martedì 4 settembre 2012

(2) IV.IX.MMXII/


L'UNIONE SARDA - Economia: Povera, lenta e sofferente, ritratto di un'Isola che non c'è
L'UNIONE SARDA - Economia: Spesa, nell'Isola è più cara
L'UNIONE SARDA - Economia: Emergenza disoccupati
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Agricoltura, a rischio 60 milioni di fondi Ue
«Vanno in Calabria perché i lavoratori costano meno»
La Calabria terra di giovani imprenditori
Ue-17: a luglio prezzi produzione +0,4%


L'UNIONE SARDA - Economia: Povera, lenta e sofferente, ritratto di un'Isola che non c'è
04.09.2012
Un quarto del valore aggiunto prodotto in Sardegna compete alla Pubblica Amministrazione ma non risultiamo né tra i più efficienti né tra i più veloci nello smaltire le pratiche o soddisfare gli utenti. Addirittura siamo lontani dalla media nazionale per quanto riguarda la diffusione dei servizi pubblici via web. E se su ogni residente sardo pesa il macigno di 5.455 euro di spesa pubblica, su un lombardo ne gravano solo 2.500 (la media del continente si ferma sotto i 4 mila euro). Bella beffa per una regione che ha un apparato statale elefantiaco. Fosse solo questa la contraddizione che caratterizza la situazione socio-economica della Sardegna, in tempi di spending review forzata, sarebbe meno difficile del previsto invertire la rotta. Ma a guardare bene è il sistema nel suo insieme a regalare l'immagine di un'Isola in costante apnea, dove energia e trasporti penalizzano ogni comparto, portandosi dietro, in una spirale negativa, occupazione e capacità di fare impresa.
DOSSIER DEL CENTRO STUDI Si scopre così che a ogni sardo competono 19.609 euro di Prodotto interno lordo: quasi seimila in meno rispetto a un connazionale e, per dirla in termini regionali, quasi 13 mila in meno rispetto a un lombardo. Tradotto: in Sardegna si produce meno reddito. Ma i numeri, che spesso sono più “amari” delle analisi, mettono a nudo anche un altro aspetto della società sarda: il 21,1% delle famiglie è al di sotto della soglia di povertà (a livello nazionale l'asticella si ferma sull'11,1%). È il Centro Studi l'Unione Sarda, incrociando tutti gli ultimi dati a disposizione - dall'Istat in giù - a scattare una fotografia dell'Isola così come appare nel 2012. Un'Isola che non c'è.
SISTEMA IMPRENDITORIALE In Sardegna ci sono 88 imprese ogni 1000 residenti, una in più rispetto alla media nazionale e 5 in più rispetto alla Lombardia. Ma a fronte di un dato che può sembrare positivo, ce n'è uno che racconta la difficoltà che sta attraversando il tessuto imprenditoriale: nell'ultimo anno a disposizione (il 2011, fonte Movimprese) il tasso di crescita delle nuove imprese è stato dello 0,3%, inferiore al livello medio italiano che si è invece attestato sullo 0,8 (1,2 dalle parti di Milano). Uno zerovirgola che pesa come un macigno perché significa che nel Mezzogiorno e in Sardegna più che altrove la difficoltà di fare impresa è grande. Pesano i lacci burocratici, la giustizia lenta, la pressione fiscale (forse il primo male italiano), la mancanza di credito. Già, il credito, spina nel fianco delle imprese.
LE BANCHE Eppure di sportelli bancari ce ne sono. Eccome se ce ne sono. L'82% dei comuni è servito. Meglio di quanto avviene nel resto del Paese dove gli sportelli coprono il 72% dei comuni. Ma ogni 100 euro raccolti nell'Isola, è la conclusione, solo 118 euro rappresentano impieghi, ovvero linee di credito di ogni forma (mutui, prestiti, fidi, smobilizzo crediti e via dicendo) concesse da una Banca a chi vuole investire. La Sardegna, è l'amara conclusione del dossier del Centro Studi, non è un grosso attrattore di capitali esterni.
ENTRATE E SPESA PUBBLICA C'è da rimanere stupiti anche se si considera il residuo fiscale (differenza tra entrate tributarie e spesa pubblica regionale). Un esempio? Se un lombardo ha un residuo fiscale attivo di oltre 7 mila euro, un sardo lo ha negativo di oltre 2 mila euro. Fanno peggio di noi solo Basilicata, Valle d'Aosta e Calabria.
ESPORTAZIONI Non fosse per i prodotti legati al petrolio, la nostra bilancia commerciale sarebbe pure peggio di quel che è. Non è un mistero che le esportazione sarde si riferiscano a coke e prodotti petroliferi raffinati per l'83% del totale. Nel 2011 la Sardegna ha esportato merci per 5,3 miliardi di euro e ne ha importato per 10 miliardi. Il saldo è quindi negativo per 4,8 miliardi.
AGROALIMENTARE Appena il 13,9% dell'export regionale prescinde dal petrolio e appena il 2,4% delle vendite totali rappresenta l'agroalimentare. Eppure è lì che si nasconde una bella fetta delle nostre eccellenze. Non stupirà, dunque, sapere che dipendiamo dall'estero molto di più che altri nel senso che la produzione interna di alimenti e bevande al netto delle materie prime utilizzate (considerata come somma del valore aggiunto di agricoltura e industrie alimentari) sembra non basti, al punto che importiamo 2.204 milioni di prodotti alimentari contro una produzione interna pari a 1.386 milioni di euro. Grado di autosufficienza alimentare basso. Livello di dotazione infrastrutturale, pure.
LE INFRASTRUTTURE Spiega il Centro Studi: fatto 100 il livello delle infrastrutture medio nazionale, la Sardegna si colloca appena sopra il 50%. Amen. Emanuela Zoncu

