venerdì 19 luglio 2013

XIX.VII.MMXIII – (ASCA) Il totale dell'area di disagio sociale, comprende dunque 9,22 milioni di persone. Il deterioramento del mercato del lavoro non ha come conseguenza la sola espulsione degli occupati, ma anche la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti atipici. Di qui l'estendersi del bacino dei 'deboli'.

Crisi del turismo sociale e associato in Italia 
L'UNIONE SARDA - Economia: Pale eoliche, beffa in mare «Uno spreco dannoso e inutile»
Crisi: Unimpresa, sono oltre 9 mln gli italiani in difficolta'
Istat. Fatturato e ordinativi dell’industria




Crisi del turismo sociale e associato in Italia
Venerdì 19 Luglio 2013 10:46
 Scritto da Gianfranco Nitti
Praticamente dimezzato nel 2011 il Turismo Sociale e Associato in Italia. Il volume d’affari, infatti, passa da 1,4 miliardi di euro a 762 milioni mentre il numero delle vacanze da 2,3 milioni scende a 1,3 milioni. E’ quanto emerge da una indagine condotta da Unioncamere ISNART (Istituto Nazionale di Ricerche Turistiche) in collaborazione con l’OITS&A (Osservatorio Italiano del Turismo Sociale e Associato) presentata oggi a Roma presso la sede dell’Enit/Agenzia Nazionale per il Turismo.
Gli strascichi della crisi economica, peraltro non ancora sanata, si ripercuotono dunque anche su questo settore del turismo nazionale che pure evidenziava previsioni di crescita abbastanza consistenti. Ciononostante il settore continua a porsi come una potenziale risorsa per il mercato turistico italiano.
Estremamente negativo il dato dell’offerta turistica. Se, infatti, nel 2011 le imprese ricettive che si erano affidate al circuito del TSA erano state 3.000 (4% del totale) oggi sono scese a 1200 (1,6%) con un calo di 2,4 punti percentuali. Si pensi che le sole imprese censite del circuito dei Buoni Vacanza erano 2500. Sempre sul fronte dell’offerta, tra i canali utilizzati dalle imprese, al 1° posto troviamo le associazioni culturali (48%), in aumento rispetto alla precedente rilevazione, seguite dalle associazioni sportive (28,2%), Cral (27,2%), scuole (20,4%), organizzazioni religiose (19,2%) e parrocchie (16,6%).
Sul fronte della domanda turistica, fra i canali utilizzati dai vacanzieri, al 1° posto troviamo invece le parrocchie (28,6%), seguite da i Cral (23,6%), entrambe in aumento rispettivamente di 12,9 punti percentuali e di 12,7 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Sostanzialmente stabili le organizzazioni religiose (19,8% con un -0,2 punti percentuali) e i comuni (6% con un +3,6 p.p.), mentre in forte calo sono le scuole (10,4% con un -15 p.p. e le associazioni culturali (7,1% con un -8,8 p.p.), Pienamente giustificato il dato sulle scuole dopo il consistente ridimensionamento dei viaggi-studi attuato dalle scuole lo scorso anno.
La vacanza organizzata tramite il circuito del TSA si svolge principalmente sul territorio nazionale (846 mila vacanze) pari all’1,3% del totale nazionale, a fronte di 462 mila vacanze effettuate all’estero pari al 2,1% del totale. Per quanto concerne le destinazioni nazionali, troviamo ai primi posti il Trentino Alto Adige (21%) e il Veneto (14,6%) seguite dalla Calabria (12,8%), la Lombardia (12,3%) e la Toscana (10,5%). Fra quelle estere al primo posto troviamo la Spagna (23,3%) seguita dalla Francia (11,5%) e dalla Grecia (11%). Tra i bacini di provenienza, invece, al 1° posto c’é la Puglia (14,6%) seguita da Campania (13%), Veneto (12%) e Piemonte (11%).
Il Rapporto delinea anche la “carta d’identità” del turista che si affida a tale rete, Ne emerge che è uomo nel 54,3% e donna nel 45,7%; è giovane, principalmente fra i 35 e i 44 anni (23%) o tra i 15 e i 24 anni (21,4%). Rispetto allo scenario generale le percentuali sono tutte più alte rispetto alla media del turismo. Per i primi, infatti, l’incidenza è pari al 18,9% per i turisti della prima fascia e del 12% per gli under 24. Si rileva anche, ma questo era quasi scontato, una maggiore incidenza di over 65 (13,9%). Del resto è noto come i maggiori fruitori del TSA siano proprio i giovani e gli anziani cui si aggiungono gli appartenenti alle fasce più deboli della popolazione che non vuole dire “povere”. Per quanto concerne il reddito, infatti, il rapporto evidenzia che il turista che si affida a questo circuito ha un reddito mensile familiare compreso fra i 1000 e i 2000 euro nel 38,4% dei casi e tra i 2000 e i 3000 euro nel 12,5%. Questi due dati, nel loro complesso, sono sostanzialmente analoghi a quelli del totale delle vacanze nazionali. Una forte differenza si nota, invece, nella fascia fra i 5000 e i 6000 euro e depone a favore dei fruitori del TSA (12,5%) contro il 2,9% di quello generale, a conferma che la capacità di spesa del turista che si avvale di questo circuito, spesso, è anche superiore rispetto alla media generale.
Sempre riguardo all’identikit di questo turista, si rileva inoltre che non viaggia quasi mai da solo: viaggia, infatti, in coppia nel 28,3% dei casi e con la famiglia, bambini compresi, nel 28,1%. Tra le attività che predilige al 1° posto troviamo le degustazioni di prodotti tipici locali (23,6%), ma in percentuale assai minore rispetto alla media generale che è del 43,5% dei casi, seguite dalle visite a monumenti, musei e mostre la cui percentuale è del 20,2%, anche questa inferiore alla media nazionale (32,9%).
Riguardo, infine, alla sistemazione in alloggio, il 58% sceglie l’albergo, rispetto al 43,2% della media generale, e tra questi il 50% sceglie l’albergo a 3 stelle e il 37,5% a 4 stelle. Circa la durata media della vacanza, il dato è di 7,1 giorni, leggermente inferiore rispetto a quello totale che è di 7,5 giorni.
Il rilevamento è stato effettuato con il sistema CATI e questionario ad hoc composto da 31 domande su un campione rappresentativo della popolazione italiana di 4000 individui, sul fronte dell’analisi della domanda turistica, a cui si aggiunge la rilevazione agli operatori del ricettivo con 20 mila interviste nel 2012.


