venerdì 7 settembre 2012

(2) VII.IX.MMXII/ Volentieri me metterebbe’ a ride’, de gusto, ma purtroppo e’ tutto vero.


De Filippo: "Sulle estrazioni non molleremo di un millimetro"
Crisi: in Basilicata inflazione al 5,2%
L'UNIONE SARDA - Economia: «Settembre riequilibrerà i conti»
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Ora su Alcoa riparte la trattativa finale
Saline, la Regione si schiera contro il Governo
Caserta. Autunno nero: chiudono mille negozi
Il premier stamane a Bari
Bozen, oltrepadania. Veneti contro l’autonomia, Napolitano zittisce tutti


De Filippo: "Sulle estrazioni non molleremo di un millimetro"
Il presidente De Filippo: "No ad accanimento sulla Basilicata"
07/09/2012  La Basilicata, in tema di petrolio e di estrazioni, "ha ampiamente dato il suo enorme contributo al Paese, e continua a darlo", e "non è l'unica regione in cui sono possibili le coltivazioni petrolifere": "l'accanimento" verso questo territorio, con nuove concessioni "rappresenterebbe quindi un accanimento improprio e ingiusto" e su questa posizione "la Regione non arretrerà di un millimetro". Lo ha detto il governatore lucano, Vito De Filippo, in una conferenza stampa.

Crisi: in Basilicata inflazione al 5,2%
Rilevazione Unioncamere: i lucani penalizzati da aumento prezzi
07/09/2012  La Basilicata continua a essere la regione meridionale piu' penalizzata dall'aumento dei prezzi, in particolare per l'energia, con una conseguente erosione del potere d'acquisto delle famiglie: tra gennaio e giugno, infatti, l'inflazione lucana e' stata in media del 5,2%, quasi due punti in piu' rispetto a quella italiana (3,3%). E' quanto e' emerso dalla rilevazione sull'inflazione in Basilicata nel primo semestre 2012, realizzata dal Centro studi Unioncamere.

