Sabato 24 Marzo 2012 12:45
Scritto da Domenico Bonvegna
Nella presentazione presso il Palazzo Jung a cura della Provincia di
Palermo, del libro Sicilia 1860 - 1870. Una storia da riscrivere, edito da
Isspe, l’autore Tommaso Romano, prendendo la parola ha voluto sottolineare,
quello che non ha scritto la storiografia ufficiale e cioè che la Sicilia ha
avuto il suo brigantaggio,le rivolte di popolo, non solo nelle città, ma anche
nei piccoli centri contro il nuovo Stato sabaudo. E se negli anni delle
insorgenze del popolo italiano contro gli eserciti francesi di Napoleone, la
Sicilia rimase inerte, adesso dopo il cosiddetto Risorgimento, chiamato da O’
Clery, la Rivoluzione italiana, la Sicilia si ribella. Il libro di Romano
partendo dall’impresa “garibaldina”, che fu sostanzialmente un’operazione di
pirateria internazionale, sostenuta dal piccolo Piemonte e dall’Inghilterra, in
successione racconta le stragi Bronte, dopo il naufragio e la morte di Ippolito
Nievo, che ormai aveva preso le distanze da ciò che riguardava l’Esercito
Meridionale di Sicilia e da come stava evolvendo la situazione politica e
militare dell’Italia. Il Nievo non condivideva più come si stava comportando il
nuovo Stato. Ecco perché probabilmente è stato fatto sparire insieme al suo
Resoconto sulla gestione dell’impresa garibaldina.
Segue il racconto e siamo al 3 capitolo, sull’ultima eroica resistenza
borbonica della Real Cittadella di Messina, caduta il 13 marzo 1861. Romano per
questo argomento rinvia al recente volume curato insieme a Nino Aquila, La Real
Cittadella di Messina 13 marzo 1861 l’ultima bandiera borbonica in Sicilia
(Thule, Palermo 2011).
Nel 4 capitolo il libro si occupa dei plebisciti farsa che si svolsero il
21 ottobre 1860, con ridicole votazioni, senza alcuna segretezza di voto, fra
pochi intimi notabili, dei quali molti garibaldini ammessi al voto in più
sezioni elettorali. Gli elettori furono 575.000 (il 25% di 2.232.000), votarono
432.762. Di cui soltanto 667 contro l’annessione allo Stato sabaudo. Si
racconta di un villano che gridò: Viva Francesco II…Fu ucciso all’istante.
Vittorio Emanuele presente a Palermo per la cerimonia unitaria, assicurò ai
siciliani di instaurare un governo di riparazione e di concordia. Parole
paradossali in confronto a quello che succede nei giorni successivi. “Il
governo regio - scrive Francesco Renda –fu tutto che di riparazione e di concordia(…)lo
Stato unitario nell’isola presentò subito caratteri autoritari(…)
Alle violenze e repressioni ai danni delle popolazioni siciliane, volute
prima dai garibaldini e poi dai regi piemontesi in funzione di conquista e di
dominio, rispondono i dissidenti, gli strati popolari, a cominciare dal clero
intransigente, che oppone una vera e propria resistenza, con caratteri diversi
il più delle volte dai fenomeni di brigantaggio meridionale. Tuttavia
significativi da farli ricordare“ai troppi che ancora tendono a minimizzarli
come episodi localistici, oggetto di curiosità di storiografi municipali
destinati ad essere relegati fra le sommosse anarchicheggianti e utilitariste,
capeggiate e strumentalizzate da lestofanti o da aristocratici e clericali
occulti e reazionari”.(pag.54)
Il 5 capitolo fa riferimento al 1862, un anno nodale per l’intensità
delle repressioni dell’esercito del Regno d’Italia sui civili. In questo anno i
latifondisti acquistano molto e si arricchiscono, mentre i braccianti agricoli
si impoveriscono e così molti giovani si diedero alla macchia anche per
sfuggire alla coscrizioni obbligatoria entrando, per necessità o per combattere
gli invasori piemontesi, nelle bande di campagna. Secondo Romano occorre
