venerdì 18 marzo 2011

Mezzogiorno-Mattino. 18 marzo 2011.

Funicolari? Dopo le 23 solo 50 passeggeri

L’acqua: un affare che asseterà il mondo. “Non svendiamo il nostro bene primario”

De Rubeis: «L'Italia non ci è vicina, oggi tricolore a mezz'asta»

Saviano crede a Del Balzo e non a Croce

Perché sono italiano. di MATTEO COSENZA. 17/03/2011

L'ultima sfida di Annibale: salvare dalla monnezza la sua villa flegrea

"Centri in Padania e respingimenti". Lampedusa, tricolore a mezz'asta

I veri cassonetti? Sono le auto bruciate

Cappellacci: per l'unità dell'Italia decisivo il ruolo della Sardegna.

Lezioni di storia a Caserta, Fausto Zevi sale in cattedra

Catania: Forza Nuova appende cartello alla statua di Garibaldi

Lombardo: “Oggi giornata storica per la Sicilia”

Mpa cerca un leader alla Saviano

Fratelli d’Italia tra sfilate e look speciali: “Il peggio? La Lega”

Ocse: pensioni, l'Italia è il Paese che spende di più al mondo, il 14,1% del Pil

Elettrodotto fra Lazio e Fiumesanto.

Unità d’Italia, gli albergatori di Lampedusa non cittadini ma “sudditi”

Garibaldi, un delfino per celebrare i 150 anni dell'unità d'Italia.



Funicolari? Dopo le 23 solo 50 passeggeri
Così Sannino spiega i tagli alle corse
La metropolitana che collega Fuorigrotta a Mergellina ridimensionata nel suo esercizio dopo periodo di chiusura
NAPOLI— Funicolari chiuse alle 22 invece che alle 0.30. La metropolitana leggera che collega Fuorigrotta a Mergellina fortemente ridimensionata nel suo esercizio, dopo un periodo di chiusura. Iniziative annunciate nei giorni scorsi sulle quali l’amministratore delegato di Metronapoli, Antonietta Sannino, ha deciso di fare chiarezza. E che ha spiegato con la necessità di fronteggiare la mancanza di fondi nei trasporti riducendo le corse e proponendo in alternativa bus e navette, cercando di penalizzare il numero minore di utenti.

SCELTA NECESSARIA - «Si tratta di una scelta dolorosa ma necessaria», dice la Sannino che per spiegarla all’utenza, che ha già manifestato di non gradire, snocciola alcuni dati. «Il numero degli utenti che dalle 23 alle 0.30 utilizza la funicolare centrale, dal mercoledì alla domenica non supera le 150 unità rispetto ai 25mila passeggeri trasportati al giorno, con un picco sabato, quando si sale a 400. Per quella di Chiaia, invece», aggiunge l’ad di Metronapoli, «il numero di trasportati è di circa 50 persone, che passano a 100 il sabato, su 10mila trasportati al giorno».

STOP PARZIALE DELLA LINEA 6 - La linea 6, infine, «con i suoi circa mille utenti trasportati al momento non risulta un’efficace alternativa ad un’offerta di mobilità in un’area già ricca e ben strutturata». Soluzioni, efficaci e meno dispendiose, in un periodo di «vacche magre». Per la linea 6, in particolare, da piazza Dante a piazza Bovio, che potrà servire un’utenza pari a oltre 15mila passeggeri. «Diverso sarà il discorso quando la linea 6 giungerà fino a Piazza Municipio», commenta Sannino, «assumendo così un’importanza cruciale per gli spostamenti verso il centro. Ma, al momento, lo stop parziale della linea può essere considerato il minore dei mali peraltro recuperabile appena ce ne sarà la possibilità». Diciotto anni fa, quando è cominciata la rivoluzione nel settore trasporti, il mezzo pubblico era considerato una Cenerentola. «Siamo passati», ricorda il manager, «da 250mila spostamenti al giorno a Napoli agli oltre 800mila attuali e a 1.500.000 nell’intera regione. Finora si è sempre investito, nel trasporto pubblico, come volano di sviluppo della città. Ora, però, lo scenario è cambiato e ai politici va rivolta una domanda che sta a cuore a tutti: vogliamo mantenere e migliorare i risultati straordinari raggiunti o perdere tutto quello di buono ed importante è stato fatto in questi anni?» . Critiche molte associazioni, come «Innovazione Nazionale» e «Insorgenza civile» . Spiega Raffaele Di Monda: «Inquietante la vicenda della linea 6. Tanti soldi spesi per un utilizzo quasi zero della tratta. Un progetto che nel tempo ha mostrato di essere stato realizzato in maniera superficiale, considerando che la linea cessa dopo pochi mesi dall'inaugurazione, fatta in pompa magna dal Comune».
A.P.M.

L’acqua: un affare che asseterà il mondo. “Non svendiamo il nostro bene primario”
L’appello di padre Alex Zanotelli, noto missionario impegnato per il referendum sull’acqua, alla folta platea che ha riempito il cinema Sant’Antonio di Termoli. Il 12 giugno si vota per evitare la privatizzazione dell’acqua, già decisa dal Governo. "Solo il 3 per cento dell’acqua sul Pianeta è potabile, e di questo lo 0,3 è destinato alle popolazioni. Se permettiamo che le multinazionali mettano le mani su questa risorsa per moltiplicare i loro profitti perderemo la battaglia più importante della storia".
Solo il 3 per cento dell’acqua disponibile sul pianeta è potabile, e di questo solo lo 0,3 per cento è destinato esclusivamente ai civili, ai popoli. Il 2,7 per cento dell’acqua potabile è infatti usato per agricoltura e industria. In proporzioni impressionanti: per produrre un chilo di carne occorrono 15mila litri di acqua; per mettere sul mercato un litro di pepsi o coca-cola servono sette litri di acqua. E ora, in Italia, si vuole mercificare l’acqua, monetizzarla, obbligare le persone ad acquistare un bene primario e vitale, perché l’acqua coincide con la vita stessa. «Hanno svenduto e distrutto tutto, ora vogliono mettere le mani sull’acqua, e anzi lo stanno già facendo, sotto i nostri occhi, a nostra insaputa. L’acqua è l’oro del XXI secolo, così come il petrolio è stato l’oro del secolo precedente. I guadagni delle multinazionali e delle banche sull’acqua sono inimmaginabili, e se non fermiamo con questo processo creeremo un mondo di assetati, di morti di sete».

I numeri, le percentuali e i riferimenti storici e di attualità che Padre Alex Zanotelli snocciola davanti al pubblico numerosissimo che affolla la sala del cinema S.Antonio di Termoli sono impressionanti. Il missionario comboniano, che attualmente vive a Napoli a contatto con una popolazione schiacciata dai rifiuti avvelenati ed esposta al rischio del cancro ogni momento, chiarisce con semplicità e con l’aiuto di quel carisma straordinario che lo accompagna perché non possiamo sottrarci dal votare al referendum in difesa dell’acqua bene comune, per il quale in poche settimane sono state raccolte un milione e quattrocentomila firme, un record che nell’Italia anestetizzata dalle ingiustizie sociali appare perfino un miracolo.

