — prosegue Caldoro — capace di premiare i comportamenti virtuosi e non le rendite e per evitare che le Regioni siano sole quando bisogna confrontarsi sui provvedimenti del Governo com’è accaduto in queste settimane».
Insomma, il governatore campano prosegue nel suo impegno di ridisegnare il proprio profilo politico per affermarsi come leader territoriale in rappresentanza delle istanze meridionali. Sebbene di Maroni non abbia condiviso il recupero di attenzione da riservare esclusivamente alle aree settentrionali del paese, Caldoro ha augurato buon lavoro al nuovo segretario nazionale della Lega Nord e insistito sulla necessità di puntare su una ripresa possibile dell’Italia che, per se stessa, non può prescindere dalle potenzialità del Sud. Un altro tassello a difesa delle aree meridionali lo ha aggiunto pochi giorni fa, quando ha partecipato, a Catanzaro, agli Stati Generali del Mezzogiorno d’Europa promossi da ItaliaCamp: «Non credo alla retorica unitaria — ha sostenuto Caldoro —. Nessuno mette in discussione l’unità del paese, ma il tema principale deve essere che questa idea non può e non deve depotenziare le realtà territoriali. Ognuna di queste realtà ha le sue caratteristiche, diversi problemi, differenti opportunità. Il paese deve convincersi che il Sud è una risorsa e che ha margini di crescita che altri non hanno. Non dobbiamo rappresentare la vecchia immagine del Mezzogiorno rassegnato che rivendica soltanto i trasferimenti, ma il Mezzogiorno che ha idee e vuole mettersi in discussione. In Campania abbiamo avviato una operazione di risanamento dei conti senza precedenti, un lavoro indispensabile per puntare alla crescita. Abbiamo già registrato una inversione di tendenza. Abbiamo recuperato credibilità. Ci siamo misurati sui grandi progetti, qualificando le scelte e superando la logica della frammentazione che non ha prodotto crescita».
Il presidente della giunta campana si è detto preoccupato per quanto viene anticipato sulla spending review e i tagli al welfare, in attesa che una delegazione dei governatori incontri il premier, Mario Monti, nelle prossime ore: «Aspettiamo di leggere il testo e di confrontatci con il Governo, ma è difficile capire come si possa ancora incidere su welfare e in particolare sulla sanità ed il trasporto pubblico locale: se togli la sanità, i trasporti, la mobilità e togli il welfare, colpisci i cittadini». Per Caldoro «le Regioni avranno un punto fermo di difesa non di interessi particolari. Siamo legati al necessario contributo che le Regioni sono tenute a dare e hanno sempre dato al sistema complessivo dei conti pubblici e quindi alla sfida europea». Il presidente campano evidenzia, quindi, che le Regioni non si sono mai sottratte al confronto, consapevoli degli effetti generati dalla crisi economica: «Nelle varie manovre le Regioni sono quelle che hanno pagato in termini quantitativi e percentuali il prezzo più alto — conclude —. Si può intervenire dove è possibile, ma toccare il welfare e in particolare la sanità è veramente molto difficile». Ed è su questi temi sensibili che Caldoro costruisce il suo ring, nella speranza politica di raccogliere il consenso e la delega degli altri suoi colleghi del Sud.
Angelo Agrippa

Nasce il marchio per i prodotti «doc» del Parco dell’Alta Murgia
di GIUSEPPE ARMENISE
Tredici Comuni, due Province e poi le organizzazioni di categoria e le associazioni. Sembra passato un secolo da quando si fronteggiavano a colpi di accuse reciproche. Ieri, invece, in un’affollata assemblea con tutta la Comunità del parco, nella piazza di Altamura, pare proprio nata la stagione della collaborazione nel nome del territorio e della sua valorizzazione. Strumento per portare prodotti tipici e servizi in giro sui circuiti internazionali specializzati è il marchio del parco.
Al protocollo che ne sancisce la nascita, condiviso ieri, seguiranno i disciplinari con i dettagli sulle caratteristiche che prodotti e servizi dovranno garantire per potersene fregiare. Al Gran Paradiso, in Piemonte, piuttosto che alle Cinque Terre, in Liguria, o nel parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, grazie al marchio di qualità i prodotti tipici hanno trovato una loro collocazione di mercato via Internet. Ma proprio il mercato telematico è una grande piattaforma di lancio per il turismo.
