giovedì 11 ottobre 2012

(1) XI.X.MMXII/ Dopo vent’anni di “federalismo padano”, da oggi ci tocca subire il “Centralismo sabaudo”. Mi chiedo quale sara’ la prossima alchimia retorica.=== «Tutto quello che ripristina un’autorità centrale ben venga. Per quello che riguarda il settore energia, le modifiche fatte in passato al Titolo V le considero una tragedia greca, un disastro assoluto». Se l’amministratore delegato di Eni non ha brindato alla riforma della Costituzione presentata martedì sera in Consiglio dei ministri dev’esserci mancato poco. Ma ieri pomeriggio, a margine dell’audizione davanti alla commissione industria del Senato, il suo entusiasmo non si poteva contenere, e lascia intravedere meglio di tante parole quello che attende la Basilicata se il progetto di Monti e Passera dovesse andare in porto.

Petrolio, «Eni raddoppierà le estrazioni»
Lo spettro dell'Eternit nei sogni di Riva
L'UNIONE SARDA - Economia: Polverizzati 1,2 miliardi
Crisi, S&P's taglia rating Spagna a BBB-
Spagna: a settembre inflazione annua vola a +3,4%
Germania: a settembre inflazione annua +2,0%
Francia: a settembre inflazione -0,3%, su anno cala a +1,9%
Grecia: Fmi pronto a concedere due anni in piu' per risanamento
Bce: -4 mln posti lavoro dal 2008 Prezzi dei carburanti mai così alti