L'UNIONE SARDA - Economia: «Settembre riequilibrerà i conti»
07.09.2012
I turisti hanno voltato le spalle alla Sardegna. Ma il calo delle presenze (-7,1%), tra luglio e agosto, non preoccupa l'assessore regionale del Turismo, Luigi Crisponi. «Settembre è ancora un cantiere aperto e sicuramente riequilibrerà la bilancia turistica dell'Isola».
I TURISTI ITALIANI La colpa della debacle, come confermato dall'indagine di Federalberghi, è dovuta agli italiani. «Ricordo che rappresentano l'80% del nostro flusso turistico», osserva Crisponi. «È dunque chiaro che se viene a mancare questa componente, il risultato generale non può essere positivo». Di certo, aggiunge Crisponi, «le manovre economiche del governo Monti non hanno aiutato la stagione». L'assessore del Turismo mostra però soddisfazione rispetto ai dati dei vacanzieri stranieri: «Abbiamo scaldato il cuore di moltissimi europei, con interventi mirati nel Vecchio continente».
L'INDAGINE Forse, anche per questo l'Isola è entrata nella top ten delle preferenze dei turisti a settembre. «La stagione estiva sta volgendo al termine», si legge in una indagine del motore di ricerca on line Trivago, «ma c'è chi, non avendo ancora trascorso le proprie vacanze al mare, ha deciso di partire a settembre per risparmiare e godersi un soggiorno meno affollato del solito: una tendenza, questa della destagionalizzazione», continua Trivago, «sempre più in crescita negli ultimi anni».
LE METE PIÙ AMBITE Dunque, quest'anno (rispetto al 2011) è aumentata del 10% la ricerca verso le destinazioni marine. Sul podio della classifica di Trivago.it si posizionano Rimini e Riccione al primo e terzo posto, con Ischia a incalzare in seconda posizione la regina della riviera romagnola. «Un dato che conferma», spiega l'indagine, «l'eccezionale stagione estiva dell'isola campana, tra le mete più ricercate da turisti italiani e stranieri nel 2012». A seguire ci sono Vieste in quarta posizione, Lido di Jesolo in quinta, San Vito Lo Capo in sesta e Gallipoli in ottava. LA SARDEGNA Al settimo posto c'è la prima delle due mete sarde, Alghero, che assieme a Villasimius (nona classificata) permette alla Sardegna di recuperare terreno rispetto al resto della stagione estiva, non particolarmente esaltante. In ultima posizione c'è l'isola siciliana di Lampedusa.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Ora su Alcoa riparte la trattativa finale
07.09.2012
CAGLIARI Improvvisa accelerazione su Alcoa: oggi, anche se in modo informale, a Roma riparte il negoziato sul caso sindacale più caldo d’Italia. Quella di ieri è stata una giornata preparatoria molto difficile, tra annunci imprenditoriali e polemiche politiche. La giornata si è aperta con l’annuncio ufficiale del ministero per lo sviluppo economico: Passera e il sottosegretario De Vincenti hanno informato rispettivamente il Senato e la Camera dell’interessamento di Glencore e di Klesch per l’acquisizione da Alcoa della fabbrica dell’alluminio di Portovesme. E il sottosegretario, rispetto al pessimismo manifestato dal ministro due giorni fa, si è detto ottimista. Oggi sarà il presidente della Regione, Ugo Cappellacci, a sondare due delle parti: Glencore e Alcoa. In due distinti incontri nella capitale, il governatore dovrà verificare l’effettiva disponibilità di Alcoa di vendere (e non di chiudere, come molti sospettano) lo stabilimento sardo e l’effettiva volontà di Glencore di rilevare l’impianto senza dettare condizioni che il ministero ha già bocciato. Ieri sera Cappellacci ha avuto altri incontri a Roma, dei quali non sono state però fornite notizie. Sulle condizioni della trattativa ieri De Vincenti ha fatto un’affermazione che può essere giudicata un contributo di chiarezza verso il negoziato. Con una lettera a Glencore, il sottosegretario ha ribadito la posizione del ministero. In merito al costo dell’energia, il Mise chiarisce di aver chiesto alla Commissione europea la proroga di tre anni (2013-2015) della misura cosiddetta di «superinterrompibilità» e di prevedere per i successivi dodici anni (6+6) misure che producono un analogo contenimento dei costi energetici (per esempio, il contratto di «interconnector» combinato con l’interrompibilità semplice). Per quanto riguarda il secondo punto, quello delle problematiche occupazionali, la lettera del Mise evidenzia che la legislazione italiana di tutela del reddito dei lavoratori è «integralmente applicabile» anche ai dipendenti Alcoa eventualmente considerati eccedenti per consentire il recupero di efficienza dell’impianto. Il negoziato riparte in un clima sindacale molto acceso. Riferendosi anche ad Alcoa, il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, si è detta preoccupata per quello che potrebbe riservare il prossimo «autunno caldo». A surriscaldare il clima ci si è messa ieri, però, la sua collega del Lavoro, Elsa Fornero, che ha dichiarato: «Il governo non deve dare garanzie sui posti di lavoro, ma assisterà i lavoratori». Nel senso che, ha spiegato, la recente riforma punta sulla «occupabilità» e non sulla tutela degli attuali posti. Le reazioni polemiche sono state immediate, Fassina ha chiesto scusa per il ministro agli operai sardi. Nel dibattito sono intervenuti sindacalisti nazionali e tra i politici anche numerosi rappresentanti dei partiti che sostengono il governo Monti. In serata, Cappellacci ha protestato con il premier chiedendogli di invitare i ministri a evitare esternazioni e ad attenersi alla unica linea del governo. Il caso Alcoa è ormai al centro dell’attenzione nazionale. Ieri è stato citato anche da Napolitano, interpellato a Venezia sui temi del lavoro. E alle vertenze del Sulcis ha fatto riferimento Susanna Camusso in un’intervista a «L’Espresso», da oggi in edicola. Il segretario della Cgil ha spiegato che «non si può pensare solo agli ammortizzatori, occorre difendere le produzioni e i posti di lavoro». Ha auspicato una «vera politica per l’energia» e un intervento straordinario di tutela delle attività produttive per accompagnarle fuori dalla crisi». Ieri, per un lutto familiare dell’assessore all’industria Alessandra Zedda, è saltato l’incontro della giunta regionale con i sindacati sulla Carbosulcis. Si terrà la prossima settimana. Mentre ieri all’incontro con i sindacati in prefettura è stato ribadito il termine di 4 settimane per il piano Carbosu lcis. Per martedì prossimo è stato convocato dalla presidente Claudia Lombardo il Consiglio regionale. Dopo l’esame della leggina sulla proroga dei precari dei centri per il lavoro sino al 31 dicembre 2012, la seduta sarà dedicata alle dichiarazioni di Cappellacci e al dibattito sulla crisi industriale nell’isola.

