Peso tasse 44%,Italia sale classifica Ue
Crisi: 90,8 milioni ore Cig a giugno
62% famiglie taglia spesa su cibo
Ferrovie: Fitch assegna rating BBB+
Quanto si guadagna con i rifiuti
L'UNIONE SARDA - Economia: Fiscalità di
vantaggio? Ecco chi pagherebbe
05.07.2013
Il botta e risposta
sulla zona franca Beniamino Moro Tra i tanti equivoci da chiarire sulla
richiesta di instaurare in Sardegna una zona franca integrale, dove far
coesistere un insieme di agevolazioni di natura doganale e fiscale che, come
sostengono i proponenti, abbiano l'effetto di aumentare la competitività dei
nostri prodotti, di rilanciare i consumi e gli investimenti e di allargare la
nostra base produttiva, c'è quello di chi paga il costo della fiscalità di
vantaggio. Gli incentivi fiscali, al contrario di quelli finanziari (contributi
a fondo perduto e finanziamenti a tasso agevolato) sono un'arma potentissima di
sviluppo economico regionale usata in tutta l'Europa. Negli ultimi 25-30 anni,
si è assistito a una concorrenza fiscale senza precedenti, con aliquote al
ribasso nella tassazione dei profitti d'impresa derivanti da nuovi
investimenti. L'Irlanda, ad esempio, con la fiscalità di vantaggio a favore
delle nuove imprese che andavano a localizzarsi nel suo territorio, è passata
da un Pil pro-capite che negli anni '80 viaggiava, come quello della Sardegna,
tra il 70-75% della media europea a un valore che alla vigilia della crisi
finanziaria è arrivato intorno al 130%. Mentre la Sardegna è rimasta al palo. È
dentro questo filone di pensiero della concorrenza fiscale utilizzata per
promuovere lo sviluppo economico delle Regioni in ritardo di sviluppo che il
legislatore ha inserito la fiscalità di vantaggio nella legge 42/2009 sul
federalismo fiscale. Per essere applicata nelle Regioni a Statuto speciale, la
legge prevede che queste debbano concordare con lo Stato delle norme di
attuazione, che adeguino i loro Statuti di autonomia alle previsioni normative
della stessa legge 42. Il Trentino-Alto Adige, nella legge finanziaria del
2010, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d'Aosta, nel 2011, hanno concordato
con lo Stato le norme di attuazione dei rispettivi Statuti, con l'inclusione al
loro interno della fiscalità di vantaggio. La norma che al riguardo si ripete
più o meno identica in entrambe le leggi finanziarie è che la Regione o le
Province autonome, relativamente ai tributi erariali per i quali lo Stato ne
preveda la possibilità, possono in ogni caso modificare aliquote e prevedere
esenzioni e deduzioni, purché nei limiti delle aliquote superiori definite
dalla normativa statale. Più o meno, si tratta dello stesso contenuto della
recente Risoluzione della Commissione Autonomia dell'Assemblea sarda che invita
la giunta a formulare al governo una proposta di legge che attribuisca alla
Regione la potestà di modificare aliquote, prevedere esenzioni, detrazioni e
deduzioni sui tributi erariali di spettanza della stessa Regione. Peraltro,
nella sostanza, lo Statuto sardo già contiene all'articolo 10 una norma che
attribuisce alla Regione, al fine di favorire lo sviluppo economico dell'Isola,
la facoltà di disporre, nei limiti della propria competenza tributaria,
esenzioni e agevolazioni fiscali per nuove imprese. Perciò, quando si rivendica
nei confronti dello Stato l'immediata costituzione in Sardegna di una zona
franca integrale, di che cosa si sta parlando in realtà? Il tavolo tecnico
Stato-Regione è senz'altro la sede idonea per specificare nel dettaglio le
norme di attuazione della legge 42/2009 che richiedano modifiche dello Statuto
regionale, ma sul punto specifico della fiscalità di vantaggio non si scorgono
potenziali conflitti con lo Stato, posto che questa misura è prevista dalla
stessa legge 42 e coincide con una norma già contenuta nel nostro Statuto di
autonomia. Sul fatto cioè che la Regione, nell'uso delle proprie risorse
finanziarie, possa gestire a suo piacimento tutte le forme di fiscalità di
vantaggio che ritiene opportune, come peraltro ha già fatto con l'Irap, non mi
pare che ci siano dubbi, sempre che formalmente segua la strada corretta
dell'accordo con lo Stato. Anzi, sarebbe un modo appropriato di gestire le
risorse regionali, invece di sprecarle con le attuali pratiche clientelari. Ma
la Regione è pronta a pagare per la fiscalità di vantaggio?
