sabato 13 novembre 2010

Campania, ecco chi devasta i Parchi e le aree protette


Maurizio Fraissinet, biologo naturalista.
Nel territorio sono presenti due Parchi nazionali, otto regionali, tredici tra riserve e zone marine tutelate e decine di Oasi. Ma i controlli sono scarsissimi, e a trionfare sono solo anarchia e impunità.
Entrando in un’Oasi del Wwf, lungo il percorso si incontrano cartelli con su scritto “Qui la natura è protetta”. è un’affermazione importante che sa di impegno dell’organizzazione ambientalista da un lato e di monito per il visitatore dall’altro, oltre ad essere rassicurante per chi ama la natura ed è in pena per le distruzioni operate dall’uomo. In Campania, come ahinoi in gran parte d’Italia, la natura è protetta solo sulla carta. Sulla carta infatti nella Regione sono presenti due parchi nazionali, otto Parchi regionali, 4 riserve naturali dello Stato, quattro riserve naturali regionali, 5 aree marine protette, oltre a diverse decine tra Oasi gestite dal Wwf, Legambiente, territori Zps (Zone di Protezione Speciale ai sensi della Direttiva Comunitaria “Habitat”) e territori Sis (Siti di Importanza Comunitaria ai sensi della Direttiva Comunitaria “Uccelli”).
Di queste si contano sulle dita di una mano quelle che mostrano tentativi, più o meno appassionati, di gestione e di  difesa concreta della natura, quasi sempre a carico di volontari o presidenti lasciati soli ed animati solo dalla personale passione per la natura. Nelle aree protette campane si può fare ciò che si vuole. Il governo ci può aprire le discariche, i bracconieri possono sparare quando e come vogliono, i proprietari di moto da cross e di squad possono scorazzare liberamente indisturbati, i costruttori possono costruire ovunque, dalle rive dei laghi alle cime delle montagne, chiunque voglia può andare a sversare rifiuti di ogni genere sulle rive dei fiumi come nelle faggete più belle, chi è dotato di un motoscafo può tranquillamente navigare a tutto gas tra le boe delle riserve marine divertendosi a fare lo slalom. Tanto non c’è nessuno che controlla e anche se si volesse chiamare qualche corpo di polizia per segnalare un abuso la risposta è che non hanno i soldi per le motovedette o per le auto.
Acquisita in tal modo l’impunità, chi odiava i parchi già prima della loro istituzione perché non voleva sentirsi condizionato nelle proprie sane abitudini, quali ad esempio costruire e cementificare il territorio ovunque, sparare a qualsiasi essere vivente si muove tra i cespugli, scorazzare con le moto e le auto sui prati, pescare impunemente dove si vuole, lo sa e sa di aver vinto la battaglia contro i parchi. Le istituzioni regionali, provinciali e comunali, nonché le comunità montane hanno issato bandiera bianca subito. Eppure avevano vomitato miliardi di parole ai convegni vantandosi di essere stati loro ad aver difeso il territorio, quel territorio che si voleva far diventare parco, quasi fosse una disgrazia sopravvenuta sulla loro testa. Ebbene dove sono quei sindaci che lo dicevano, dove sono oggi quegli assessori che parlavano di conservazione della natura? Quelli che non sono alle prese con vicende giudiziarie e che pertanto sono giustificati perché distratti da altre cose, perché non si fanno avanti e combattono insieme agli ambientalisti campani la sacrosanta battaglia in difesa della natura?