Saline, la Regione si schiera contro il Governo
Impugnato il via libera alla centrale a carbone
Non è reputata convincente la valutazione di compatibilità ambientale per il progetto della società Sei che vuole realizzare un impianto termoelettrico. Scopelliti: «Quell'area è già stata emblema in passato di una beffa nazionale, ora diamo seguito a quanto disposto dal Consiglio regionale»
LA Regione Calabria ha impugnato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri relativo all’autorizzazione per la costruzione di una centrale a carbone a Saline Joniche, in provincia di Reggio Calabria.   Il governatore Giuseppe Scopelliti – informa una nota dell’Ufficio stampa della Giunta regionale – ha dato mandato agli avvocati Paolo Arillotta e Benito Spanti di impugnare il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15 giugno scorso con il quale è stata decretata la compatibilità ambientale e l’autorizzazione all’utilizzo del progetto della società Sei (Saline Energie Ioniche) spa per la costruzione di una centrale termoelettrica a carbone.
 «Così come avevamo più volte evidenziato – ha detto, in una dichiarazione, il presidente Scopelliti – la Regione Calabria procede sulla linea tracciata dalla maggioranza e dal Consiglio regionale. Il territorio in questione è già stato nel tempo emblema di una beffa perpetrata dal Governo nazionale. Il Consiglio regionale aveva votato all’unanimità un ordine del giorno in cui mi investiva ufficialmente e formalmente del problema. Il ricorso rafforza la nostra volontà di dare una prospettiva all’area».
La realizzazione dell’impianto – secondo la giunta regionale – si pone in «insanabile contrasto» con tutti gli atti di programmazione che la Regione ha approvato dal 2005 ad oggi ed in basi ai quali è fatto divieto in Calabria, la cui produzione energetica è in esubero rispetto al fabbisogno regionale e contribuisce attivamente alle necessità del sistema energetico nazionale, di installare altre centrali oltre quelle già assentite. Negli stessi atti, è formulata opzione a vantaggio dei sistemi di produzione di produzione energetica attraverso l’utilizzazione delle fonti rinnovabili, «in assoluta coerenza - fanno notare da Palazzo Alemanni - alle politiche nazionali di recepimento delle direttive comunitarie. Inoltre la valutazione operata dal Governo contrasta con le ulteriori scelte di politica regionale e che hanno portato a formulare richiesta di finanziamento per la bonifica del sito ex LiquiChimica per la sua utilizzazione turistica, sicuramente più aderente alla vocazione naturale del territorio».

Caserta. Autunno nero: chiudono mille negozi
Crollo del commercio e pesante scenario aell'economia casertana già alle prese con 22 mila in cassa integrazione
CASERTA — Sarebbero un migliaio le imprese casertane, soprattutto commerciali, destinate a non riaprire dopo la pausa estiva. Andranno ad aggiungersi alla desertificazione industriale della provincia, con i sei milioni di metri quadri di attività dismesse, e ai 22 mila lavoratori in cassa integrazione. È una fotografia allarmante, ma tutt'altro che inattesa, quella dell'economia casertana in questa ripresa post estiva.
CONFESERCENTI - Secondo i dati forniti dalla Confesercenti, delle centomila imprese operanti in provincia (di cui 34 mila nel settore commercio) quasi il 10% non riaprirà dopo le ferie estive. «Agosto è stato un mese difficile e non poteva essere diversamente visti i mesi che lo hanno preceduto», ha detto Maurizio Pollini, presidente Provinciale della Confesercenti. «E il dato - ha aggiunto - è da considerarsi preoccupante se si considera che la crisi va anti dal 2008 e che gli imprenditori che operano nel nostro territorio vivono anche le difficoltà dell'emergenza rifiuti, della criminalità organizzata e della microcriminalità, della forte concentrazione nell'asse Caserta Sud/Napoli Nord della grande distribuzione».
CISL - In un documento-denuncia ieri anche la segreteria provinciale della Cisl, il sindacato guidato da Carmine Crisci, ha ricordato che «ormai l'area del disagio sociale cresce vertiginosamente e si alimenta di nuovi ceti, quelli una volta medi, sempre più impoveriti». Da tempo, si legge nella nota, è iniziato un processo di deindustrializzazione di fronte al quale il sindacato registra il «silenzio assordante» delle istituzioni: Comuni, Provincia, Regione, ma anche l'Asi e la Camera di Commercio. Ed è un quadro in cui c'è spazio anche per il fenomeno delle grosse speculazioni. «Due esempi per tutti - ha citato Crisci -: l'area dell'ex Tabacchificio dell'ATI di San Maria Capua Vetere, molto appetita perché limitrofa alla variante Anas e al nuovo casello dell'A1, nella quale si stanno allocando abitazioni private e centro commerciale; l'area ex 3M in cui il Consorzio Socratis, il Comune di San Marco Evangelista e l'Asi continuano a frazionare l'area mentre non si vedono sorgere le attività di cui all'Accordo di programma, peraltro non ancora finanziato né nella parte regionale né in quella nazionale, che avrebbe dovuto re-industrializzare il sito recuperando i lavoratori Ixfin, 3M, Costelmar e Finmek attraverso nuovi progetti produttivi». La Cisl è anche tornata a chiedere un tavolo di concertazione contro la crisi, ricordando le altre vertenze aperte: Firema, Jabil, DSM, Ixfin, Texas, Ucar, Unica.
CGIL - Anche dalla Cgil, la segretaria Camilla Bernabei ha chiamato in causa l'inerzia della politica e delle istituzioni: «Al rientro dalla pausa estiva ci ritroviamo allo stesso punto di prima: un blocco completo di tutte le situazioni aziendali ed industriali di questo territorio. Ma quello che è peggio è che non registriamo alcuna assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni. La manifestazione di ieri della Ixfin è l'emblema di questa crisi: non si procede all'accordo di programma e non si sollecita la messa in azione di una cassa integrazione che è stata firmata addirittura a febbraio. Così siamo destinati ad andare alla deriva».
Antonella Palermo

