"L'ordinamento
finanziario e quello tributario istituito dai Borbone erano i più
adatti allo sviluppo della ricchezza nel Sud. In Piemonte viceversa
l'ordinamento finanziario, che poi fu esteso al resto d'Italia quasi integralmente,
era gravosissimo. (…) tutte le imposte antiche furono aumentate, molte nuove
furono introdotte e il prezzo delle polveri e dei tabacchi e della carta
bollata fa accresciuto, aumentate le successioni, le manimorte, le tasse sui
trasferimenti di proprietà, create nuove imposte sulle industrie, ritenute
sulle pensioni: tutto fu aumentato"
Non più
di una settimana fa, leggendo il Corriere della Sera, mi sono imbattuto per
l'ennesima volta con l'aggettivo borbonico, ovviamente usato in senso
dispregiativo. A usarlo non era uno qualunque, ma un pubblicista considerato un
esperto sui problemi della scuola.
Ciò mi
ha portato a dedurre che non la parola non era stata buttata lì per ignoranza,
ma probabilmente ubbidendo a un impulso denigratorio. Infatti l'aggettivo è
stato coniato più di un secolo fa non tanto in disprezzo ai Borbone, che ormai
avevano perduto il regno, quanto per confezionare un alibi ideologico e
culturale a copertura delle crudeltà belliche e delle malefatte politiche che i
toscopadani andavano compiendo ai danni delle popolazioni meridionali. Fra i
tanti significati di cui l'aggettivo è stato caricato, uno riguarda
l'inefficienza e la macchinosità della pubblica amministrazione. Si tratta di
un falso in piena regola. Anzi peggio: l'aggettivo attribuisce ai Borbone un
noto difetto dell'amministrazione piemontese.
Quando
ero ragazzo, c'era in paese una prosperosa popolana che non faceva alcun
mistero circa il suo mestiere. Si trattava di una persona generosa e impulsiva
che, secondo l'usanza del tempo, trasformava in un comizio, tenuto sulla porta
di casa, i litigi familiari. Quando bisticciava con il marito, lo picchiava, lo
cacciava di casa, e mentre il poveretto si allontanava arrancando, lei, dalla
soglia, gli urlava dietro: "Cornuto!….Cornuto!…Cornuto!…" Allo stesso
modo fanno i toscopadani con noi meridionali.
Ecco la
relazione scritta nel 1853 dall'onorevole Giuseppe Farina (da privato:
banchiere in Torino) per far rilevare alla Camera dei deputati del Regno di
Sardegna (Piemonte, Liguria, Valle d'Aosta, Savoja e Sardegna) la macchinosità
della pubblica amministrazione.
"L'ingegnere
provinciale, il quale riconosca l'opportunità di un'opera nuova lungo una
strada regia, che percorre la provincia nella quale esercita il suo ufficio, ne
informa l'ingegnere capo e l'Intendente provinciale, che ne avvertono l'Intendente
della divisione, il quale rassegna la cosa all'Azienda generale dell'Interno,
che, o direttamente, o previa comunicazione al Ministero dei lavori pubblici,
ordina di formare il relativo progetto.
Questa
previdenza è partecipata all'Intendente generale ed all'ingegnere capo, che
trasmettono le occorrenti disposizioni all'Intendente della provincia ed
all'ingegnere che deve compilare il progetto formale dell'opera. Il progetto
preparato è riveduto e corretto dall'ingegnere capo, e, o per il canale dell'Intendenza
generale, o direttamente viene trasmessa all'Azienda dell'Interno la quale
promuove su di esso il parere del Congresso permanente di acque, ponti e
strade, che lo approva o prescrive modificazioni o variazioni per l'inserzione
delle quali è il progetto nuovamente rimandato alla Azienda dell'Interno, e da
queste, o per la trafila dell'Intendenza, o direttamente trasmesso all'autore
con invito di conformarsi ai suggerimenti e alle prescrizioni del Congresso
permanente medesimo. Il progetto dell'autore emendato è, per il consueto
canale, nuovamente trasmesso al Congresso permanente, che approvandolo lo invia
all'Azienda generale dell'Interno, la quale previa autorizzazione del Ministero
inserisce la spesa nel bilancio".
Andiamo
a Napoli e facciamo parlare un conquistatore piemontese, il Cav. Vittorio
Sacchi.
Questi,
amico di Cavour, era il direttore dei tributi e del catasto nel Regno di
Sardegna. Cavour, ben sapendo quanto valevano i luogotenenti del re, lo stesso
re Vittorio e i suoi generali da operetta, spedì il cavaliere a Napoli come
uomo di sua fiducia, per capire come erano ordinati i tributi e le finanze
duosiciliani. Da Napoli, Sacchi spedisce una lunga lettera al mandante.
Comincia con l'annotare che era partito per la grande metropoli, che allora era
Napoli, con forti prevenzioni. Ricorda a Cavour come dubitasse se accettare, o
no, e come fosse stato proprio Cavour a insistere. Scrive F. S. Nitti, da cui
traggo il racconto: "Il Sacchi fu segretario generale delle finanze in
Napoli dal 10 aprile al 31 Ottobre 1861 e l'opera sua consacrò in una
relazione, che costituisce un documento importantissimo.