Perchè assaporare e apprezzare la qualità agroalimentare è già un po’ condividere le caratteristiche di un luogo e desiderare appartenervi. Le esperienze in campo sono insomma lì a dimostrare come il marchio, visti gli utenti sempre più alla ricerca di qualità, costituisca un innegabile volano commerciale. Ma è anche uno strumento fortemente identitario per le comunità che lo fanno proprio. Uno degli aspetti che nei disciplinari per l’attribuzione del marchio in altri parchi nazionali vengono maggiormente richiamati è, peraltro, quello della condivisione. Parola magica in un’area come quella murgiana, dalle grandi potenzialità e decisamente vivace, ma incapace spesso di fare massa critica, di imporsi fuori dal proprio territorio con la forza che solo la capacità di stare insieme, di creare un sistema può conferire.
«Ricominciamo - ha spiegato il presidente dell’ente parco nazionale dell’Alta Murgia, Cesare Veronico - da dove abbiamo lasciato dieci anni fa. Da assessore all’Assetto del territorio della Provincia di Bari ebbi la fortuna di far ripartire la procedura di consultazione tra i sindaci delle tredici comunità coinvolte nella cessione di territorio al parco. Nel nome della condivisione, andò molto bene allora. E oggi, ritrovandoci tutti insieme, il parco e i sindaci delle tredici città interessate, rimettiamo insieme quello spirito». Chi tra gli agricoltori o i fornitori di servizi quali quelli turistici voglia fregiarsi del marchio del parco nazionale dell’Al - ta Murgia dovrà garantire che «le tecniche colturali o la fornitura di servizi rendano una servizio al miglioramento delle peculiarità naturalistiche, sociali, culturali, architettoniche e storiche del parco».
Non solo: tanto le tecniche colturali, che l’attività di promozione dei prodotti dovranno «essere orientati alla divulgazione, alla valorizzazione, alla ricerca e alla didattica riguardanti il parco nazionale dell’Alta Murgia». A proposito di creazione di reti e di massa critica per qualificare la proposta di valorizzazione del territorio nei circuiti nazionali e internazionali turistici e del consumo di prodotti agroalimentari di qualità, il parco nazionale dell’Alta Murgia stipulerà a breve un protocollo d’intesa con il parco di lama Balice (nell’ente figurano i Comuni di Bari, Bitonto e la Provincia di Bari) al fine di mettere insieme competenze, risorse e servizi e sostenere la nascita e la crescita di una vera e propria rete dei parchi della Puglia.

Salerno. Rifiuti, gli indisciplinati messi alla gogna sul web dal Comune
La black list con nomi e cognomi finisce online. Intanto i vigili ottengono la licenza di "frugare" nei sacchetti
SALERNO — Un "elenco dei cattivi" che somiglia troppo ad una gogna virtuale: questa l'ultima trovata dell'amministrazione De Luca nel tentativo di contrastare la cattiva abitudine di abbondare rifiuti in luoghi ed orari non consentiti. Con le spiacevoli conseguenze che, in special modo in questi giorni di grande caldo, ciascuno può constatare. Di qui la decisione di Palazzo di Città di procedere ad un'intensificazione dei controlli sul territorio affidati alla polizia municipale ed agli altri uffici competenti; i caschi bianchi opereranno anche in borghese nelle ore notturne per tenere sotto controllo le strade e i locali della movida, oltre che altre "zone sensibili" del capoluogo. Ma Palazzo di Città ha scelto di andare oltre: «Nell'ambito di questa campagna di civiltà -recita la nota ufficiale che annuncia l'iniziativa- e come ulteriore deterrente sociale il Comune di Salerno provvederà, periodicamente, alla pubblicazione sul sito ufficiale www.comune.salerno.it dei destinatari dei verbali per abbandono irregolare di rifiuti". Segue, poi, l'elenco, completo di tutte le generalità, dei ventidue soggetti multati nel mese di giugno. Insomma, a distanza di qualche anno Palazzo di Città ripropone la "lista dei cattivi" come deterrente. Peccato che il tentativo sia già fallito in passato: all'epoca, era sindaco Mario De Biase, a venire inclusi nelle "liste della vergogna" erano i padroni di cani sorpresi a non rimuovere gli escrementi del proprio quattro zampe. Causa numerose segnalazioni per violazione della privacy ed il rifiuto di buona parte degli organi di informazioni locale a pubblicare gli elenchi nominativi dei multati l'iniziativa scivolò lentamente nell'oblio, senza che la pulizia delle strade e dei marciapiedi cittadini se ne sia giovata più di tanto. Vedremo se questo secondo tentativo sarà coronato da miglior successo.