Peso tasse 44%,Italia sale classifica Ue
Bankitalia, in 2012
secondi per peso debito, solo dopo Grecia
05 luglio, 11:51
(ANSA) - ROMA, 5 LUG
- L'Italia scala la classifica dei ''tassatori'' in Europa. Con la pressione
fiscale, passata dal 42,6 del 2011 al 44% del 2012 scavalca la Finlandia e si
piazza al quarto posto per il peso del fisco tra i 17 paesi dell'euro (era al
quinto nel 2011) e al sesto posto tra i 27 nell'Ue (dal settimo posto del
2011). E' quanto risulta dai dati Bankitalia.
Nel 2012 il peso del
debito pubblico e' passato al 127% e l'Italia si colloca al secondo posto solo
dopo la Grecia.
Crisi: 90,8 milioni ore Cig a giugno
I dati dell'Inps tra
interventi ordinari, straordinari,in deroga
05 luglio, 12:15
(ANSA) - ROMA, 5 LUG
- Nel mese di giugno sono state complessivamente autorizzate 90,8 milioni di
ore di cassa integrazione, tra interventi ordinari, straordinari e in deroga.
Lo comunica l'Inps
evidenziando una diminuzione del 4,9% rispetto ai 95,4 milioni di ore di giugno
2012, e un aumento dell'1,7% rispetto allo scorso mese di maggio (89,3 milioni
di ore).
62% famiglie taglia spesa su cibo
Piu' di 6 famiglie
su 10 applicano strategie contenimento
05 luglio, 10:54
(ANSA) - ROMA, 05
LUG - Nel 2012 la percentuale delle famiglie che ha ridotto la qualita' e/o la
quantita' dei generi alimentari acquistati schizza al 62,3% dal 53,6% dell'anno
precedente. Lo rileva l'Istat, che quindi sottolinea come oltre sei nuclei su dieci
mettano in atto strategie di contenimento dei consumi per i prodotti della
tavola.
Ferrovie: Fitch assegna rating BBB+
Operazioni gruppo profondamente rinnovate
da 2006
04 luglio, 19:36
(ANSA) - ROMA, 4 LUG - Fitch ha assegnato
il rating BBB+ a Ferrovie dello Stato, con un outlook negativo. Valutazioni in
linea con quelle dell'agenzia per il debito sovrano italiano. Il rating, si
legge in una nota, ''riflette il ruolo chiave nello sviluppo delle
infrastrutture nazionali'', la posizione ''dominante nel trasporto passeggeri''
e ''il profondo rinnovamento delle operazioni del gruppo dal 2006''.
Quanto si guadagna con i rifiuti
Passati indenni tra gli scandali e amici di
tutti i politici. Da Cernmi a Grossi, ecco i baroni dell'immondizia DI EMILIANO
FITTIPALDI E ANDREA PALLADINO
Guadagnano milioni di euro ripulendo le
nostre strade, gestiscono attraverso monopoli centinaia di migliaia di
tonnellate di spazzatura, controllano discariche grandi come città, investono
nell'affare degli inceneritori, trattano con i politici e le amministrazioni
locali, finiscono - spesso - nelle inchieste della magistratura per reati
ambientali e corruttivi. Sono i signori della monnezza "made in
Italy", un pugno di imprenditori che da anni si spartisce un business che
vale miliardi di euro l'anno, grazie a uno Stato che ha di fatto deciso di
affidare ai privati un servizio pubblico strategico. In un paese, il nostro,
dove il ciclo integrato dei rifiuti resta una chimera, i livelli medi di
raccolta differenziata sono al palo e le emergenze - soprattutto al Sud - non
sono l'eccezione, ma la norma.
IL SUPREMO DI MALAGROTTA. Se si volesse
stilare una classifica virtuale degli uomini più potenti del settore, al primo
posto ci sarebbe senza dubbio il laziale Manlio Cerroni, il proprietario di
Malagrotta, la più grande discarica d'Europa estesa come 150 campi di calcio.