Petrolio, «Eni raddoppierà le estrazioni»
In Senato l’esultanza dell’ad Paolo Scaroni. Latronico e Viceconte favorevoli assieme a Confindustria. Digilio annuncia «barricate», Bubbico pessimista: «Gravissimo»
11/10/2012  POTENZA - «Tutto quello che ripristina un’autorità centrale ben venga. Per quello che riguarda il settore energia, le modifiche fatte in passato al Titolo V le considero una tragedia greca, un disastro assoluto». Se l’amministratore delegato di Eni non ha brindato alla riforma della Costituzione presentata martedì sera in Consiglio dei ministri dev’esserci mancato poco. Ma ieri pomeriggio, a margine dell’audizione davanti alla commissione industria del Senato, il suo entusiasmo non si poteva contenere, e lascia intravedere meglio di tante parole quello che attende la Basilicata se il progetto di Monti e Passera dovesse andare in porto.
 Sono state di tenore molto diverso le reazioni al disegno di modifica della Costituzione presentato a Palazzo Chigi meno di 48 ore fa, dopo una lunga serie di indiscrezioni e anteprima filtrate nei mesi scorsi. Il Governo ha deciso di provare a riportare a Roma la competenza esclusiva in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», che oggi è condivisa con le Regioni. Per i lucani vale a dire petrolio, innanzitutto, e poi fonti rinnovabili come eolico e fotovoltaico.
 Se si considera l’inclinazione del ministro per lo Sviluppo Corrado Passera che ha già annunciato un ambizioso piano di riduzione della dipendenza energetica nazionale, sbloccando le trivelle anche a pochi chilometri dal litorale, all’amministratore delegato del cane a sei zampe, Paolo Scaroni, non dev’essere apparso vero. A maggior ragione dopo l’opposizione che si è levata soprattutto negli ultimi tempi da parte delle Regioni, inclusa proprio la Basilicata che dopo gli accordi e le “magnifiche sorti” disegnate a dicembre dal cosiddetto decreto “liberalizzazioni” a luglio ha fatto una repentina marcia indietro varando una “moratoria” a ulteriori intese per la ricerca e la coltivazioni di idrocarburi sul suo territorio. Sarà per questo che Scaroni ha bollato come del tutto «insensato» fare discorsi regionali in materia energetica, aggiungendo che «andare a dare responsabilità alle Regioni lo considero uno dei tanti errori che abbiamo inanellato per non realizzare opere in Italia».
 Gli ha fatto eco dopo poco anche Confindustria che in realtà per voce del suo presidente, Giorgio Squinzi, aveva già espresso tutto il suo favore all’iniziativa del Governo martedì pomeriggio sostenendo che il Titolo V della Costituzione «deve essere profondamente rivisto» per togliere potere alle Regioni e diminuire i costi della politica a causa dei «disastri che abbiamo sotto gli occhi giorno per giorno». Insomma «un passaggio essenziale per rendere più efficiente il sistema istituzionale del nostro Paese». Ha ribadito ieri il comitato di presidenza dell’associazione degli industriali, esprimendo «forte apprezzamento per l’iniziativa legislativa, che le imprese chiedevano da tempo», in particolare in tema di porti, aeroporti, trasporti, comunicazioni, energia e commercio estero, per «assicurare regole uniformi e processi decisionali più rapidi in settori fondamentali per lo sviluppo economico del Paese». Con tanto di invito al Governo e alla forze parlamentari a «un forte impegno per l’approvazione del disegno di legge entro la fine della legislatura, che ritiene possibile e urgente».
 In realtà il fronte politico è diviso e tra i lucani presenti ieri sera in Senato si sono registrate opinioni opposte. Favorevoli i pidiellini Viceconte e Latronico. Contrario Digilio ed «esterrefatto» l’ex presidente Bubbico.
 «L’amministratore delegato dell’Eni - ha spiegato Cosimo Latronico - ha confermato che il potenziale della Val d’Agri è molto elevato, e che Eni può raddoppiare le produzioni con benefici per la regione, per lo Stato, in relazione al gettito fiscale aggiuntivo e per il miglioramento della bilancia dei pagamenti (...) L’ad Scaroni ha ribadito che la Basilicata ha il potenziale per diventare un polo petrolifero per i prossimi 20 /30 anni (...) La speranza è che da parte di tutti i soggetti interessati – ha concluso Latronico - si possano realizzare azioni concordanti nel solco del memorandum sottoscritto nei mesi scorsi da Governo e Regione, così da dare corso all’attuazione dell’articolo 16 del dl liberalizzazioni con l’emanazione dei decreti ministeriali per istituire un fondo permanente di sviluppo».
 Nuove estrazioni, ben oltre i 25mila barili d’incremento già previsti in Val d’Agri e i 50mila in arrivo dalla Valle del Sauro, un maggiore gettito fiscale e interventi mirati per la promozione dello sviluppo infrastrutturale e produttivo della regione Basilicata: questo lo schema dell’ex decreto “liberalizzazioni” e dei pidiellini. «Faremo questa revisione del dettato della Costituzione - ha confermato Guido Viceconte - perché ci sono scelte che non possono essere demandate alle Regioni, impedendo la realizzazione di impianti strategici di interesse nazionale».
 Di tutt’altro avviso il senatore Egidio Digilio, coordinatore regionale di Fli. «Scaroni ha gettato la maschera». Sostiene Digilio. «Siamo di fronte alla testimonianza che intorno al petrolio lucano si sono saldati, ai danni del nostro territorio e delle nostre comunità, interessi politici sostenuti dal Governo Monti con le lobby petrolifere (...) Un autentico oltraggio a chi rappresenta le Regioni e ha continuato a credere nella concertazione con Eni sino a firmare il Contratto di sito. Piuttosto, si prenda atto da parte del Governatore De Filippo come di tutti i partiti lucani che è radicalmente cambiato per la Basilicata il quadro della questione energetica e che pertanto la strategia del Memorandum, che mi ha visto unico parlamentare lucano disertare la storica ed ormai inutile cerimonia della firma e tenace oppositore, è sepolta».
 Nel ricordare che “le avvisaglie nei mesi scorsi non sono mancate come la minaccia del Ministro Passera, presa sotto gamba, dell’adeguamento «agli standard nazionali della nostra normativa di autorizzazione e concessione», che oggi prevede, a suo giudizio, «passaggi autorizzativi lunghissimi», Digilio ha affermato che «più che evocare lo spettro di Scanzano, che è una pagina storica irripetibile e va storicizzata a quel contesto specifico, o allo spauracchio della lotta armata del popolo del Niger, De Filippo forse mai come in questa circostanza dovrebbe avvertire il dovere di un confronto con tutti i soggetti politici, istituzionali e sociali per concordare cosa fare». Infine il
 senatore ha annunciato «barricate» in Commissione affari istituzionali dove il ddl del Governo approderà a breve.
 «E’ un disegno gravissimo che segna la fine dell’esperienza regionalista. Così succede in Italia dove si vive di eccessi: prima c’è stata la corsa per poter chiamare qualcuno “governatore” di questo o di quell’altro, ora si svuotano le prerogative delle Regioni, e magari tra 15 anni ci accorgeremo che stiamo sbagliando». L’ex presidente della giunta regionale lucana, Filippo Bubbico, è pessimista quanto alla possibilità di bloccare il progetto di riforma del Governo. «Possiamo anche darci agli emendamenti - spiega Bubbico - ma le furbizie potranno salvare soltanto la carriera personale di qualcuno, perché la sostanza non cambia. Di fronte agli scandali che sono esplosi le Regioni avevano il dovere di riconoscere i propri errori e pensare di concerto a una riforma. Invece hanno abdicato al Governo e una volta rotta la diga mettercisi davanti non serve a nulla». L’unica nota di speranza è lo scadere della legislatura. «Ma la questione si riproporrà anche nella prossima». Conclude Bubbico. «La prospettiva è un commissariamento di fatto, la trasformazione delle Regioni in agenzie al servizio dell’esecutivo, e cambiarla sarà difficilissimo».

