mercoledì 4 luglio 2012

am_4.7.12/ Prendo tre caffè alla volta per risparmiare due mance (Toto’)===Enza Roberta Petrillo: I fattori che rendono appetibile e sicuro il trasferimento delle produzioni in Europa orientale sono la diffusione di percorsi formativi specialistici, l’aumento del numero di lavoratori in formazione continua, i mercati interni in crescita e il rafforzamento delle istituzioni.---Vittorio Da Rold: L'uscita della Grecia dall'euro è sempre più vicina. Questo non è un disastro per la zona euro e non certo per i greci, spiega Hans-Werner Sinn Professore di Economia e Finanza Pubblica all'Università di Monaco di Baviera nonché presidente dell'Istituto Ifo, uno dei maggiori della Germania.---Non ho ancora avuto l'opportunita' di parlare con il governo finlandese, ha tuttavia aggiunto la Merkel, secondo quanto riporta il Wall Street Journal. Dobbiamo ancora fare chiarezza sulle decisioni prese al vertice di Bruxelles.

Standard & Poor's: «Trani? Come un piccolo paese dell’Oklahoma»
Intervista al presidente Ifo: è ora che la Grecia esca dall'euro. Ha ottenuto aiuti pari a 116 piani Marshall
Grecia: Atene stima una recessione piu' dura delle attese
Grecia, obiettivo raggiungere target fiscali
Germania: Fmi stima Pil 2012 a +1%, nel 2013 +1,4%
Crisi: Merkel, stop Finlandia a scudo anti-spread? Rispettare decisioni
Crisi: Merkel, su Esm ancora non c'e' necessita' di agire
Crisi: Irlanda torna a emettere bond
Crisi: Spagna, sale spesa, giu' risparmi
Kosovo: proteste serbi del nord contro autorita' Pristina
Perché le imprese italiane scelgono l’Est europeo
Fiat: Marchionne, c'e' almeno uno stabilimento di troppo in Italia
Fiat: la 500L da domani in produzione a Kragujevac