Un ultraottantenne nato nel borgo di Pisoniano nel lontano 1926 (è stato tré
volte sindaco del suo paese, nonché sponsor della squadra di calcio) chiamato
da ex dirigenti regionali, in alcune intercettazioni ancora secretate, «il
Supremo». Un nomignolo che dice tutto. Perché Cerroni, oltre a Malagrotta,
controlla termovalorizzatori, discariche e impianti di trattamento rifiuti non
solo nel Lazio e in altre regioni italiane, ma in giro per il mondo. Il suo
regno si estende dall'Ar gentina all'Australia, passando per Brasile, Egitto,
Oman e Lituania. Oggi, secondo stime prudenziali, il valore del gruppo potrebbe
superare i due miliardi di euro. L'imprenditore, carattere ruvido e
spregiudicato, tratta monnezza da 66 anni. In una lettera spedita a chi scrive,
spiega di considerarsi «un self-made man: dai miei colleghi» dice «sono
considerato il numero uno, per creazione, per impegno, per lavoro, per
esperienza». "L'Avvocato", come lo chiamano i suoi dipendenti,
nonostante l'età continua a gestire tutto in house, con la collaborazione delle
due figlie e di pochi, storici collaboratori. Il suo nome è diventato noto
negli anni Settanta, quando riuscì a mettere le mani su un "grande
buco" vicino al Raccordo anulare, una cava esaurita di ghiaia e sabbia
usata nel dopoguerra per la costruzione dei quartieri della Tuscolana e
dell'Appia nuova. La discarica viene inaugurata nel 1978 (al tempo, sussurra
qualcuno, l'Avvocato aveva ottimi rapporti con la De) e da allora i politici di
destra e di sinistra, dai peones locali ai ministri, hanno dovuto fare i conti
con lui, consapevoli che se "l'ottavo rè di Roma" avesse deciso di
chiudere bottega, la Capitale sarebbe sprofondata nel suo pattume in poche ore.
«Malagrotta è stata la fortuna e la salvezza di Roma, facendo risparmiare ai romani
oltre due miliardi di euro rispetto alle quotazioni di mercato», ripete Cerroni
a coloro che osano criticare il suo macroscopico monopolio. Se nel corso dei
decenni si sono accumulate decine di denunce per inquinamento, le inchieste -
va ricordato - non lo hanno mai scalfito. Almeno finora: come
"L'Espresso" ha raccontato qualche mese fa, infatti, l'Avvocato e i
suoi fedelissimi sono finiti nel mirino dei pm di Velletri, che hanno aperto
un'inchiesta su un impianto localizzato ad Albano ipotizzando reati gravissimi,
come associazione a delinquere e concorso in truffa ai danni dello Stato. Il pm
nel 2012 chiese addirittura gli arresti, ma il gip dichiarò la propria
incompetenza territoriale girando il fascicolo ai colleghi della procura di
Roma, che oggi indagano anche sulle vicende di Malagrotta. «Mi sarei aspettato»
scrisse a Cerroni a "l'Espresso" dopo l'articolo sulle sue
disavventure giudiziarie «che una "carrozza " ci avesse portati in
Campidoglio per ricevere dal sindaco un grazie per quanto fatto dalla città,
come nell'antica Roma. E invece, altro che carrozza! Mi ritrovo sbattuto nel
girone dei delinquenti...l'unico appellativo che mi si attaglia è quello di
benefattore!». Per la cronaca, Malagrotta - che per legge dovrebbe essere eh
iusa da anni - ha ottenuto giorni fa l'ennesima proroga.
AFFARI GROSSI. Se Cerroni è il ras
incontrastato nel Lazio, in Lombardia comanda la famiglia Grossi. Il fondatore
della Green Holding è il mitico Giuseppe scomparso poco tempo fa - per decenni
a capo di un gigantesco impero economico fondato su discariche e bonifiche.
Schivo, dai modi sbrigativi, Grossi - il cui scettro è ora passato alle figlie
- era legato a doppio filo con Comunione e Liberazione (quando nel 2009 fu
arrestato, davanti la sua cella c'era la fila di politici che volevano andarlo
a trovare, da Maurizio Lupi a Gabriele Albertini) e all'ex governatore Roberto
Formigoni. Salì agli onori della cronache alla fine degli anni Novanta, quando
riuscì ad acquistare il colosso americano Browning-Ferris Industries, punto di
partenza per l'assalto al mercato dei servizi ambientali. Da allora il gruppo
ha macinato appalti a go-go, gestendo (attraverso una complessa holding con il
cuore finanziario nei paesi a fiscalità privilegiata) discariche per rifiuti
pericolosi, invasi per rifiuti urbani e l'inceneritore di Dalmine, in provincia
di Bergamo. Quando la procura di Milano lo arrestò per la vicenda della
bonifica mancata di Montecity nella sua villa trovarono un piccolo tesoro: sei
milioni di euro in Rolex pregiati, una collezione di Ferrari e altre auto di
lusso, senza parlare di ville e terreni sparsi in tutt'Italia. Gli ex manager
che lo hanno conosciuto lo ricordano come uno tosto: «Qualcuno lo considerava
un parvenu del settore ambientale, e lui non perdeva occasione di mostrare ai
concorrenti quanto fosse duro: era uno che non faceva prigionieri». Ad
affiancarlo nella gestione della monnezza aveva chiamato al suo fianco Cesarina
Ferruzzi, conosciuta nell'ambiente come "Madame Déchets". Di lei, "la
signora della spazzatura". Grossi si fidava come nessun altro: tecnico
ambientale che iniziò la sua carriera riportando in patria con la Jolly Rosso i
rifiuti tossici sparsi in Libano dagli italiani alla fine degli anni Ottanta,
diventò poi la sua alter ego, tanto da finire anche lei coinvolta
nell'inchiesta milanese sulla bonifica di Montecity. Ne è uscita con un
patteggiamento.