Lo spettro dell'Eternit nei sogni di Riva
di Carlo Bollino
C’è uno spettro che aleggia sulla famiglia Riva prima ancora che sull’Ilva e sul suo futuro industriale. E quest’ombra, scura e minacciosa, porta impressi sopra un nome e una data: Eternit, 13 febbraio 2012. È il precedente del colosso industriale di Casale Monferrato, e la dura sentenza emessa nei confronti dei suoi ex proprietari, a sconvolgere infatti i sonni già agitati di Emilio Riva e dei suoi figli. Perché se a Taranto venisse applicato lo stesso principio giudiziario e processuale riconosciuto a Torino, per i proprietari del colosso siderurgico rischia di prospettarsi una pesante condanna in sede penale. La storia della Eternit è nota e antica. All’inizio del secolo viene inventato un nuovo prodotto che sembra una rivoluzione. È un agglomerato di amianto e cemento che si mostra duttile, economico (lo chiamano infatti il calcestruzzo dei poveri) ma soprattutto indistruttibile, tanto che l’azienda che lo realizza sceglie per prodotto e marchio il nome di Eternit, proprio perché richiama l’eternità. Idea sinistra quanto inopportuna alla luce degli oltre 2100 morti (e 800 ammalati) che gli vengono ufficialmente attribuiti.
Il fibrocemento ha un problemino non da poco: l’amianto che lo compone è cancerogeno. La pesante controindicazione viene scoperta a metà degli Anni ’60 ma la produzione va avanti ancora per decenni, in barba ad ogni allarme. E prosegue praticamente indisturbata fino al 1994 quando finalmente il cemento-amianto viene messo al bando. La jattura riguarda anche Bari, perché pure qui la produzione a base di amianto è andata avanti molto a lungo, almeno fino al 1985. La catastrofe ambientale più grave avviene però a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, dove la Eternit non soltanto produce amianto-cemento lasciando gli operai in balìa delle micidiali polveri cancerogene, ma si dota di un potente sistema di areazione che soffia sull’intera città micidiali nuvole contenenti frammenti di amianto, sicchè le vittime di mesotelioma pleurico (una forma di cancro ai polmoni quasi incurabile) insieme a quelle di asbetosi (altra forma di malattia polmonare cronica sia pure meno letale del tumore) iniziano a contarsi non più soltanto tra le maestranze della fabbrica, ma pure fra la popolazione.
E già qui il drammatico parallelo tra Eternit e Ilva sembra esserci tutto: consapevolezza del pericolo, produzione che prosegue a dispetto dei rischi, sottovalutazione delle misure di prevenzione, impatto ambientale sulla città, morti per cancro. Con in più l’identico ricatto occupazionale che per anni spinge operai, sindacati e istituzioni a chiudere entrambi gli occhi in cambio della garanzia dei posti di lavoro. Cosa accade di diverso? Accade che il procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello, che si era già distinto in alcuni clamorosi processi per reati ambientali e infortuni sul lavoro, tenta l’inosabile: portare davanti a un tribunale i proprietari dell’Eternit per la strage da amianto a partire dal 1966, anno in cui venne accertata la pericolosità del materiale. L’istr uttoria, lunga e ricca di colpi di scena, ha il suo epilogo nell’aprile del 2009, quando il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, 65 anni, e il barone belga Louis De Cartier de Marchienne, 91 anni, compaiono davanti al tribunale di Torino accusati di responsabilità penali per le morti provocate in 30 anni di produzione tra gli operai, ma anche tra gli abitanti delle città vicine alle loro fabbriche.
Il 13 febbraio 2012 arriva la sentenza di primo grado: i due ex proprietari del colosso del fibrocemento vengono condannati a 16 anni di carcere per "disastro ambientale doloso permanente" e per "omissione volontaria di cautele antinfortunistiche". Secondo i giudici estensori del verdetto «emerge tutta l'intensità del dolo degli imputati, perché sia De Cartier che Schmidheiny hanno continuato a produrre, né hanno ritenuto di dover modificare radicalmente e strutturalmente la situazione, al fine di migliorare l'ambiente di lavoro e di limitare per quanto possibile l'inquinamento ambientale».
Trent’anni di omissioni tradotti in 32 anni di carcere. A pagina 571 delle motivazioni con cui la corte ha condannato a risarcire gli abitanti di Casale Monferrato e Cavagnolo-Brusasco contaminati dall’amianto della Eternit, si legge tra l’altro: «Il collegio ritiene accertato che i casi di mesotelioma pleurico che hanno colpito i cittadini residenti in tali comuni siano causalmente ricollegabili all’esposizione ambientale ad amianto, a sua volta da riconnettersi a quella incontrollata e indiscriminata diffusione di polverino e scarti di produzione» da parte della fabbrica. Motivando invece le responsabilità nei confronti degli operai ammalati, i giudici riconoscono l’esistenza del «nesso causale tra la dolosa omissione di cautele antifortunistiche contestate agli imputati, e la insorgenza delle patologie absesto-correlate da inquadrarsi come malattie-infortunio».
Si arriverà a dimostrare questo nesso causale anche tra fumi e polveri dell’Ilva e le centinaia di morti da cancro registrate tra gli operai della fabbrica e gli abitanti di Taranto? Il ministro per l’ambiente Clini - che pure ha plaudito alla sentenza per l’Eternit - per Taranto dice invece che la prova manca. Le tre class action lanciate a nome di decine di cittadini ammalati, e avallate dagli esiti di alcune perizie, sembrano in realtà presagire un effetto-Eternit anche per il capoluogo jonico. Mentre è appena iniziato un processo che riguarda la morte di 15 operai uccisi dall’esposizione all’amianto delll’Ilva, con accuse ai Riva identiche a quelle contestate ai padroni dell’Eternit: disastro ambientale e omissione dolosa di cautela antifortunistiche. Un parallelo inquietante che fa addensare sul futuro della famiglia Riva una nube minacciosa almeno quanto quella che, ogni giorno, si staglia sui camini della fabbrica oscurando l’orizzonte dell’intera città.