"
Nel 1862 i consuntivi (del bilancio piemontese) non giungevano che al 1853: il
disordine nella esazione delle imposte e nelle spese era notevole e mancano
ancora adesso (siamo nel 1896) molti elementi di giudizio.
Invece"
la finanza napoletana, organizzata da un uomo di genio, il cavaliere Medici,
era forse la più adatta alla situazione economica del paese. Le entrate erano
poche e grandi e di facile riscossione.
"Base
di tutto l'ordinamento fiscale era una grande imposta fondiaria. Ed era così
bene organizzata che rappresentava un vero contrasto con il Piemonte, dov'era
assai più gravosa e di difficile riscossione: "Il sistema di percezione della
fondiaria ? dice il cavaliere Sacchi, nella sua relazione ? la prima e la più
importante delle risorse dello Stato, era incontrastabilmente il più spedito,
semplice e sicuro, che si avesse forse in Italia.
"Lo
Stato, senza avervi quella minuziosa ingerenza, che vi ha in Francia e nelle
antiche Province (Regno di Sardena, ndr), ove si fece perfino intervenire il
potere legislativo nella spedizione degli avvisi di pagamento, avea assicurato
a periodi fissi e ben determinati l'incasso del tributo, colle più solide
garanzie contro ogni malversazione per parte dei contabili".
"Non
vi era quasi alcuna imposta sulla ricchezza mobiliare. Poiché questa si andava
formando, il cavaliere Medici e i suoi continuatori aveano ritenuto che vi
fosse pericolo grande a colpirla con imposte. Il commercio interno avea ogni
agevolezza: "la ricchezza mobiliare, ed il commercio in ispecie, (era)
esente in Napoli da ogni maniera d'imposizione diretta … " .
"Le
tasse del registro e del bollo, gravissime in Piemonte, erano assai tenui nel
Reame di Napoli. L'ordinamento delle fedi di credito del Banco di Napoli,
mirabilmente semplice sotto questo aspetto, rendeva inutili le registrazioni.
"Al mirabile organismo finanziero delle Province Napoletane " dice il
cav. Sacchi, si vedeva soprattutto in quanto riguardava il funzionamento del
Banco. Il Banco ? scriveva il Sacchi ? riceve il danaro contante da chiunque
voglia deporvelo, lo custodisce a sue spese e lo restituisce ad ogni richiesta
del deponente in moneta equivalente.
L'ordinamento
finanziario e quello tributario istituito dai Borbone "era (no i più
adatti) allo sviluppo della ricchezza nel Sud. In Piemonte viceversa
l'ordinamento finanziario, che poi fu esteso al resto d'Italia quasi
integralmente, era gravosissimo. (…) tutte le imposte antiche furono aumentate,
molte nuove furono introdotte e il prezzo delle polveri e dei tabacchi e della
carta bollata fa accresciuto, aumentate le successioni, le manimorte, le tasse
sui trasferimenti di proprietà, create nuove imposte sulle industrie, ritenute
sulle pensioni: tutto fu aumentato.
"Vedendo
così enormi le differenze fra le imposte del Piemonte e di Napoli, lo stesso
segretario generale delle finanze nel 1861 riputava difficile assoggettare il
popolo meridionale ai tributi piemontesi: bisognava studiare lungamente perché
il salutare sacrifizio si compiesse.
"Dell'amministrazione
finanziaria, in cui il personale inferiore era scadente, ma il personale
superiore ottimo, il segretario generale per le finanze…dava alto giudizio: trovava
il Sacchi meno costoso che in Piemonte il sistema tributario, ammirava la
semplicità dei mezzi di riscossione; lodava il sistema di tesoreria; la
direzione del debito pubblico gli pareva così buona che voleva "modellarvi
il servizio del debito pubblico nazionale". Le aziende finanziarie
"ottime dal lato del meccanismo amministrativo, lasciavano ben poco a
desiderare dal lato del personale". In generale nella finanza napoletana,
secondo il Sacchi "molte belle intelligenze vi si facevano rimarcare. E
checché voglia dirsi in contrario vi si trovavano uomini di grande istruzione.
Le
scienze economiche, altrove generalmente sconosciute alla classe degli
impiegati, erano qui generalmente professate. Facili e pronti i concetti,
purgata ed elegante la lingua, si scostavano le scritture degli uffici da
quello amalgama di parole convenzionali che altrove rimpinzano le
corrispondenze ufficiali.
"In
una parola, nei diversi rami dell'amministrazione delle finanze napoletane si
trovavano tali capacità di cui si sarebbe onorato ogni qualunque più illuminato
governo".
Malgrado
tutto questo, la prosperosa comare, con in testa l'elmo di Scipio, mentre noi
affanniamo sotto le sue farraginose leggi, continua a urlarci in faccia:
borbonici!… borbonici!…borbonici!
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