CI MANDA MARCELLO. Anche Giovan Battista e
Pier Paolo Pizzimbone, i ras liguri della monnezza, hanno amicizie che contano.
Supporter di Silvio Berlusconi, possono contare sul rapporto quasi fraterno con
Marcello Dell'Utri. Per i maligni, conoscenze necessarie per trasformare una
piccola cooperativa di Vercelli in un gigante che controlla una fetta
importante del business dei rifiuti solidi urbani. 1 Pizzimbone sono liguri di
origine, ma siciliani di adozione. Capiscono presto che per fare carriera
bisogna masticare monnezza e politica. La passione per la spazzatura è
ereditaria (è il padre il primo ad entrare nel business), ma sono loro a spiccare
il volo: dopo aver ottenuto il predominio a Imperia e nella Liguria, nel 2004
comprano la Aimeri, con cui invadono decine di Comuni al Nord incluse le città
rosse della Romagna. Vincono poi due maxi-appalti al Sud, quelli per la
raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a Caltanissetta e a
Catania. Sarà un caso, ma il volto politico della famiglia,il quarantenne Pier
Paolo,sarà primo dei non eletti per il Pdl nel collegio catanese alle elezioni
del 2008. L'esperienza siciliana dei fratelli Pizzimbone, però, ha alternato
alti e bassi: alcuni dipendenti delle loro aziende in provincia di Catania sono
infatti finiti in guai giudiziari a causa della (presunta) vicinanza a Cosa
nostra. Il 26 aprile scorso la Dia di Catania ha sequestrato un milione di euro
a Roberto Russo, già responsabile tecnicooperativo di una delle società dei
Pizzimbone, ritenuto dagli investigatori a capo di « un complesso meccanismo di
traffico illecito di rifiuti in forma organizzata». Lo
scorso fine maggio un'altra tegola, stavolta
finanziaria: i 14 comuni catanesi che si servivano della Aimeri hanno deciso di
rescindere il contratto. Motivazione: un servizio «assolutamente inefficiente».
POLITICI A SACCHI. Pietro Colucci,
napoletano di 53 anni, è invece specializzato nella gestione dei rifiuti
industriali. Insieme al fratello Francesco, ha costruito il suo colosso
partendo dalla raccolta della spazzatura in Campania. Terra difficile, dove le
aziende spesso rischiano di essere infiltrate dai clan, attirati da guadagni a
sei zeri. Insieme al fratello Francesco, Pietro fonda una piccola azienda a San
Giorgio a Cremano, ma nel 2000 sono già così forti da poter mettersi in tasca
la Waste Management Italia, colosso del settore acquistato in cordata con la
famiglia Fabiani dell'Italcogim. «Nel 1996, però, decidemmo di lasciare la
Campania - spiega Pietro a "l'Espresso" - Quando mio fratello volle
tornare, ci siamo separati». Con il gruppo Unendo Francesco resta nel business
dei rifiuti urbani, mentre Pietro punta tutto sulle energie rinnovabili e sulla
gestione degli scarti non pericolosi delle industrie. Per il fratello anzianoè
una fortuna: una delle aziende di Francesco, la Daneco, da due anni e mezzo è
infatti al centro dell'inchiesta della Procura di Milano sul recupero dell'area
ex Sisal di Pioltello. Un'inchiesta ha colpito anche il terzo fratello Nicola,
che siede nel consiglio di amministrazione della discarica Ecoambiente a
Latina, dove è indagato per avvelenamento delle acque insieme al braccio destro
di Cerroni Bruno Landi. Anche ricostruendo la storia dei Colucci sembra che per
trasformare in oro la monnezza sia necessario - oltre al know-how, alla
capacità imprenditoriale e ai capitali - avere buoni rapporti con i politici.