LE ATTIVITA' ESTIVE - Ma non è solo sul fronte rifiuti che l'amministrazione comunale lancia nuove iniziative in questi primi giorni di luglio. Ieri, lunedì, nel corso di una conferenza stampa svoltasi a Palazzo di Città, il sindaco De Luca e l'assessore alle Politiche Sociali Nino Savastano hanno presentato le attività estive destinate ai minori ed agli anziani. Senza dimenticare i genitori: per la prima volta, infatti, due asili nido comunali saranno aperti anche nel mese di luglio, così da venire incontro alle esigenze delle madri lavoratrici. Saranno alcune centinaia, poi, i bambini coinvolti in attività ricreative e sportive nei mesi di luglio ed agosto: circa 70 quelli ospitati presso la piscina Vigor, 20 quelli che saranno ospitati al Quadrifoglio, mentre in 250 frequenteranno altre strutture cittadine, «Ha per noi un particolare significato - dice l'assessore Savastano- l'attività che a partire da oggi i minori disabili potranno svolgere presso la Vigor insieme ad operatori e familiari. Ci sembra davvero un modo concreto per essere vicini a chi ha più bisogno». Quanto agli anziani previsti, come di consueto, soggiorni climatici ad Ischia, Chianciano e Montecatini Terme. Tocca al sindaco De Luca, invece, annunciare una nuova, importante iniziativa destinata ai più piccoli. «Nei prossimi giorni -dice - stipuleremo un protocollo d'intesa con l'ospedale Bambino Gesù per dare vita ad una struttura di accoglienza per i bimbi autistici: sarà un'opera unica a sud di Roma».
Clemente Ultimo

P.A.: Grilli, in Italia c'e' un problema di qualita' del personale
03 Luglio 2012 - 10:57
 (ASCA) - Roma, 3 lug - Nella pubblica amministrazione italiana ''c'e' anche un problema di qualita' del personale che abbia le competenze giuste e che si trovi nell'ufficio giusto. La moltiplicazione degli organi territoriali non compensa questa mancanza. Anzi, non possiamo permetterci di disperdere quei pochi dipendenti di qualita' su cinque o sei reti territoriali''. Lo ha detto il vice ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, nel corso di un'audizione alla Commissione Finanze della Camera, parlando a proposito dell'accorpamento di alcune agenzie pubbliche deciso da Palazzo Chigi.
rba/cam/bra

Crisi in Italia: le ricette del professor Monti stanno per fallire?
di Vincent Daniel
 – 3 luglio 2012Pubblicato in: Francia
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
[Francetv.fr]
L’Italia, terza economia della zona euro, è il prossimo obiettivo dei mercati? Mentre il Presidente francese Francois Hollande e il premier italiano Mario Monti hanno fissato un incontro giovedì 14 a Roma, per gettare le basi del rilancio della crescita in Europa e fermare la crisi del debito della zona euro, l’Italia è di nuovo direttamente minacciata dai mercati. Come spiegare questo fenomeno? Ecco alcune risposte.

Perché l’Italia è nella tormenta?
Il problema numero uno di Roma è l’enorme debito pubblico. Ammonta a più di 1.900 miliardi di euro, ovvero circa il 120% del suo PIL. Solo la Grecia registra un deficit pubblico più elevato. Per colmare questo enorme debito, l’Italia è costretta a chiedere denaro in prestito. Ma il tasso di interesse dipende dalla salute economica del Paese, e in particolare dal livello del suo debito. La minore fiducia da parte degli investitori nella capacità dell’Italia di rimborsare il suo debito corrisponde ad un aumento dei tassi di interesse.