“I beni comuni riscrivono la democrazia”: questo il tema del convegno ospitato a Termoli mercoledì pomeriggio e organizzato da diversi movimenti e associazioni, tra cui Libera, Pax Christi, Fondazione Milani. Don Silvio Piccoli ha introdotti i lavori, coordinati da Antonio De Lellis, che hanno registrato un livello di attenzione e interesse altissimo fra le persone, di tutte le età, che hanno riempito il cinema per ascoltare quel sacerdote impegnato da anni nella battaglia in difesa dell’acqua, tra i promotori del comitato referendario che mette assieme, sotto una stessa bandiera, movimenti religiosi e laici, onlus e associazioni di tutta Italia («un soggetto politico senza partiti, un unicum») che chiamano alle urne per il 12 giugno almeno venticinque milioni di elettori italiani. «E’ una battaglia che non possiamo perdere, altrimenti perderemo il nostro diritto principale» invoca Padre Alex, sciarpa arcobaleno al collo e brocca di acqua versata dal rubinetto accanto al posto delle abituali bottiglie di minerale che si vedono sui tavoli dei convegni. Ed è proprio l’acqua minerale a ispirare la riflessione sul profitto che muove le multinazionali ansiose di accaparrarsi l’oro blu, col beneplacito di politici e governi, per moltiplicare a dismisura i profitti a discapito dell’umanità che nel giro di un paio di decenni potrebbe ritrovarsi, senza un’inversione di rotta, a dover pagare un conto salatissimo per dissetarsi. «Ci hanno abituato all’idea che l’acqua si possa e si deva comprare mettendo in commercio l’acqua minerale, proprio qui, nel Paese dove abbiamo l’acqua migliore e di maggiore qualità: nel 2009 sono state prodotte 11 miliardi di bottiglie di plastica di acqua minerale» ricorda Zanotelli, interrogando la platea su «cosa ci è successo? Come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto, a crear i presupposti per privatizzare la nostra vita stessa?»

L’aumento della temperatura globale che si stima intorno ai due gradi centigradi scioglierà ghiacciai e nevai, e 250 milioni di persone nella sola Africa dovranno allontanarsi dai loro territori, trasformati in deserti. «Non è una previsione catastrofica, ma una ipotesi scientifica elaborata dai maggiori esperti dei cambiamenti globali». I più poveri daranno un contributo «di sangue e di morte alle scelte scellerate incentrate esclusivamente sui guadagni di pochi, multinazionali che da sole hanno un bilancio annuale pari al prodotto interno lordo di 50 Stati africani». La previsione? 100 milioni di morti per sete, una cifra raccapricciante.

In Italia, ricostruisce il sacerdote, la privatizzazione è già stata decisa. «Il 6 agosto del 2009, quando il Paees era al mare e nessuno si preoccupava di capire cosa stesse accadendo, è stato approvato il decreto Tremonti, poi inserito nella legge Ronchi del novembre dello stesso acqua, in cui si stabilisce che la gestione dell’acqua potabile deve essere mista, pubblico-privata, fissando al 30 per cento la partecipazione pubblica entro il 2013». Ovvio che una gestione privata al 70 per cento significa ampissimi margini di guadagno per chi gestisce l’affare alle spalle dei cittadini, i quali non pososno e non potranno scegliere se pagare o meno per avere diritto all’acqua: «l’acqua è essenziale, non se ne può fare a meno».

Sta già accadendo, in parte, in un Comune del Lazio come Aprilia, dove negli ultimi anni "grazie" alla privatizzazione del servizio idrico le bollette sono aumentate del 300 per cento e 5mila famiglie particano la "disubbidienza civile". «E’ quello che accadrà dovunque se non fermiamo questa deriva, e sarà l’inizio di una fine certa, dove l’uomo perderà il diritto al bene comune per eccellenza» invoca Zanotelli, rivolgendosi in modo particolare ai giovani - che sono tanti - seduti davanti a lui.

La serata è anche l’occasione per affrondire le problematiche che hanno colpito al cuore il bassomolise negli ultimi mesi, e che all’acqua sono inevitabilmente legate. Dal problema di inquinamento da trialometani, spiegato col supporto di slide e schemi dalla chimica Alessandra Picciau, referente locale di Libera, al depuratore del Cosib che ha smaltito per "fare affari" ingentissime quantità di percolato, tema affrontato da Michele Mignogna che per Primonumero ha curato l’inchiesta giornalistica sul caso.

De Rubeis: «L'Italia non ci è vicina, oggi tricolore a mezz'asta»
Il sindaco: «Tremila migranti sull'isola e Cie al collasso, nessuno ci aiuta». PALERMO - Poco da festeggiare per il sindaco di Lampedusa Bernardino De Rubeis. Oltre tremila migranti sbarcati in pochi giorni e centro di accoglienza al collasso, è quanto si registra nell'isola. De Rubeis in questa situazione di emergenza si sente solo e abbandonato dall'Italia e per questo oggi il tricolore a Lampedusa sarà a mezz'asta in segno di protesta.

«L’ Italia, che oggi dovrebbe essere unita, non ci è vicina, per questo tengo la bandiera a mezz’asta, in segno di protesta». De Rubeis ha poi sottolineato la «sofferenza» degli operatori turistici dell’isola «a causa della presenza di tremila immigrati» che, aggiunge, «dovrebbero invece trasferiti altrove». 17 marzo 2011

Saviano crede a Del Balzo e non a Croce
È «guerra» all'ultima «fonte»
Lo scrittore di nuovo in televisione, dalla Gruber,
rivela un nuovo riferimento bibliografico
di GIANCRISTIANO DESIDERIO
Il povero Pasquale Croce, morto nel tremendo terremoto di Casamicciola con la moglie Luisa e la figlioletta Maria, prima di morire disse o no al figlio Benedetto la frase, ormai famosa: «Offri centomila lire a chi ti salva»? No, non la disse, perché l’unico testimone oculare di quella notte calma e stellata è proprio Croce e nelle opere in cui ricorda e ricostruisce quelle ore che mai gli uscirono dalla testa non fa mai alcuna menzione della leggenda delle centomila lire.

«Vidi in un baleno mio padre levarsi in piedi, e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre», scrive nelle Memorie della mia vita, «io istintivamente sbalzai dalla terrazza, che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza. Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò che era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco». Il terremoto gli cambiò la vita degli affetti e dei pensieri. «Quegli anni furono miei più dolorosi e cupi», Scrive durante la Prima guerra mondiale nel Contributo alla critica di me stesso, «i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio». L’idea della morte come fine della sofferenza ritornerà in Croce nelle settimane prima della morte corporale, avvenuta il 20 novembre 1952, quando il giovane Raffaello Franchini lo intervistava: «Solo per questo desidero la morte, perché allora finirò di ricordarmi di quella notte» .