Il premier stamane a Bari
Monti: «Cresci, Sud Non amo i proclami ma gli atti»
di GIUSEPPE DE TOMASO
È dal 2008 che un presidente del Consiglio non inaugura la Fiera del Levante. Il professor Mario Monti è consapevole dell’attesa che c’è a Bari e in tutto il Mezzogiorno per il discorso d’apertura che terrà stamane nel teatro Petruzzelli. «Ho tenuto molto ad esserci - dice il premier alla Gazzetta - anche se ho letto - il riferimento è al sindaco di Bari Michele Emiliano - che sarebbe stata più gradita la mia presenza il giorno 8. La verità è che c’era un impegno preso precedentemente: da un anno, infatti, era stata fissata per l’8 settembre la mia partecipazione al convegno di Cernobbio, cui parteciperanno parecchi capi di governi».

È decisiva la ripresa del Mezzogiorno, per assicurare la crescita economica. Lei che pensa: ce la può fare solo il mercato o è necessario un costante intervento della mano pubblica?
Il Mezzogiorno è una componente essenziale dell’economia italiana. Lo abbiamo dichiarato sin dall’inizio. La crescita del Mezzogiorno serve all’Italia e all’intera Europa. All’Italia perché c’è nel Sud un vasto potenziale inutilizzato, all’Europa perché il progetto europeo è fondato anche su un obiettivo di coesione territoriale. Per raggiungere questo risultato l’intervento pubblico serve certamente, non, come purtroppo a lungo accaduto, per compensare con gli aiuti costi di produzione troppo alti, o per creare posti di lavoro fittizi, ma per assicurare al Mezzogiorno una qualità di servizi pubblici pari a quella del resto del paese. Tengo molto a sottolineare che il Sud è anche industria. Industria capace di creare occupazione e, per questa via, unire crescita e inclusione sociale. Quel che occorre potenziare è la proiezione internazionale dell’economia meridionale. Le esportazioni rappresentano da sempre il volano dell’intera nostra economia, povera di materie prime. Oggi rappresentano anche la principale componente dinamica della domanda. Il Mezzogiorno, con il 35% della popolazione italiana, alimenta solo il 15% di queste esportazioni. Bisogna, e questo è possibile, fare di più. Ci vuole sostegno ma non assistenzialismo perché solo con la ricerca e l’innovazione si riesce a vincere la sfida della globalizzazione.

Lei qualche anno fa a Napoli disse che il Mezzogiorno respira con due polmoni: quello mediterraneo e quello europeo...
Sono sempre stato convinto che una parte dei problemi del Sud si può risolvere utilizzando al meglio l’opportunità europea. Credo che il dna del mio governo sia il più europeo fra quelli che hanno guidato l’Italia.

Lei proviene dal profondo Nord, da Varese, terra a forte impronta leghista, nelle cui vicinanze sono nati uomini come Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni, che insieme al trentino De Gasperi, hanno fatto per il Sud molto più di parecchi politici meridionali. Ma non tutto il Nord ha seguito la loro lezione.
Ho sempre pensato che la forza dell’Italia stia nella sua integrazione. Per anni sono stato rettore e presidente della Università Bocconi, roccaforte della borghesia milanese, da dove sono state avviate specifiche politiche di comunicazione e agevolazioni nelle città meridionali. Il che ha fatto crescere il numero degli studenti bocconiani provenienti dal Mezzogiorno. Ero convinto che il giovane studente settentrionale avrebbe avuto una formazione più ricca e completa se nella stessa aula avesse incontrato studenti meridionali. E viceversa.

Sulla scia di questa filosofia non ha designato un ministro per il Mezzogiorno?
Il Sud non è una categoria minoritaria da tutelare. Opera il ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca. La Lega Nord, all’inizio, ha criticato il fatto che non ci fosse il ministro per il federalismo, e che ci fosse il ministro per la coesione. Invece, era il nostro obiettivo. Per ricoprire questo ruolo abbiamo scelto la persona, Barca appunto, che in Europa è considerata la più autorevole in materia di fondi strutturali e regionali. Con Barca e Moavero, ministro per gli affari europei, che è il connettivo più esperto ed efficace che si possa immaginare per avvicinare le richieste dei ministri alle opportunità di Bruxelles, l’asse Mezzogiorno-Europa è incardinato al meglio. Ricordo, invece, che quando ero commissario alla concorrenza e mi occupavo di aiuti di Stato, spesso era una pena assistere alla disconnessione totale tra le menti e le burocrazie italiane e europee. Ogni tanto mi si chiede di proporre un patto per il Sud. Benissimo. Si può fare. Ma io preferisco gli atti concreti alle manifestazioni verbali ed esortative.