E’ quello che è successo mercoledì 13 giugno: certo, il Paese è stato in grado di mettere da parte 6,5 miliardi di euro in un anno, ma con tassi di interesse in netta ascesa, al 3,97% contro il 2,34% dell’ultima analoga operazione  l’11 maggio. Lo spread, cioè la differenza tra il tasso dei titoli italiani e quello dei titoli tedeschi, ha superato i 490 punti, differenziale raggiunto quando Silvio Berlusconi era ancora in carica, come scrive Libération.  E la situazione si ripete giovedì’ mattina, quando il Tesoro italiano ottiene in prestito 3 miliardi di euro in titoli di stato a tre anni ad un tasso del 5,30% contro il 3,91% del 14 maggio. Sui suoi prestiti a lungo termine, i tassi hanno superato la soglia simbolica del 6%.
È questo il meccanismo che ha soffocato la Spagna. Madrid ha avuto maggior difficoltà nel chiedere prestiti a tassi ragionevoli e quindi a sostenere il suo settore bancario, appesantito dalla crisi immobiliare. Gli spagnoli si sono trovati di fatto esclusi dai mercati. Questo è il motivo per cui Madrid è stata costretta ad accettare, sabato 9 giugno, un aiuto europeo per ricapitalizzare le banche spagnole per la somma di 100 miliardi di euro.

Quali sono le soluzioni offerte da Monti?
L’ex Commissario europeo e docente di economia ha preso il posto al governo di Silvio Berlusconi, che si è dimesso nel mese di novembre 2011. Il suo progetto economico per l’Italia: una severa cura di austerità finalizzata al risparmio di 30 miliardi di euro. Misure che si aggiungono a due piani di tagli da 60 miliardi di euro adottati nel luglio e settembre scorsi. Mario Monti affronta la riforma delle pensioni ammorbidendo il rigore dei risparmi. L’austerità include anche i tagli della spesa pubblica, l’aumento della tassazione immobiliare, nuove tasse (sui carburanti, beni di lusso, le attività finanziarie svolte all’estero…) nuove imposte e inasprimento nella lotta contro l’evasione fiscale.
I taxi, le farmacie, i trasporti pubblici locali, le pompe di benzina, le libere professioni, le assicurazioni, le banche… è stato adottato anche un piano globale per liberalizzare l’economia, e numerosi settori si sono aperti alla concorrenza. E’ stata approvata una riforma del mercato del lavoro per ammorbidire le regole. Mario Monti porta avanti anche misure per rilanciare l’economia. Risultato: l’Italia ha riportato il suo deficit pubblico al 3,9% del PIL nel 2011 contro il 4,6% registrato alla fine del 2010, grazie ai suoi piani di austerità. Il bilancio italiano risulta in avanzo primario (senza contare i pagamenti di interessi sul debito pubblico).

Perché questo non basta?
La crisi del debito in Europa, assieme ai tre piani di austerità adottati  in meno di sei mesi nel 2011, hanno avuto una conseguenza: l’arresto della crescita. L’Italia è entrata in recessione nel quarto trimestre del 2011 con una flessione del PIL dello 0,7% dopo il calo dello 0,2% nel terzo trimestre. E il 2012 conferma la recessione: nel primo trimestre, il PIL è calato dello 0,8%. Una diminuzione del 1,4% del PIL in un anno, secondo i dati dell’ Istat.
I settori più colpiti sono l’edilizia (-3,2%), l’industria (-1,6%) e i servizi (-1%),  secondo il quotidiano Le Figaro. E l’intera attività economica italiana viene rallentata. Il consumo è calato dello 0,6% nel primo trimestre rispetto al trimestre precedente, gli italiani stringono la cinghia a causa degli aumenti delle tasse e la disoccupazione record, che supera la soglia del 10%. Effetto domino: nello stesso periodo, gli investimenti sono diminuiti del 3,6%, le importazioni sono precipitate del 3,6%, e anche le esportazioni sono diminuite del 0,6%. Tuttavia, questa politica di austerità potrebbe essere ulteriormente rafforzata. Le famiglie italiane fanno crollare la domanda, alimentando la disoccupazione e il calo dei consumi.Un circolo vizioso che si tradurrebbe in minori entrate fiscali e quindi un nuovo pacchetto di misure di austerità.
Per riportare  tutti questi indicatori fuori dalla zona rossa, il Presidente del Consiglio italiano chiede altre misure volte a promuovere la crescita all’interno dell’Unione europea. “Una condizione importante per arginare il contagio [della crisi del debito] consiste nel lavorare sul fattore crescita per l’UE prima del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno” ha dichiarato Mario Monti l’8 giugno.
Perché l’Italia non è nella stessa situazione della Grecia, o della Spagna?