L'UNIONE SARDA - Economia: Pale eoliche, beffa in mare «Uno spreco dannoso e inutile»
19.07.2013
Gli esperti: impianti da bloccare, nell'Isola c'è surplus di energia Sei progetti per altrettanti parchi eolici nel Golfo di Cagliari, uno nel mare della selvaggia - e protettissima - Asinara, per non parlare di quello proposto a S'Archittu, nell'Oristanese. Impianti e rotori in grado di generare migliaia di kilowatt all'ora. Eppure la Sardegna produce da tempi non sospetti (almeno dal 1997) più energia elettrica di quella che serve all'Isola. E dunque una parte della corrente arriva oltre il Tirreno grazie al cavo Sapei - acronimo di Sardegna penisola Italia - e viene distribuito nel resto del Paese, a seconda delle richieste. Nel 2011 nell'Isola sono stati prodotti 11.793,3 Gigawatt/ora. Circa il 10 per cento in più di quello che ci servirebbe.
IL DOCENTE «In alcune ore della giornata la produzione supera la richiesta di elettricità», spiega Fabrizio Pilo, docente cagliaritano di Sistemi elettrici per l'energia. Ecco perché spesso, anche in momenti in cui il vento può generare corrente, i rotori dei parchi eolici - che rappresentano il 10 per cento della produzione complessiva - vengono bloccati. A controllare il sistema è Terna, che gestisce la rete elettrica nazionale. E visto che l'energia non si può accumulare, è inutile immetterla nel mercato. Inoltre, anche se ci fosse una domanda maggiore, difficilmente la Sardegna riuscirebbe a sfruttare questo surplus meglio di quanto fa già ora: per “vendere” l'energia prodotta da nuovi impianti servirebbe un altro collegamento subaqueo con la Penisola.
LE ALTRE FONTI Non solo. La nostra Regione sarebbe comunque condannata a utilizzare le centrali elettriche a carbone e petrolio, cioè quelle tradizionali: «Impianti di questo tipo non possono essere accesi e spenti con facilità. Al momento sono quelli che garantiscono la stabilità del sistema. Si può diminuire la loro produzione a regime. Ma non si potranno eliminare», spiega Pilo.
I GESTORI Ricapitolando: si punta sull'energia eolica e sulle rinnovabili, a inquinamento zero, però non possiamo fare a meno delle vecchie centrali. E quando l'Isola, come spesso succede, produce più elettricità di quanto chieda il suo territorio e il resto d'Italia, la prima cosa che si fa è bloccare le pale eoliche. I gestori però non perdono soldi: «C'è una remunerazione nel caso Terna ordini di bloccare gli impianti. E' un metodo utilizzato anche in Germania». Dove però l'energia da fonti rinnovabili ha percentuali ben più alte: «Potremmo arrivare anche noi a quei livelli, con una programmazione a dieci anni. Bisogna lavorare sull'accumulo dell'elettricità e sulla riduzione dei consumi», dice il professore. Nel frattempo, circa il 10 per cento della produzione totale di energia in Sardegna è legata alle pale eoliche. Curiosamente, proprio l'eccedenza ai nostri bisogni. Perché le centrali termoelettriche continuano ad andare allo stesso regime di prima: circa 2.630 Megawatt /ora.
PROPOSTA E allora: come mai i signori del vento continuano a puntare sull'Isola? La deputata del Pd Caterina Pes propone una legge per regolare meglio il settore: «La nostra terra non può essere continuamente oggetto di assalti da parte di chi vuole sfruttarla economicamente. Noi sardi dobbiamo poter dire la nostra quando soggetti più o meno rispettabili vogliono utilizzare il nostro territorio e le sue risorse ambientali per trarne qualsiasi profitto». Attualmente, i progetti di eolico offshore «sono inquadrati, sotto il profilo normativo, in un contesto che pone le Regioni e le autonomie locali in un ambito decisamente di secondo piano. Le competenze sono limitate alla fornitura di pareri non vincolanti». Insomma: a parte le norme del Piano casa, che rendono sostanzialmente impossibile il collegamento degli impianti alla terraferma, i paletti sono deboli. La proposta di legge della parlamentare sarda punta invece a dare «la competenza della valutazione di impatto ambientale alle regioni litoranee».