Ma se di quel tragico evento e di ciò che comportò nella vita di Croce conosciamo l’unica versione possibile che, per nostra fortuna è anche la più autorevole, perché ci interessiamo della inutile «questione delle centomila lire»? Per il semplice motivo che Roberto Saviano nel suo monologo nella trasmissione «Vieni via con me», ora diventato libro, racconta Casamicciola secondo la versione infondata delle centomila lire e non considera l’unica fonte certa: Benedetto Croce. Anche quando la nipote del filosofo, Marta Herling gli ha fatto notare di mistificare la storia e la memoria lui, Saviano, non ha accettato le critiche suffragate da fatti e riscontri, ma ha ritenuto che la sua versione delle centomila lire sia quella vera perché «Croce non la smentì» . Ma Croce non smentì nulla perché non c’era nulla da smentire. L’unica cosa che qui si smentisce da sola è la versione di Saviano che dal punto di vista della filologia e della storia è infondata. Tutto nasce da questo «fatto» : Saviano nel libro dà una versione romanzata o sceneggiata del terremoto di Casamicciola. È bene riprenderla pari pari: «Nel luglio del 1883 il filosofo Benedetto Croce si trovava in vacanza con la famiglia a Casamicciola, Ischia. Era un ragazzo di diciassette anni. Era a tavola per la cena con la mamma, la sorella e il padre e si accingeva a prendere posto. A un tratto, come alleggerito, vide suo padre ondeggiare e subito sprofondare sul pavimento, mentre sua sorella schizzava in alto verso il tetto. Terrorizzato, cercò con lo sguardo la madre e la raggiunse sul balcone, da cui insieme precipitarono. Svenne e rimase sepolto fino al collo nelle macerie. Per molte ore il padre gli parlò, prima di spegnersi. Gli disse: “Offri centomila lire a chi ti salva”. Benedetto sarà l’unico supersite della sua famiglia massacrata dal terremoto».

La nipote del filosofo dopo aver letto si è arrabbiata perché ha trovato completamente stravolta la verità della storia familiare e ha detto a Saviano di «inventare storie» . Infatti, inventare storie significa inserire nella realtà la fantasia o leggende non accertate e suffragate da fatti. È proprio quanto avvenuto. La cosa più grave, però, è un’altra. Questa: Saviano non accetta di essere corretto e criticato perché ritiene di avere la patente dell'infallibilità. E la cosa allora diventa anche ridicola perché quando lo scrittore di Gomorra cita le fonti della sua cronaca romanzata si avviluppa in una serie di insensatezze e inventa il metodo delle fonti a posteriori e a rate. Un giorno - domenica 13 marzo - va al Tg di Mentana e rivela la sua fonte: un articolo di Ugo Pirro comparso su Oggi il 13 aprile 1950 in cui lo sceneggiatore intervistava Croce. Saviano, però, come è già stato rilevato sul Corriere del Mezzogiorno, dimentica di dire alcune cose fondamentali: che la storia delle centomila lire non esce dalla bocca di Croce e neanche dalla bocca di Pirro. Dimentica di dire che l’intervista di Pirro fa riferimento a un cronista anonimo del 1883. Saviano, però, non dimentica di fare una lezione ai giornalisti che non sanno fare il loro mestiere perché non ricercano e non verificano e critica anche la Herling che, invece, altro non ha fatto che richiamarsi all’unica fonte valida in materia: il nonno.

Passano due giorni e dopo che il Corriere gli ha fatto notare che alla sua fonte manca la cosa più importante, il riscontro certo dei fatti, Saviano va di nuovo in televisione, questa volta da Lilli Gruber, e dice: «La mia fonte è Carlo Del Balzo» . A questo punto il lettore si aspetta che Saviano riveli finalmente una fonte certa e sicura in cui l’unico testimone, cioè Croce, parli e dica come andarono le cose. E invece no perché la cronaca di Carlo Del Balzo dal suo libro del 1883 edito a Napoli nella Tipografia Carluccio, De Blasio &C. intitolato Cronaca del tremuoto di Casamicciola è molto deludente. Eccola qui per i nostri appassionati lettori che potranno venire a capo della vicenda: «Era anche a villa Verde tutta la famiglia Croce di Foggia. Erano nella loro camera la signora Croce e la figliuoletta, il sig. Croce e il primogenito, seduti presso un tavolino, scrivevano, in una stanza attigua; la porta di comunicazione era aperta. La signora Croce e la fanciullina cadono travolte nel pavimento, che crolla tutto: non un grido, non un lamento, muoiono istantaneamente. Al contrario, il sig. Croce, sebbene del tutto sepolto, parla di sotto le pietre. Il suo figliuolo gli è daccanto, coperto fino al collo dalle pietre e dai calcinacci. E il povero padre gli dice: offri centomila lire a chi ti salva; e parla col figlio, che non può fare nulla per sé, nulla pel babbo, tutta la notte!».

Chi disse a Carlo Del Balzo, uomo politico e romanziere, che il povero Pasquale Croce disse al figlio l’idea delle centomila lire? Non lo sappiamo perché Del Balzo non lo dice. Ma è certo che non lo dice Croce dal momento che Del Balzo non afferma neanche che fu il primogenito del signor Croce a riportagli le parole del padre. Ciò nonostante, Saviano crede a Del Balzo e non a Croce. E forse nei prossimi giorni rivelerà un’altra fonte. Magari può citare Casamicciola di Dantone sempre del 1883 oppure un articolo di Gianni Artieri La notte di Casamicciola, ma non vi troverà nulla di buono per suffragare il suo racconto semplicemente perché è sbagliato. Dunque, la filologia del testo di Saviano conduce a un nulla di fatto e a un nulla di vero. Marta Herling gli ha semplicemente ricordato la verità. Saviano poteva chiedere scusa e chiuderla lì. E invece no. Pretende di avere la verità in tasca anche quando in tasca ha il resto di niente (o di centomila lire).

