Lunedì 16 Maggio 2011 12:39
Sembra uno scioglilingua, ma
è quello che è accaduto 150 anni fa con la conquista del Sud da parte dei
cosiddetti garibaldini e fuoriusciti dell'esercito sardo-piemontese. Lo scrive
Franz Riccobono, nell'introduzione al libretto, La Real Cittadella di Messina,
sottotitolo: 13 Marzo 1861 l'ultima bandiera borbonica in Sicilia, di Nino
Aquila e Tommaso Romano, edito da Thule di Palermo (www.edizionethule.it). I
ruoli sono stati ribaltati, “chi avrebbe ragionevolmente dovuto vincere la
battaglia ha ufficialmente e sostanzialmente perso, chi non avrebbe potuto
neanche sperare nella vittoria in pratica vinse”.
Aquila e Romano, partendo
dall'ultimo baluardo borbonico della Cittadella di Messina, raccontano senza
reticenze le modalità politiche e militari che hanno portato alla fine del
Regno delle Due Sicilie. Così nella ricorrenza del centocinquantesimo
anniversario dell'Unità d'Italia oltre a ricordare l'impresa dei Mille, “sarà
bene dar voce alla parte borbonica per ristabilire finalmente la verità su
episodi ineludibili di una storia, comunque, comune”.
Il libro dopo i testi di
Aquila e Romano, presenta una selezione del “Diario” di Luigi Gaeta, 2 tenente,
aiutante di campo del maresciallo Gennaro Fergola in Messina, comandante
supremo della reale Cittadella di Messina. “Senza beceri propositi di
revisionismo fine a se stesso, ma nell'intendimento di offrire ulteriore
'nuovo' (...risalente a 150 anni fa!...) contributo alla storiografia
risorgimentale, assieme a Tommaso Romano, abbiamo deciso di ridare alle stampe
– almeno in parte – il testo redatto da Luigi Gaeta”. Per Nino Aquila occorre
conoscere ogni dettaglio della “vera Storia”, di quei giorni, soltanto così
forse si potrà sperare che prima o poi si possa pervenire alla soluzione delle
sperequazioni e delle incomprensioni che esistono fra le varie regioni
d'Italia.
Un particolare mi ha colpito
del diario quando Gaeta racconta la vicenda della battaglia di Milazzo, il
Colonnello Ferdinando Beneventano Del Bosco, comandante del Castello di
Milazzo, chiede rinforzi al generale Clary e questi glieli nega, perché ormai
aveva deciso di tradire il proprio Re, il Gaeta scrive: “perché almeno non si
scaglionano de' battaglioni fino a Spadafora e a Scala, i quali in brevissimo
tempo potrebbero accorrere in soccorso della brigata di Milazzo, minacciata da
forze superiori?” Sono esternazioni, perplessità riguardo al comportamento
delle massime autorità militari a cui sono affidate le sorti del Regno delle
Due Sicilie. Ormai sono diversi i testi dove esplicitamente si parla di
compravendita dei generali borbonici da parte di Garibaldi che era sbarcato in
Sicilia con tanto oro donato dalla massoneria inglese e da quella francese.
Aquila racconta dei generali
borbonici Francesco Landi, Ferdinando Lanza, che dovevano fermare Garibaldi a
Calatafimi e a Palermo, di Tommaso Clary letteralmente comprati per non far
combattere i propri eserciti e poi della tragica scomparsa di Ippolito Nievo,
plausibilmente legata ad una criminale volontà di far sparire i documenti
amministrativi riferentesi alla spedizione dei Mille. Così “la corruttibilità
di militari e funzionari borbonici, a 150 anni dagli eventi, appare come un
fatto incontrovertibile e determinante per l'andamento degli episodi bellici”.
E a questo punto forse “non sarebbe opportuno ridimensionare l'entità delle
vittorie sul campo ottenute da Garibaldi – almeno per quanto riguarda la
campagna in Sicilia – e dare una più circoscritta rilevanza al mito che attorno
al suo nome è stato, in buona parte artatamente costruito?”