Crisi: Unimpresa, sono oltre 9 mln gli italiani in difficolta'
19 Luglio 2013 - 12:16
 (ASCA) - Roma, 19 lug - Superano i 9 milioni le persone in difficolta' in Italia. Sono i calcoli del Centro studi Unimpresa sulla base di dati Istat, secondo cui ai 'semplici' disoccupati vanno aggiunte ampie fasce di lavoratori, ma con condizioni precarie o economicamente deboli che estendono la platea degli italiani in crisi. Secondo Unimpresa, si tratta di un'enorme 'area di disagio': ai 3,66 milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (652mila persone) sia quelli a orario pieno (1,51 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (838mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,56 milioni). Questo gruppo di persone occupate - ma con prospettive incerte circa la stabilita' dell'impiego o con retribuzioni contenute - ammonta complessivamente a 5,5 milioni di unita'. Il totale del'area di disagio sociale, comprende dunque 9,22 milioni di persone. Il deterioramento del mercato del lavoro non ha come conseguenza la sola espulsione degli occupati, ma anche la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti atipici. Di qui l'estendersi del bacino dei 'deboli'. Il dato sui 9,22 milioni di persone e' relativo al primo trimestre del 2013 e complessivamente risulta in aumento dell'8,9% rispetto alla precedente rilevazione di Unimpresa, realizzata sui dati del terzo trimestre del 2012, quando l'asticella si era fermata a 8,44 milioni di unita': in sei mesi quindi 752mila persone sono entrate nell'area di disagio sociale. Nel primo trimestre di quest'anno i disoccupati erano in totale 3,66 milioni: 1,79 milioni di ex occupati, 647mila ex inattivi, 833mila in cerca di prima occupazione e altri 389mila in questa stessa fascia. I disoccupati risultano in aumento del 27,7% rispetto alla precedente rilevazione (+795mila persone). Stabile, invece, il dato degli occupati: erano 5,6 milioni a settembre 2012 e sono risultati 5,56 milioni a marzo scorso. ''Il Governo di Enrico Letta non prende decisioni importanti e per ora si limita a rinviare. Le indiscrezioni filtrate oggi parlano di un nuovo slittamento a dicembre dell'aumento Iva dal 21 al 22%. Ma non possiamo andare avanti cosi'. Offriamo all'Esecutivo, ai partiti e alle istituzioni i numeri e gli argomenti su cui ragionare per capire quanto sono profonde la crisi e la recessione nel nostro Paese'' commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. red-fch

Istat. Fatturato e ordinativi dell’industria
A maggio il fatturato dell'industria, al netto della stagionalità, registra un incremento dello 0,1% rispetto ad aprile, con una variazione nulla sul mercato interno ed un aumento dello 0,5% su quello estero. Nella media degli ultimi tre mesi, l'indice complessivo registra una flessione dell'1,6% rispetto al trimestre precedente.
Corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 22 come a maggio 2012), il fatturato totale diminuisce in termini tendenziali del 5,1%, con un calo dell'8,3% sul mercato interno ed un aumento dell'1,7% su quello estero.
Gli indici destagionalizzati del fatturato segnano cali congiunturali per l'energia (-13,1%) e per i beni intermedi (-0,8%), mentre sono in aumento per i beni strumentali (+6,3%) e quelli di consumo (+0,3%).
L'indice grezzo del fatturato scende, rispetto a maggio 2012, del 5,4%: il contributo più ampio a tale diminuzione viene dalla componente interna dell'energia.
L'unico incremento tendenziale del fatturato, corretto per gli effetti di calendario, si registra nella produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+4,2%), mentre la diminuzione più marcata riguarda la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-24,2%).
Per quel che riguarda gli ordinativi totali, si registra un aumento congiunturale del 3,2%, sintesi di un incremento del 2,6% degli ordinativi interni e del 4,0% di quelli esteri. Nella media degli ultimi tre mesi gli ordinativi totali crescono dell'1,4% rispetto al trimestre precedente.
Nel confronto con il mese di maggio 2012, l'indice grezzo degli ordinativi segna una variazione negativa dell'1,1%. L'aumento più significativo si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (+6,4%), mentre il calo più rilevante si osserva nella fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, app. di misurazione e orologi (-10,2%).


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