L'UNIONE SARDA - Economia: Spesa, nell'Isola è più cara
04.09.2012
I cagliaritani ogni anno sborsano 300 euro in più
Ascolta la notiziaIn Sardegna la convenienza non è di casa. Secondo uno studio di Altroconsumo sulla spesa nei super e negli ipermercati, l'Isola, con Cagliari e Sassari, si colloca tra le regioni più salate. Il capoluogo sardo raggiunge addirittura la quarta posizione in Italia, con una spesa media per famiglia da 6601 euro all'anno. L'INDAGINE Gli alimentari e i prodotti per l'igiene personale e per la casa si prendono il 20% del bilancio totale annuale familiare: per l'Istat in Italia si tratta in media di 6.372 euro all'anno. Quindi, spiegano da Altroconsumo, approfittare dei margini di risparmio offerti da sconti, primi prezzi o scegliendo gli hard discount per trovare i prodotti non di marca, può far risparmiare ben 3.500 euro in un anno. I risultati emergono dal ventitreesimo report annuale di Altroconsumo che fotografa le dinamiche concorrenziali nella grande distribuzione all'interno di 61 città italiane, da Bolzano a Palermo, stilando la classifica della convenienza nella spesa degli italiani. Lo strumento di valutazione è l'indice di convenienza, ottenuto registrando 898 mila prezzi in 950 punti vendita, 162 ipermercati, 603 supermercati e 185 hard discount.
LA CLASSIFICA Sulla base dell'indice è stata formata una classifica delle diverse città. «Nel valutare i diversi scenari di acquisto e di risparmio sono stati creati dei carrelli-tipo, sia considerando 531 prodotti di marca, freschi, di ben 104 tipologie diverse (come biscotti, frutta, detersivi, bibite), sia scegliendone la versione a scaffale più economica in assoluto», si legge nello studio. «L'indice più basso, base 100, è stato assegnato al punto vendita in assoluto meno caro, trovato ad Arezzo».
IL RISPARMIO La concorrenza tra diversi punti vendita in città gioca, in termini di risparmio, a favore del consumatore. «È quello che succede a Pisa, dove la spesa media è la più bassa di tutte le 61 città analizzate: 5.969 euro, seguita da Firenze e Verona. La più cara è Aosta (6739 euro), che si accompagna a Catania (6634 euro) e Siracusa (6602 euro)». Ma più alta è la sfida tra prezzi a scaffale, più bassi diventano i prezzi. E così la possibilità di risparmio - la forbice della spesa tra il punto vendita più caro e meno caro - aumenta. «È quanto registriamo in Toscana, Umbria e Veneto, Emilia Romagna. Pecore nere: Trentino, Val d'Aosta, il centro-sud e le isole maggiori, dove invece langue la battaglia tra insegne», conclude l'indagine. A Cagliari la differenza tra punti vendita consente risparmi fino a 692 euro annui. A Sassari, invece, dove la spesa costa 6531 euro all'anno, si possono risparmiare solo 379 euro. Lanfranco Olivieri