La crisi è pesante, però il piano per il Sud (infrastrutture) predisposto dal precedente governo sembra sempre sul punto di partire, ma di fatto sembra fermo al palo. Perché?
Il governo ha a cuore l’economia del Mezzogiorno. Abbiamo lanciato, d’intesa con la Commissione Europea e le Regioni, il Piano di Azione Coesione che ha già trovato traduzione nella riprogrammazione di circa 5 miliardi di euro di fondi comunitari a favore della scuola, dei servizi di welfare, delle ferrovie, dell’agenda digitale. Ed è stata impressa una significativa accelerazione alle delibere con cui il CIPE programma il Fondo Sviluppo e Coesione: sono stati sbloccati, da novembre a oggi, circa 12 miliardi di euro destinati ad investimenti pubblici nel Mezzogiorno. Si è sostituita alla pioggia di interventi di natura emergenziale una ragionata individuazione di poche priorità, ma immediatamente cantierabili e dotati dei finanziamenti necessari.

Molti imprenditori del Mezzogiorno lamentano la stretta creditizia. Cosa dirà loro alla Fiera del Levante?
Il tema del credito e della liquidità delle imprese è al centro dell'attenzione del Governo. Il primo provvedimento importante proprio su questo fronte - la ricapitalizzazione del Fondo Centrale di Garanzia per 400 mln di euro all'anno per i prossimi 3 anni - è contenuto proprio nel Salva Italia. È una misura che consente di attivare credito garantito per circa 20 miliardi di euro all'anno. Per le sole regioni del Sud si aggiunge un secondo fondo mirato il cui utilizzo abbiamo sbloccato. È stata inoltre individuata la strada per avviare lo smobilizzo della grande massa di debito commerciale scaduto e far arrivare dunque liquidità alle imprese. Si tratta di un'operazione complessa, ma le certificazioni da parte delle imprese sono in corso. Una volta ottenuta la certificazione dall'amministrazione competente (entro massimo 60 giorni) l'impresa può farsi liquidare il titolo dalla banca (anche tramite la garanzia del Fondo Centrale di Garanzia) oppure scegliere di compensarlo con un debito iscritto a ruolo. Il Dl Crescita contiene invece la riforma fondamentale della finanza di impresa, da subito operativa, che crea maggiore competizione fra credito bancario e finanziamenti sul mercato dei capitali e permette alle Pmi di usufruire di risorse prima inaccessibili (perché riservate, ad esempio, ad aziende quotate). Va ricordata infine, sempre nel Dl Crescita, la misura che facilita la finanza interinale nel concordato fallimentare, consentendo alle imprese di accedere a nuove risorse.

Perché gli stranieri non investono in Italia, e in particolare al Sud?
Non è solo un problema di criminalità organizzata come spesso si crede. A frenare gli investimenti nel nostro Paese e nel Mezzogiorno in particolare sono l’intercertezza amministrativa e i tempi della giustizia civile. Il rigassificatore di Brindisi aveva trovato un grande investitore come British gas, ebbene dopo oltre un decennio di beghe giudiziarie, ricorsi, controricorsi, amministrazioni contro è chiaro che poi si decide di abbandonare l’investimento. Questo è un esempio ma come questo, e non solo nel Mezzogiorno, se ne potrebbero trovare altri. Stiamo agendo con grande determinazione su entrambi i versanti, nel contrasto alla criminalità organizzata e nell’accelerazione dei tempi amministrativi e della giustizia.

Funzionerebbe l'ipotesi di una moratoria fiscale al Sud?
O l'Europa lo vieterebbe? Partiamo dal presupposto che tutti devono pagare le tasse in base al reddito, o alle vendite, sia delle persone fisiche che delle società. Le tasse servono a finanziare servizi ed infrastrutture che vanno a beneficio di tutti. Una moratoria generalizzata per il Sud non sarebbe possibile perché ci troveremmo di fronte a una distorsione delle regole della concorrenza. Inoltre non sarebbe un servizio reso all’industria meridionale che deve adattarsi alla competizione nazionale e internazionale per essere efficiente.

Che idea si è fatto sulla vicenda dell'Ilva?
Sarà possibile conciliare ambiente e lavoro, o anche l'acciaio italiano cederà il passo ai cinesi? Il Governo si è mosso con l'urgenza del caso per favorire la rimozione strutturale, e in tempi certi,delle cause che hanno portato al sequestro di una parte degli impianti. Con la firma di un protocollo di intesa, che vede in prima linea anche le istituzioni locali, sono stati stanziati 366 milioni di euro che serviranno a bonificare il territorio inquinato e a migliorare il contesto ambientale. È positivo il fatto che l'azienda si sia subito impegnata, stanziando proprie risorse, per rendere più sostenibile la produzione. Sono convinto che, con senso di responsabilità e fattiva collaborazione tra istituzioni, si possa trovare una soluzione positiva per la vicenda Ilva. Questa grande fabbrica del Mezzogiorno deve continuare a produrre, e deve farlo in modo sempre più sostenibile, tecnologicamente avanzato e rispettoso dell'ambiente.