Standard & Poor's: «Trani? Come un piccolo paese dell’Oklahoma»
ROMA – Gli analisti si lamentavano e la responsabile di Standard & Poor's per l’Italia aveva raccolto questo disagio: non abbiamo “la capacità” per i rating sull'Italia – questo più o meno il tono del disagio espresso - perchè manca personale senior. Queste parole venivano pronunciate ad agosto 2011 quando l’Italia era in una situazione delicatissima, sotto attacco dei mercati e con gli spread che salivano.
Nelle telefonate tra Milano e New York di S&P qualcuno dice anche che Berlusconi (siamo prima della seconda manovra estiva, quella di Ferragosto) è pronto a salire al Quirinale per fare un governo tecnico. “Prendiamo tempo e vediamo come vanno le cose”, è l’indicazione che corre sul filo del telefono.
Sno alcuni dei tasselli che emergono dai faldoni di oltre 4.500 pagine dell’inchiesta del pm di Trani Michele Ruggiero. Mail, intercettazioni telefoniche, documentazioni: un enorme plico dal quale Standard & Poor's ne esce sempre con le carte a posto. Anche sulla storia del rating Usa (ad agosto 2011 S&P tolse la tripla A) ci fu un errore ma non venne corretto. Al telefono, il 6 agosto 2011, è la responsabile per l’Italia, Maria Pierdicchi, con un utente 'internò a S&P non riconoscibile che le dice: “Se c'è un errore è perchè la Tesoreria ci ha dato numeri sbagliati”.
Pirdicchi: “Quindi avete cambiato il comunicato”. Interlocutore: “No, non l'abbiamo modificato”.
Sull'Italia sempre Maria Pierdicchi, parlando con Deven Sharma, ex presidente S&P Financial Services il 3 agosto 2011 diceva: “Alcuni analisti non ritengono che noi avessimo la capacità di sostenere questo tipo di azioni di rating in Italia al momento, ritengono che serve più personale Senior che si occupi dell’Italia adesso; sono venuta a sapere queste cose da persone durante i meeting e durante le conversazioni che servono più esperti Senior vista la situazione molto delicata”.
La Consob sembra avere una posizione molto critica nei confronti dell’operato dell’agenzia di rating. Parlando del downgrade di S&P dell’Italia, a gennaio di quest’anno, il presidente Giuseppe Vegas, sempre da quanto emerge dai documenti, parla di “fulmine a ciel sereno” e di decisione “assolutamente non condivisibile”.
Vegas scrive anche all’Esma, l’autorità europea, e parla senza messi termini di “inconsistenza nelle ragioni del declassamento”. Infine su BlackRock, fondo americano che partecipa a Fitch e che su Unicredit diede una comunicazione errata, correggendosi poi. L'atteggiamento “lascia qualche sospetto” afferma parlando con il pm di Trani. “Anche lì stiamo indagando”, dice Vegas facendo presente che “insomma non è il signor Rossi e può fare uno sbaglio del genere”.
Scendono in campo le associazioni dei consumatori Adiusbef e Federconsumatori: contesteranno a Standard & Poor's “l'attentato all’integrità dello Stato, secondo l’articolo 241 del codice penale”.
“La Consob, dopo l’intervento dell’Esma, ha il dovere di revocare in via cautelare la licenza ad operare”, dicono i presidenti di Adusbef e Federconsumatori, Elio Lannutti e Rosario Trefiletti, rilevando che dagli atti dell’inchiesta della procura di Trani “si evincono illecite condotte criminali delle agenzie di rating”.
Secondo Lannutti e Trefiletti “il sospetto dei pm di Trani, del procuratore Carlo Maria Capristo e del pm Michele Ruggiero è che gli analisti non si mossero autonomamente ma risposero a un disegno, oggettivamente perseguito, di 'golpe biancò del gruppo dirigente centrale dell’agenzia”.
Sfogliando le centinaia e centinaia di pagine emerge pure qualche curiosità. Per esempio vacanze italiane vietate agli analisti, normalmente di stanza a Londra che si occupano del debito sovrano italiano: “Non viaggeranno in Italia – assicura la responsabile italiana dell’agenzia di rating – per i prossimi tempi per non esporli perchè poi tutte le analisi del debito sovrano non avranno più i nomi degli analisti”.
E ancora lei, la Pierdicchi, piccata dall’inchiesta pugliese, spiega ai suoi capi americani: “Trani? E’ una specie di piccolo paese dell’Oklahoma”.