Perfino al Giro d'Italia, a
Rai Sport 1, il giornalista sportivo (?) Bartoletti da Messina, ha lanciato un
breve documentario celebrativo di Garibaldi che tra tante altre cose, offendeva
la Chiesa e Pio IX.
Del tradimento ne parla
anche il professore Romano, c'è stata un'intera classe dirigente locale in
Sicilia e nel meridione, ad abbandonare la monarchia borbonica. Cedettero il
Regno senza colpo ferire, tranne qualche battaglia come Milazzo. “Garibaldi e i
suoi, a cominciare da Bixio, lasciarono una scia di sangue e vendetta sul suolo
siciliano e fra il popolo che, non certo in modo maggioritario, aveva creduto
nell'illusione per i contadini della cessione delle terre e in una non meglio
definita libertà e giustizia sociale”.
Con l'unificazione, il Sud
ha perso molto, dal crollo socioeconomico, alla cancellazione del tessuto
identitario, fino ai suoi figli costretti a milioni ad emigrare e a lasciare
che la criminalità e la mafia, il malgoverno, la facessero drammaticamente da
padroni. Per Tommaso Romano è fondamentale rileggere la storia, quella
veritiera, senza obliare le sue pagine. Ma questo purtroppo accade ancora oggi
nonostante siamo nel pieno delle “celebrazioni”, che secondo Romano, non
coinvolgono altro che una casta minoritaria, pregne di retorica patriottarda.
Una buona occasione per
conoscere gli eroi sconfitti e quei luoghi simbolo come la Real Cittadella di
Messina sicuramente hanno contribuito i tre giorni di manifestazioni dall'11 al
13 marzo scorso a Messina: “Una gloriosa pagina del nostro passato volutamente
cancellata dalla storia ufficiale!”, organizzate da numerose associazioni
siciliane con il patrocinio del Comune di Messina. Rilevante il convegno nel
salone delle bandiere di Palazzo Zanca, con la presentazione del libro di
Aquila e Romano, infine il giorno dopo con la S. Messa in suffragio dei caduti
presieduta dal Rev. do Don Vincenzo Castiglione Cappellano Sacro Militare
Ordine Costantiniano di San Giorgio e subito dopo al Bastione S. Stefano della
Real Cittadella con la commemorazione dei fatti d’arme, la scopertura di una
lapide celebrativa e deposizione di una corona d’alloro.
Molti siciliani ma anche
messinesi ignorano la storia centenaria della Cittadella di questi eroi
sconfitti dalla storia, umili e fedeli soldati asserragliati in una sorta di
limbo, quasi un deserto dei Tartari di buzzatiana memoria, quale per l'appunto
furono soldati e ufficiali fedeli della Real Cittadella di Messina, che
resistettero per nove mesi a garibaldini e piemontesi e che il generale
Cialdini non volle concedere l'onore delle armi, al valoroso e invitto
maresciallo Gennaro Fergola. “Era il 13 Marzo 1861, - si legge nella
presentazione della manifestazione messinese - a quattro giorni dalla
proclamazione a Torino del Regno d’Italia, quando dalla Cittadella veniva
ammainata la candida bandiera duosiciliana.
La fortezza messinese rappresentò, insieme con
quelle di Gaeta e di Civitella del Tronto, l’estrema resistenza del millenario
Regno delle Due Sicilie, dove i nostri soldati pur sapendo della inutilità di
ogni sforzo cercarono di difendere la Patria esprimendo la propria fedeltà al
Re Francesco II di Borbone. Questi uomini dimostrarono con le loro gesta
eroiche e con i 47 caduti sugli spalti che il soldato duosiciliano sapeva
combattere e morire per un ideale in contrapposizione ai tanti tradimenti e
vili defezioni che portarono alla caduta del Regno. Una gloriosa pagina del
nostro passato volutamente cancellata dalla storiografia ufficiale come la
stessa Real Cittadella, testimone inesorabile dei fatti, che ancora oggi versa
nel totale abbandono”.
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