Perché sono italiano. di MATTEO COSENZA. 17/03/2011
SONO italiano perché da bambino mi dicevano che lo ero.
Sono italiano perché sulla carta geografica, che la maestra aveva alle sue spalle, l’Italia mi sembrava una persona di famiglia.
Sono italiano perché Antonio Gramsci raccontava la storia dell'albero del riccio in una lettera dal carcere al figlio Delio.
Sono italiano perché quando facevo politica il mio partito comunista era italiano.
Sono italiano perché una volta all'Accademia Aeronautica di Pozzuoli misi a tacere il generale Broglio che parlava male dei suoi connazionali.
Sono italiano perché la pasta con le melanzane mi fa impazzire e le lasagne verdi mi commuovono.
Sono italiano perché, nella notte della veglia per i venticinque anni dalla morte di Padre Pio, sul sagrato gelido della chiesa di San Giovanni Rotondo scoprivo una per una le coperte e raccoglievo le storie di fede di italiani e italiane di Genova e di Catanzaro, di Padova e di Matera, di Cuneo e di Catania.
Sono italiano perché è vero che il Sud fu maltrattato dai piemontesi ma è vero pure che lo maltrattavano ancora prima i Borbone.
Sono italiano perché venti anni fa nel parco dell'albergo di Stresa trovammo la fiancata dell'auto rigata: era targata Napoli.
Sono italiano perché Bossi è padano.
Sono italiano perché Cesare Pavese e Leonardo Sciascia erano italiani.
Sono italiano perché Fabrizio De Andrè ha gradito il café di don Raffaé.
Sono italiano perché Sergio Leone ha fatto i western meglio degli americani.
Sono italiano perché, a Pisa a quindici anni, piazza dei Miracoli mi sembrò finta tanto era vera e vera tanto era inventata.
Sono italiano perché dalla collina di Coreca ho visto il sole tramontare dietro Stromboli.
Sono italiano perché a quattordici anni scappai a Torino con la voglia di lavorare e mi aiutò Pino Clemente, ritrovato per caso, che era tanto povero da dormire nelle case di don Orione, e me lo nascondeva perché si vergognava.
Sono italiano perché a piazza della Loggia non trattenevo le lacrime e la rabbia davanti alle bare di otto italiani di Brescia uccisi da una bomba dei neofascisti.
Sono italiano perché Papa Montini pregò "in ginocchio" gli "uomini delle Brigate Rosse" affinché liberassero Aldo Moro.
Sono italiano perché a quindici anni andai al congresso nazionale della Fgci a Reggio Emilia e soprattutto mi spinsi fino a Campegine per abbracciare papà Alcide Cervi novantenne e farmi raccontare la vita dei suoi sette figli fucilati dai fascisti.
Sono italiano perché pur essendo napoletano non so cantare.
Sono italiano perché nel cantiere di Castellammare di Stabia venivano varate le navi più belle del mondo.
Sono italiano perché lavorare stanca ma senza lavoro si finisce nella disperazione.
Sono italiano perché a cena da “Ciccio di Pozzano” Pier Paolo Pasolini si preoccupava del cibo che servivano a Ninetto Davoli.
Sono italiano perché quando vidi Maradona entrare la prima volta al San Paolo fui certo che era un italiano dei quartieri di Napoli.
Sono italiano perché il "mio" paesino abruzzese fu raso al suolo dai tedeschi e gli abitanti non lo vollero più ricostruire.
Sono italiano perché in Irpinia vidi Antonella Chieffo che raccoglieva oggetti e ricordi tra le macerie della casa distrutta dal terremoto pensando di doverla ricostruire, come poi fece.
Sono italiano perché mi sono sentito sempre un cittadino del mondo.
Sono italiano perché una mattina mi sono svegliato al "Tragara" di Capri, sono uscito in pigiama sul balcone disegnato da Le Corbusier e ho mangiato un cornetto caldo guardando i Faraglioni che erano lì sotto.
Sono italiano perché mi ruppi il legamento mediale in Valtellina e l'albergatore si mise alla guida della mia auto il giorno di Capodanno e mi portò alla stazione di Milano dove caricò me, ingessato, la mia famiglia e l'auto sul treno per Napoli per poi tornarsene con un altro treno a Val di Dentro. E quando gli chiesi che cosa gli dovevo mi rispose: «Nulla. Lei non avrebbe fatto lo stesso per me?».
Sono italiano perché a Reggio Calabria ho visto i ragazzi che dicevano con gioia no alla 'ndrangheta.
Sono italiano perché le poesie a memoria non mi piacevano ma Leopardi mi toccava il cuore.
Sono italiano perché ho per amico il trentino padre Giancarlo Bregantini che diffonde dalle Alpi alla Sicilia la poesia della fede, che a me manca.
Sono italiano perché ero così piccolo da non capire, ma sentii che a casa c'era un grande dolore per la tragedia di Superga e amai il Torino pur non diventandone tifoso.
Sono italiano perché parlo italiano nella mia terra e napoletano quando sono al Nord.
Sono italiano perché dopo ogni comizio davamo la pasta di Gragnano a Giorgio Amendola.
Sono italiano perché grazie ai patrioti del Risorgimento e ai partigiani della Resistenza vivo in un paese, nonostante tutto, ancora libero.
Sono italiano perché Michele Tito mi aveva assunto al Corriere della Sera, ma, tornato a Napoli, lo richiamai per dirgli che non abbandonavo la mia terra.
Sono italiano perché sono venuto a lavorare in Calabria, più a sud del sud dove sono nato, perché amo e odio questa terra, che è la mia terra.
Sono italiano perché l'Italia è tutta bella ma la Calabria lo è ancora di più.
Sono italiano perché stravedo per Sharon Stone ma Monica Bellucci è la fine del mondo.
Sono italiano perché non mi vergogno di usare, per non sporcare la cravatta, anche il cucchiaio quando mangio gli spaghetti.
Sono italiano perché qualche volta mi viene voglia di non fare la fila.
Sono italiano perché non sempre rispetto il codice della strada, ma non me ne vanto.
Sono italiano perché mi piace Alberto Sordi e Totò mi fa impazzire.
Sono italiano perché nessuno tocchi la mia famiglia ma rispetto quelle degli altri.
Sono italiano e di mamme ce n'è una sola e la mia è la più bella.
Sono italiano anche se non corro mai in soccorso del vincitore.
Sono italiano perché Giorgio Napolitano è il mio presidente.
Sì, sono italiano.

L'ultima sfida di Annibale: salvare dalla monnezza la sua villa flegrea
I resti dell'antica dimora dove soggiornò il condottiero sono un ricettacolo di sedie, mobilio e altri rifiuti
NAPOLI – C’è anche un elegante tavolo da soggiorno che giace riverso su quella che è diventata una vera è propria discarica «archeologica» a cielo aperto, in via Saba a Monterusciello. Scaraventato dall’alto assieme a bottiglie di plastica, ombrelli, vetro, sedie e pattume, fa bella mostra di sé sulle rovine di un’antica villa rustica del I sec. d. C dove gli studiosi ritengono abbia soggiornato Annibale nel corso di uno dei suoi frequenti movimenti tattici tra zona flegrea a Capua.

DISCARICA ARCHEOLOGICA – Passeggiando per via Saba, nei pressi dell’ufficio postale di Monterusciello, ci si imbatte in un'area abbandonata dove spuntano tra le erbacce diverse coperture precarie e arrugginite. Corrose dagli agenti atmosferici e sorrette da tubi innocenti in parte piegati, le tettoie indicano che su quel terreno, nel bel mezzo di palazzine tutte uguali, qualcosa di prezioso è venuto alla luce e si è pur cercato di tutelare. Era il periodo dell’emergenza bradisismo e durante gli scavi per la realizzazione delle palazzine popolari nei primi anni ‘80, un’interessante scoperta archeologica riportò alla luce gli antichi resti di una villa rustica romana di notevole estensione. L’area, sottratta all’edilizia popolare e sottoposta alla tutela della Soprintendenza, restituì interessanti cisterne, gli interni della villa realizzati in opus reticolarum e preziosi mosaici che si cercò di tutelare realizzando opportune coperture. Poi la cattiva gestione, l’abbandono e l’incuria che caratterizza spesso i quartieri periferici, ha fatto di quest’interessante sito archeologico una vera e propria discarica a cielo aperto, dove viene gettato di tutto.

TRA I ROVI LA VILLA DI ANNIBALE – Ma il sito di via Saba non è l’unica testimonianza del passato di Monterusciello, come afferma Salvatore Di Fraia, rappresentante dell’associazione Tholos-Magna Puteoli, da tempo attiva nella valorizzazione del territorio flegreo. «L’intera area era conosciuta è frequentata fin dall’antichità, l’altura consentiva di ammirare un panorama incantevole che andava da Nisida a Sperlonga» spiega il nostro interlocutore. «Diversi colombari, monumenti funerari e ville con mosaici rinvenute in zona, indicano come Monterusciello, da diversi studiosi identificata con la “Selva ami” citata dallo storico Tito Livio, fosse abitata da chi gravitava intorno alle attività fiorenti della fascia costiera». I resti di un’antica villa rustica, dove si ritiene che soggiornò Annibale, durante uno dei suoi frequenti movimenti tattici in Campania, giace infine, abbandonata all’interno dell’area del moderno istituto alberghiero di via Matilde Serao; non visitabile perché ricoperta interamente dai rovi.
Antonio Cangiano

"Centri in Padania e respingimenti". Lampedusa, tricolore a mezz'asta
Seconda nottata consecutiva senza sbarchi, nell'isola manifestazioni e comizi improvvisati contro il governo. Il sindaco denuncia: "L'Italia non ci è vicina". Stimati oltre 4 milioni di danni al turismo. Rabbia tra gli abitanti: "Non ce l'abbiamo con i migranti, ma ci sentiamo abbandonati"
LAMPEDUSA (AGRIGENTO)  - Ancora una notte di tregua a Lampedusa. La seconda consecutiva senza arrivi di migranti. Ma nell'isola non c'è una gran voglia di festeggiarli, questi 150 anni dell'unità d'Italia, nel punto più a sud del Paese, nonchè d'Europa.