Dopo Grecia e Spagna, il rischio di un effetto domino sull’Italia non è ancora in vista. Anche se il Paese è bersaglio dei mercati,  Mario Monti ha spazzato via martedì sera a Berlino ogni idea di piano d’aiuto ” anche in futuro” e ha assicurato che il suo Paese “non è fragile”, vantandone i meriti. Il capo del governo italiano ha sostenuto che il debito delle famiglie italiane è basso e che il Paese dispone di un solido tessuto fatto di piccole e medie imprese.
Il deficit pubblico della Penisola, ben al di sotto della media europea, dovrebbe scendere all’ 1,7% quest’anno; il Paese si avvicinerebbe ad un bilancio in pareggio entro il 2013, mentre le banche sono per lo più “stabili”, ha ancora sottolineato agli eurodeputati mercoledì. Da parte sua, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, sembrava assolutamente convinto. Incaricato di complimentarsi con Mario Monti a Berlino, ha giudicato che è “il leader giusto al posto giusto, al momento giusto”. Wolfgang Schäuble ha inoltre assicurato che l’Italia vedrà una ripresa economica il prossimo anno, a condizione che non si discosti dalla sua politica di riforme e di rigore.
Un altro aspetto rassicurante per Roma: le banche italiane non sono aggravate da una bolla immobiliare, a differenza della Spagna. Ma La Tribune ha scritto che le “condizioni sembrano mature  perché prima o poi scoppi l’incendio” in Italia. Dal 2010, i mercati stanno testando gli Stati della zona euro uno a uno, l’infezione non è quindi da escludere.
[Articolo originale "Crise en Italie : les recettes du professeur Monti vont-elles échouer ?" di Vincent Daniel]

Salva-Stati, no di Finlandia e Olanda
Beda Romano
 BRUXELLES. Dal nostro corrispondente
 È tutta in salita la nascita dell'Esm. Ieri Finlandia e Olanda hanno annunciato di voler bloccare l'acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario da parte del nuovo fondo europeo Esm. Le regole esigono l'unanimità in generale ma non quando scatta una procedura d'emergenza (si veda al scheda a fianco). La presa di posizione dei due paesi dà però misura delle tensioni tra gli Stati membri dell'area euro. Peraltro in Germania sono stati presentati ricorsi contro lo stesso Esm, rallentandone l'entrata in vigore.
 «La Finlandia valuterà caso per caso gli acquisti (di obbligazioni, ndr) - ha spiegato ieri un portavoce del Governo di Helsinki - ma ci opporremo probabilmente ai futuri progetti di acquisto di titoli da parte dell'Esm sul mercato secondario». Dall'Olanda, il ministero delle Finanze ha aggiunto: «Usare gli strumenti esistenti per acquistare obbligazioni sarebbe costoso e potrebbe essere fatto solo con una decisione all'unanimità. Ciò significa che l'Olanda dovrebbe votare a favore».
 Bluff? In parte sì. È vero che lo statuto dell'Esm richiede l'unanimità quando si tratta di approvare interventi sui mercati. Ma il trattato prevede una votazione d'urgenza «nei casi in cui la Commissione e la Banca centrale europea concludano che la mancata adozione di una decisione urgente circa la concessione o l'attuazione di un'assistenza finanziaria minaccerebbe la sostenibilità economica e finanziaria della zona euro». In questo caso basta la maggioranza dell'85% del capitale.
 Insieme, Finlandia e Olanda controllano il 7,50%, una quota insufficiente per bloccare una decisione urgente. La minaccia, dettata probabilmente da pressioni di politica interna, non è priva però di mordente: in attesa che l'Esm entri in vigore, rimane in vita l'Efsf, che prevede solo la regola dell'unanimità. Notava nei giorni scorsi un alto responsabile europeo: i due Paesi «sono stati degli scocciatori per delle ore» durante le trattative del recente vertice a Bruxelles che hanno portato a un allentamento limitato delle regole di ingaggio dell'Efsf e dell'Esm.
 L'accordo raggiunto nella notte tra giovedì e venerdì è attualmente oggetto di negoziati tecnici e deve essere discusso dall'Eurogruppo il 9 luglio. Alcuni economisti temono che l'intesa possa essere rimessa drasticamente in discussione. Le trattative notturne hanno mostrato come molti Paesi della zona euro oscillino tra la consapevolezza di come la crisi stia mettendo a rischio la stessa tenuta della zona euro e il timore di creare azzardo morale nei Paesi più fragili.
