lunedì 8 luglio 2013

Chi sono i fratelli padani/6

13 Marzo 1861 l'ultima bandiera borbonica in Sicilia 
Lunedì 16 Maggio 2011 12:39
Scritto da Domenico Bonvegna




Sembra uno scioglilingua, ma è quello che è accaduto 150 anni fa con la conquista del Sud da parte dei cosiddetti garibaldini e fuoriusciti dell'esercito sardo-piemontese. Lo scrive Franz Riccobono, nell'introduzione al libretto, La Real Cittadella di Messina, sottotitolo: 13 Marzo 1861 l'ultima bandiera borbonica in Sicilia, di Nino Aquila e Tommaso Romano, edito da Thule di Palermo (www.edizionethule.it). I ruoli sono stati ribaltati, “chi avrebbe ragionevolmente dovuto vincere la battaglia ha ufficialmente e sostanzialmente perso, chi non avrebbe potuto neanche sperare nella vittoria in pratica vinse”.

Aquila e Romano, partendo dall'ultimo baluardo borbonico della Cittadella di Messina, raccontano senza reticenze le modalità politiche e militari che hanno portato alla fine del Regno delle Due Sicilie. Così nella ricorrenza del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia oltre a ricordare l'impresa dei Mille, “sarà bene dar voce alla parte borbonica per ristabilire finalmente la verità su episodi ineludibili di una storia, comunque, comune”.

Il libro dopo i testi di Aquila e Romano, presenta una selezione del “Diario” di Luigi Gaeta, 2 tenente, aiutante di campo del maresciallo Gennaro Fergola in Messina, comandante supremo della reale Cittadella di Messina. “Senza beceri propositi di revisionismo fine a se stesso, ma nell'intendimento di offrire ulteriore 'nuovo' (...risalente a 150 anni fa!...) contributo alla storiografia risorgimentale, assieme a Tommaso Romano, abbiamo deciso di ridare alle stampe – almeno in parte – il testo redatto da Luigi Gaeta”. Per Nino Aquila occorre conoscere ogni dettaglio della “vera Storia”, di quei giorni, soltanto così forse si potrà sperare che prima o poi si possa pervenire alla soluzione delle sperequazioni e delle incomprensioni che esistono fra le varie regioni d'Italia.

Un particolare mi ha colpito del diario quando Gaeta racconta la vicenda della battaglia di Milazzo, il Colonnello Ferdinando Beneventano Del Bosco, comandante del Castello di Milazzo, chiede rinforzi al generale Clary e questi glieli nega, perché ormai aveva deciso di tradire il proprio Re, il Gaeta scrive: “perché almeno non si scaglionano de' battaglioni fino a Spadafora e a Scala, i quali in brevissimo tempo potrebbero accorrere in soccorso della brigata di Milazzo, minacciata da forze superiori?” Sono esternazioni, perplessità riguardo al comportamento delle massime autorità militari a cui sono affidate le sorti del Regno delle Due Sicilie. Ormai sono diversi i testi dove esplicitamente si parla di compravendita dei generali borbonici da parte di Garibaldi che era sbarcato in Sicilia con tanto oro donato dalla massoneria inglese e da quella francese.

Aquila racconta dei generali borbonici Francesco Landi, Ferdinando Lanza, che dovevano fermare Garibaldi a Calatafimi e a Palermo, di Tommaso Clary letteralmente comprati per non far combattere i propri eserciti e poi della tragica scomparsa di Ippolito Nievo, plausibilmente legata ad una criminale volontà di far sparire i documenti amministrativi riferentesi alla spedizione dei Mille. Così “la corruttibilità di militari e funzionari borbonici, a 150 anni dagli eventi, appare come un fatto incontrovertibile e determinante per l'andamento degli episodi bellici”. E a questo punto forse “non sarebbe opportuno ridimensionare l'entità delle vittorie sul campo ottenute da Garibaldi – almeno per quanto riguarda la campagna in Sicilia – e dare una più circoscritta rilevanza al mito che attorno al suo nome è stato, in buona parte artatamente costruito?”

