Moro beato, via alla causa agli atti c'è un
«miracolo»
Ecco la «ragazzagna» un po’ finetta e tafagna
Benzina fa paura a 48% italiani, solo 3% teme
spread
Moro beato, via alla causa agli atti c'è un
«miracolo»
di Benedetto Sorino
BARI - Se i politici
cercano un santo cui votarsi, forse tra non molto lo avranno davvero: per Aldo
Moro, lo statista democristiano ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978,
dopo 55 giorni di prigionia, è stato compiuto, giovedì scorso, il primo passo verso
il processo di beatificazione con il via libera all’inchiesta diocesana.
Proprio oggi è il
genetliaco. Se fosse ancora in vita, Moro compirebbe 96 anni. Agli atti c’è «un
suo miracolo», testimoniato con firma in calce da monsignor Francesco Colasuonno.
Dopo il «nulla osta»
del cardinale Agostino Vallini, vicario del papa, che ha proclamato Moro «servo
di Dio», in breve tempo il presidente del tribunale diocesano di Roma (sede
competente perché lì s’è svolta la tragica vicenda), ha introdotto la causa,
acquisendo gli atti del «supplice libello sulla fama di santità». La
documentazione è stata fornita dal Postulatore, Nicola Giampaolo, rutiglianese,
uno dei pochi laici ad aver superato l’apposito corso postlaurea in Vaticano,
diventando una sorta di «avvocato» di candidati all’empireo della beatitudine
per conto della stessa Santa Sede.
L’iniziativa,
avviata nel maggio scorso in presenza del cancelliere della Curia metropolita
barese, Paolo Bux, è della Fondazione dei Centri studi Aldo Moro e Renato Dell’Andro,
guidata dall’ingegner Luigi Ferlicchia, già assessore regionale dc, nonché
fedelissimo dell’artefice del compromesso storico e fervente promotore di
attività tese ad onorarne la memoria.
Alla raccolta di
firme per la «fama di santità» hanno aderito il vescovo della diocesi di
Monopoli-Conversano, Domenico Padovano, personalità politiche e istituzionali
nuove e del passato recente, dal prefetto Mario Tafaro al presidente del
Consiglio regionale, Onofrio Introna, dal sindaco barese Michele Emiliano al
presidente della Provincia, Francesco Schittulli fino a una lunga serie di
democristiani di lungo corso: Pietro Pepe, Enzo Sorice, Michele Bellomo,
Emanuele Martinelli e Stefano Bianco per citare solo alcuni dei più noti.
Al di fuori del
«perimetro» pugliese, s’è speso per la causa Gian Mario Spacca, il presidente
della Regione Marche (a Montemarciano è nata Eleonora Moro Chiavarelli) e l’on.
Elio Rosati di Caserta. Si sono mossi il rettore della basilica di Loreto, e
quello di Pompei e molte altre autorità religiose.
Qualcuno dirà:
perché porre la celeste aureola proprio su Moro, e non su altre vittime del
terrorismo, il giornalista Carlo Casalegno, ad esempio, o l’operaio Guido
Rossa, oppure al di là dell’Atlantico, il grande Martin Luther King? Il primo
requisito è quello di una fede cristiana e cattolica forte e inconfutabile, e
ciò spiega perché sia stato già aperto un analogo procedimento nei confronti di
Giorgio La Pira e Alcide De Gasperi in «fama di virtù» (per il giurista
Vittorio Bachelet, come Moro giustiziato dalle Br, s’è in attesa del nulla
osta).
Il secondo elemento
probante riguarda direttamente Moro ed è il martirio avvenuto, dicono
Ferlicchia e il Postulatore, in «odio alla fede». Lo statista è morto, a loro
dire, per mano di killer armati da un’ideologia vetero-comunista in guerra
contro il cristianesimo. Il corollario, sottolinea Giampaolo, «è un modello di
vita, soprattutto per la politica italiana la quale necessita dell’apporto di
nuovi dirigenti ancorati ai grandi valori che Moro ha saputo perfettamente
rappresentare».