 Ieri alcuni Governi si sono chiesti se la decisione di consentire all'Esm di ricapitalizzare direttamente le banche - una delle decisioni prese venerdì dal Consiglio europeo - debba richiedere una modifica del trattato che ha istituito il fondo e quindi nuove ratifiche nazionali. Ieri il portavoce della Commissione Simon O'Connor lo ha escluso; ma i Paesi che vorranno ostacolare l'entrata in vigore dell'Esm potrebbero voler perseguire questa strada.
 Sempre a proposito del fondo di stabilità, ieri la Corte costituzionale tedesca ha confermato che valuterà i ricorsi contro il nuovo meccanismo di stabilità il 10 luglio. Non è chiaro quando il tribunale pubblicherà la sua decisione. In Germania, la maggiore parte dei giuristi si aspetta il benestare della Corte. Resta che l'entrata in vigore dell'Esm rischia di essere rinviata nuovamente. Il via libero della Germania, che controlla il 17% del fondo, è necessario perché il salva-Stati entri in funzione.
Le quote nell'Esm e la soglia dell'85%
1
Quando serve l'unanimità...
 Il Trattato istitutivo del fondo salva-Stati Esm (articoli 17 e 18) dice che per approvare l'acquisto di titoli di Stato sul mercato primario (in asta) e secondario il Consiglio dell'Esm deve decidere «di comune accordo», cioè all'unanimità.
 Basta quindi il no di uno dei 17 Stati membri (per esempio la Finlandia) per rifiutare la richiesta di aiuto di un Paese e quindi vanificare l'efficacia del muro anti-spread
2
Quando basta l'85%
 C'è però una via d'uscita a questa situazione, prevista dall'articolo 4, che introduce un sistema di decisione basato su una procedura d'urgenza.
 Se Commissione europea e Bce individuano le condizioni per la procedura d'urgenza, allora il via libera da parte del Consiglio Esm può avvenire anche a maggioranza qualificata pari all'85% dei voti espressi.
 La Finlandia ha una quota dell'1,8% (si veda il grafico), l'Olanda del 5,7. Insieme quindi non raggiungerebbero quel 15% che vale come minoranza di blocco, ma avrebbero bisogno del sostegno di altri Paesi

LE MISURE DECISE A BRUXELLES
Banche: un sistema unico di vigilanza poggiato sulla Bce
L'«arsenale anti-crisi» disegnato dai leader dell'area euro prevede che la Banca centrale europea diventi l'unico supervisore delle banche: primo passo verso un'unione bancaria
Ricapitalizzazione diretta per alleviare il debito sovrano
Quando la Bce avrà la sorveglianza sulle banche, i fondi salva-Stati potranno ricapitalizzarle direttamente senza coinvolgere i Governi, dunque senza aumentare il debito sovrano

Ticino. Il futuro dell’Europa è uno Stato sociale
 di Roberto Antonini - 07/03/2012
Le metafore calcistiche si sono sprecate per valutare il vertice Europeo di Bruxelles. Dal ‘Per Monti un gol alla Pirlo’ ( la Repubblica ) ?no al ‘Hollande-Sarkozy 1-0’ ( Libération ) abbiamo assistito a un ?orilegio di sempli?cazioni. Forse perché la materia è complessa.
Come spiegare il funzionamento dello scudo antispread che dovrebbe permettere all’Italia di ripagare il debito senza farsi dissanguare dalla speculazione? O come rendere chiaro il meccanismo di ricapitalizzazione delle banche attraverso il loro diretto accesso al meccanismo europeo di stabilità senza intaccare dunque il debito sovrano degli Stati?
La contrapposizione tra una Germania virtuosa quanto impietosa e Stati dalla gestione baldanzosa delle ?nanze. ma sostanzialmente vittime dell’intransigenza di una sorta di pangermanismo economico neoimperialista, è pure stata fuorviante e a volte gravida di errori fattuali.
È certamente vero che il nein a una politica economica anticiclica è frutto di un’ortodossia più che discutibile. La Germania ha senz’altro bene?ciato dell’euro, ma è sbagliato pensare che il boom delle esportazioni tedesche sia solo tributario della moneta unica (i dati dimostrano addirittura che la crescita dell’export è stato ben più forte al di fuori dell’eurozona) ed è pure da sprovveduti credere che si possa mutualizzare serenamente il debito sovrano senza richiedere regole più ferree, in particolare il risanamento dei bilanci.