«Una decina di anni fa le diverse società del gruppo hanno ampiamente
finanziato prima Forza Italia e poi Alleanza nazionale» ammette Pietro, «Ma
pagavamo anche le feste dell'Unità, sempre in maniera legale e trasparente». A
che servivano queste donazioni? «A nulla: per noi era solo una questione di visibilità».
Se Francesco può vantare ancora oggi una solida amicizia con Gianfranco Fini,
Pietro, da parte sua, non nega il suo stretto rapporto con Edo Ronchi, l'ex
ministro verde degli anni '90, suggellato attraverso la partecipazione alla
Fondazione Sviluppo Sostenibile: «Edo? Certo che lo conosco: è un amico e un
galantuomo». VERDE LEGA. Nella lista dei signori della monnezza più influenti
c'è di tutto. Il leghista Giovanni Fava, onorevole dimessosi poche settimane fa
perché chiamato da Roberto Maroni a fare l'assessore all'Agricoltura della
Lombardia, ha una sfilza di cariche e quote nelle società Econord snc, Econord
servizi ambientali srl, Palladio team Fornovo srl, Palladio team spa, Programma
ambiente spa e Team ambiente spa, tutte dedicate allo smaltimento e ai rifiuti;
in Calabria, invece, uno degli imprenditori più in vista è Raffaele Vrenna,
presidente del Crotone calcio e gestore - attraverso le società controllate
dalla holding di famiglia, la V&V group - della grande discarica idi
Columbra. Vrenna, che è stato anche vicepresidente della Confindustria
regionale, qualche anno fa è stato accusato di concorso esterno in associazione
mafiosa dalla Dda di Catanzaro, accusa dalla quale è stato assolto in appello.
Anche in Puglia un imprenditore specializzato in rifiuti è riuscito a scalare
l'associazione degli industriali cittadina: Antonio Caramia, tendenza
centrodestra, due figlie e proprietario dello sversatoio Italcave di Taranto
(accoglie i rifiuti industriali del siderugico Uva, ma anche il carbone che
viene dall'Eni di Gela e i rifiuti della Campania) ne è infatti diventato
presidente. Insieme al fratello Saverio nella città dei due Golfi è considerato
uno che conta: ricchissimo, ha diversificato lanciandosi sulle attività
portuali (possiedono un terminal per merci sfuse) e su uno stabilimento
balneare, la Fata Morgana. Negli anni'80 i Caramia fondarono anche una tv
locale, Canale Uno, che però non ebbe fortuna.
RAS A PESCARA. In Abruzzo il padrone del
settore si chiama invece Rodolfo Di Zio, monopolista incontrastato di Pescara e
dintorni: la suaDeco, fondata nel 19 8 9, in pratica controlla il ciclo
integrato dei rifiuti in tutta la regione, garantendo all'azien da incassi
milionari che Di Zio ha investito anche all'estero. In particolare, in Africa:
la società Ecotì s.a.,chegestisce impianti e centri di trasferimento su tutto
il territorio tunisino, è sua. Di Zio, già arrestato una volta nel 1994 per
corruzione (fu poi prosciolto), nel 2010 è stato travolto da una nuova
inchiesta giudiziaria che ha messo in luce i rapporti strettissimi tra
l'imprenditore e i politici, sia locali che nazionali: secondo i magistrati di
Pescara che lo ha prima arrestato e poi rinviato a giudizio per corruzione,
Rodolfo sarebbe stato al centro di un'operazione criminosa per costruire un
inceneritore aTeramo. Di Zio prima avrebbe finanziato alcuni uomini di partito
per ottenere l'appalto senza partecipare a gare pubbliche, poi avrebbe brigato
per ridurre la quota obbligatoria di raccolta differenziata dal 40 al 25 per cento,
in modo da avere più rifiuti da bruciare nel suo termovalorizzatore. Secondo la
procura che lo ha intercettato per mesi, l'imprenditore «dava soldi a tutti»:
pagava senatori del Pdl come Paolo Tancredi e Fabrizio Di Stefano (di recente
per loro l'accusa di corruzione è caduta), sindaci e assessori compiacenti,
mentre 94 mila euro sembrano siano finiti in favore di candidati della lista
del governatore Gianni Chiodi. Ma il signore della monnezza pagava anche
qualche quadro del Pd. «Sono apolitico, nel senso che noi non facciamo politica
»ragiona va Di Zio in un'intercettazione, «non ho rapporti soltanto con la
destra, io ce li ho anche con la sinistra». Si sa, gli affari sono affari. E
per essere sicuro di farne di buoni, in Italia, è meglio ungere tutti.
L’Espresso
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