Aumenterà ancora la tassazione o sarà possibile ridurla come chiedono ancora i sindacati e le imprese?
Il governo non ha attualmente allo studio un provvedimento di questo genere. Il carico fiscale sulle persone fisiche e sulle imprese in Italia è senz'altro eccessivo,ma in questo momento l'attenzione per il riequilibrio della finanza pubblica non può essere allentata. Fin dall'inizio del suo mandato il governo, con il costante ed essenziale appoggio del Parlamento, pur avendo dovuto fronteggiare una grave emergenza, ha avviato riforme strutturali dell'economia e dello Stato che renderanno possibile conseguire un bilancio strutturalmente in pareggio (condizione per uno sviluppo economico e sociale sostenibile) pur con minori imposte. Un fisco meno gravoso è una sacrosanta esigenza per i contribuenti onesti. Renderlo concretamente possibile, senza fare promesse irrealizzabili, è un obiettivo tra i più importanti per il Governo. Ma prima che la politica di risanamento e di riforma venga consolidata, se possibile anche con radici che ne rendano probabile la prosecuzione con i governi che verranno, iniziare a distribuirne i benefici (ad esempio riducendo l'Irpef) sarebbe prematuro. Quando una tale prospettiva verrà delineata e sarà considerata credibile anche dai mercati, ipotesi di un minore carico fiscale saranno non solo auspicabili, ma concretamente realizzabili.

All'orizzonte c'è la patrimoniale?
Il governo non intende varare una patrimoniale perché tra le prime misure approvate rientrano proprio una serie di provvedimenti che insistono sui patrimoni, penso all’Imu sulla casa, l’imposta di bollo su tutte le attività finanziarie detenute in Italia e all’estero nonché su quelle scudate e sui beni di lusso, come le imbarcazioni di grandi dimensione, le auto pregiate, i beni immobili all’estero, gli aeromobili privati. Tutto questo rientra in una strategia di una lotta all’evasione e all’elusione fiscale che è il vero cancro che stiamo cercando di estirpare in un paese dove oltre 120 miliardi di euro sfuggono ancora oggi al fisco.

Che fine faranno le Province? Riusciranno a salvarsi anche stavolta?
Per le Province c'è un percorso segnato. Entro il 23 ottobre i Cal (i consigli per le autonomie locali) devono presentare le loro proposte di riordino, le Regioni poi le trasmettono al governo. Se non lo fanno, procede l'esecutivo. Insomma, non si scappa. Il percorso è segnato e si andrà avanti fino in fondo. L'obiettivo resta il dimezzamento delle Province. Non si tratta di salvare alcuno, si tratta di riscrivere la carta geografica d'Italia ferma da troppi decenni.

Perché non pensare ad accorpare anche Comuni e Regioni?
Per rivedere le Regioni, i confini regionali in particolare, bisognava intraprendere un iter diverso con una modifica costituzionale. Per quanto attiene ai Comuni nel decreto spending c'è una novità importantissima: saranno riviste e accorpate le competenze dei municipi sotto i mille abitanti. Poi c'è una novità storica, vengono finalmente istituite le città metropolitane che erano previste da una legge del 1990 e da allora sono rimaste lettera morta. Roma, Milano, Napoli e anche Bari non possono essere considerate solo dentro i loro confini cittadini ma vanno governate tenendo conto dei territori circostanti, di area vasta. Anche questa è una grande riforma che il Paese attendeva e che va a compimento.

Il debito pubblico cresce più per colpa dello Stato o degli enti locali?
Lo sforzo condiviso da governo e enti locali è quello di riuscire a riequilibrare le finanze pubbliche. Proprio per questo abbiamo già attuato un piano di spending review che porterà ad una ottimizzazione delle risorse per oltre 25 miliardi di euro. Purtroppo questa opera di revisione della spesa in passato non è mai stata attuata o lo si è fatto con tagli lineari che poi hanno inciso sui servizi offerti ai cittadini. Ma non dobbiamo proseguire su questa strada e il commissario straordinario Bondi sta predisponendo un piano d’accordo con gli enti locali che verrà presentato al più presto.

Perché è difficile liberalizzare in Italia?
Perché si pensa più al proprio tornaconto che all’interesse comune. In questi mesi le pressioni verso il governo di lobby e gruppi di potere sono state molteplici, penso soprattutto a quando abbiamo messo a punto la spending review. Però il governo ha adottato come suo principio cardine quello dell’equità e quindi siamo convinti che alla fine prevale l’interesse generale. Ad esempio nel campo energetico nessuno avrebbe mai pensato che saremmo riusciti a separare la rete del gas dall’Eni cosi come nelle professioni abbiamo aperto il mercato soprattutto verso i giovani e i meno protetti.