L'UNIONE SARDA - Economia: Polverizzati 1,2 miliardi
11.10.2012
L'ultimo colpo di scure, quello arrivato martedì a notte fonda con la legge di stabilità, vale circa 157 milioni di euro: 91 bloccati dal patto di stabilità, altri 25 in meno sul fondo di perequazione per i comuni e le province e 41 tagliati invece sui trasferimenti per la sanità. E sono solo una piccola parte rispetto al mare magnum dei tagli subiti dalla Sardegna, facendo la somma di quanto deciso dal 2010 a oggi in materia di contenimento della spesa regionale. Mettendo insieme il decreto Salva Italia, la spending review e la legge di stabilità, le minori entrate per la Sardegna, spiegano dagli uffici dell'assessorato regionale del Bilancio, ammontano a 376 milioni di euro (somme che non si possono inserire nei bilanci di competenza). Allo stesso tempo, il bilancio di cassa prevede accantonamenti per il patto di stabilità che complessivamente toccano gli 826 milioni di euro. Somme che la Regione ha nelle sue disponibilità ma non può spendere. Cosa accadrà? «Avremo difficoltà a chiudere il bilancio per il 2013», spiega l'assessore regionale del Bilancio Giorgio La Spisa, di rientro da Roma dove ha partecipato a una riunione della Commissione Stato-Regioni proprio sui provvedimenti adottati dal Governo. I TAGLI Nonostante la Regione, in virtù della vertenza entrate e del pronunciamento della Consulta, possa oggi sperare di avere una quantità consistente di risorse dallo Stato, in realtà questo effetto verrà annullato dai nuovi provvedimenti e in particolare dall'irrigidimento del patto di stabilità, che blocca la spesa, nonostante si abbiano le risorse a disposizione. Le decisioni del Governo, per giunta, vanno a sommarsi ai tagli imposti, a partire dal 2010, prima dal Governo Berlusconi e poi dall'esecutivo guidato da Monti. Il che costringe la Regione a tirare sempre più la cinghia. E il risultato è drammatico. I COSTI DELLA POLITICA Uno dei provvedimenti che finirà per incidere sui conti e sull'autonomia della Regione, inoltre, sarà il decreto sui costi della politica, nel quale sono state inserite norme che con le spese degli organismi di rappresentanza hanno poco a che fare. «È un provvedimento che finirà per incidere negativamente sui bilanci delle Regioni a statuto speciale», osserva La Spisa. Il bilancio, secondo quanto previsto dal decreto, dovrà essere sottoposto a un controllo preventivo della Corte dei conti, che ne valuterà la congruità rispetto alle misure di contenimento della spesa. GLI EFFETTI Il primo effetto di tutto questo si vedrà nel bilancio 2013 della Sardegna. «Ci sono spese che non si possono contrarre», spiega l'assessore La Spisa, «non possiamo non farci carico di tutta una serie di interventi sul welfare, l'istruzione e gli ammortizzatori sociali, solo per citare alcune voci». Alcune uscite, a iniziare dagli stipendi dei dipendenti della pubblica amministrazione, non si possono toccare, perché si tratta di diritti acquisiti. E a farne le spese, ma il confronto tra Stato e Regione è ancora aperto, potrebbero essere le prestazioni legate ai servizi alla persona, il diritto allo studio oppure le opere già programmate, con buona pace delle imprese che vedranno ancora una volta allungarsi i tempi di pagamento. Giuseppe Deiana