La sempli?cazione porta a giusti?care e a far perdurare i pregiudizi ideologici e posizioni stantie e ingessate, ma non è ovviamente in grado di illustrare i termini reali della questione e di delineare prospettive di soluzione dell’eurocrisi.
Il pragmatismo e il realismo portano alla convinzione che vi sia un’unica via per salvare l’euro e l’Unione europea: quella che porta verso l’unione fiscale e politica (che è de facto la strada imboccata al summit di Bruxelles). Come ha affermato Romano Prodi in una breve quanto stimolante intervista alla Rsi , questa consapevolezza l’avevano già i padri fondatori (Kohl e Mitterrand in particolare). “Prima facciamo la moneta, il resto seguirà” era il nocciolo del loro pensiero.
Se l’obiettivo era corretto, la storia ci insegna però che peccarono gravemente di ingenuità. Anche perché la ?nanziarizzazione dell’economia ha pesantemente minato il peso speci?co della politica.
Ed ecco che ora, per arginare le pericolose derive dei mercati ( più che un termometro dell’economia ne sono ormai il virus, secondo quanto afferma Paul Dembiski, direttore dell’Osservatorio della Finanza di Ginevra) “c’è bisogno di tempo e politica” per riprendere l’appello del caporedattore del Financial Times per il quale la soluzione passa attraverso un inesorabile movimento verso l’unione politica. Detto in altre parole: gli Stati Uniti d’Europa.
Ecco allora che tra i mille interrogativi vi è inevitabilmente quello riguardante il modello economico che potrebbe stagliarsi all’orizzonte di un continente integrato nella sua politica e nei suoi sistemi bancari e ?scali.
In un interessante pro?lato intervento sul Corriere del Ticino , l’avvocato Tito Tettamanti punta ad esempio il dito contro gli eccessi dello Stato sociale (responsabile a suo dire del crescente debito), e l’ideologia egualitarista ( più tasse per i ricchi e maggiore distribuzione della ricchezza) incarnati in particolare nel modello francese promosso da François Hollande. Ma se è vero che è ?nita l’epoca della “rendita coloniale”, con un Occidente che non può più permettersi di vivere al di sopra dei propri mezzi, e che va dunque riconsiderato il ruolo del settore pubblico, non bisogna altresì dimenticare alcune altre verità: i maggiori de?cit pubblici nel Paese faro, gli Stati Uniti, li hanno creati i fautori del meno Stato e meno tasse (il debito è cresciuto sotto i repubblicani Reagan, Bush padre e Bush ?glio, è diminuito con le amministrazioni Carter e Clinton).
Seconda constatazione: il de?cit di bilancio dei Paesi Ue, come sottolinea il sociologo Luciano Gallino è cresciuto 10 volte dal 2007 al 2009 per effetto della crisi delle banche e non per l’aumento della spesa sociale, che di fatto non c’è stato.
Non si può poi dimenticare l’aumento esponenziale delle disuguaglianze, concausa centrale della crisi economica, come attestano diversi studi e come affermano, dati alla mano, personaggi di primo piano del mondo economico a cominciare dal multimiliardario americano Warren Buffet. Senza dimenticare quella malattia profonda che colpisce più di ogni altro male la nostra economia: la speculazione ?nanziaria senza freni (dalla titolarizzazione dei crediti ipotecari ai fondi speculativi ai diversi strumenti tossici) capace di operare in modo devastante, anche sull’arco di pochi nanosecondi.
Come ha scritto in una stimolate ri?essione su Le Monde l’ex premier malesiano M. Mahair, per salvare il sistema stesso bisogna regolare in modo severo la ?nanza, vietare molti strumenti ?nanziari. Basterebbe poi uno sguardo alla geogra?a della crisi per evitare di gettare frettolosamente a mare il welfare conquistato in decenni di battaglie nel Vecchio continente.
Tra i Paesi meno toccati dalla crisi vi sono in effetti quelli che hanno sviluppato uno Stato sociale forte ed efficace, a cominciare dalla Germania e dall’Olanda e dai Paesi nordici (e nell’area fuori dall’euro potremmo aggiungere anche la Svizzera).
