domenica 13 febbraio 2011

Federali della Sera. Theiner corregge il tiro, i terremotati pagheranno la tassa sulle calamità naturali. E’ sparito il cliente egiziano. 13 febbraio 2011.

Sezione Forza Luis:
1. Bozen. Theiner corregge il tiro: alle cerimonie Tommasini e Bizzo in veste ufficiale.
2. Trento. L'editoriale: Multiculturalismo, modello fallito.

Sezione dateci i soldi:
3. Belluno. Belluno: Altre sette settimane di cassa integrazione alla Invensys.
4. Vajont: i fondi Montedison sono quasi finiti.
5. I terremotati pagheranno la tassa sulle calamità naturali.
6. Roma. Vecchioni: quote latte, sceneggiata grottesca.
7. Udin. A Udine nasce il mercatino dell’usato alimentato con i rifiuti in buono stato.

Sezione biutiful cauntri:
8. Roma. Centri già esauriti caccia all'albergo.
9. Potenza. Mafia lucana. Il boss: ecco come mi hanno tradito.

1. Bozen. Theiner corregge il tiro: alle cerimonie Tommasini e Bizzo in veste ufficiale. BOLZANO. La Svp vuole chiudere il caso dei 150 anni. Ha creato scalpore nel partito la lettera del presidente della Repubblica Napolitano. I vertici, dall'Obmann Richard Theiner ai deputati Brugger e Zeller, hanno fatto quadrato attorno al presidente Luis Durnwalder, obiettando ad alcuni passaggi del comunicato del Quirinale (i riferimenti alla «pretesa minoranza austriaca» e alla convinzione che «la larga maggioranza della popolazione di lingua tedesca» si sente italiana). «Ma adesso basta benzina sul fuoco», mette in chiaro Theiner, lasciando ieri pomeriggio l'assemblea degli Arbeitnehmer a Cornaiano che per acclamazione ha confermato presidente Christoph Gufler. In platea c'era anche il vicepresidente provinciale Christian Tommasini (Pd, insieme al segretario Antonio Frena e alla deputata Luisa Gnecchi). Theiner ne approfitta per chiudere, «lo spero», il palleggio sulla partecipazione di Tommasini e dell'assessore Roberto Bizzo alle cerimonie per i 150 anni. «Ci vadano come assessori, ma non rappresenteranno la Provincia», è la posizione di Durnwalder. Theiner: «Sono assessori, il loro è un ruolo istituzionale. E' giusto che chi vuole, festeggi». Tommasini conferma: «Andremo e sarà una presenza istituzionale. Stiamo lavorando per chiudere in giunta questo episodio. Non ha senso andare allo scontro su un evento come i 150 anni». Ancora più netta è la voce di Dieter Steger, Obmann cittadino, che promette: «Non mi piace quando sta emergendo in questi giorni. Nei prossimi mesi mi impegnerò ancora di più nel partito di Bolzano in quello che credo di più: l'unica strada nella nostra provincia è lavorare per la convivenza». Steger fa un esempio puntuale: «Ho lavorato per due anni come presidente del consiglio provinciale. Ad alcuni appuntamenti ha partecipato il vicepresidente del consiglio, perché abbiamo ritenuto che fosse più opportuno. La sua era una partecipazione ufficiale, perché era giusto garantire la presenza dell'istituzione. L'istituzione è tutta la popolazione». Nel suo discorso Theiner ha sottolineato: «Spetta a noi, impegnati oggi in politica, eliminare gli ostacoli alla convivenza. Come gruppo tedesco dobbiamo ricordare che questa è Heimat anche per il gruppo italiano. Negli scorsi decenni si è lottato per l'autonomia e per svilupparla. L'obiettivo ora deve essere la pace». Le parole di Durnwalder non minano il suo ruolo di presidente di tutti? Theiner replica: «Non si può muovere questa accusa a Durnwalder, amato dagli italiani, che lo votano a migliaia. Ministri come Bossi dichiarano idee molto più pesanti». Prosegue Steger: «C'è confusione e incertezza nelle persone e non va bene. E' evidente che una parte della popolazione preferisca non festeggiare, fa parte della nostra storia. Ma ciò non deve mettere in difficoltà la nuova cultura della convivenza. Spero che i toni si abbassino e che non assisteremo a una svolta etnica nella politica. Se così fosse, io non ne farei parte. Spero invece che la Svp nel 2011 lavori sul tema del depotenziamento dei simboli. Può accadere solo se lo facciamo insieme». Prosegue la pioggia di mail di protesta e l'assessore Berger anticipa che alla fiera del turismo di Milano lavorerà per correggere l'immagine. (fr.g.)
2. Trento. L'editoriale: Multiculturalismo, modello fallito. 13/02/2011 09:02. TRENTO - Dopo la cancelliera tedesca Angela Merkel anche il primo ministro britannico David Cameron la settimana scorsa ha dichiarato «fallito» il multiculturalismo, come approccio politico di fronte al fenomeno immigrazione. Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha subito ribattuto con lo slogan «Un islam in Francia e non un islam di Francia», dichiarando ormai superato il multiculturalismo nelle politiche degli stati europei. E alle stesse conclusioni erano giunti gli olandesi, popolo per antonomasia portato all'indifferenza multiculturale, e alla tolleranza di tutto e del contrario di tutto sotto lo stesso cielo. Per decenni in Europa si è creduto che la risposta da dare all'immigrazione e all'arrivo di milioni di stranieri, portatori di altre culture, altre religioni, altre visioni della vita, della donna, del diritto e della libertà individuale, fosse quello di accogliere dentro di sé le diversità, lasciandole diversità. Anzi, favorendo il mantenimento delle specificità, dando vita a tante comunità parallele, impermeabili l'una all'altra, dotate di un proprio codice culturale, linguistico, normativo e valoriale, diverso e «altro» da quello del Paese che li ospitava e in cui avevano deciso di vivere.
Il risultato è stato quello di creare ghetti, avulsi dalla realtà circostante, incapaci di interagire e di integrarsi, ma soprattutto fabbrica di sradicati o di integralisti intolleranti, pronti ad uccidere la figlia piuttosto che assuma costumi e modi di vivere occidentali. In Trentino gli stranieri residenti stanno sfiorando le 50.000 unità, cioè quasi il 10% della popolazione, provenienti da 137 Paesi diversi. In alcune vallate la percentuale è addirittura superiore, e comunque la presenza di immigrati in regione è più alta della media nazionale. Una riflessione su quale modello di integrazione adottare ci tocca quindi da vicino, sapendo che ormai siamo di fatto una regione multietnica. Se il modello multiculturale è fallito anche quello assimilazionista francese non ha portato da alcuna parte, ma anzi ha creato fortissime tensioni e contrapposizioni di rigetto.
La sfida che ci aspetta è quella di integrare culture e religioni diverse dentro una cultura e un insieme di valori unificanti e condivisi, quelli che sono alla base della nostra società, e che non possono essere ignorati o non accettati da chi ha deciso di vivere qui. Sono i valori fondanti della nostra cultura occidentale e europea, su cui si basano anche le nostre costituzioni e la convivenza civile, valori come la dignità umana, il rispetto della vita, la libertà religiosa, di pensiero, di parola e di coscienza, l'eguaglianza tra uomo e donna, la separazione fra religione e politica, il primato della legge. Senza una visione culturale unitaria, senza un'idea di società comune, non potranno convivere diversità e specificità, ma avremo soltanto vite separate e potenzialmente deflagranti.
Questo è il modello che siamo chiamati a portare avanti, anche in Trentino: portare i nuovi arrivati, le nuove comunità, non a chiudersi in se stesse, a vivere tra di loro, ma ad inserirsi pienamente dentro la cultura trentina, dentro i suoi valori di fondo, dentro le sue leggi e le sue istituzioni, insomma dentro regole del gioco comuni, le uniche che possano garantire una pacifica convivenza anche nel futuro. Chi viene a vivere in Trentino in sostanza non solo deve conoscere, rispettare e accettare le leggi, la lingua, i modi di vivere di questa terra, ma deve anche farli propri. Non può essere che impedisca alla moglie o alla figlia di vivere con libertà la propria vita, di cambiare religione, di portare o non portare il velo. Come non può essere che eviti o si opponga all'integrazione culturale col resto della popolazione, privilegiando solo il proprio gruppo etnico, nazionale o religioso di appartenenza.
D'altra parte, anche a livello di società trentina e di istituzioni pubbliche è necessario far proprio questo obiettivo, favorendo l'integrazione e le relazioni fra tali culture, proprio al fine di ancorare ogni nuovo arrivato al patrimonio di valori, di lingua, di diritti e di doveri che sono alla base del nostro vivere civile e politico. Come è stato rilevato nel «rapporto sull'immigrazione in Trentino 2010» (Cinformi) da parte del professor Maurizio Ambrosini, esistono infatti anche a livello locale politiche ambivalenti. Da una parte si sostengono progetti di carattere integrativo e assimilativo, corsi di lingue per stranieri, politiche per il lavoro e per la casa al fine di portare pienamente gli immigrati dentro la società trentina in cui vivono.
Dall'altra affiorano pulsioni multiculturaliste, che si traducono in incentivazione all'utilizzo da parte degli immigrati della propria lingua originale, sostegni alla loro produzione culturale specifica, alle loro associazioni etniche o religiose, insomma al loro permanere «altro» dalla società trentina. Ma questo va in direzione contraria ad una piena integrazione degli stranieri dentro il nuovo Paese in cui hanno deciso di vivere. E, come s'è visto, il multiculturalismo, dovunque è stato praticato, ha fallito.
3. Belluno. Belluno: Altre sette settimane di cassa integrazione alla Invensys. Arrivano poche commesse, «sparito» il cliente egiziano. BELLUNO. Altre sette settimane di cassa integrazione ordinaria alla Invensys: alla crisi si aggiunge anche la delicata situazione egiziana che sta mettendo fuori gioco uno dei tre principali committenti della fabbrica bellunese. Morale: le commesse sono a singhiozzo e di lavoro ce n'è alla giornata, per cui si ricorre ancora alla «cassa». Così, mentre a febbraio scadono le prime sei settimane di Cig, si sta approntando l'incontro nel quale si stabiliranno altre sette settimane a partire da marzo, per tutti i lavoratori e a rotazione. Una situazione che vede la fabbrica a rischio. La prossima settimana si prevedono due giorni di chiusura completa, domani e martedì; nei restanti giorni, alcuni reparti lavoreranno e altri saranno in cassa. Il 21 è previsto un rientro al lavoro ma subito dopo scatta l'inventario con una cinquantina di persone impegnate sulle 183 attualmente in forza (gli altri 130 circa vanno in Cig). Il 28 di nuovo tutti al lavoro ma nel frattempo sarà scattato il nuovo piano di sette settimane. «E' un inizio abbastanza pesante, questo» spiega Valentino De Bona, Fiom Cgil «dovuto al fatto che abbiamo la Delta Olimpic in Egitto, ora assorbita da Electrolux, che sta vivendo la situazione nota: è uno dei nostri clienti pilastro e ora ci penalizza parecchio. Non sta facendo ordini per i problemi che ci sono in quel paese.Abbiamo ancora una trentina di Cig ordinaria da utilizzare, per il momento pariamo il colpo. Ma l'azienda dovrà fare qualcosa di più strutturale perchè non si può continuare con il ricorso alla cassa così massiccio. Per noi la crisi è tuttora in atto». Tre clienti fondamentali, poi altri ma di carattere minore. Con la Delta, anche la Palladio (passata in Elettronica): «Da settembre abbiamo perso dei volumi, c'è rimasta la Indesit. Delta è sparita, gli altri due si sono un po' ridimensinoati. Abbiamo anche altri prodotti ma il nostro pilastro è il timer e non va tanto bene: è un prodotto vecchio. La situazione non è per niente rosea». Soluzioni non se ne vedono: l'incertezza sul mercato frena le scelte future. «Un'altra cosa sulla quale abbiamo spinto, ma l'altro stabilimento (quello alpagoto, ndr) non ci sente, è quella di creare uno stabilimento unico fra noi e l'Alpago per ridurre i costi: man mano che i nostri prodotti vanno a esaurire, Invensys a La Rossa potrebbe diventare reparto dell'altro stabilimento». Una prospettiva che quantomeno porterebbe a una chiusura «soft», ma che trova resistenze nella fabbrica alpagota dove, producendo componentistica elettronica e non elettromeccanica, si lavora bene «sono in alta stagione. Noi invece siamo in un mercato in cui le cose arrivano settimana in settimana, così si lavora alla giornata». «E' una fabbrica che monitoriamo da un bel po'» spiega Alessandro Da Rugna, segretario Fiom «seguendo con attenzione l'evolversi degli eventi e abbiamo più volte rivendicato un piano industriale, almeno nel breve periodo, pur consci delle difficoltà su questo tipo di prodotto: il nostro è uno stabiliemento elettromeccanico con un prodotto datato, perchè oggi si orientano tutti sull'elettronica. Ma è possibile produrvi qualcosa d'altro: noi da tempo chiediamo alternative produttive. Potrebbero fare componentistica elettromeccanica destinata ad altre attività, particolari delle macchine per il caffè come avviene in altre fabbriche Invensys». Un vecchio cavallo di battaglia mai sfruttato e ora la situazione è quella che è.
4. Vajont: i fondi Montedison sono quasi finiti. Nel 1999 arrivarono a Longarone 40 milioni di euro, ne avanzano due. LONGARONE. I soldi del risarcimento Montedison sono quasi finiti. Hanno colpito le parole del sindaco di Longarone Roberto Padrin che, per spiegare la scelta della centralina del Vajont, ha affermato di avere problemi di bilancio. Ma come? Longarone nel 1999 ha ricevuto da Montedison poco meno di 40 milioni di euro e un'altra decina era stata versata nel 1997. Attualmente ne avanzano solo tre: in dieci anni, nei due mandati del sindaco Pierluigi De Cesero, il Comune ha speso quasi per intero il risarcimento dei danni patrimoniali e morali subiti a causa della tragedia del Vajont. Ma la storia sembra una beffa, perché oggi Longarone è costretto a usare proprio l'acqua del Vajont per far fronte alle spese correnti, ricavandoci appena 300 mila euro all'anno. Ma dove sono finiti quei soldi? L'elenco, reso pubblico, conta 70 voci, per la maggior parte investimenti, ma pesano anche le spese legali e il fondo di dotazione (2,850 milioni di euro) per la Fondazione Vajont, atto obbligatorio previsto nella transazione con Montedison e non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che la Fondazione è un'entità che non ha mai trovato una vocazione, per non dire una ragione di esistere. La parte del leone però la fa il centro del paese, dove il Comune ha speso 14 milioni di euro: oggettivamente un'enormità e per di più i lavori non sono perfetti e bisognerà spendere ancora nella manutenzione di quelle opere. Per non parlare del palasport e della piscina: quasi 6 milioni nel restauro, ma in meno di un anno dalla riapertura, è stata chiusa con un buco di 300 mila euro. Padrin, eletto sindaco nel 2009, rappresenta la continuità con De Cesero (Udc), ma dal suo arrivo il residuo dei fondi Montedison è stato congelato: «Il risarcimento non è stato speso tutto», dice Padrin, «potenzialmente ci sono ancora 6 milioni di euro (ai due residui Padrin aggiunge i soldi del fondo di rotazione per lo sviluppo abitativo che rientrano ogni anno), è una buona somma che ci teniamo come tesoretto». L'amministrazione è corsa ai ripari, facendo quello l'unica cosa saggia: investire i soldi per ricavarne interessi da spendere di anno in anno. I fondi Montedison erano vincolati alle spese per investimento, ma i frutti no, bastava metterli in banca per camparci cent'anni. «Longarone è stato ricostruito in fretta dopo il Vajont e nel 1999 erano necessarie tante manutenzioni. L'amministrazione passata ha fatto scelte importanti, che hanno dato un'immagine diversa al paese. Inoltre le attuali difficoltà economiche degli enti pubblici non erano prevedibili allora». Non resta che metterci una pietra sopra: «Guardiamo avanti», dice Padrin, «e ricordiamo che Longarone è il comune che spende di più nel sociale». Eppure i cittadini di Longarone vedono aumentare le tariffe ogni anno, esattamente come tutti gli altri: «E' vero», sospira Padrin, «ma i fondi Montedison erano vincolati alle spese per investimento. La gestione corrente è come in tutti gli altri comuni». Il "tesoretto" comunque dovrà essere ulteriormente intaccato, perché la situazione della piscina grida allo scandalo: «In un anno di gestione abbiamo verificato che i costi sono così elevati da imporre la chiusura», continua il sindaco, «stiamo cercando soluzioni per il risparmio energetico e ci siamo vicini. In passato c'erano solo palliativi, non si poteva fare di più», forse sì, perché nei pochi mesi di apertura, dopo il restauro, sono emersi pure difetti di costruzione. Poi ci sono i lavori eseguiti non a regola d'arte nel resto del paese, causa di contenziosi legali con le ditte e di ulteriori manutenzioni. Ma come è possibile che sia successo tutto questo? L'opposizione di oggi era in maggioranza con De Cesero e quelli che allora sedevano in minoranza spiegano: «Con l'elezione diretta del sindaco i consigli comunali non contano più nulla», dice Fiorenzo De Col capogruppo di opposizione nel primo De Cesero. «In consiglio arrivavano i piani triennali delle opere pubbliche, ma poi la giunta portava avanti tutti i progetti, che non sono mai passati in aula. Il sentimento di incredulità è diffuso in paese, perché i soldi Montedison erano un'enormità e si riteneva che dovessero essere usati in modo più accorto. Con un gioco di parole si può dire che quel denaro è stato investito, nel senso di ucciso, perché è stato impegnato in opere che non hanno portato alcun frutto. Lo dissi tante volte in consiglio e purtroppo la storia mi ha dato ragione. Tornare sul Vajont per ricavarne due lire, oggi, è pazzesco, non dovevamo arrivare a questo». Dopo De Col all'opposizione arrivò Piergiacomo De Luca, che allarga le braccia: «Ho fatto tutta la campagna alettorale sulla necessità di fermare la spesa dei fondi Montedison, ma...».
5. I terremotati pagheranno la tassa sulle calamità naturali. 13/02/2011 - PETRAROIA: "NO ALLA TASSA SUL SISMA, REGIONE FERMI IL GOVERNO". «No alla tassa sulle calamità naturali»: il consigliere regionale del Pd Michele Petraroia interviene per esprimere il suo dissenso nei confronti dell’emendamento del Pdl firmato dal senatore Espostio, approvato in sede di esame del Decreto Mille-Proroghe nella Commissione Bilancio del Senato, che obbliga le Regioni colpite da calamità naturali a mettere una tassa di scopo regionale per finanziarsi la ricostruzione e gli interventi di ripresa economica.
«Lunedì il Decreto giungerà in Aula per la definitiva approvazione e il Governo sta predisponendo un Maxi-Emendamento su cui porrà la fiducia che recepisce il testo così come modificato dalla Commissione.
La novità normativa consentirà alle Regioni di incrementare le accise sulla benzina e sul gasolio per 5 centesimi. Il Fondo Nazionale per le Calamità Naturali inserito nel Bilancio dello Stato si limiterà ad anticipare i finanziamenti ai territori interessati da terremoti o altre calamità ma quei soldi dovranno essere restituiti dalle Regioni - commenta l’esponente di opposizione - Vista la ristrettezza dei tempi chiedo al Presidente della Giunta, anche nella sua veste di Vice-Presidente della Conferenza Stato-Regioni, di far arrivare la richiesta al Governo di cassare dal Maxi-Emendamento la modifica introdotta in Commissione sulla tassa per le calamità. Sollecito inoltre la delegazione parlamentare molisana, le forze sociali e produttive, le rappresentanze politiche ed istituzionali, a far giungere al Ministro del Tesoro messaggi urgenti di contrarietà a un provvedimento iniquo e ingiusto.
E’ semplicemente aberrante l’idea antisolidale di uno Stato che abbandona al proprio destino i territori colpiti da terremoti o altre catastrofi naturali. Ancora ieri in una visita istituzionale fatta nell’area del cratere sismico del Molise insieme all’On. Fabrizio Vigni, Presidente Nazionale dell’Associazione Ecologisti Democratici, abbiamo potuto constatare direttamente i disagi di nuclei familiari che vivono in prefabbricati di legno fatiscenti a nove anni dal terremoto del 31 ottobre 2002. E nell’occasione ci sono state mostrate bollette Enel per importi di 500 euro, considerato che in tali casette provvisorie funziona tutto con l’elettricità, a fronte di pensioni che si aggirano sulla stessa cifra. La cattiva gestione dei fondi post-sisma in Molise piů volte evidenziata in anni di esposti giudiziari, inchieste giornalistiche, interpellanze parlamentari, mozioni e interrogazioni regionali, su molteplici vicende, merita di essere sanzionata con fermezza in ogni sede. Ma a fronte della Papi-Girls Sara Tommasi che ha beneficiato dei fondi dell’art. 15 per una trasmissione televisiva sui canali Mediaset, con una scelta commissariale sbagliata e inopportuna, persistono disagi e sofferenze di centinaia di nuclei familiari che dopo nove anni di sistemazioni provvisorie chiedono la possibilità di tornare a vivere in una casa vera».
6. Roma. Vecchioni: quote latte, sceneggiata grottesca. AGROALIMENTARE. Il presidente di Confagricoltura contro l'emendamento della Lega nel decreto mille proroghe. Il Senato ha approvato il rinvio a giugno del pagamento delle multe scadute il 31 dicembre. 13/02/2011. ROMA. «Sembrano le prove generali per un condono tombale e gratuito. Una sceneggiata che si potrebbe definire grottesca se non fosse uno schiaffo a tutti gli italiani onesti». Ha commentato così il presidente di Confagricoltura, Federico Vecchioni, l'approvazione in Senato dell'emendamento decreto milleproroghe che sposta di sei mesi il pagamento delle multe relative alle quote latte. Il pagamento, attualmente previsto dai piani di rateizzazione entro il 31 dicembre scorso è stato così differito al 30 giugno 2011, con un onere per l'anno in corso di 30 milioni di euro. Giancarlo Galan, ministro dell'Agricoltura aveva dichirato di ritenere «né legale, né etico l'emendamento con il quale la Lega ha ottenuto l'inserimento del rinvio nel decreto e si era anche appellato ai parlamentari della maggioranza affinchè lo bocciassero. L'appello di Galan però è caduto nel vuoto e il decreto è passato al Senato, insieme con l'emendamento che ha come primo firmatario il senatore leghista Gianpaolo Vallardi.
«Dalle garanzie entusiastiche di risoluzione totale del problema e di assoluto rigore verso chi non avesse rispettato il sistema di rateizzazione varato dall'allora ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia, si è passati a una realtà di rinvio perpetuo, che irride ogni regola e si traduce in una amara beffa per gli allevatori che a prezzo di sacrifici pesantissimi hanno onorato ogni impegno», ha dichiarato Vecchioni.
A quale prezzo?
«Gli italiani devono aver ben chiaro che l'ammontare delle multe è già stato anticipato alla casse europee con i soldi delle loro tasse e oggi questi soldi vanno a beneficio di pochi strafottenti privilegiati, ai quali viene permesso di rimandare il pagamento di volta in volta, mentre non ci sono fondi per null'altro, dall'agricoltura alla ricerca, dalla Sanità alle forze dell'Ordine».
Cosa pensate di fare?
«Confidiamo nell'azione del ministro Giancarlo Galan che sulla questione ha fatto sentire più volte forte e chiaro il suo sdegno, per un intervento decisivo all'atto del maxiemendamento sul »Milleproroghe« che il governo presenterà la settimana prossima».
Cosa altro vi attendete ?
«Ci sono altre due considerazioni da fare sull'emendamento: innanzitutto gli importi a copertura del provvedimento appaiono spropositati alle esigenze e suggeriscono l'ipotesi che ci sia la volontà politica di rendere tombali le multe per gli splafonamenti. Poi c'è da osservare che, prevedendo per la copertura di questa spesa un taglio lineare dei fondi di tutti i ministeri, a pagare le multe saranno nuovamente tutti i cittadini italiani ai cui portafogli un drappello di allevatori che ha sempre operato in spregio alle regole è autorizzato a mettere mano».S.L.
7. Udin. A Udine nasce il mercatino dell’usato alimentato con i rifiuti in buono stato. di Cristian Rigo. La Net rivenderà il materiale recuperato. L’obiettivo è riciclare 200 tonnellate di beni funzionanti per un valore di 400 mila euro. Previsti risparmi per i cittadini. UDINE. Ci sono i divani che non sono più alla moda, i frigoriferi diventati troppo piccoli o difettosi, le televisioni che si vedono ancora bene, ma non hanno l’alta definizione. E poi ancora cucine, poltrone, computer, ferri da stiro. Tonnellate e tonnellate di oggetti che vengono scaricati nelle piazzole ecologiche e diventano rifiuti anche se funzionano ancora e potrebbero essere quindi riutilizzati generando un mercato dell’usato di centinaia di migliaia di euro. Ecco perché la Net ha deciso di realizzare una riutilizzeria. Obiettivo: ridurre i rifiuti diminuendo così anche i costi per lo smaltimento e contemporaneamente offrire prodotti perfettamente funzionanti a prezzi molto convenienti. Con vantaggi per tutti. Secondo le stime dell’azienda municipalizzata che si occupa della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti ogni anno vengono gettati nella spazzatura più di 200 tonnellate di beni in buone condizioni che in molti casi potrebbero invece essere riutilizzati magari con una piccola riparazione tanto da generare un nuovo mercato all’insegna del recupero e del rispetto dell’ambiente. Il valore di questi “rifiuti” sul mercato dell’usato infatti è considerevole: circa 400 mila euro all’anno, sempre in base ai dati raccolti nell’indagine portata avanti dalla Net.
«Quanto basta per creare un vero e proprio business – assicura Sandro Cargnelutti del consiglio di amministrazione di Net – che contribuirà a rendere più sostenibile la gestione dei rifiuti in città». Riutilizzare 200 tonnellate di oggetti destinate alle discariche significa infatti risparmiare 30 mila euro ogni anno per lo smaltimento. «E stiamo parlando di un costo che è a carico della collettività», precisa Cargnelutti. La riutilizzeria quindi consentirà di contenere i costi della bolletta per i rifiuti. E non è finita qui. «Meno rifiuti significa anche garantire una vita più lunga alle discariche – aggiunge Cargnelutti – perseguendo uno dei principi cardine dell’Unione Europea che prima ancora di differenziare i rifiuti punta a ridurne la produzione».
Il Comune ha già dato il via libera al progetto che prevede un investimento di circa 650 mila euro. Resta però da capire dove sarà realizzata la centrale per il riutilizzo. «Sarà vicino a una delle due piazzole ecologiche – dice l’assessore all’Ecologia, Lorenzo Croattini –, o in via Stiria o in via Rizzolo. Vogliamo creare un circolo virtuoso prima ancora che un bene diventi un rifiuto». Ma come funzionerà la riutilizzeria? «Semplice – spiega Cargnelutti – prima di “entrare” nella piazzola gli oggetti saranno valutati dai responsabili ed eventualmente dirottati al centro per il riutilizzo».
E a quel punto i proprietari potrebbero anche ricevere un compenso. «Sono cose che stiamo ancora valutando – dice Cargnelutti – gli oggetti potrebbero essere acquistati subito per una cifra molto bassa oppure tenuti in conto vendita. Quello che è certo – conclude - è che l’intera area sarà data in gestione».

8. Roma. Centri già esauriti caccia all'albergo. M. Lud. ROMA. Caccia ai posti per accogliere i profughi tunisini. I centri per l'accoglienza degli immigrati sono ormai quasi al limite. E sarà necessario trovare altre strutture in grado di ospitare i migranti in arrivo. Al Viminale non è la prima volta che si fa ricorso a questa strada alternativa, considerato che i Cie (centri per l'identificazione e l'espulsione), i Cda (destinati alla prima accoglienza) e i Cara (rivolti a chi fa domanda d'asilo) stanno per finire i posti a disposizione. In teoria, gli immigrati in arrivo dovrebbero essere destinati in base al profilo che emerge dai documenti e dalle loro dichiarazioni. Ma nell'emergenza, ormai, anche chi chiede lo status di rifugiato viene ospitato in un Cie.
Siamo dunque già nella previsione di una fase successiva: individuare alberghi, ostelli, pensioni e strutture di alloggio che possano ospitare i nuovi arrivi. È uno degli aspetti che andrà definito nell'ordinanza di protezione civile in attuazione dello stato di emergenza umanitaria dichiarato ieri dal Consiglio dei ministri. Una volta risolto il problema urgente di rendere disponibile subito un'accoglienza dignitosa, resta il tema di come dovrà essere gestita questa ondata anomala di profughi che ha fatto saltare il quadro, positivo e consolidato, dei numeri sull'immigrazione vantati dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni.
Risulta che già molti dei tunisini giunti in Italia abbiamo fatto domanda di asilo politico. Diversi addetti ai lavori, però, restano perplessi sulla possibilità di accoglimento della domanda e ipotizzano semmai il riconoscimento della protezione umanitaria. Le valutazioni saranno fatte comunque dalle commissioni caso per caso, in modo individuale. E gli altri? Chi non è «asilante», come dicono con un brutto neologismo al ministero dell'Interno, dovrebbe in teoria seguire la strada dell'identificazione, espulsione e rimpatrio. È l schema ormai consolidato che prevede ogni mese, da quando il responsabile del Viminale è Maroni, voli che riportano in patria, quasi sempre in stati nordafricani, diverse decine di clandestini.
Non sarà così, certo non subito, con i tunisini arrivati sulle coste italiane. La dichiarazione di emergenza umanitaria proclamata dal Consiglio dei ministri sarebbe in contrasto con una sequenza in massa di voli di rimpatri. Diverso è il caso di un rischio già sollevato da Maroni, cioè che all'interno dei flussi di immigrati si confondano terroristi fondamentalisti islamici. È forse anche per questo che lo stesso ministro, nonostante uno stato di fibrillazione generale del ministero legato all'emergenza sbarchi, ha voluto comunque dare un'ulteriore accelerazione anche al decreto legge annunciato su espulsioni e rimpatri. Un testo che dovrebbe essere portato già al prossimo Consiglio dei Ministri per risolvere la decisione di una serie di procure, in base alle norme di una recente direttiva Ue, di non dare più seguito alle espulsioni dei clandestini. In ballo ci sono circa 500 ricorsi ai tribunali, sui quali dovranno pronunciarsi le Sezioni Unite della Cassazione. Oltre a quella umanitaria, insomma, c'è anche un'emergenza normativa che il titolare dell'Interno vuole risolvere al più presto.
LE STRUTTURE
I centri di accoglienza (Cda)
Sono strutture destinate a garantire un primo soccorso allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale. I centri interessati dall'emergenza sbarchi dalla Tunisia sono Agrigento, Bari Palese, Brindisi-Restinco, Caltanissetta (Contrada Pian del Lago), Crotone (Sant'Anna), Foggia (Borgo Mezzanone)
I Cara
I centri di accoglienza richiedenti asilo sono strutture nelle quali viene inviato e ospitato per un periodo variabile di 20 o 35 giorni lo straniero richiedente asilo. Investiti dagli ultimi arrivi, oltre a Caltanissetta, Crotone e Foggia, sono i cinque centri di Trapani (Salina Grande, Mazara del Vallo, Valderice, Marsala, Castelvetrano)
I Cie
Sono gli ex Centri di permanenza temporanea ed assistenza che hanno lo scopo di evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e di consentire l'esecuzione dei provvedimenti di espulsione. Bari, Caltanissetta e Catanzaro, Trapani, Brindisi, Lampedusa (chiuso) e Crotone sono i 7, su un totale di 13, sotto pressione per gli sbarchi dalla Tunisia
9. Potenza. Mafia lucana. Il boss: ecco come mi hanno tradito. di FABIO AMENDOLARA. POTENZA - Il killer aveva il volto coperto da un passamontagna e una pistola in mano. Quando ha premuto il grilletto l'arma si è inceppata ed è dovuto scappare. Lui, però, quegli occhi li conosceva. Ne era certo. Qualcuno cercò di uccidere l'ex boss dei basilischi Gino Cosentino e la sua compagna. È stato proprio lui a raccontarlo agli investigatori della Procura antimafia di Potenza nel momento in cui ha deciso di collaborare con la giustizia.
L'inchiesta sul tentato omicidio di «Faccia d'angelo », così era conosciuto negli ambienti della mala, è raccolta in un'informativa a lungo secretata in Procura a Potenza. Cosentino aveva deciso di non parlare del tentato omicidio. Poi, però, si è lasciato andare. E l'ha descritto nei particolari. L'anno è il 2008.
«L'attentato me l'ha fatto Nicola Sarli», svela Cosentino. Non ha dubbi. L'ha riconosciuto dagli occhi. Era uno dei suoi uomini. Uno di quelli più fidati. Ecco il racconto del collaboratore di giustizia: «Aveva i cosi delle motociclette, quelli che vanno sotto ai caschi. Gli occhi erano riconoscibilissimi, poi il fisico. Io l'ho cresciuto, quindi, figuriamoci se non lo riconoscevo. L'ho battezzato io a Sarli». Poi, però, il suo «picciotto» si è «staccato». E si è avvicinato a Tonino Cossidente. Anche Cossidente è poi diventato un collaboratore di giustizia. E forse potrebbe essere proprio lui a chiarire le circostanze del tentato omicidio.
Dice Cosentino: «S'è inceppata la pistola, altrimenti quello sparava. Ha fatto anche il movimento. Ha fatto il movimento e gli si è inceppata. Poi è scappato». Ma Sarli doveva davvero uccidere Cosentino? Oppure quello era un avvertimento? E soprattutto: perché Cosentino aveva deciso di non parlare del suo tentato omicidio? Sono aspetti poco chiari. Che il sostituto procuratore antimafia Francesco Basentini, titolare dell'indagine, ha cercato di approfondire nel corso di un interrogatorio.
Dice: «Volevo sapere solo una cosa di questo attentato. A che ora è avvenuto?».
Il pentito: «Sarli arriva qualche minuto prima delle nove».
Pm: «Siamo d'inverno. È sera, no?».
Cosentino: «Sì».
Pm: «È buio lì, immagino».
Cosentino: «Sì».
Pm: «E lei come ha fatto a riconoscere Sarli?».
Cosentino: «C'era una lampadina sulla porta, il volto era illuminato. Si vedeva chiaramente il viso».
Che Cosentino stesse per «saltare il fosso», per passare con lo Stato, in quei giorni lo si sospettava. Negli ambienti della mala non si parlava d'altro. È per questo che viene organizzato l'agguato? Chi aveva paura del pentimento di Cosentino? Le indagini vengono affidate ai carabinieri del Reparto operativo di Potenza. Anche loro hanno dei dubbi. Ma sull'aspetto pratico dell'agguato.
Nell'informativa – che la Gazzetta ha potuto consultare – si chiedono: «Perché Sarli avrebbe dovuto attendere che Cosentino e la sua compagna entrassero in casa prima di porre in atto l'agguato?». E ancora: «Non era più agevole attingerli alle spalle prima che accedessero in casa?». E anche il fatto che la pistola si sia inceppata lascia molti dubbi. Una cosa, però, è certa. È dopo l'agguato che Cosentino ha deciso di pentirsi.

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