L'UNIONE SARDA - Economia: Emergenza disoccupati
04.09.2012
In un anno persi più di 3mila posti di lavoro
Ascolta la notiziaPiù di tremila disoccupati in più, circa mille solo registrati a Cagliari, grosse difficoltà per le donne a trovare un'occupazione, con le aziende che ricorrono sempre di più al precariato. Assomiglia a un bollettino di guerra il rapporto sul mercato del lavoro, realizzato dall'Osservatorio provinciale in collaborazione con l'agenzia regionale del Lavoro.
I NUMERI Basti pensare che in due anni gli iscritti ai Centri servizi lavoro sono aumentati di circa diecimila unità: da 114 a 125 mila nuove persone, tutte o quasi in cerca di occupazione. Incremento determinato dall'aumento dei senza lavoro, visto che gli inoccupati, cioè coloro che non hanno mai svolto attività lavorativa, sono in leggero calo. Anche se in tanti pensano che ormai laurearsi non serva più come un tempo, in realtà la quota più cospicua di disoccupati e inoccupati, sia uomini che donne, è composta da quelli con la licenza media (45,9%). Poi ci sono i diplomati (27,7%), quelli in possesso della licenza elementare (11,4%) e solo all'ultimo posto i laureati (6,1%).
I PRECARI Un dato uscito fuori dal rapporto annuale ha dell'incredibile: ben il 72,8% dei rapporti di lavoro avviati nel 2011 si è concluso entro la fine dell'anno. Insomma, il fenomeno della precarizzazione è sempre più rilevante, anche in considerazione del fatto che gli avviamenti a tempo indeterminato raggiungono appena il 19,8% del totale.
I SETTORI IN CRISI Il rapporto negativo tra assunzioni e cessazioni è dovuto quasi totalmente al crollo occupazionale di tre settori, che perdono più di mille posti di lavoro a testa: costruzioni, commercio e industria. Vanno un po' meglio, ma comunque in perdita, altri comparti come noleggio e servizi alle imprese, trasporti e pubblica amministrazione.
CHI STA BENE Un segnale positivo, invece, è stato registrato dai servizi alle famiglie, seguito dal settore dell'istruzione. Modesti gli altri comparti dove l'indice è all'insù: attività professionali, sanità, gestione di acque fognarie e rifiuti, hanno riscontrato un trend positivo di circa 100 assunzioni.
I PIÙ RICHIESTI Tra le figure professionali hanno ricevuto molte assunzioni gli addetti alle pulizie, i docenti di tutti i cicli di studio (con prevalenza per gli insegnanti delle elementari), e poi operatori di call center, assistenti domiciliari, impiegati amministrativi, addetti alle vendite al dettaglio, conducenti di veicoli, manovali e camerieri. Piercarlo Cicero

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Agricoltura, a rischio 60 milioni di fondi Ue
04.09.2012
CAGLIARI Mentre la spesa ristagna si rischiano di perdere quote dei fondi europei. Lo denuncia la Copagri. «La Sardegna è al terzultimo posto in Italia per la spesa dei fondi europei destinati all’agricoltura; fanno peggio solo Basilicata e Molise». Lo denuncia il presidente della Copagri Ignazio Cirronis nel sottolineare che l’isola «deve realizzare ancora, entro la fine dell’anno, una spesa pubblica di 135.143.000 euro». Se questo no avvenisse, secondo la Copagri, ci sarebbe il serio pericolo del disimpegno automatico di fondi comunitari per oltre 60 milioni di euro, pari al 10,46%. «Questo elemento riconferma per la nostra Regione l’importanza dei fondi comunitari»,aggiunge il coordinatore della Copagri, Pietro Tandeddu, «non solo ai fini del sostegno del reddito ma, in considerazione delle carenti risorse del bilancio ordinario e del contesto di crisi generale, la loro importanza per un aumento di competitività strutturale delle aziende». La Copagri mette sotto accusa la politica regionale: «Siamo stupiti Stupiti dalla scarsa attenzione e dall’impegno della Regione per la contrattazione delle migliori condizioni per l’isola nella definizione della nuova politica comunitaria per il periodo 2014-2020, ma soprattutto l’inefficienza nella spesa delle risorse disponibili per l’attuale fase di programmazione 2007-2013». E’ quello della spesa che va al rallentatore un tema in discussione anche all’assessorato alla Programmazione. «Esaminando l’andamento della spesa nell’anno», è la tesi della Copagri, «si evince che in sei mesi la Sardegna ha speso 23.693.000 euro e cioè nemmeno 4 milioni di euro al mese. «Se il trend di spesa dovesse rimanere questo, entro il 31 dicembre la Regione realizzerebbe un’ulteriore spesa per soli 20 milioni lasciando fermi 115 milioni di euro con la perdita di oltre 51 milioni di euro di fondi comunitari», conclude Tandeddu chiedendo alla Regione «un cambio di passo».

«Vanno in Calabria perché i lavoratori costano meno»
Almaviva potenzia Rende, sindacati romani in rivolta
Indette 4 ore di sciopero contro la decisione di chiudere la sede della società nella Capitale, con la cassa integrazione per 632 dipendenti. I sindacati: «Chiudono a Roma per assumere 250 persone in provincia di Cosenza, dove ci sono sgravi e il personale viene inquadrato a livelli più bassi». Ed è ancora bufera per il colosso dei call center che ha rilevato Intersiel
di ANDREA GUALTIERI
HANNO indetto anche uno sciopero di quattro ore. Perché, dicono, non si può andare al Sud dove il lavoro costa meno. I Cobas di Roma sono in rivolta per il caso di Almaviva, il colosso italiano del settore di Information&Technology che ha tra le sue sedi anche Rende, in provincia di Cosenza. E proprio lì, ora, il ramo dell'azienda che si occupa di assistenza clienti tramite call center ha annunciato un piano da 250 assunzioni. Nello stesso tempo, però, a Roma chiude la sede di Via Lamaro ribattezzata Almaviva contact, con la richiesta di cassa integrazione per 632 dipendenti. E il sindacato insorge, denunciando lo «spostamento di numerosi servizi nelle sedi del Sud, dove il costo del lavoro risulta molto più basso grazie ai vari sgravi contributivi e fiscali e agli incentivi regionali previsti dall’attuale normativa».
C'è una commessa della Tim che «è già di fatto trasferita» a Rende, secondo quanto denuncia in un'intervista al Manifesto Alessio Guarnaccia della Rsu Cobas. Commenta il sindacalista: «E' evidente che l’obiettivo è quello di liberarsi di operatori più costosi rispetto a quelli del Sud, e che non usufruiscono più di incentivi. A Rende, invece, a parte il peggioramento contrattuale, Almaviva godrà di sgravi fiscali e contributivi grazie alle nuove assunzioni, e di incentivi regionali. Mentre noi veniamo scaricati sull’Inps: soldi pubblici usati praticamente per licenziare».
Altre commesse di Eni e Mediaset sarebbero state invece trasferite a Catania e Milano. Ma è Rende che rischia di far esplodere il caso. In Calabria, infatti, secondo quanto dichiara sindacalista, Massimiliano Montesi sindacalista anche lui ma sotto la sigla della Slc Cgil «non solo si usufruisce di sgravi, ma si inquadrano gli operatori al secondo livello contro il nostro terzo o quarto, sono previsti 6 mesi di prova invece di 3, e ci sono norme peggiorative riguardo al controllo individuale». E così martedì 4 settembre i lavoratori scenderanno in piazza su invito dei Cobas, per protestare contro la politica di decentramento che, di fatto, rischia così di innescare una guerra tra poveri. In Calabria, infatti, l'azienda sbarcò nel 2006 rilevando ciò che restava dell'esperienza di Intersiel, per la quale Roberto Barletta, primo amministratore delegato di Almaviva Sud, ebbe parole molto dure, dichiarando che si ereditava «dopo anni di politica non lungimirante della precedente proprietà e per la colpevole assenza delle istituzioni locali, una situazione drammatica». Ma ora la coperta troppo corta rischia, allungandosi a Sud, di lasciare esposte altre zone di disagio.
03 settembre 2012 18:52