Crisi, S&P's taglia rating Spagna a BBB-
Outlook negativo, "timori per recessione e stretta credito"
11 ottobre, 01:11
(ANSA) - NEW YORK, 11 OTT - L'agenzia Standard & Poor's ha abbassato ieri sera il rating della Spagna di due scalini, a 'BBB-'. S&P's ha motivato il taglio con i timori legati alla ''profonda recessione che limita le opzioni a disposizione del governo'' e la stretta del credito che condizione una eventuale ripresa. L'agenzia inoltre mantiene nei confronti del Paese iberico un outlook negativo.

Spagna: a settembre inflazione annua vola a +3,4%
11 Ottobre 2012 - 09:17
 (ASCA) - Roma, 11 ott - Nel mese di settembre l'inflazione in Spagna e' aumentata dell'1% su base mensile, su base annua sale a +3,4% da +2,7% di agosto.
Red

Germania: a settembre inflazione annua +2,0%
11 Ottobre 2012 - 09:15
 (ASCA) - Roma, 11 ott - Nel mese di settembre l'inflazione annua in Germania e' scesa a +2,0% da +2,1& del mese di agosto.
Red

Francia: a settembre inflazione -0,3%, su anno cala a +1,9%
11 Ottobre 2012 - 09:14
 (ASCA) - Roma, 11 ott - Nel mese di settembre l'inflazione in Francia ha registrato un contrazione mensile pari a -0,3%, su base annua scende a +1,9% da +2,1 di agosto.
Red

Grecia: Fmi pronto a concedere due anni in piu' per risanamento
11 Ottobre 2012 - 09:01
 (ASCA-Afp) - Tokyo, 11 ott - ''Qualche volta e' meglio un po' di tempo piu''', con quese parole il Direttore del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ha aperto alla possibilita' che la Grecia possa beneficiare di due anni in piu' per raggiungere gli obiettivi di risanamento delle proprie finanze pubbliche e della propria economia.
Un'apertura che raccoglie le richieste del governo ellenico.
 ''Lo abbiamo fatto per il Portogallo e per la Spagna, andiamo a farlo anche per la Grecia. Ho piu' volte ripetuto come due anni in piu' fossero necessari'' red/men

Bce: -4 mln posti lavoro dal 2008 Prezzi dei carburanti mai così alti
ultimo aggiornamento: 11 ottobre, ore 10:10
Roma, 11 ott. - (Adnkronos) - Tra l'inizio della crisi economica e finanziaria nel 2008 e il primo trimestre del 2012 il numero di posti di lavoro nell'area dell'euro si e' ridotto di oltre 4 milioni di unita'. L'occupazione, infatti, e' diminuita del 2,8% rispetto al livello massimo del primo trimestre del 2008. E' quanto si legge nel bollettino della Bce. Dal primo trimestre del 2008 al primo trimestre del 2010, rileva l'Istituto di Francoforte, il tasso di occupazione e' sceso di 1,7 punti percentuali, al 64,2%. Nonostante la gravita' della crisi, osserva la Bce, ''l'adeguamento dell'occupazione e' stato relativamente contenuto a livello aggregato''. Nelle fase iniziali della crisi, spiega l'Istituto di Francoforte, ''le imprese hanno mostrato una netta preferenza per forme di flessibilita' interna, come la riduzione degli straordinari e il ricorso agli accordi lavoro a orario ridotto, contribuendo a mitigare la correzione dei livelli occupazionali (misurata in unita'). La riduzione delle ore lavorate totali nell'area dell'euro (-4,5%) e' stata infatti sensibilmente piu' marcata rispetto al calo del numero di occupati (-2,6%)'', tra il primo trimestre del 2008 e i primi tre mesi del 2010.


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