venerdì 3 dicembre 2010

Tutti gli ”ismi” della Basilicata


03/12/2010 di NINO D'AGOSTINO 
Il presidente della giunta regionale, Vito De Filippo, spesso ricorre al suffisso “ismo” applicato a termini, come dire, dispregiativi come catastrofe (e dunque catastrofismo), declino (e dunque declinismo), percorrendo vie della comunicazione tracciate da Berlusconi. 
Per una volta desidero anch’io avventurarmi su tale strada e parlare di “negazionismo”, di cui i due interlocutori citati prima sono indubbiamente dei maestri.
Negare la realtà, proponendone una virtuale, è una operazione sbagliata per almeno due motivi: primo, perché ci fa ragionare su dati errati, secondo, perché ci allontana dalla soluzione dei problemi.
Negare è un modo per sottrarsi alle proprie responsabilità, caricandosi, peraltro di azioni, ruoli, funzioni che vanno attribuiti ad altri.
Questo modo di comportarsi del nostro presidente lucano mi fa pensare a due miti: quello di Atlante, punito da Zeus, che lo condannò a sorreggere per l’eternità la volta del cielo e che, nella leggenda successivamente distorta, viene rappresentato con il mondo sulle spalle e quello dei prigionieri incatenati nella caverna di platone, che scambiavano le ombre proiettate sulla parete che avevano di fronte come persone in carne ed ossa che invece stavano alle loro spalle e che essi non potevano vedere e conoscere.
Purtroppo o per fortuna, il mondo non sta sulle spalle di De Filippo. Parafrasando F. Braudel, in ogni situazione socio-economica, positiva o negativa che sia, sussistono delle “complicità” dei vari attori sociali che entrano in campo. Per non farla lunga, è evidente che la borghesia professionale (ben ristorata da oltre duemilacinquecento incarichi di consulenza alle istituzioni amministrative regionali) e produttiva (per molta parte alla ricerca di favoritismi possibili in molti spazi all’interno della spesa pubblica) ha concorso e concorre al sottosviluppo economico regionale, è notorio che i “luoghi terzi” come la scuola, l’università fanno poco per spingere i giovani a darsi un progetto di vita lavorativa forte, che la famiglia è molto attenta a intraprendere scorciatoie politiche nell’ottenimento dei propri diritti, a danno di coloro che non vogliono percorrere tali stradine, determinando profonde ingiustizie.
De Filippo si rassereni dunque: dismetta i panni di Atlante ed indossi quelli che si confanno al suo ruolo politico. Esca dalla caverna di platone e abbia il coraggio di guardare la realtà, così com’è, con le sue luci (poche, in verità) e con le sue tante ombre.
Una realtà che tutti i grandi analisti (svimez, Istat, Banca d’Italia, istituto tagliacarte, ecc.) ci mostrano tutti i giorni.
La Basilicata è una regione, in cui prevalgono i vecchi (gli over 60) che ormai superano di 6/7 punti percentuali i giovani da 0 a 14 anni, contrariamente a quanto succede nel resto delle regioni meridionali, in cui la natalità è inferiore alla mortalità, la mortalità infantile si attesta sul 5,7 per mille contro una media nazionale di poco superiore all’uno per mille, nella quale circa 2.000 giovani abbandonano la Basilicata ogni anno in cerca di lavoro al centro-nord, aggiungendosi alla emigrazione studentesca ed a quella sanitaria, dando luogo a tre filoni migratori, attraverso i quali “regaliamo” alle altre regioni circa 350 milioni di euro all’anno, contrariamente a ciò che pensano i leghisti.
Quando i giovani non hanno lavoro e da noi sono una massa enorme (oltre 50 mila persone, pari al 22% della forza lavoro potenziale), quando molti di questi vanno via perché hanno perso la speranza di trovare un impiego dignitoso in Basilicata, perdiamo di conseguenza i soggetti si cui si può costruire il futuro di un territorio.
C’è poco da discutere, avanti a tali fatti che sono incontrovertibili e che incombono come macigni sull’avvenire regionale.
Sostenere che la Basilicata è più grande delle Marche, per cercare di rinvigorire idee di virtuosità locali, è controproducente, perché questa circostanza finisce con l’essere una aggravante dello stato di arretratezza in cui versiamo: avere più territorio dovrebbe consentirci di disporre di più risorse su cui contare, e dunque se le Marche ci sopravanzano e di molto nella crescita non possiamo non concludere che siamo incapaci di utilizzarle appieno.
Abbiamo risorse superiori ai nostri fabbisogni, ma rimaniamo invischiati nella scarsa crescita sociale ed economica.
Quello che manca è un progetto, una visione ed una strategia di sviluppo: navighiamo a vista, privilegiando corporazioni politiche, professionali e produttive impegnate a consolidare le proprie rendite di posizione, più che concentrarsi sul obiettivi di interesse generale.
In questa ottica, ci si attende che la politica innovi profondamente la sua azione, uscendo dall’ambito della pura retorica di virtuosità chiaramente inesistenti, chiamando gli altri attori sociali a fare la loro parte, predisponendo un contesto tale da far esprimere ad ognuno le proprie potenzialità, evitando le attuali invasioni di campo.
Crisi/Censis: Oltre 2 mln giovani non hanno lavoro nè lo cercano. In prevalenza sono donne e abitano nel Sud
Roma, 3 dic. (Apcom) – I giovani sono quelli che hanno più avvertito sulla propria pelle gli effetti della crisi. Poco fiduciosi nella possibilità di trovare un’occupazione, ma anche poco disponibili a trovarne una a qualsiasi condizione, almeno per una buona parte hanno definitivamente archiviato la pratica lavoro. Lo rileva il 44esimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del paese.
Sono 2.242.000 le persone tra 15 e 34 anni che non studiano, non lavorano né cercano un impiego. Un universo ampio, pari al 16,3% del totale, il cui perso appare sempre più consistente nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni (19,2%).
Più della metà degli italiani (55,5%) pensa che i giovani non trovino lavoro perché non vogliono accettare occupazioni faticose e di scarso prestigio. “Una valutazione che potrebbe apparire ingenerosa e stereotipata – spiega il Censis – se non fosse che a esserne più convinti sono proprio i più giovani, tra i quali la percentuale sale al 57,8%”.
I giovani scoraggiati sono in prevalenza donne, in possesso di titoli di studio molto bassi (il 51,5% ha al massimo la licenza media); il 60,3% risiede al Sud. Escludendo quanti, soprattutto donne, stanno a casa per prendersi cura dei figli (20,6% del totale), la parte restante spiega la propria scelta di non lavoro nè di studio con un “mix perverso di sfiducia e inerzia”. Il 20,9% non cerca lavoro perchè sa che non lo troverà; il 13,1% perchè sta aspettando delle risposte; l’11% perchè frequenta temporaneamente qualche corso; il 5,2% perchè non gli interessa e non ne ha bisogno; il 10,9% chiama in causa altri motivi.
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