martedì 9 luglio 2013

Chi sono i fratelli padani/9

[Luigi Capozza] [05.05.2013]
San Giovanni in Fiore, Calabria (Italia?)  
«Rubano è qui, e lucemi dallato / il calavrese abate Giovacchino / di spirito profetico dotato.» (Dante Alighieri, Paradiso, vv. 139-141).
“Gioacchino … propone un messaggio riformistico-escatologico, una sorta di renovatio morale e religiosa … ed esprimeva il diffuso desiderio di rinnovamento radicale, nella liberazione dal peso di istituzioni e problemi di ordine terrestre» (Reale-Antiseri, Il pensiero occidentale …, I vol. pag. 370, 1989).
«Dalla vastissima orma lasciata da Gioacchino … nasceva il gioachinismo … che finì poi col pervadere con il suo potente fermento spirituale la religiosità del secolo XII …» (A. Crocco, in vol. e opera sopra citati).
«Gioacchino sia colui che, per noi oggi, realizza nel modo più pieno il senso del cristianesimo per la filosofia … Meditazione sulla storia “Evento dell’Essere” … “La salvezza consiste nella piena comprensione della storia che si realizza”» (Gianni Vattimo, Primo incontro del Centro internazionale di studi Gioachimiti).


Dunque, la spiritualità calabrese si consolida proprio con Gioacchino (senza dimenticare S. Francesco di Paola) e parte da S. Giovanni in Fiore. Un popolo sempre invaso e non guerriero per natura, si difendeva al massimo, trovava e trova il suo riscatto nella forma della più alta spiritualità, rivoluzionaria nel pensiero e nei sentimenti comuni e comunitari e non certo in quella delle armi. Una lezione di “potente fermento” per tutti coloro che disprezzano la Calabria e il Meridione per fini inconfessabili e storicamente distorti.
Ma come mai tanta spiritualità “rivoluzionaria” oggi sembra essere scemata se non addirittura smarrita? Come mai San Giovanni in Fiore, capitale della Sila, cioè del territorio più ricco e appetito dalle varie dominazioni, dai Greci ai Bruzi ai Signori della II Guerra mondiale, appare poco capace di porsi di nuovo come portabandiera di riscatto spirituale ma anche di “problemi di ordine terrestre”?

Come mai la Calabria (e il Meridione tutto) sembra aver dimenticato la lezione gioachimita e la sua propria natura?

«La razza – dice Salvemini [contro le teorie, razziali se non razziste, di Lombroso e Niceforo] – si forma nella storia ed è effetto di essa, non causa, e nella storia si trasforma; spiegare la storia di un paese con la parola razza è da poltroni e da semplicisti» (Gaetano Salvemini, in La questione meridionale, A. Renda).

E invece che cosa ancor oggi accade? Ancor oggi i Calabresi e Meridionali veniamo trattati come una “razza” debosciata, tesa alla delinquenza, incapace di progredire. Eppure: la Calabria è «Una bella donna che quando ne sei lontano ti fa soffrire di nostalgia … Questa terra di antiche civiltà ha dato alla storia e alla letteratura italiana tanti uomini illustri che, purtroppo, molti calabresi, ancor oggi neppure conoscono» (da un articolo di Giuseppe Berto, un veneto vissuto tanti anni in Calabria).

Ma dunque, qual è stata questa storia che sta trasformando, se non lo ha già fatto, la storia calabrese e la sua spiritualità?

Vediamo. «Il brigantaggio è la sola guerra che la classe contadina riesce a condurre quando lotta da sola. Non è soltanto una reazione alla repressione statale e contro i gravami imposti dallo Stato unitario, ma anche violenza armata per vendicare le sopraffazioni e i tradimenti dei “galantuomini”» (F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Milano).

La Sinistra storica – nota Leopoldo Franchetti in “Nuova Antologia” – cercò di migliorare il livello politico del Sud con l’estensione del voto, ma il fatto fu contro produttivo perché si risolse a vantaggio dei cosiddetti galantuomi, cioè dei prepotenti locali.

Ne consegue che la storia del popolo meridionale comincia a cambiare e, come dire, ad ammosciarsi, con impoverimenti, emigrazione, vessazioni e distruzione-denigrazione della sua storia passata, proprio a partire dall’Unità d’Italia e dal predominio dei galantuomini.

Quanto ciò sia vero ce lo confermano studiosi e politici seri e coscienziosi.

“I governi italiani per avere i voti del Sud concessero i pieni poteri alla piccola borghesia, delinquente e putrefatta, spiantata, imbestialita, cacciatrice d’impieghi e di favori personali, ostile a qualunque iniziativa … Qualunque gruppo di uomini onesti di qualsiasi partito avesse voluto mettere un po’ di freno alla iniquità di una sola delle clientele che faceva capo a un deputato meridionale, era sicuro di trovarsi contro tutta la marmaglia compatta [non fischiano le orecchie a qualcuno ancor oggi?]. Il nostro sistema politico e amministrativo si fondava sull’asservimento della piccola borghesia intellettuale … ai gruppi politici prevalenti nell’Italia settentrionale e sul consenso sistematico … alla malvagità bestiale delle clientele meridionali [ripetiamo: non fischiano le orecchie a qualcuno ancor oggi?].