esaminare attentamente il fenomeno isolano del banditismo: “da un lato i
contadini poveri esasperati uniti ai piccoli proprietari disingannati da un
fisco mai tanto esoso, e dall’altro, gran parte di quanti, riuniti in bande,
spronavano la povera gente alla rivolta sociale e politica. In tutti vi era il
sistematico rifiuto della coercizione derivata dall’unificazione e la palese
delusione rispetto alle speranze e alle illusioni del 1860”. Pertanto, mettere
in luce queste cose, “non mira a donare un’aureola romantica alle bande dei
briganti siciliani, tende solamente ad evidenziare come certi mali antichi si
moltiplicarono anche esponenzialmente, al punto che una ingente massa di
uomini, e in qualche caso anche di donne, si organizzarono, con l’aiuto delle
popolazioni indigene, in cima a montagne aspre e inaccessibili, per far fronte
alla feroce persecuzione poliziesca che travalicava il mantenimento dell’ordine
pubblico divenendo, assai spesso, licenza deliberata e violenta gratuita a
spese, non solo dei briganti, ma anche delle popolazioni e financo dei bambini
inermi”. (pag. 75)
Tutto questo il professore Tommaso Romano lo attribuisce a una totale
incapacità di comprendere le tradizioni, i costumi, la psicologia, la
religiosità del popolo siciliano, inoltre quell’idea folle di voler esportare e
imporre un modello impossibile per i siciliani, quello del vecchio Regno Sardo.
Romano tranquillamenteammette che il brigantaggio siciliano si sovrapponeva in
modo nuovo dopo l’unità alla delinquenza comune, raggruppando renitenti,
scontenti, reduci di azioni oppositive al nuovo governo locale e nazionale,
sradicati, ma anche ex soldati e impiegati del passato regime borbonico…”.(pag.
76)
Il 17 agosto, Palermo e tutte le provincie della Sicilia furono
dichiarate in stato di assedio. Il 28 agosto tocca a Catania, “si intima di non
portare armi in città e che in caso di tumulto, chi fosse arrestato con le armi
indosso sarà fucilato”. Interessante la rivolta popolare che scoppiò a
Castellamare del Golfo, cittadina della provincia di Trapani. Una insorgenza contro
“le tasse esose e la leva obbligatoria, schierata ad affrontare il comune
nemico, raffigurato da rappresentanti militari e civili del nuovo stato, visiti
come oppressori decisi a tutto”.(pag.80) Per sedare la rivolta il Sottoprefetto
di Alcamo chiese rinforzi a Palermo che mandò due navi da guerra pieni di
soldati. Tra i giustiziati va ricordata Angela Romano, una bambina di appena
nove anni. La repressione del generale Savona che si scagliò contro i renitenti
di Castellamare, Alcamo e Monte San Giuliano, fu giudicata un “un bene per la
Patria”, per far uscire la Sicilia, “dal ciclo che percorrono tutte le nazioni
dalla barbarie alla civiltà”. In questo capitolo si accenna ai fatti di
Fantina, in provincia di Messina, vicino Barcellona, dove alcuni sbandati
volontari garibaldini, trovano rifugio nel piccolo centro agricolo, ma un
reparto militare al comando del maggiore Giuseppe C. De Villata, li fece
catturare e subito dichiarandoli disertori li fece fucilare. Sull’eccidio di
Fantina, Antonio Ghirelli scrisse: “l’episodio di Fantina rimase del tutto
sconosciuto alle cronache ufficiali del risorgimento italiano(…)mentre avrebbe
dovuto suggerire severe riflessioni sulla ferocia con cui i vincitori imposero
la loro legge nel Mezzogiorno, tanto nei confronti del ‘brigantaggio’ più o
meno filoborbonico, quanto e forse ancor più rigorosamente rispetto agli
esponenti del Partito d’Azione, ai volontari garibaldini e agli affiliati alla
Giovane Italia”.(pag. 88)
Pensavo di poter concludere, ma ho bisogno di un altro intervento. Alla
prossima.
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