Intervista al presidente Ifo: è ora che la Grecia esca dall'euro. Ha ottenuto aiuti pari a 116 piani Marshall
di Vittorio Da Rold
«L'uscita della Grecia dall'euro è sempre più vicina. Questo non è un disastro per la zona euro e non certo per i greci», spiega Hans-Werner Sinn Professore di Economia e Finanza Pubblica all'Università di Monaco di Baviera nonché presidente dell'Istituto Ifo, uno dei maggiori della Germania.
Secondo Sinn, considerato un falco, in uno scritto pubblicato su WirtschaftsWoche del 26 maggio scorso, testimonianza che denota un sentimento di sempre maggiore insofferenza verso i paesi Cicala diffuso in Germania, «l'uscita della Grecia dall'euro è inevitabile perché il paese è diventato troppo costoso, a causa del credito a basso costo che è arrivato con l'euro. Per tornare a essere competitiva, la Grecia deve diventare meno cara del 30%. L'Ifo Institute calcola che una svalutazione del 37% è necessaria solo per rimettersi alla pari con la Turchia».
«L'unica via è ridurre i salari e i prezzi ma questo non si riesce ad ottenere a causa dell'opposizione dei sindacati. Ma anche se ciò avvenisse i debiti bancari delle imprese potrebbero essere affrontati solo con il ritorno alla dracma e conseguente svalutazione».
Perché la Grecia non può fare le riforme come ha fatto la Germania?
«Ci sono voluti alla Germania più di 13 anni, dal 1995 al 2008, per gestire un deprezzamento reale del 22%, e questo è stato accompagnato da una disoccupazione di massa. Ma mentre la svalutazione della Germania ha avuto luogo per mezzo di inflazione nel resto d'Europa, la Grecia deve effettivamente abbassare i prezzi, poiché la Germania non sosterrà una strategia di inflazione in Europa. La situazione greca è più simile alla repubblica di Weimar. Dal 1929 al 1933, la Germania ha dovuto ridurre i prezzi del 23%, dal momento che era agganciata al gold standard, mentre gli altri paesi svalutavano. Non sarà possibile per la Grecia raggiungere la competitività all'interno della zona euro».
E se la comunità internazionale aiutasse la Grecia con un nuovo Piano Marshall?
«Assumendo la stessa proporzione che il PIL della Germania aveva dopo la guerra, la Grecia dovrebbe ricevere circa quattro miliardi di euro rispetto ad un programma di sviluppo. Con i vari piani di salvataggio, gli acquisti di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea (BCE), il credit target della BCE e la riduzione del suo debito, la Grecia ha già ottenuto 460 miliardi di euro in assistenza. Ciò equivale a 116 piani Marshall, e non ha aiutato molto».
Ma le riforme struutturali ridurranno i costi salariali unitari?
«Sì, questo è vero – dice Sinn - ma migliorano solo la competitività nella misura in cui anche i prezzi si riducono. Finora però i prezzi in Grecia sono addirittura aumentate durante la crisi».
E l'effetto contagio? Non è rishioso se Atene esce dall'euro?
«L'effetto contagio esiste - ribatte Sinn per niente convinto - in entrambe le direzioni. Se la Grecia resta nell'euro e riceve un ulteriore sostegno, i paesi forti, alla fine, dovranno anche aiutare Portogallo, Spagna, Italia e infine la Francia. La metà della zona euro sosterrà l'altra, una situazione impossibile. Tale criterio impedisce il deprezzamento reale dei paesi che devono ridurre i prezzi e spinge gli stati più sani verso l'abisso.
Perché il settore finanziario continua a sottolineare il pericolo di contagio dopo un uscita di Atene?
«Le banche evocano i possibili effetti di contagio per rimanere incolumi e far pagare il conto ai contribuenti. La Grecia ha già subito una parziale insolvenza, e in contrasto con gli orrori che sono stati evocati prima che avvennisse, i mercati hanno reagito bene. Le banche perseguono i propri interessi creando panico nei politici».
Quanto costerebbe alla Germania se la Grecia lasciasse l'euro?
«Un default greco costerebbe al governo tedesco 80 miliardi di euro. Se la Grecia lasciasse l'euro invece non costerebbe nulla. Al contrario, solo lasciando la zona euro Atene può svalutare, diventare competitiva ed essere in grado di rimborsare».
Non scoppierà il caos se la Grecia lascia?
«Il caos è già qui. La disoccupazione di massa che l'euro ha portato è intollerabile. Solo un'uscita dall'euro può dare posti di lavoro dei giovani greci e sperare per il futuro ancora una volta. L'assistenza deve essere utilizzato per facilitare l'uscita ordinata. Negli ultimi decenni ci sono stati decine di default sovrani. In tutti i casi ci sono voluti una svalutazione per recuperare».
Una posizione estremamente dura quella espressa da Sinn rivelatrice però di un sentimento diffuso in Germania con cui il cancelliere Merkel deve fare i conti e che spiega al meno in parte la posizione di estrema intransigenza su temi come gli eurobond o la garanzia dei depositi bancari comuni.
 3 luglio 2012

Grecia: Atene stima una recessione piu' dura delle attese
03 Luglio 2012 - 16:35
 (ASCA-AFP) - Atene, 3 lug - La Grecia subira' quest'anno una recessione peggiore del previsto. Lo ha annunciato il vice ministro delle Finanze del governo greco, Christos Staikouras, secondo il quale il Pil avra' nel 2012 una contrazione del 6,7% contro un calo del 4,5% stimato dalla Banca centrale greca.
 ''La situazione economica resta critica e difficile - ha dichiarato Staikouras -. Uno studio di KEPE (Centro di Ricerche Economiche e pianificazione ndr.) indica che la recessione nel primo trimestre e' stata 6,5% del Pil e nel terzo sara' del 9,1% per arrivare a una contrazione del 6,7% per l'intero anno''.
sen/