Si riuscirà ad approvare la riforma elettorale. Se sì, i mercati se ne gioverebbero?
Il Presidente Napolitano più volte ha sollecitato i partiti politici a fare questo passo importante prima della conclusione della legislatura. È un auspicio al quale anche io mi associo. Tutto ciò che rende stabile e matura la vita democratica e, quindi, anche una riforma della legge elettorale può rappresentare un segnale importante per i mercati finanziari. In u n’ultima analisi tanto più è solida la roccia su cui cresce l’Italia tanto meno i mercati ci attaccheranno. In fondo è quello che abbiamo cercato di fare fino ad oggi con la messa in sicurezza dei conti pubblici e con le politiche di sviluppo che stiamo approntando per l’ultima parte della legislatura.

Cosa manca per ridurre lo spread?
Ha già detto bene il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco che l’Italia ha almeno 200 punti di spread in più dovuti ad un mercato “drogato”. I nostri fondamentali sono solidi, siamo con le riforme messe in campo uno dei paesi più virtuosi. Per il resto mi auguro che le conclusioni del Consiglio europeo del 28-29 giugno scorso per quanto riguarda le misure per la stabilità della zona euro possano andare in porto presto.

Su quali punti verterà la manovra di bilancio di fine anno?
Continueremo a portare avanti le tre direttive che fino ad oggi hanno contraddistinto l’azione del governo: disciplina di bilancio, riforme strutturali per la crescita, equità sociale. Dobbiamo porre le basi affinché chi verrà dopo di noi trovi un paese già indirizzato sulla strade delle riforme e della coesione sociale.

La Grecia resterà in Europa?
Noi siamo sempre determinati a difendere l’integrità della zona euro perché l’alter nativa porterebbe a conseguenze molto pesanti per tutti. Il voto in Grecia ha ridato speranza al percorso riformatore che il governo ellenico ha messo in campo e allontanato i fantasmi degli euroscettici, ma la strada della disciplina finanziaria deve costituire la base su cui è possibile ricostruire un percorso di crescita sana e sostenibile nel tempo.

La signora Merkel ha attaccato i mercati, sostenendo che essi non fanno gli interessi dei popoli. Sottoscriverebbe?
Sia la signora Merkel che io crediamo nell’economia sociale di mercato, subito affermatasi in Germania nel secondo dopoguerra. Quando ho avviato, mesi fa, l’azione per fare ottenere un riconoscimento a quei Paesi che, pur avendo realizzato politiche di risanamento, affrontavano uno spread non giustificato dai fondamentali (come ha ben dimostrato la Banca d’Italia), partivo dalla constatazione che ci fosse un’imperfezione nel mercato. I mercati finanziari si sono svegliati con incubi diurni e notturni dopo la crisi del 2007. Ma in precedenza c’era spread zero su tutto. Evidentemente i mercati dormivano. Per chiarire. Il mercato non è né l’angelo né il demonio, va solo intelligentemente utilizzato ai fini del benessere collettivo. Poi contribuiscono, a volte, certe campagne elettorali a demonizzare o mitizzare il mercato, a seconda delle circostanze. Ed ancora. Il credito agevolato alle imprese che investivano nel Sud stava a significare che esse avevano tanto più sussidi quanto più chiedevano soldi a prestito. Il risultato erano le cattedrali nel deserto. Con due distorsioni. Una: veniva incoraggiato l’uso del fattore «capitale» da parte delle imprese in un’economia nella quale il capitale era scarso. Due: non era incoraggiato, e perciò penalizzato, l’uso del fattore «lavoro», in un’economia a forte disoccupazione. Insomma, si faceva il contrario di ciò che serviva. In sintesi. Il criterio per quegli incentivi era il credito, che si basava sulla capacità delle imprese di indebitarsi, e non già sugli aumenti di capitale per capitalizzarsi. Si è verificata perciò una distorsione nella struttura finanziaria delle stesse imprese, che si sono caricate di troppi oneri. E quando sono arrivate le crisi internazionali, la situazione è peggiorata. Per concludere, il mercato non è buono o cattivo. Va usato anche per capire in che modo la politica economica può dare incentivi o disincentivi per raggiungere gli obiettivi prefissati.

L’economista austriaco von Hayek direbbe che il mercato è una procedura di scoperta.
Ben detto. Voglio confessarle una cosa. Tra i piccoli riconoscimenti avuti in questi anni, uno di quelli che più mi ha emozionato è il premio Hayek in Germania nel 2004.

Nel Sud sono stati tagliati alcuni tribunali in zone di mafia, come a Lucera. I sindaci protestano. La decisione sarà rivista?
Tutti hanno sempre chiesto una revisione della geografia giudiziaria in modo da ottimizzare la giustizia e renderla più funzionale e meno costosa. Il governo con il ministro Severino si è mosso in questa direzione e nel consiglio dei ministri del 10 agosto abbiamo dato il via libera al provvedimento riguardante i tribunali, apportando però alcune modifiche, sopprimendone 31 e non 37 com'era inizialmente previsto. Si è deciso proprio di mantenere operativi quelli nelle zone ad alta intensità di criminalità organizzata. In particolare: Caltagirone e Sciacca (Sicilia); Castrovillari, Lamezia Terme e Paola (Calabria); Cassino (Lazio).