È stato comunque il
«pontiere» o «pacificatore» tra tradizione cattolica e comunista. «Non è esatto
- risponde il Postulatore - poiché lui antevedeva e insieme a Paolo VI fu
protagonista del disegno, poi realizzato compiutamente da Giovanni Paolo II, di
un allargamento della fede alla Russia e a tutti i Paesi dell’Est europeo.
Risiede qui la ragione profonda del suo assassinio. E la Populorum progressio è
l’enclica più politica fatta da Paolo VI, si vocifera che la parte iniziale sia
stata redatta proprio da Moro».
Il requisito
principale per la beatificazione è comunque quello dei miracoli. Ferlicchia nel
suo libro ricorda la testimonianza di monsignor Francesco Colasuonno,
originario di Grumo Appula, che organizzò l’incontro tra Gorbaciov e Wojtyla e
venne poi nominato cardinale in pectore dallo stesso Giovanni Paolo II. Era
nella nunziatura apostolica in Mozambico quando un gruppo di guerriglieri
l’assaltò, distruggendola, e uccidendo chiunque incontrassero. Rinchiuso in una
stanza, dove era al muro un quadro di Moro, Colasuonno si raccolse a pregare,
invocando il suo aiuto. «È lui il mio santo», disse dopo aver raggiunto la
salvezza.
Ecco la «ragazzagna» un po’ finetta e tafagna
di ALBERTO SELVAGGI
Mi pare il caso che
ogni barese abbia coscienza di ciò che lo attornia e non nota. Perciò questa
domenica illustrerò un esemplare classificato dagli antropologi, ma anche dagli
etologi, da cinque o sei anni o poco più: la «ragaz-zagna».
Il termine, inserito
nelle piramidi evolutive senza il trattino, assomma la barese di giovane età
con la zagnaggine infusa. Ora, come il principio scoperto da Stevino prova, i due
veicoli comunicanti, al pari dei vasi danno vita a un’unica superficie
equipotenziale, che è appunto la ragazzagna. Non avete capito? Non sapete che
cosa si intenda per equipotenziale né se questo Stevino canti in coppia con
Giorgia o con Pàup (Pupo)? Be’, io neppure.
La ragazzagna,
liberta affrancatasi dal tamarrume, non è mica brutta. Anzi, parrebbe bella, se
davvero lo fosse. Sfoggia con sfacciataggine i suoi numeri. Questo è il primo
elemento per riconoscerla. Esibisce copertoni (seni) inguainati in top con
bolero che lo rassodano tanto da renderlo contundente all’urto. Lo stesso
dicasi per lu deretano (posteriore) smutandato che espone sotto ai cinturoni
nella forma mandolinesca o cassinoide (da Nadia Cassini, sexy diva ‘70 celebre
per i glutei), compresso da tessuti al limite dell’arresto per incitazione allo
stupro. Le gambe, depilatissime, palestrate a misura, le mena su e giù per le
piazze come sciabole di fuoco. Il resto lo fanno maglie con trasparenze
floreal, piercing, strass e rossetti oral. Mastica gigomma ma non sputa.
Il sorriso della
ragazzagna – sì, devo dirlo – è fisso e insolente. Sostiene cioè lo sguardo di
chiunque. Perché ella è sicura. Perché affronta la vita col petto in fuori e
con la fronte pronta al tuzzo. Anche il volto ha mica brutto. Piacevole, di
solito. E quando imperfetto attraente sempre di un qualcosa di erogeno, o di
comunicativo tout-court. Da cui si desume che la ragazzagna piace più delle
femmine comuni.
Sulle unghie di
piedi-mani predilige smalti vivi non allucinatori. Ha un look curato
all’ossessione, ma tradisce sempre qualche impulso tafagno: la taccazza, il
tatuaggio delle dive americane peggiori. Perfino questi handicap la ragazzagna
sa volgere a uso: la sua estroversione imminchionisce anche il maschio di
famiglia colta. Ella, cana (cagna) com’è, rifulge di sesso d’alta tensione.
Potente faticatrice, è capace di inanellare 4-5 climax, pur nelle estemporanee
copule. E sembra non si dia pensiero di vocalizzarle al mondo.