Grecia, obiettivo raggiungere target fiscali
Il neo Governo greco, guidato da Antonis Samaras, intende rispettare gli impegni presi con i creditori internazionali per la concessione del secondo pacchetto di salvataggio. Lo ha reso noto il vice ministro delle Finanze ellenico, Christos Staikouras, durante una conferenza stampa. Staikouras spera però di modificare leggermente i termini contenuti nel piano di aiuti a favore del Paese così da stimolare l'economia domestica, colpita da una grave recessione.
Staikouras ha citato lo studio di un think tank ellenico sull'economia del Paese, che sta attraversando il quinto anno di recessione, e che dovrebbe contrarsi del 6,7% nel 2012. "Il nostro obiettivo è quello di raggiungere i target fiscali, insieme
alla crescita", ha detto il vice ministro delle Finanze, aggiungendo che gli sforzi per stimolare l'espansione del Paese e modificare il programma dipende "dalla piena attuazione del piano economico".

Germania: Fmi stima Pil 2012 a +1%, nel 2013 +1,4%
03 Luglio 2012 - 15:24
 (ASCA) - Roma, 3 lug - Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha diffuso le previsioni economiche per la Germania.
 Il Fondo prevede che l'economia tedesca crescera' dell'1% quest'anno e dell'1,4% nel prossimo. Ancora in miglioramento i conti pubblici con il rapporto deficit/pil 2012 allo 0,7% e nel 2013 allo 0,4%.
 Rapporto debito/pil in salita quest'anno all'82,2% (81,2% nel 2011) e poi in calo nel 2013 all'80,2%.
 Per il Fondo, ''il consolidamento dei conti pubblici e' sul binario giusto'' ed ora ci dovrebbero essere le condizioni per ''una ripresa economica sostenuta dalla domanda domestica'' grazie alla creazione di posti di lavoro, aumenti salariali e bassi tassi di interesse.
 All'orizzonte ci sono le nubi legate alla intensificazione della crisi del debito sovrano che pone ''rischi al ribasso di breve termine'' sull'economia della locomotiva d'europa.
 Pur riconoscendo l'adeguatezza del patrimonio e la grande liquidita' delle banche tedesche, il Fondo sottolinea come il sistema bancario della Germania resti caratterizzato dall'elevata leva (rapporto tra totale attivita' a rischio e patrimonio netto) e largamente dipendente dalle forme di raccolta all'ingrosso, con un capitale di bassa qualita', mentre alcuni gruppi risultano''significativamente esposti verso la periferia dell'Eurozona''.
red/men

Crisi: Merkel, stop Finlandia a scudo anti-spread? Rispettare decisioni
03 Luglio 2012 - 14:43
 (ASCA) - Roma, 3 lug - ''Bisogna rispettare le decisioni di ogni Paese'': cosi', il cancelliere tedesco Angela Merkel, nel corso di una conferenza stampa con il suo omologo slovacco Robert Fico, ha commentato il veto annunciato dalla Finlandia sull'utilizzo del cosiddetto scudo anti-spread deciso dal vertice europeo del 28 e 29 giugno, ovvero il progetto di acquistare bond sul mercato secondario da parte dei fondi salva-Stati.
 ''Non ho ancora avuto l'opportunita' di parlare con il governo finlandese'', ha tuttavia aggiunto la Merkel, secondo quanto riporta il Wall Street Journal. ''Dobbiamo ancora fare chiarezza sulle decisioni prese al vertice di Bruxelles''.
rba/uda

Crisi: Merkel, su Esm ancora non c'e' necessita' di agire
ultimo aggiornamento: 03 luglio, ore 14:56
Berlino, 3 lug. (Adnkronos/Dpa) - "Al momento non vi e' stata nessuna richiesta e quindi tanto meno necessita' di agire". Cosi' ha risposto la cancelliera tedesca, Angela Merkel, a chi le chiedeva un commento riguardo alla posizione di Finlandia e Olanda che intendono bloccare l'eventuale uso dell'Esm in funzione di scudo anti-spread.