A Lampedusa, di questi tempi, il sentimento predominante è la preoccupazione. Preoccupazione per la permanenza di centinaia di immigrati tunisini che fanno esplodere il centro di accoglienza; preoccupazione che l'immagine di un'isola al collasso diffusa dalle tv danneggi irreparabilmente la stagione turistica, linfa vitale per la piccola economia locale. "L'Italia non ci è vicina e per questo tengo la bandiera a mezz'asta", dice il sindaco Bernardino De Rubeis mentre a mezzogiorno le motovedette della Guardia costiera in porto salutano la festa dell'unità d'Italia facendo suonare insieme le sirene.

TURISMO IN CRISI. Intanto il Comune denuncia un danno stimato già in 4 milioni di euro, un bilancio che molto probabilmente potrebbe essere ancora provvisorio. "La stagione è alle porte - dice l'assessore al Turismo Pietro Busetta - e che questa situazione scoraggia i nostri visitatori, tanto che il vettore Astreus con il tour operator Holding Turismo ha deciso di annullare i voli per Pasqua, programmati dal 23 aprile da Bergamo. I voli sono stati riprogrammati per il 28 maggio con la perdita per il periodo di Pasqua di circa 7 mila posti corrispondenti a 42 mila presenze, considerato che la durata dei soggiorni è di sei notti".

"Aggiungendo gli arrivi della tratta sociale da Palermo e Catania e i passeggeri che sarebbero venuti con la Siremar, si può stimare che le presenze in quel periodo si raddoppino. A cinquanta euro al giorno parliamo di una perdita netta per l'economia isolana di quattro milioni e duecentomila euro. Si spera - ha concluso Busetta - che gli organi regionali e nazionali affrontino l'emergenza non facendo pesare tale costo sull'economia dell'isola. Il sottosegretario Stefania Craxi ha assicurato l'interesse del governo per risolvere i problemi".

LA GENTE E' STANCA. A parte una messa alla 'Porta d'Europa', il monumento che ricorda proprio il sacrificio delle migliaia di migranti che sono passati e continuano a passare da qui, e l'invito a esporre bandiere sui palazzi, oggi a Lampedusa non ci sono festeggiamenti ufficiali: le energie - soprattutto delle forze dell'ordine, che non si risparmiano, 24 ore su 24 - sono tutte impegnate a gestire la crisi-immigrazione. Nessuno sembra avercela con i tunisini che dal centro di accoglienza si riversano alla spicciolata nella centrale via Roma, ma, piuttosto con l'Italia che sembra aver gettato sulle spalle della piccola isola il peso di questa massa umana in fuga dal proprio Paese.

"Noi non ce l'abbiamo con questa gente - dice Lucia, che ha un negozio di prelibatezze locali - li abbiamo sempre accolti bene, io addirittura anni fa cucinavo al centro d'accoglienza.
Ma c'è rabbia, perchè noi viviamo di turismo, e se il governo non porta via questa gente, un sacco di gente cancellerà le prenotazioni. Molti già telefonano per sapere se la situazione è pericolosa".

Non ci sono stati problemi seri, finora, ma una qualche tensione serpeggia: ragazzi tunisini dicono qualcosa a due ragazze in motorino che replicano urlando: "vaff...  a Tunisi". E si vuole manifestare contro la prevista tendopoli nell'ex base Usa, tra voci che parlano di un possibile sciopero generale, se non verranno trasferiti gli immigrati in eccesso.

"Il problema è non farli arrivare - spiega concitato Giuseppe, che guida un furgoncino che d'estate porta i turisti negli alberghi - ma lì in Tunisia c'è una corruzione totale, basta tirar fuori mille euro, e ti portano dove vuoi. La gente qui si sente abbandonata dall'Italia, che non fa nulla per non farli venire qua, ma anche dall'Europa. Ecco perchè nessuno pensa a festeggiare".

Un singolare momento patriottico c'è stato ieri quando, al centro di accoglienza, un ragazzo tunisino ha issato sulle sue spalle un compagno che, baciando una bandiera italiana, ha gridato un "vive l'Italie". Eppure, anche senza tripudi tricolori, i lampedusani danno in queste settimane un esempio pratico di quella che è una storica e riconosciuta caratteristica italiana: l'accoglienza e la solidarietà umana. "Guardi - dice Loredana, funzionaria al comune - non credo che si possa dare un esempio di unità maggiore. Noi accogliamo queste persone, le sfamiamo, le curiamo. L'unità è nei fatti". In quest'ultimo lembo a sud d'Italia in mezzo al mare, il Paese che oggi compie 150 anni dà forse il meglio di sè.

STRISCIONI CONTRO IL GOVERNO. In un improvvisato comizio, l'ex generale del Cocer Antonio Pappalardo, che una settimana fa si è dimesso da assessore comunale a Lampedusa, ha letto in una piazza dell'isola una lettera aperta al presidente della Repubblica, sostenendo che "Lampedusa è abbandonata dallo Stato" e dicendosi "contrario al progetto di una tendopoli" per accogliere i migranti che non trovano posto nel centro d'accoglienza. In piazza, dove Pappalardo ha parlato in qualità di presidente del comitato spontaneo "Porta d'Europa", sono stati esposti alcuni striscioni con scritto "Respingimenti subito" e "Centri in Padania".

Nel motivare le sue dimissioni dalla giunta guidata da Bernardino De Rubeis, Pappalardo aveva sottolineato, fra l'altro, di non condividere le politiche adottate dal sindaco sull'immigrazione. L'imminente allestimento di una tendopoli era stato confermato ieri dal prefetto Giuseppe Caruso, commissario straordinario per l'emergenza immigrazione. La struttura dovrebbe sorgere nella ex base militare Loran.
17/03/2011

I veri cassonetti? Sono le auto bruciate
Da mesi vicino all'ospedale degli Incurabili si utilizza  la carcassa di una macchina come discarica per i rifiuti
NAPOLI – Cassonetti per differenziata? A Napoli non ce ne sono moltissimi. E talvolta, in diverse zone, mancano addirittura i contenitori generici. Ecco perché, ormai da tre o quattro mesi, in via Luciano Aramanni, nel centro storico partenopeo, in quel dedalo di vicoli che è l'Anticaglia, un’auto bruciata e distrutta per chissà quale causa diventa un vero deposito di sacchetti per l’immondizia.

Un grave segno d’inciviltà, amplificato dal fatto che il «dispositivo» si trova a due passi dall’ospedale degli Incurabili, dall’istituto di Anatomia, dal decumano superiore e anche dal teatro romano dell’Anticaglia, visitabile a singhiozzo. La denuncia di questo nuovo «monumento» parte da facebook grazie all’impegno di Antonio Vitale, dirigente medico presso gli Incurabili.