Ma che vuol dire che la storia del Sud e della Calabria in particolare è cambiata, non hanno forse ragione gli intellettuali di cui sopra, i nordisti e i governativi ad affermare che il Sud è sempre stato povero, spiantato, iniquo e vessato? Quanta malacoscienza! (La questione sarebbe troppo lunga da dipanare qui e rinviamo a precedenti nostri saggi e articoli comparsi nelle riviste e on line della nostra provincia, e non solo). Qui bastino altre due autorevoli testimonianze.

«In quarant’anni il Sud ha dato ciò che poteva e ciò che non poteva … Per effetto della politica di Stato, della forma che l’annessione del Mezzogiorno ebbe, parecchi miliardi … [è vero che] si siano trasferiti dal Sud al Nord … il Mezzogiorno contribuiva assai più del Settentrione alle entrate dello Stato … Il 65% di tutta la moneta circolante in Italia era del Sud e in pochi anni … emigrò al Nord e fu impiegata per lavori pubblici nel Settentrione … Il Sud fu privato dei suoi capitali a esclusivo vantaggio del Nord … e non poté pensare a se stesso» (F. S. Nitti, Bilancio dello Stato dal 1862 al 1897, in Scritti sulla questione meridionale). «I milioni dati in premio a un gran numero di fabbriche e di cantieri dell’alta Italia sono estorti, nella massima parte alle moltitudini del Mezzogiorno» (G. Fortunato, Dopo il misfatto, in Il mezzogiorno e lo Stato Italiano).

Dunque, almeno da questo versante, il Sud era ricchissimo: possedeva il 65% dei capitali circolanti in tutt’Italia e l’Unità servì allo sviluppo del Nord, impoverendo il Sud. Lo riconosce perfino Luigi Einaudi: «Sì, è vero, noi settentrionali … peccammo di egoismo … ad assicurare alle nostre industrie il monopolio del mercato meridionale, con la conseguenza di impoverire l’agricoltura del Sud; è vero che abbiamo spostato molta ricchezza dal Sud al Nord» (L. Einaudi, Il Buongoverno, Bari 1954). Ricchezza che continua ad essere rapinata con l’acquisizione delle nostre banche da parte di quelle del Centro-Nord e dai mercanti, eufemisticamente chiamati imprenditori, del Nord (non per niente le mafie si sono spostate colà).

Non sappiamo, ma temiamo che sì, forse, se i giovani sangiovannesi (e meridional-calabresi) seguono ancora le sirene sulla Calabria terra di miseria e ‘ndrangheta. Ma li invitiamo, oggi che l’emigrazione è impossibile perché con mille euro al mese non si vive bene neanche da noi, a recuperare in loco lo spirito gioachimista, profetico e rivoluzionario della storia e dell’uomo, per ridiventare il faro della propria città, intraprendendo e costruendo e facendo sana politica, e il faro della Calabria, senza dimenticare l’humus che ancora portiamo dentro, nonostante tutto, nella nostra indomita anima, per quanto sconquassata dalle culture importate e omologanti, invitanti al conformismo.

Quel Gioacchino e quell’humus che rimandano almeno a Cassiodoro, Aristippo, Filolao, Ibico, Nosside, Stersicore, Democede, Prassitele, Clearco e da cui discendono Telesio e i vari grandi monaci e sacerdoti, Jordano, Santanna, Mattia Preti, Rotella, fra’ Umile da Bisognano, Campanella, Galluppi, Foscarini e Viglierolo, Lilio, Leonardo Vinci, Cilea, Rendano, Padula, per finire con Alvaro, La Cava, Costabile, Calogero, Calabrò. E chi più ne ha più ne metta.

Certo la città di San Giovanni in Fiore fu devastata dal sacco edilizio tra gli anni ’60 e ’90 (non fosse che per le stazioni turistiche di alta montagna, crediamo che pochi andrebbero a visitare la cittadina, non bella se non in certi scorci storici) e dall’insipienza di tanti amministratori provinciali e poi regionali, senza dimenticare i comunali, che non seppero, e non sanno forse, o non vollero, chissà, “sfruttare” tanta eredità culturale e spirituale, ma soprattutto di ricchezza territoriale (bacini per l’energia idroelettrica – Garga, Iunture, Redisole – castagno e vigneti, fiumi e laghi, vigneti, fichi d’India, loto, ulivo, melo e pero, pini, faggi e pioppi, abete bianco) e di tradizione di tanti opifici e artigianato (mobili, tappeti orientali, ecc.). Con tanta ricchezza, non vi sono fabbriche di mobili e tappeti, spendibili a livello nazionale e internazionale, non vengono sfruttate adeguatamente le risorse agricole, pastorali e montane (intendiamo col termine “adeguatamente” la mancata promozione industriale e commercializzazione almeno a livello nazionale. Il vostro legname, per esempio, al di là di un povero uso artigianale, se lo vengono a prendere le industrie del Nord). E, parafrasando il regista Allen, “se Dio è morto, neanche il terziario se la passa bene”.
Allora, giovani sangiovannesi, e calabresi, alla riscossa, datevi da fare per un “evento dell’Essere”, che giustifichi gli enti, affinché, nello spirito gioachimita, “La salvezza consista nella piena comprensione della storia che si realizza”. E’ un augurio e una speranza in voi.
[Luigi Capozza]
[05.05.2013]

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