Crisi: Irlanda torna a emettere bond
Titoli Stato da 500 mln, ultima operazione settembre 2010
03 luglio, 12:09
(ANSA) - ROMA, 3 LUG - L'Irlanda torna a emettere titoli di Stato e ad affacciarsi sui mercati internazionali a meno di due anni dal piano salvataggio dell'Unione Europea e dell'Fmi. In un comunicato l'agenzia per la gestione del debito (Ntma) annuncia per il 5 luglio l'emissione di bond da 500 milioni di euro con scadenza ottobre 2012. L'ultima asta era del settembre 2010.

Crisi: Spagna, sale spesa, giu' risparmi
Istituto statistica, e' prima volta dal 2000
03 luglio, 12:26
(ANSA) - ROMA, 3 LUG - Sempre piu' sotto pressione i bilanci delle famiglie spagnole. Per la prima volta dal 2000 (da quando l'istituto di statistica raccoglie i dati) nel primo trimestre del 2012 le famiglie hanno speso piu' di quanto guadagnano. Il reddito disponibile, spiega l'istituto, e' sceso dell'1,3% mentre la spesa e' cresciuta del 2,1%. Il risparmio ha visto cosi' un bilancio negativo di 911 milioni di euro.

Kosovo: proteste serbi del nord contro autorita' Pristina
Blocchi stradali senza sguiti.Indipendenza prevista a settembre
03 luglio, 16:00
(ANSAmed) - PRISTINA, 3 LUG - I serbi nel nord del Kosovo hanno attuato in mattinata varie forme di protesta contro le istituzioni centrali di Pristina e per manifestare la loro ferma contrarieta' ai piani per una loro integrazione nelle strutture statali del Kosovo.
 Su alcune strade sono stati attuati posti di blocco temporanei, che non hanno tuttavia creato eccessivi disagi alla circolazione. La protesta e' stata diretta anche contro l'intervento della polizia kosovara nei confronti dei serbi che nei giorni scorsi si sono recati in Kosovo per l'anniversario della battaglia contro i Turchi nel 1389, e contro la confisca delle nuove targhe del Kosovo emesse in Serbia, ma che Pristina considera illegali.
 Una protesta contro l'autorita' centrale di Pristina si e' svolta anche a Gracanica, enclave serba non lontano dalla capitale. Le manifestazioni e i raduni si sono svolti senza incidenti di rilievo.
 Ieri il Gruppo internazionale di orientamento sul Kosovo (Isg), riunito a Vienna, aveva annunciato che il Paese acquistera' la piena sovranita' in settembre, quando cessera' la sorveglianza internazionale sull'indipendenza proclamata nel febbraio 2008. Cio' alla luce dei progressi compiuti dal Paese balcanico nell'affermazione dello stato di diritto e delle riforme democratiche. Il premier Hashim Thaci, presente alla riunione, aveva annunciato la presentazione in tempi rapidi di un piano per la piena integrazione dei serbi del nord nel resto delle strutture statali. ''I serbi (del nord, ndr) sono cittadini del Kosovo'', aveva detto. (ANSAmed)