Diversi i commenti alle foto da lui pubblicate sul social network. Tra tutti questo: «Se ci si pensa bene, questa potrebbe diventare la quadratura del cerchio dello smaltimento della monnezza di Napoli: ogni auto può contenere mediamente tre metri cubi di spazzatura, moltiplicato per due milioni di auto nuove più due milioni di auto rottamate fanno quattro; tre per quattro fa 12 milioni di metri cubi disponibili».
Marco Perillo
Cappellacci: per l'unità dell'Italia decisivo il ruolo della Sardegna. La storiografia più attenta ci ricorda che lo Stato italiano di cui oggi celebriamo l'unità altro non è che l'antico Regno di Sardegna, esteso nei confini, variato nei modi e cambiato nel nome. Lo ha sostenuto il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, in un messaggio "ai Sardi e ai Fratelli d'Italia" ai quali ha ricordato le tre date storiche 1324, 1861 e 2011.

"Queste considerazioni non mutano certamente la storia - ha sottolineato Cappellacci. - "Ma, dando alle cose il loro nome, la rende più precisa", e ha rammentato che "il 17 marzo 1861 fu la Sardegna ad abbracciare, con le sue insegne, la Penisola, e ad assumere con ciò una nuova bandiera e un nuovo nome".

Fatti che evocano quindi una storia più lontana: "Indietro, fino alla mattina del 19 giugno 1324, quando sotto una tenda d'assedio a Cagliari, sopra il colle di Bonaria, l'accordo di pace tra la Repubblica di Pisa e la Corona d'Aragona sancì la nascita di un nuovo Stato sovrano: quel Regno di Sardegna e Corsica che nel 1479 preciserà il suo nome in Regno di Sardegna. Uno Stato tenace e volitivo, destinato a inglobare l'intera isola e, a partire dal 1720, a federarsi con le prime porzioni di territorio continentale, poi di seguito ad annettersi le altre, a volte per amore e a volte per forza, col sudore, le lacrime e il sangue di tutto il Risorgimento. Fino a raggiungere i contorni dello Stato unitario del 1861 che volle chiamarsi Regno d'Italia. Il reso è storia nota, come noto è il generoso contributo ancora profuso dai sardi per difenderne i confini e crescerne le istituzioni, fino alla odierna Repubblica Italiana".
Giovedì 17 marzo 2011 11.33

Lezioni di storia a Caserta, Fausto Zevi sale in cattedra
Della Gatta: «Conoscere il passato per organizzare
il nostro presente e per programmare il nostro futuro»
CASERTA — Le celebrazioni dell’Unità nazionale anche come momento di ricognizione della storia della Campania e della provincia di Caserta in particolare, così come preesistevano. A corredo della prima giornata celebrativa, quindi, a chiusura dell’affollata manifestazione nella Reggia, con i gonfaloni dei 104 comuni scortati dai sindaci di tutta la provincia, ha preso avvio la serie di conferenze organizzate da Confindustria Caserta con il Corriere del Mezzogiorno fra i media partner e con coordinamento dello storico e saggista Giuseppe Galasso, incontri che termineranno il 19 maggio. «Dalla Campania Felice alla Terra di Lavoro» , il tema trattato nella sala Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione da Fausto Zevi, archeologo di fama internazionale, docente universitario, già sovrintendente a Roma, Ostia e Napoli. «Il perché di questo nostro patrocinio a questa importante manifestazione celebrativa— ha detto Antonio della Gatta, presidente di Confindustria — lo avevo già anticipato e mi fa piacere confermarlo ai conventi. La conoscenza del nostro passato, cioè, è utile determinante per interpretare e organizzare il nostro presente e programmare il nostro futuro. Tutto deve aiutarci a comprendere il passato che ci riguarda, il percorso che ha portato la nostra Italia, nonostante il gravame di due guerre mondiali, a diventare la quinta potenza economica mondiale» . Della Gatta ha proseguito: «Ma, e meditiamo su questo ma, c’è ancora un consistente gap che noi del Sud dobbiamo recuperare rispetto all’Italia settentrionale. Le differenze economiche e strutturali ci sono e anche profonde. Nulla da invidiare o da recuperare, e qui siamo capofila, nel settore della cultura. E queste conferenze, meglio chiamarle lezioni, si propongono di esaltare queste nostre prerogative eccellenti per portare Terra di Lavoro al passo con le provincie avanzate. Con la collaborazione e il lavoro di tutti ci riusciremo» . Dopo la presentazione di Donatella Cagnazzo, delegata di Confindustria allo sviluppo associativo, la «lezione» del professor Fausto Zevi. Non può essere diversamente definita la sua conferenza portata avanti col tono discorsivo di un racconto, il dipanarsi di epoche storie della Campania che aveva tutti gli attributi, paesaggistici, naturali, di preziosa iniziale crescita culturale, per motivare l’aggettivo felix «inteso — sottolineava il relatore — come fortunato per la qualità della sua terra, per i frutti derivanti da un lavoro che ha costituito e ancora oggi costituisce, un’aggiunta indicativa al suo toponimo e alle prerogative dei suoi abitanti» . Un racconto accattivante, va sottolineato, ed è stata sintomatica l’attenzione e la compostezza di scolari e studenti fra il pubblico adulto. Sempre sulla Campania Felix gli accenni alla provincia casertana così come illustrata da Strabone molti anni prima di Cristo. E cioè il suolo fertilissimo che si dipartiva da Sinuessa, parallelo litorale lussureggiante, terra di produzione di un grano da fior di farina eccellente, terreni coltivati due, tre ed anche quattro volte l’anno. «Un incredibile spessore di storia è concentrata in queste terre— osservava Zevi —. Una incredibile produzione di vino, lo ricorda Plinio, da Cecubo, al Sezze, al Falerno del Massico. Potevano, queste terre, non essere oggetto di possesso dalle popolazioni degli osci, dei greci, degli umbri, degli etruschi? Ciò nonostante i Tirreni fondarono, qui, un primo nucleo di dodici città e la prima, il "caput" fu Capua, oggetto dell’accaparramento dei Sanniti poi cacciati dai Romani». Il relatore ha poi illustrato come i reperti archeologici, numerosi e preziosi, abbiano raccontato la storia di quelle popolazioni: dai reperti di Afragola a quelli di Gricignano, al rilevamento delle centuriazioni romane, la divisione delle aree agricole intorno ai templi di Diana Tifatina, a San Prisco, e di Giove, a Casagiove, gli insediamenti d’altura a Maddaloni, fino alle maestose tracce di romanità a Santa Maria Capua Vetere. Una storia lunghissima, una base culturale enorme per la provincia di Caserta che di tanto può legittimamente portare vanto ma anche farne trampolino per un futuro che ne sia adeguato. Consensi e applausi per Fausto Zevi, soddisfatto il prefetto Ezio Monaco che ha coordinato tutto il programma celebrativo con uno staff che si è prodigato, riuscendoci, perché tutto filasse alla perfezione. Il presidente della provincia, Domenico Zinzi, ha osservato: «La relazione del professor Zevi ha sottolineato come la centralità di Caserta e della sua provincia nel processo di unificazione nazionale sia partita da lontano e abbia travalicato i campi di battaglia, le cospirazioni politiche. Qui, nel Casertano, dove l’Italia nacque, mi piace ripetere. Qui dove le ansie, le speranze, i sacrifici delle nobili popolazioni meridionali ebbero l’auspicato coronamento e che vanno rivendicati per il doveroso riequilibrio di una certa storiografia non sempre attenta ed obiettiva. È una centralità che affonda le sue radici nell’humus culturale dell’antica Terra di Lavoro. Mi riferisco ai Plàciti di Capua, di Teano e di Sessa, i primi documenti in lingua italiana che anticiparono la lingua elevata da Dante al rango di letteratura e, quindi, di comune mezzo espressivo di tutto il popolo italiano. È trascorso un secolo e mezzo dal giorno in cui si sono compiuti i destini nazionali. Oggi noi ci siamo riuniti per onorare i valori ideali fondanti della nostra Patria unita, respingendo nella maniera più ferma qualsivoglia provocazione, strumentale ed antistorica, tesa a minare l’indissolubile vincolo consacrato dalla Costituzione repubblicana».
Franco Tontoli