Presidente, ci sarà il partito di Monti nel futuro dell’Italia?
Non me l’ha mai chiesto nessuno. Non ho mai riflettuto su questo tema.
07 Settembre 2012

Bozen, oltrepadania. Veneti contro l’autonomia, Napolitano zittisce tutti
Bordate contro le speciali. Il Capo dello Stato: inutile prendersela con De Gasperi. Riunione dei tecnici di Bolzano e Trento sull’incontro di lunedì a Roma
di Francesca Gonzato
BOLZANO. Il presidente Giorgio Napolitane, dopo il vertice di Merano con il presidente austriaco Heinz Fischer, è tornato ieri a difendere l’autonomia speciale. Lo ha fatto a Venezia, liquidando con una battuta l’ennesima polemica di politici veneti sui «privilegi» dell’Alto Adige.
 «Francamente, polemizzare su quello che fece De Gasperi nel 1946 mi pare un po’ tardivo», così Napolitano durante la visita alla Biennale Architettura ha risposto a una domanda sulle polemiche aperte dopo la visita a Merano. Secondo il consigliere regionale Dario Bond (Pdl) e il sindaco di Calalzo Luca De Carlo, la visita di Napolitano per il quarantennale dell’autonomia «svantaggerebbe regioni produttive e generose come il Veneto».
 Discorso chiuso, secondo Napolitano, che a Merano ha fissato due concetti. Anche l’Alto Adige dovrà partecipare al risanamento della finanza pubblica. Ma lo farà, è il messaggio lanciato al governo Monti, vedendosi garantito «il rispetto delle prerogative statutarie», perché «non può esserci e non ci sarà mai alcuno svuotamento dell’autonomia».
 In serata è arrivata anche una bordata sul Degasperi-Gruber del presidente veneto Luca Zaia: «È bene che si ridiscutano tutte le partite: quelle di chi ha molto e di chi non ha nulla, quelle di chi spreca e di chi è virtuoso. Questo non vuol dire che dobbiamo lavorare contro Trento e Bolzano. Voglio che anche da noi si possa avere la loro autonomia».
 Da ieri i tecnici di Bolzano e Trento sono di nuovo al lavoro. Napolitano ha sbloccato la trattativa con il governo, sollecitando la convocazione lunedì a Palazzo Ghigi dei vertici delle finanze provinciali. Nei giorni successivi dovrebbero scendere a Roma i presidenti Durnwalder e Dellai. La prospettiva è di un nuovo incontro con il presidente del consiglio Mario Monti. Ieri riunione a Trento di Eros Magnago (direttore della ripartizione finanze) e Ivano Dalmonego, direttore generale della Provincia di Trento per preparare l’incontro di lunedì.
 Riassume l’assessore alle Finanze Roberto Bizzo: «Ripartiamo dal documento del 2 febbraio, in cui le due Province e la Regione hanno inoltrato al governo la propria proposta per la “Ridefinizione dei rapporti finanziari tra Province autonome e Stato”». In sintesi, niente imposizioni, né tagli orizzontali e costi standard, ma concertazione Stato-Provincia e una assunzione di tutte le spese che lo Stato sostiene in Provincia in cambio di una serie di deleghe. Tradotto significano 400-450 milioni di euro all’anno che Roma risparmierebbe. Da febbraio si sono aggiunte le penalizzazioni legate alla spending review.
 Durnwalder, confortato dalle parole di Napolitano, prova a semplificare il nodo tra Bolzano e Roma: «Non abbiamo detto che staremo con le mani in mano. Abbiamo chiesto al governo di fissare la cifra che verrebbe chiesta alla nostra Provincia per il risanamento della finanza pubblica. Come tagliare spetterebbe poi a noi. Così lo Stato avrebbe la nostra percentuale di finanziamento, ma l’autonomia sarebbe protetta».
 Prudente anche Dellai: «E’ stato ripristinato il sentiero del dialogo. Questa mattina (ieri, ndr) ho parlato a lungo con il sottosegretario Catricalà, che mi è sembrato molto convinto della necessità di un dialogo serio. Certo, i problemi non sono risolti e la strada sarà tutta in salita. Il presidente Napolitano ha detto che autonomia non vuol dire esimersi dal dare il proprio contributo alle sorti economiche del Paese, ma ricordo che questa è anche la nostra posizione. Da sempre».
 Durnwalder ringrazia Napolitano e Fischer: «L’Autonomia altoatesina esce rafforzata. Sia Giorgio Napolitano sia Heinz Fischer hanno espresso parole chiare e forti a difesa della nostra specificità. A nome di tutti gli altoatesini li ringrazio per la loro presenza e per il messaggio che hanno dato alla nostra autonomia».(fr.g.)



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