Perfino al Giro d'Italia, a Rai Sport 1, il giornalista sportivo (?) Bartoletti da Messina, ha lanciato un breve documentario celebrativo di Garibaldi che tra tante altre cose, offendeva la Chiesa e Pio IX.

Del tradimento ne parla anche il professore Romano, c'è stata un'intera classe dirigente locale in Sicilia e nel meridione, ad abbandonare la monarchia borbonica. Cedettero il Regno senza colpo ferire, tranne qualche battaglia come Milazzo. “Garibaldi e i suoi, a cominciare da Bixio, lasciarono una scia di sangue e vendetta sul suolo siciliano e fra il popolo che, non certo in modo maggioritario, aveva creduto nell'illusione per i contadini della cessione delle terre e in una non meglio definita libertà e giustizia sociale”.

Con l'unificazione, il Sud ha perso molto, dal crollo socioeconomico, alla cancellazione del tessuto identitario, fino ai suoi figli costretti a milioni ad emigrare e a lasciare che la criminalità e la mafia, il malgoverno, la facessero drammaticamente da padroni. Per Tommaso Romano è fondamentale rileggere la storia, quella veritiera, senza obliare le sue pagine. Ma questo purtroppo accade ancora oggi nonostante siamo nel pieno delle “celebrazioni”, che secondo Romano, non coinvolgono altro che una casta minoritaria, pregne di retorica patriottarda.

Una buona occasione per conoscere gli eroi sconfitti e quei luoghi simbolo come la Real Cittadella di Messina sicuramente hanno contribuito i tre giorni di manifestazioni dall'11 al 13 marzo scorso a Messina: “Una gloriosa pagina del nostro passato volutamente cancellata dalla storia ufficiale!”, organizzate da numerose associazioni siciliane con il patrocinio del Comune di Messina. Rilevante il convegno nel salone delle bandiere di Palazzo Zanca, con la presentazione del libro di Aquila e Romano, infine il giorno dopo con la S. Messa in suffragio dei caduti presieduta dal Rev. do Don Vincenzo Castiglione Cappellano Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e subito dopo al Bastione S. Stefano della Real Cittadella con la commemorazione dei fatti d’arme, la scopertura di una lapide celebrativa e deposizione di una corona d’alloro.

Molti siciliani ma anche messinesi ignorano la storia centenaria della Cittadella di questi eroi sconfitti dalla storia, umili e fedeli soldati asserragliati in una sorta di limbo, quasi un deserto dei Tartari di buzzatiana memoria, quale per l'appunto furono soldati e ufficiali fedeli della Real Cittadella di Messina, che resistettero per nove mesi a garibaldini e piemontesi e che il generale Cialdini non volle concedere l'onore delle armi, al valoroso e invitto maresciallo Gennaro Fergola. “Era il 13 Marzo 1861, - si legge nella presentazione della manifestazione messinese - a quattro giorni dalla proclamazione a Torino del Regno d’Italia, quando dalla Cittadella veniva ammainata la candida bandiera duosiciliana.

 La fortezza messinese rappresentò, insieme con quelle di Gaeta e di Civitella del Tronto, l’estrema resistenza del millenario Regno delle Due Sicilie, dove i nostri soldati pur sapendo della inutilità di ogni sforzo cercarono di difendere la Patria esprimendo la propria fedeltà al Re Francesco II di Borbone. Questi uomini dimostrarono con le loro gesta eroiche e con i 47 caduti sugli spalti che il soldato duosiciliano sapeva combattere e morire per un ideale in contrapposizione ai tanti tradimenti e vili defezioni che portarono alla caduta del Regno. Una gloriosa pagina del nostro passato volutamente cancellata dalla storiografia ufficiale come la stessa Real Cittadella, testimone inesorabile dei fatti, che ancora oggi versa nel totale abbandono”.

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