Catania: Forza Nuova appende cartello alla statua di Garibaldi
17/03/2011
CATANIA - Un cartello con scritto: "1861-2011 c'è poco da festeggiare, c'è un'Italia da salvare" è stato appeso al collo della statua di Garibaldi e affisso sotto la targa dedicatagli a Catania e ad Acireale nel corso di un blitz effettuato dai militanti di Forza Nuova nella notte, in occasione del 150° anniversario dell'unità d'Italia.

"Contestiamo la retorica - dice Gaetano Bonanno, viceresponsabile provinciale di Forza Nuova Catania - che occulta la verità storica su quanto avvenuto nel nostro Meridione, sulla depredazione di ricchezze, sui genocidi, sul ruolo deviante della massoneria, sulla nascita della mafia come risposta alle nefandezze sabaude, sui falsi plebisciti, che al Nord costrinsero molti a un'annessione non voluta".

Lombardo: “Oggi giornata storica per la Sicilia”
di Markez 17 marzo 2011 -
“Oggi è una giornata storica. Il caso ha voluto che mentre si celebra l’Unità d’Italia la Sicilia può aggiungere anche la gioia per il ritorno della Venere di
Morgantina”.

Lo ha detto il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, che, in questa occasione, ha anche voluto ringraziare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che “ha seguito la vicenda con impegno e passione e ci ha promesso che appena potrà verrà ad ammirarla”.

La Venere di Morgantina è tornata oggi in Italia. La statua, proveniente da Los Angeles è atterrata, poco dopo mezzogiorno, all’aeroporto di Fiumicino.

Lombardo ha assicurato l’impegno del Governo regionale. “Tutta l’area di Morgantina, con il rientro della Venere e con la riapertura della Villa del Casale di Piazza Armerina, costituirà un polo di grande attrattiva e qualità per
l’offerta culturale e turistica“.

“C’è molto da fare – ha proseguito Lombardo – soprattutto sul piano delle infrastrutture, con interventi che devono essere avviati al più presto”. Il presidente della Regione ha infine ricordato “la continuità d’azione messa in campo dall’allora ministro Rutelli e da tutti i Governi nazionali che si sono succeduti”.

“Un percorso – ha detto Lombardo - che ha visto la Regione recitare una parte da protagonista. Mi piace ricordare, ad esempio, la manifestazione in piazza ad Aidone, organizzata dall’allora assessore per i Beni Culturali Lino Leanza, per chiedere a gran voce il ritorno della Venere in Sicilia”.

Mpa cerca un leader alla Saviano
Il senatore Giovanni Pistorio alla vigilia della costituente del nuovo partito voluto da Lombardo: "Il rappresentante ufficiale dovrebbe essere una figura sganciata dal prototipo meridionalista"
PALERMO - "Un intellettuale? Un manager? Non so. Raffaele Lombardo è in una fase molto creativa. Non posso sapere chi sarà il rappresentante politico del nuovo partito che nascerà dall'esperienza del Movimento per le autonomie. Secondo me dovrebbe essere una figura sganciata dal prototipo meridionalista, che a volte può diventare uno stereotipo, ma che metta i piedi nel piatto: penso a qualcuno come Saviano, se potessi cercherei di coinvolgere il professore Gianfranco Viesti" dice il senatore del Mpa, Giovanni Pistorio, conversando all'antivigilia della riunione, a Palermo, della Costituente del nuovo partito che Raffaele Lombardo si prepara a lanciare sulla scena politica.

Quella di sabato, come spiega il fondatore del Mpa Lombardo, "è la prima tappa della Costituente, poi ci sarà una fase, anche lunga, di costruzione del nuovo soggetto che deve avere un respiro più ampio, che guardi al di fuori della Sicilia". Pistorio immagina "un modello nuovo, anche di tipo federativo" perchè "per lavorare al progetto di riscatto del Sud il Mpa da solo non basta, bisogna aprirsi alla cosiddetta società civile, alle contaminazioni, a chi è in crisi negli altri partiti, alle associazioni, alle liste autonomiste, ai movimenti che non hanno vincoli col governo e con Berlusconi".

Perchè "il punto fermo", chiarisce il senatore Pistorio, "è l'opposizione a questo governo e a Berlusconi". Esclude, invece, qualsiasi accordo con la Lega Nord. "Con molti esponenti leghisti abbiamo un ottimo rapporto - sottolinea Pistorio - ne apprezziamo il metodo ma sul merito delle politiche siamo in contrapposizione. Il Sud è stato impoverito per mantenere il benessere del Nord".
17/03/2011

Fratelli d’Italia tra sfilate e look speciali: “Il peggio? La Lega”
“Orgogliosi di essere nati in questa Nazione, peccato per quelle teste bacate che non lo capiscono…”: i cittadini, in questa serie di videointerviste il giorno dei festeggiamenti per i 150 anni di Unità, spiegano perché hanno appeso bandiere alle finestre e indossato bandane e sciarpe tricolori. Giovani e vecchi, uomini e donne sono d’accordo: “L’Italia è bellissima, nonostante tutto. Se c’è una cosa che cambierei? I leghisti…”. In mattinata il centro di Termoli è stato attraversato dalla sfilata delle 500 con bandiere nazionali a sventolare.
Corso Nazionale, Lungomare e Borgo Vecchio, il cuore del passeggio festivo di Termoli, invasi da un mare di bandiere e patrioti dell’ultim’ora nel giorno dei festeggiamenti clou per i 150 anni dell’Unità d’Italia. C’è chi ha calato sulla testa una banda verde biancorossa, chi il tricolore se l’è avvolto a mo’ di sciarpone, chi lo ha issato su un’asta e lo sventola con orgoglio e nonchalance. Clima da Mondiali di calcio che unisce famiglie e anziani, cittadini e amministratori, bambini – qualcuno vestito addirittura a tema – e ragazzi in libera uscita dato che oggi 17 marzo le scuole, al pari dei negozi, sono chiuse. Una sfilata di Fiat 500 bardate dei colori nazionali fa il giro del Paese vecchio strombazzando e si va a parcheggiare sul Corso, regalando un tocco da “evento” alla giornata, che nella tarda mattinata registra un bel sole liberato finalmente dalle nuvole.
La telecamera di Primonumero.it ha interrogato i cittadini nella prima festa dedicata al compleanno d’Italia, che esattamente 150 anni fa è diventata formalmente un solo Stato. «E oggi qualcuno vorrebbe dividerci? Che follia»: i termolesi non hanno dubbi su quale sia oggi il bersaglio delle critiche unanimi: «W l’Italia, abbasso i leghisti che remano contro l’Unità».
Ecco i commenti e le ragioni di una festa secondo i termolesi.
(Pubblicato il 17/03/2011)

Ocse: pensioni, l'Italia è il Paese che spende di più al mondo, il 14,1% del Pil
La media dei Paesi membri è del 7%: bisogna sostenere l'occupazione degli over-50
MILANO - L'Italia è il Paese Ocse che spende di più per il proprio sistema pensionistico: il 14,1% del Pil, contro una media del 7%. Lo sottolinea il rapporto periodico dell'Organizzazione parigina sui regimi previdenziali dei Paesi membri, basato su dati del 2008.