Perché le imprese italiane scelgono l’Est europeo
di Enza Roberta Petrillo
La crisi rafforza la delocalizzazione nell'Europa Orientale. Non solo manodopera a basso costo: l'Est attira anche produzioni di qualità. Profilo dell'imprenditore "emigrante". L'impatto sul settore produttivo italiano.
L’imprenditoria italiana guarda a Est. Esaurita la spinta propulsiva di quel “capitalismo molecolare” fatto di piccole e medie imprese legate al proprio territorio, le nostre aziende si rivolgono all’estero. La destinazione preferita è l’oriente europeo, entrato nelle cronache economiche dagli anni Novanta e che oggi conferma una centralità difficile da scalzare.
Il plumbeo quadriennio 2008-2012 ha soltanto rafforzato la spinta a Est delle nostre aziende, tra recessione, crisi economica, spread in ascesa costante e instabilità di governo. Con buona pace dei recenti dibattiti sulla deglobalizzazione. Su questo fronte un dato di partenza è inequivocabile. Il capitalismo export-led delle piccole e medie imprese è antropologicamente cambiato, dopo essere stato la base dell’apertura dei mercati globali dagli anni Settanta, garantendo al tempo stesso la sopravvivenza del mercato interno. Le imprese internazionalizzate hanno stravolto la geografia economica italiana ed est-europea. L’italiana Brugherio (sede storica della Candy del gruppo Fumagalli), la polacca Lodz (eletta a quartier generale dall’Indesit della famiglia Merloni) e la bulgara Sliven (che ospita il gruppo tessile piemontese Miroglio) sono alcuni nodi di una nuova rete trans-territoriale. Un capitalismo trasformato che per resistere è obbligato a puntare sui flussi internazionali della competenza, dell’innovazione e della conoscenza.
I fattori che rendono appetibile e sicuro il trasferimento delle produzioni in Europa orientale sono la diffusione di percorsi formativi specialistici, l’aumento del numero di lavoratori in formazione continua, i mercati interni in crescita e il rafforzamento delle istituzioni. L’Est europeo del 2012 decreta la morte di un mito: quello della specializzazione polarizzata tra produzione ad alta competenza controllata dai paesi avanzati e produzione di bassa qualità destinata ai paesi di delocalizzazione. L’Europa orientale offre scenari ben diversi dalla deregulation, dall’instabilità istituzionale e dalla scarsità di manodopera specializzata. In un mercato globale sempre più minato dalla crisi economica, l’80% delle imprese italiane che hanno intrapreso la via della delocalizzazione ha scelto paesi come Bulgaria, Polonia, Romania e Ungheria.
Qual è il profilo degli imprenditori che scelgono di puntare a Est? Per quanto il fenomeno sia di difficile mappatura - complice la penuria di analisi sistematiche di lungo periodo - alcuni indicatori utili esistono. Tra le aziende insediatesi oltre Adriatico, quelle con un fatturato superiore ai 2,5 milioni di euro sono 4 mila, sono di provenienza prevalentemente settentrionale e rappresentano un quinto della presenza imprenditoriale italiana nel mondo. A cambiare rotta scegliendo l’est sono le imprese che un tempo erano l’ossatura dello sviluppo industriale italiano basato sui distretti e sulle “tre C" - comunità, campanile, capannone - ben descritte da Aldo Bonomi. Queste aziende sono obbligate oggi a riconfigurare aspettative nazionali e progettualità globali.
Altro che legame con i luoghi. A vent’anni dall’apertura dei mercati dell’Est Europa, la geografia dei flussi produttivi e distributivi italiani va drasticamente cambiando. Le imprese nostrane radicate tra Balcani e spazio post-sovietico confermano che sta emergendo un capitalismo caratterizzato da nuove relazioni con i territori locali. Il punto critico è proprio questo. Qual è la proiezione strategica delle élites imprenditoriali che scelgono di delocalizzare? La questione dell’attitudine al rientro delle élites di impresa internazionalizzate resta innegabilmente aperta. I dati parlano chiaro: quasi nessuno fa ritorno. La stragrande maggioranza delle aziende italiane che scelgono di spostare a est i propri impianti produttivi porta via anche il capitale materiale e immateriale di competenze che hanno fatto grande il made in Italy. Cosa è accaduto? In un primo tempo la politica economica dei paesi ex sovietici ha cercato di attirare investimenti utilizzando dumping fiscale, tassi di cambio vantaggiosi, scarsi oneri sociali e deroghe nell’applicazione delle normative ecologiche. Negli anni più recenti invece ad attrarre i capitali italiani è stata anche l’emersione di un bacino di lavoratori sempre più professionalizzato e a basso costo. La crescita esponenziale delle competenze ad alta specializzazione ha trasformato l’Europa orientale da piattaforma di riesportazione in luogo di produzione e di consumo interno.
Questi elementi suggeriscono di porre più attenzione al rapporto tra delocalizzazione e impatto sul tessuto produttivo italiano. Dal recente saggio di Matteo Ferrazzi e Matteo Tacconi Me ne vado a Est emerge che l’internazionalizzazione non sempre comporta la perdita di posti di lavoro in Italia. I dati relativi al periodo 2002-2010, riguardanti tutto il comparto manifatturiero europeo, mostrano che soltanto il 10% della riduzione di occupazione è collegata direttamente alla delocalizzazione. Il 25% dipende invece dalla bancarotta dell’impresa e il 60% dalla ristrutturazione aziendale.
In questa prospettiva il sistema Italia deve affrontare le cause strutturali del suo tracollo, oltre la delocalizzazione. Alcuni grandi temi: incentivare la creazione d’impresa, alleggerire l’imposizione fiscale, puntare sulla capitalizzazione dei saperi terziari necessari alla competizione globale. Vale la pena ricordare che, dall’altro lato dell’Adriatico, il Kosovo, Stato neonato dalle finanze e dalle istituzioni malconce, dal 2009 ha dimezzato l’aliquota fiscale unica per le imprese dal 20% al 10%, a fronte dell’imposizione nostrana del 31,4%. Esodo italiano assicurato?

Fiat: Marchionne, c'e' almeno uno stabilimento di troppo in Italia
03 Luglio 2012 - 20:58
(ASCA) - Torino, 3 lug - La Fiat ha una sovracapacita' produttiva in Italia pari a uno stabilimento. Il mercato europeo rimarra' a questi livelli anemici per almeno 24-36 mesi e se il gruppo non sara' in grado di esportare per il mercato americano e quindi rendere i suoi stabilimenti competitivi con le esigenze di quel mercato l'azienda dovra' sacrificare un impianto. E' stato molto chiaro Sergio Marchionne, a margine della presentazione della nuova 500 L a Torino. Secondo l'amministratore delegato Fiat, ''se si guarda la domanda c'e' almeno uno stabilimento extra, bisognerebbe tagliarne uno. Fino a quando non riusciremo a trovare un accordo per mantenere un livello di tranquillita' industriale e usare i nostri asset per esportare in America diventa molto ma molto difficile guardare agli stabilimenti italiani come risposta per il mercato europeo''. Cosa significhi tranquillita' Marchionne l'ha spiegato prendendo ad esempio il recente accordo per la produzione della Vauxhall (Gm) in Gran Bretagna che prevede 51 settimane lavorative, tre turni e sabato obbligatorio quando lo richiede il mercato. eg/sam/

Fiat: la 500L da domani in produzione a Kragujevac
03 Luglio 2012 - 20:17
 (ASCA) - Torino, 3 lug - La Fiat 500L sara' in produzione da domani nello stabilimento serbo di Kragujevac, che da subito e' in grado di realizzarne 600 al giorno. Ma se ne realizzeranno 550 al giorno fino a fine anno con 2500 dipendenti impiegati a regime. Non sono stati indicati invece target di volume complessivi alla luce dell'incertezza di mercato di questi mesi. Un milione l'investimento di cui la meta' in sviluppo.
 Prezzo a partire da 15.550 euro. Lancio dalla seconda meta' di settembre in Italia con 2500 euro di vantaggio per i primi 2000 modelli della opening edition. E poi in altri cento paesi, a cominciare dall'Europa. Dal prossimo anno e' prevista la versione per il mercato Usa , che sara' prodotta sempre in Serbia, e a fine 2013 una versione lunga a sette posti. Lo ha sottolineato a Torino Olivier Francois, responsabile del marchio Fiat. Un'automobile nata per essere leader, ha sottolineato Francois, con caratteristiche di abitabilita', capienza, e versatilita'. Oltre trecento le combinazioni possibili di colore. Tra le curiosita' e' prevista tra gli optional anche una macchina per il caffe' espresso, al costo di 250 euro, realizzato con Lavazza.
eg/sam/

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