Il capitalismo di stampo renano-scandinavo si dimostra assai solido. La crisi non è dunque attribuibile al Welfare in sé, ma – come ha scritto il Washington Post – a quelle forme di capitalismo basate sulla corruzione, l’evasione ?scale, il nepotismo, dove crollano il senso civico e la giustizia: è il caso della Grecia dell’evasione ?scale di massa (gli ultimi dati parlano di almeno 40 miliardi su un Pil di 300 miliardi) o dell’Italia prima della cura che sta cercando di somministrare Mario Monti.
Una riforma seria dell’economia europea non può per questo prescindere da un’analisi il più possibile oggettiva dei mali, che tenga al tempo stesso in considerazione l’importanza per lo sviluppo, la coesione e la sicurezza in Europa di un modello che dia rilievo non solo alla crescita, ma all’equilibrio, al benessere e alla giustizia sociale.

Ticino. Padania is nothing
di Erminio Ferrari - 07/02/2012
Gridino pure se–ces–sio– ne-se–ces–sio–ne, al massimo avranno due, tre regioni su cui governare, sistemando amici e accoliti in giunte e consigli d’amministrazione, pratica a cui erano avvezzi da tempo, e perfezionata nei lunghi, pazzeschi anni di governo a Roma.
La Lega di Roberto Maroni, eletto ieri per acclamazione segretario della Lega Nord, non sarà più quella di Umberto Bossi.
Uno, perché il vecchio capo, pur nella sua ?ne grottesca, non è sostituibile nell’immaginario leghista.
Due, perché Maroni ha fatto dell’ambiguità del linguaggio il proprio programma – confermando l’obiettivo dell’indipendenza, ma dichiarando che la (cosiddetta) Padania sarà una regione d’Europa, in perfetto stile democristiano. Tre, perché l’alleato grazie al quale la Lega di Bossi ha goduto di spropositati potere e visibilità e al quale si era vincolata (anche economicamente), tale Silvio Berlusconi, ha dilapidato una posizione che pareva renderlo imbattibile. Quattro, perché la concorrenza è agguerrita e da Grillo a Di Pietro alla destra estrema sono ormai in tanti a cercare di trasformare in voti il malcontento.
Maroni, che non è un genio della politica ma il mestiere lo ha imparato, sa che di indipendenza si potrà ancora parlare all’osteria, ma che la sopravvivenza del partito non verrà da lì.
Tutt’al più la Lega tornerà a proporsi come sindacato territoriale (cosa che gli studiosi più attenti della sua vicenda avevano da tempo indicato), localmente forte, ma di peso più che leggero sul piano nazionale. Di qui le ventilate rinunce alle “poltrone romane”: di questo passo e con una eventuale diversa legge elettorale, a Roma andrebbero comunque ben pochi leghisti.
Dunque le trecentomila doppiette bresciane o bergamasche serviranno eventualmente per cacciare l’ex alleato Formigoni dal grattacielo della Regione Lombardia, più che per “liberare il Nord”.
Certamente, linguaggio e modi resteranno gli stessi, magari radicalizzandosi. Intolleranza, razzismo, sindaci-sceriffi, tricolori “nel cesso”, Borghezio, Speroni, vale a dire tutta l’oscena eredità lasciata a un Paese intero da Bossi e dalla sua banda. Ma ben difficilmente potranno andare oltre, poiché una cosa sono i militanti, un’altra gli elettori e la volubilità di questi ultimi può venire allettata da altre proposte.
Tutto il resto rientra nell’ordinaria resa dei conti attraverso la quale tutti i partiti devono passare. E con buona pace del Bossi in lacrime, la lotta non è stata tra idee, ma tra uomini e per il potere. Il suo ripetere la penosa favola della congiura romana ai danni della Lega fa persino torto alla scaltrezza e alla levatura istrionica di cui pure si era mostrato capace, in tempi “migliori”.
E se Bossi è il passato della Lega, la Lega stessa è (o rischia, per lei, di essere) il proprio passato. Cosicché sulle magliette andate a ruba al congresso di Assago – quelle che piace indossare al neosegretario lombardo ed europarlamentare Salvini – che in perfetto dialetto lombardo dichiarano Padania is not Italy , converrà più realisticamente sostituire altre con su stampato, nello stesso idioma, Padania is nothing .

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