La Calabria terra di giovani imprenditori
Il record da uno studio di Confcommercio
E' la regione prima in Italia. Tra le province la sola Crotone è nelle prime venti nella graduatoria nazionale. Il Gruppo Giovani Imprenditori Confcommercio Catanzaro ha  analizzato «le evoluzioni intercorse nel numero di titolari ed amministratori Under 30 attivi in Italia e in Calabria a Giugno 2012 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso ed al 2008»
di GIACINTO CARVELLI
CATANZARO - In Calabria, l’imprenditoria è giovane e, più  precisamente, under 30. A sancirlo sono i dati forniti dall’Ufficio   studi del Gruppo Giovani Imprenditori Confcommercio Catanzaro, che prendendo come base le informazioni fornite da Datagiovani, ha  analizzato «le evoluzioni intercorse nel numero di titolari ed amministratori Under 30 attivi in Italia e in Calabria a Giugno 2012 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso ed al 2008».
Il dato di partenza è stato il monitoraggio  a livello nazionale, così come si legge nella nota del vice presidente Vitaliano Castagna,  «di una flessione di circa 50 mila titolari e amministratori d’impresa Under 30 in meno rispetto al 2008, con il Nordest che più di ogni altra area geografica ha sofferto maggiormente questa tremenda emorragia (-18% dall’inizio della crisi)».
Per una volta, invece, i dati calabresi sono in contro tendenza, tanto da  registrare una percentuale di Under 30 maggiore rispetto tutte le altre regioni. L’aumento registrato non è da poco, attestandosi al 7,8%, ben superiore a quello del Sud, dell’1,3% rispetto al Sud e del 2,7% rispetto alla media nazionale.
Ragionando in termini di numeri secchi,  gli under 30 in Calabria sono 13.087, il 7,8% sul totale degli amministratori e titolari d’impresa totali. Questi dati pongono la regione in testa alla classifica nazionale, nonostante il fatto che, rispetto al 2011 ci sia stata una flessione  del -3.5% rispetto lo stesso periodo del 2011,  e, addirittura, del  -9.6% rispetto il 2008.
04 settembre 2012 08:12

Ue-17: a luglio prezzi produzione +0,4%
Prezzi prodotti energetici salgono mediamente dell'1,6%
04 settembre, 11:00
(ANSA) - BRUXELLES, 4 SET - I prezzi alla produzione industriale sono aumentati a luglio, rispetto al mese precedente, dello 0,4% nella zona euro e nell'Ue-27. Anche in Italia sono saliti dello 0,4%. Lo ha reso noto Eurostat. A giugno erano scesi rispettivamente dello 0,5% e dello 0,8%. A incidere sulla dinamica dei prezzi, l'aumento registrato dai prodotti energetici: in media piu' 1,6% in Eurolandia, piu' 1,3% nell'Ue. Su base annua si segnala un aumento dei prezzi dell'1,8% nella zona euro e dell'1,5% nell'Ue-27.


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