La ragazzagna si
limita all’urlo gastematore e allo spintone nelle contese amorose con figliole
di uguale natura. Ma arriva alla stampata ripetuta alle cannelle (una l’ho
vista presso il Fortino all’azione) se pesca una ventenne o trentenne comune.
Balla caraibico, da
un po’ anche hip hop, ma sa adattarsi e apprezzare anche il tango degli snob:
«Faccio tango – pronuncia –, mi dà molta passione».
Pur covando
linguistici obbrobri sfodera una parlantina corretta se occorre. È aggressiva,
sfotte i maschi per sedurli, ma col suo uomo sa essere dolce: «Tonio mi piace
perché è tenerissimo». Il 63,5% delle ragazzagne fuma. Forse. Il 36,2% ha
genitori separati con i quali intrattiene un buon rapporto. Forse. A scuola e
all’università non è ciuca. Sul lavoro svelta e coscienziosa, anche se sul
principale scatarra di brutto: «È ‘nu kin d’ mm…».
La ragazzagna è
rintracciabile soprattutto nella movida di Bari vecchia. Ma batte con minigonna
cacciatora altre zone. Va in vacanza in luoghi esotici su offerte last-minute
che ramazza dal web con abilità prodigiosa. È in queste occasioni che tradisce
il fidanzato; prediletti sono il nordico e il negroide. In patria è meno
frequente la cornificazione: «Ci tengo a questa storia». Ma, se cerviata a sua
volta, alla scoteca si vendica subito: «Ciao bello, come ti chiami?». «Kevin, perché?».
«Mi accompagni al bagno?».
Ora direte: scusa,
ma di quest’altra idiozia della ragazzagna che ti sei inventato, a noi che ce
ne importa? Semplice: alcune ragazzagne mi molestarono mentre ero in bici in
corso Vittorio. Altre mi hanno spintonato perché indossavo un casco rosa sulla
moto. Adesso la mia vendetta è compiuta: tenete da dire qualcosa?
Benzina fa paura a 48% italiani, solo 3% teme
spread
Coldiretti, in
autunno 'caldo' 5% preoccupato da spese scuola
23 settembre, 13:31
ROMA - In questo
autunno 'caldo' sul fronte prezzi, solo il 3 per cento degli italiani teme la
ripresa dello spread, mentre il 48 per cento guarda con preoccupazione al
caro-benzina e il 25 per cento ai rincari del carrello alimentare. E' quanto
emerge da una sondaggio condotto sul sito www.coldiretti con l'arrivo
dell'autunno, dal quale si evidenzia peraltro che il 5 per cento è preoccupato
dall'aumento delle spese scolastiche, mentre il 19 per cento non risponde o
indica altri timori. Si tratta della dimostrazione che la crisi da finanziaria
è diventata economica: la necessità per le famiglie di far quadrare il bilancio
con le spese quotidiane, in cui energia e cibo incidono maggiormente, vince -
sottolinea Coldiretti - sulle preoccupazioni relative all'andamento degli
indici finanziari.
Il fatto che la
speculazione sui mercati finanziari faccia dunque meno paura di quella sul cibo
e sulla benzina significa che - sostiene Coldiretti - occorre intervenire
urgentemente a sostegno della ripresa dell'economia reale. La crisi ha infatti
svuotato il carrello della spesa con il crollo degli acquisti di latte del 7
per cento e di olio del 5 per cento, ma anche di pesce (-4 per cento), carne di
maiale e vino (-2 per cento), frutta, pasta e carne di manzo (-1 per cento),
secondo le analisi della Coldiretti su dati Ismea relativi al primo semestre.
In particolare l'Italia e il suo futuro - conclude Coldiretti - sono legati
alla capacità di tornare a fare l'Italia, cioé di essere l'Italia della grande
creatività, delle piccole e medie imprese agricole, artigiane, manifatturiere
che poi sanno crescere e conquistare il mondo, ma anche capaci di valorizzare
il territorio, offrendo opportunità economiche ed occupazionali che la grande
industria spesso non è più in grado di dare.
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