OCCUPAZIONE - L'età pensionabile media, dice l'Ocse, «aumenterà fino a circa 65 anni entro il 2050, per entrambi i sessi». Di qui, la vera sfida del futuro: sostenere l'occupazione degli over-50, che in Italia è «relativamente bassa». Le riforme, sostiene ancora l'Ocse, «contribuiranno a contenere la spesa pensionistica nel futuro a lungo termine». Vanno in questo senso «i tagli alle prestazioni per i futuri pensionati e l'aumento dell'età pensionabile», ma solo «a condizione che la partecipazione al mercato del lavoro dei lavoratori più anziani aumenti». Il rapporto Ocse, commenta il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, «conferma che il nostro sistema previdenziale è diventato sostenibile grazie alle recenti riforme e, allo stesso tempo, rimane peraltro tra i più protettivi nei confronti dei cittadini». Nel 2008, ultimo anno per cui l'organizzazione ha dati completi, il tasso di partecipazione alla vita lavorativa in Italia degli uomini nella fascia d'età 55-59 era del 62%, contro una media Ocse del 78%, nella fascia 60-64 del 30%, contro una media del 54,5%, e in quella 65-69 del 13%, contro una media del 29,3%.

INVECCHIAMENTO - «In Italia - afferma l'organizzazione parigina - la popolazione sta invecchiando molto rapidamente. Le proiezioni demografiche mostrano che questa tendenza continuerà. L'invecchiamento è guidato dai tassi di fecondità relativamente bassi (attorno a 1,4 figli per donna rispetto alla media Ocse di 1,7 figli per donna) e da un'elevata speranza di vita sia alla nascita che all'età pensionabile. Il numero delle persone in età lavorativa per ogni persona di età superiore ai 65 anni, dovrebbe scendere a 1,5 nel 2050».

Elettrodotto fra Lazio e Fiumesanto. Risparmi per settanta milioni all'anno. Un maxi cavo elettrico unisce Borgo Sabotino, un centro in provincia di Latina e Fiumesanto, a Sassari. Porterà risparmi al sistema elettrico pari a 70 milioni di euro l'anno.

Si tratta del Sa.Pe.i (Sardegna-Penisola italiana), l'opera di Terna inaugurata dai vertici della società elettrica assieme al ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, nell'ambito del 150mo anniversario dell'Unità d'Italia. Sa.Pe.i è il primo collegamento elettrico diretto tra la Sardegna e il continente (il cavo precedente transitava per la Corsica), ha una potenza di 1.000 MW, si snoda per 435 km arrivando a 1.640 metri di profondità e, con i suoi 750 milioni di euro di investimento, è "il più importante mai realizzato in Italia per una singola infrastruttura elettrica".

L'opera è stata finanziata per oltre il 50% da Terna con mezzi propri e per la parte restante con uno stanziamento di 373 milioni da parte della Bei. Autorizzato in 14 mesi e realizzato in 48 mesi, il cavo, che è stato realizzato da Prysmian, ha coinvolto 177 imprese per oltre 200 mila giornate lavorative. "La realizzazione di Sapei - ha commentato l'ad di Terna, Flavio Cattaneo - è il punto d'arrivo di un percorso che negli ultimi anni ha visto una forte accelerazione negli investimenti per ammodernare e potenziare la rete elettrica nazionale".

Per Romani l'opera "rappresenta un importante passo in avanti sul fronte energetico", anche perché "la modernizzazione e l'efficienza delle nostre reti energetiche restano una priorità dell'azione di governo".
Giovedì 17 marzo 2011 18.36

Unità d’Italia, gli albergatori di Lampedusa non cittadini ma “sudditi”
di BlogSicilia 17 marzo 2011 -
”Nel giorno dell’unità d’Italia gli operatori turistici delle Pelagie non si sentono cittadini ma sudditi da usare al bisogno”. E’ quanto afferma il presidente di Federalberghi delle Isole Pelagie, Giandamiano Lombardo, a nome degli albergatori di Lampedusa e Linosa.

”Siamo molto preoccupati - ha aggiunto Giandamiano Lombardo – Riteniamo che l’idea della tendopoli sia assolutamente devastante per il territorio. Significa annullare la stagione turistica che vale 50 milioni di euro, sull’altare di un aiuto umanitario, doveroso, ma del quale Lampedusa non può e non deve farsi carico”.
”Deve essere chiaro a tutti, – ha proseguito Giandamiano Lombardo – come affermano anche il sindaco di Lampedusa e Linosa De Rubeis e il presidente della Regione Lombardo, che non si tratta di sbarchi ma di recuperi che possono essere fatti anche con navi crociera da far stazionare nelle acque internazionali o con navi militari che portino in zone più ampie i poveri rifugiati”.

Federalberghi Lampedusa manifesta la ”propria preoccupazione per una politica che vuole caricare sulle spalle del’isola e della Sicilia un onere che non le riguarda”.

”Condividiamo - prosegue – le dichiarazioni dell’assessore al turismo di Lampedusa ed economista, Pietro Busetta. Abbiamo già perso per la mancata stagione di Pasqua oltre 4 milioni e 500 mila euro. Diciamo allo Stato di non illudersi di trasformare Lampedusa in una piattaforma logistica per il recupero dei migranti”.

“ Gli operatori turistici siciliani e la cittadinanza lampedusana - conclude - non lo permetteranno. Lo Stato non può pensare di utilizzare prima Lampedusa per i confinati politici, poi per i mafiosi e ora come piattaforma logistica con un territorio di 22 chilometri quadrati, paradiso per i turisti e moltiplicatore economico importante per la Sicilia e per la provincia di Agrigento. Apprezziamo invece l’opera svolta l’anno scorso che ha consentito a Lampedusa di incrementare del 20% le presenze turistiche”.

Garibaldi, un delfino per celebrare i 150 anni dell'unità d'Italia. Per celebrare la ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia l’Ente Parco ha scelto come testimonial il delfino Garibaldi che per l’occasione potrà essere simbolicamente adottato a distanza.

Si chiama Garibaldi , vive nelle acque dell’arcipelago di La Maddalena , ha numerose ferite da combattimento ma è ancora vispo. E’ un delfino della specie Tursiops truncatus, avvistato per la prima volta nel 2009 dai biologi del Centro Ricerca Delfini CTS del Parco Nazionale di La Maddalena e che nella ricorrenza dell’Unità d’Italia il Parco ha voluto insignire del titolo di cittadino onorario .

GARIBALDI - Garibaldi è riconoscibile dai numerosi segni visibili su entrambi i lati della pinna dorsale quali graffi e incisioni che testimoniano il carattere irrequieto dell’esemplare che, proprio come l’eroe dei due mondi, deve aver affrontato nel corso della sua esistenza numerosi combattimenti. I segni e i graffi presenti sulla pinna sono proprio quelli che permettono di identificare e distinguere tra loro i diversi individui proprio come una carta d’identità.

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