Eppure tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000 la Campania era considerata un esempio da imitare nel campo delle aree naturali protette. Era riuscita a creare tanti parchi regionali e tutti d’intesa con le amministrazioni locali, aveva impegnato ingenti risorse comunitarie nelle aree naturali protette, un autentico record in ambito europeo. Cosa è successo per sprofondare in un baratro così triste e angosciante in pochi anni? Hanno prevalso a mio avviso più fattori concomitanti. L’incredibile mole di investimenti ha fatto aderire molte amministrazioni comunali al solo scopo di poter ottenere i finanziamenti, senza una reale convinzione di tutela del territorio visto come politica pianificatoria utile per rilanciare in maniera sostenibile il proprio territorio. La legge regionale della Campania sulle aree naturali protette, al fine di non gravare troppo sul bilancio regionale, non prevede la figura dei guardiaparco e la sorveglianza quindi è affidata ad un “pugno di uomini” del Corpo Forestale o delle guardie provinciali. In alcune zone questi ultimi sono assolutamente impreparati a svolgere questo compito, mentre il Cfs è presente nei territori appenninici con piccole stazioni condotte da 2, massimo 3 (ma è raro!) agenti, da tempo ormai integrati nel tessuto sociale dei paesini e non in grado quindi di restare imparziali dinanzi ai reati ambientali.
Ma l’aspetto più grave che ha rappresentato il principale problema del rapido declino delle aree protette campane è stato sicuramente l’oscena lottizzazione politica delle nomine dei presidenti. A parte poche ed eroiche eccezioni, i presidenti sono stati nominati con il metodo classico dell’appartenenza ai partiti. Il fatto che il soggetto non sapesse che i pipistrelli siano mammiferi e non uccelli non contava minimamente, contava che avesse la tessera del proprio partito e che, magari ma non sempre, godesse di un buon consenso elettorale in loco. A che serve nominare un presidente di Parco privo di qualsiasi conoscenza minima di base di gestione di aree naturali protette? Molto semplice: serve a indirizzare i fondi comunitari verso le realtà economiche e professionali vicine al partito e a collocare in qualche modo quei personaggi che non si è riusciti a piazzare altrove (assessorati, sindacature, Cda “importanti”, ecc.). La logica è: costoro stiano lì a fare i presidenti dei Parchi, e se rispettano le consegne, che non sono certo quelle di difendere la natura, potranno fare ulteriormente carriera!
La prova di ciò è che quando poi, terminati i cinque anni, si è provveduto al cambio delle nomine, quelli bravi che avevano lavorato solo nello spirito della legge e per amore della natura non sono stati confermati o sono stati trasferiti. L’ultima mazzata, poi,  è arrivata con il patto di stabilità che sta congelando da mesi la spesa pubblica della Regione Campania e che ha visto la chiusura di qualsiasi struttura aperta e funzionante nei parchi campani per mancanza di finanziamenti e quindi di personale. Funzionano solo quelle delle associazioni ambientaliste che si basano sul volontariato. Questo sta avendo anche gravi ripercussioni economiche sul territorio, a dimostrazione della falsità di molti amministratori che si dicono preoccupati per la crisi economica e che, invece, protestano solo per avere i fondi che favoriscano le lobby  economiche a cui sono legati (edilizia, cave, acque minerali, ecc.).
Coloro che avevano investito, e in Campania sono tanti, nel turismo sostenibile all’indomani della grande stagione dei parchi campani, ora si sentono totalmente abbandonati. Sta naufragando una grande occasione di crescita di un’economia sana e durevole, un’economia che però contrasta con quella di chi deve costruire le case, noleggiare i macchinari per l’edilizia, vendere moto e squad, vendere le cartucce, di chi i Parchi non li voleva e non li vuole. è triste vedere turisti stranieri a Punta Campanella, nell’Area Marina Protetta, dover fuggire via dalla costa perché infastiditi dal rumore assordante dei motoscafi che scorazzano dove non dovrebbero (e dove non si fa in tutto il resto d’Europa!), è triste vedere gruppi di appassionati di trekking tornare indietro perché il sentiero è occupato da motociclisti che fanno motocross (è vietato in tutta Europa nelle aree protette!), è triste dover assistere all’agonia di un giovane falco pescatore con anello finlandese sparato poche ore prima in un’area protetta. Ma protetta da chi? Protetta contro chi?
Fonte:

Nessun commento: