venerdì 18 marzo 2011

Mezzogiorno-Sera. 18 marzo 2011.

Malaunità d’Italia, spettacolo e nulla più.

Lombardo a Ragusa. Il candidato sindaco Mpa è Salvatore Battaglia

I turisti danno buca alla Sicilia che va in buca

«Ereditati 28 milioni di debiti»

“Rilanciare lo sviluppo in cinque linee”. Le richieste di Rete Imprese alla Regione

L’Esercizio provvisorio è l’ordinario alla Regione

Vendita Siremar verso la trattativa privata

Unità, videomessaggio di Saviano, lotta i clan battaglia di democrazia

Dalla Sicilia partiranno gli aerei che bombarderanno la Libia

Mineo aspetta i migranti: «Qui trovano solo la fame»

A Lampedusa sbarcati 38 immigrati

Giochi d'azzardo, contribuenti.it: italia prima in europa con 2180 euro a testa.

«Petrolio, ai lucani solo gli spiccioli».

Scopelliti: il Pil calabrese si volatilizza, l’Unità d’Italia andava fatta meglio

Il sindaco Vallone: noi siamo per l’Italia unita

“Abbandonati in Giappone dal nostro Paese”.

L'UNIONE SARDA - Politica: In Consiglio regionale una festa a metà

L'UNIONE SARDA - Politica: La protesta di Sardigna Natzione

L'UNIONE SARDA - Politica: Mauro pili I parlamentari del Pdl: rispetto per l'insularità

Economia a Brindisi. Preoccupa il piano strategico dell’Eni

Lamezia, raccolta rifiuti in tilt cassonetti colmi e spazzatura in strada

Radioattività, cos’è e quali sono gli effetti

Il candidato sindaco Mpa a Ragusa è Salvatore Battaglia

Banca d’Italia: oggi a che serve?

Sul federalismo la Sardegna è ancora ferma al palo.

Commercio estero, a gennaio deficit record

Buona sanità a Lecce. Il «118» compie otto anni sulla torta 56mila soccorsi

Saviano: dallo scrittore al personaggio.

E dal Manzoni spunta il manifesto del re: «In Italia chiudo l'era delle rivoluzioni»



Malaunità d’Italia, spettacolo e nulla più. Il Blog del Direttore di Carlo Alberto Tregua.
La musica di Michele Novaro e le parole del frate Alessio Cannata (non di Goffredo Mameli) non provocano nessuna emozione anche perché le sei strofe, di cui solo la prima si conosce e si canta, sono banali, quasi improvvisate e non collegate con le vicende di quel periodo storico. Emozione, invece, ha creato il Va’ pensiero del Nabucco diretto da Riccardo Muti all’Opera di Roma.
Nauseante è stata la manfrina, durata giorni e notti, nel tentativo, si capiva artificioso, di festeggiare una Unità che non esiste se non nel pio e legittimo desiderio del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Qui non si tratta di questioni emotive, ma di fatti che fonti ufficiali, nazionali ed europee e dati dei primari istituti di ricerca, comunicano sullo stato di questo Paese. Il guaio è che l’abbondante informazione di quotidiani e periodici non ha fatto il suo dovere, quello di riprenderli con la loro sequenza e gli effetti perversi sul Sud e sull’intero Paese.
Nel nostro inserto, pubblicato ieri, abbiamo elencato i principali dati relativi alla produzione del Pil, da cui si evince che oltre la metà è prodotto dal Nord e meno della metà dal Centro, dal Sud e dalle Isole.

Colpisce in questo quadro di dati, l’enorme differenza di infrastrutture per costruire le quali ci vogliono le risorse. Tutti i governi del dopoguerra ne hanno destinate parte esorbitante al Nord, dimenticando il Sud.
Qui non si tratta di chiedere o di pietire, ma di rilevare la miopia di una classe politica che, potenziando fortemente una parte del Paese a scapito dell’altra, ha di fatto messo le palle di piombo alla crescita di tutta la nazione. Anche se il Pil crescesse del 4% al Nord ma restasse al di sotto dell’1% al Sud, la media del Paese resterebbe al di sotto del 2%, insufficiente nel quadro europeo. Ma, invece, investimenti cospicui nel Sud potrebbero trasformare uno Stato di depressione economica in uno slancio di sviluppo che aiuterebbe il convoglio italico.
Di questo si doveva parlare nei giorni trascorsi e invece si è fatto tutt’altro, più per alimentare uno spettacolo, una fiction, fatta di suoni, di lazzi e di frizzi, che per scattare una fotografia della situazione di tutto il Paese.

Non c’è stata serietà nei comportamenti dei giornalisti che avrebbero dovuto utilizzare l’occasione per portare sulle pagine dei giornali e nei talk show televisivi la rilettura della storia d’Italia di questi 150 anni, fatta da professori di tutte le università italiane e straniere, che hanno ribaltato il romanzo storico ordinato da Cavour ad Alexandre Dumas, maestro di questo tipo di letteratura.
Non si capisce come si possano avvicinare le tradizioni di abitanti di Sondrio con quelle di Locri, di Aquileia con quelle di Caserta, le tradizioni di Cuneo con quelle di Enna. Differenze abissali. Ma c’è una questione che lega tutti, da Nord a Sud, ed è il riferimento a quel valore primario della democrazia che si chiama equità.
Se tutti i cittadini, ovunque si trovino, ricevono lo stesso numero e la stessa qualità di servizi, se tutti i cittadini possono accedere a quanto offre la pubblica amministrazione nello stesso modo, negli stessi tempi e con gli stessi risultati, se tutte le imprese sono messe su un piano di parità e protette dalle infiltrazioni della criminalità organizzata ovunque, se tutto questo esiste, l’Italia è unita.

Sotto gli occhi di tutti c’è, invece, il contrario di quanto abbiamo descritto. Con l’aggravante che le corporazioni succhiano il sangue delle casse pubbliche e quello dei cittadini. Queste hanno il cervello nel Nord, ma sottraggono risorse anche al Sud. Intendiamoci, questa analisi non vuole sottolineare le colpe dei nostri confratelli del Nord, che ci sono, ma evidenziare le enormi responsabilità della classe politica del Sud che ha consentito questo scempio, restando prona a mendicare favori personali e tradendo i proprio elettori che l’aveva mandata a gestire un progetto politico equo e d’interesse per tutti, non per pochi.
Siamo stufi di sentire menzogne ripetute ed espresse con una impudenza senza limiti. Non vediamo allo stato dei fatti il possibile ribaltamento di questa situazione. Il che è molto amaro per chi, come me, ha speso 50 anni della propria vita restando in Sicilia, quando avrebbe potuto lavorare molto più proficuamente in altri luoghi. Ma, con l’ottimismo della volontà, pensiamo che non sia mai troppo tardi.

Lombardo a Ragusa. Il candidato sindaco Mpa è Salvatore Battaglia
di BlogSicilia 17 marzo 2011 -
La visita in provincia di Ragusa del presidente della Regione Raffaele Lombardo nel giorno della festa per i 150 anni dell’Unità di Italia si è conclusa nel pomeriggio al centro direzionale Asi dove sono accorsi qualche centinaio di simpatizzanti del Mpa da tutta la provincia. L’appuntamento voluto dal coordinatore provinciale del movimento Mimì Arezzo per ratificare la scelta del candidato a sindaco del comune capoluogo per la prossima tornata elettorale del 29 e 30 maggio. Il candidato ufficiale del Mpa sarà Salvatore Battaglia.

Il Mpa ha scelto, infatti, di scendere in campo da solo in contrapposizione alla mega coalizione che invece sostiene il sindaco uscente Nello Dipasquale appoggiato e sostenuto da tutto l’arco del centro destra. Il partito di Lombardo ha invece fatto una scelta netta: quella di andare da solo perché non sono stati trovati punti di condivisione sul programma specialmente dopo le prese di posizione di Nello Dipasquale sul piano paesaggistico fortemente contrastato e criticato dall’amministrazione del capoluogo, ma anche per altre ragioni meno importanti che comunque messe a assieme hanno determinato la scelta di campo del movimento autonomistico che si colloca nel terzo polo con Api, Fli ed Udc. Ma questi ultimi di riffe e di raffe, con ragioni diverse hanno alla fine deciso di appoggiare Dipasquale.

I turisti danno buca alla Sicilia che va in buca
di Dario Raffaele
Ha preso il via ieri il Sicilian open di golf ma l’Isola ha ancora molto da lavorare se vuole attrarre visitatori col turismo sportivo. Solo 5 campi da golf da noi contro i 30 della Comunità valenciana che ci stacca di 80 mln di pernottamenti. PALERMO  - La Sicilia al centro dell’attenzione degli appassionati di golf di tutto il mondo ma ancora distante anni luce da realtà consolidate nel settore del turismo sportivo come la Comunità Valenciana, in Spagna.
Ha preso il via ieri, al Donnafugata Resort di Ragusa, il Sicilian Open, torneo dell’European Tour che si concluderà domenica 20 marzo sul campo “Parkland” disegnato dal grande campione sudafricano Gary Player.

Tra i protagonisti dell’Open, vi sono lo scozzese Colin Montgomerie, 31 titoli nel circuito e capitano della compagine europea vittoriosa lo scorso anno nella Ryder Cup, il neozelandese Michael Campbell e lo scozzese Paul Lawrie, entrambi major champion, l’indiano Jeev Milkha Singh, l’inglese Nick Dougherty e oltre 60 vincitori di tornei nel circuito. Tra costoro Costantino Rocca, cinque successi in carriera e tre Ryder Cup disputate, al momento il miglior professionista italiano di sempre.
“La Regione, con i campi che sono nati e che stanno nascendo, - ha detto il campione italiano - si avvia a divenire un polo golfistico di peso. Si può giocare tutto l’anno, grazie al clima favorevole, e pertanto occorre fare opera di promozione per richiamare i turisti golfisti che trovano nell’Isola l’habitat ideale”. Il montepremi del torneo è di 1.000.000 di euro dei quali 166.660 spetteranno al vincitore.

“L’investimento della Regione siciliana destinato al golf - ha affermato Antonio Belcuore, coordinatore progetto “Sicilian Open di Golf 2010-2012” - ha l’obiettivo di fare crescere l’Isola come destinazione turistico-golfistica. è un’opportunità economica che non possiamo lasciarci sfuggire in un settore del mercato che sta avendo un rilevante sviluppo”.
Un’importante vetrina dunque per la Sicilia, che quest’anno punterà molto sul turismo sportivo, com’è stato ribadito di recente dall’assessore regionale al Turismo Daniele Tranchida all’Itb di Berlino.

Sono 5 attualmente i campi da golf nell’Isola: il Picciolo (Castiglione di Sicilia, Catania), Le Madonie Golf (Collesano, Palermo), il Verdura golf resort di Sciacca (Agrigento), il Donnafugata resort (Ragusa) e il Golf club Pantelleria. In costruzione il Kampisky golf resort di Mazara del Vallo (che sarà pronto tra circa due anni); sono allo studio poi, la realizzazione di altri due circoli del golf a Taormina (Me) e Carlentini (Sr).

Il golf e il turismo sono un binomio vincente dello sviluppo sociale del territorio. Non a caso è diventato un’attività primaria per rilanciare il terziario creando posti di lavoro e della ristorazione. è stato calcolato da studi internazionali che un campo da golf produce una ricaduta nell’indotto pari a circa 150 euro al giorno per ogni turista golfista e accompagnatore.

Se ne sono accorti da molto tempo a Valencia e dintorni, in Spagna. Il golf è una delle maggiori attrattive turistiche della Regione Valenciana, con trenta campi distribuiti tra le provincie di Valencia, Alicante e Castellón. Location di lusso in riva al mare o in montagna, dove rilassarsi e godere di un’eccellente varietà di servizi, confortati da un clima piacevole tutto l’anno.
Il numero totale dei campi da golf è salito a 30 con le tre nuove aperture: Las Colinas Golf Country Club e Font del Llop Golf Resort nella provincia di Alicante (entrambi inaugurati nel giugno scorso) e La Galiana nella provincia di Valencia.

Ma cosa ha di più la Comunità Valenciana rispetto alla Sicilia? In realtà si tratta di due regioni molto simili in quanto a superficie (25.808 kmq per la Sicilia, 23.255 kmq per la regione spagnola) ed abitanti (5 milioni per entrambe). La differenza sta solo nella mentalità imprenditoriale spiccatamente lungimirante degli spagnoli e nella fluidità della burocrazia, che in terra iberica permette di realizzare importanti progetti in tempi rapidi e senza scambiare le autorizzazioni necessarie con i favori. Il risultato si ha in termini di presenze turistiche e pernottamenti che, nel 2009, sono stati oltre 90 milioni nella Comunità valenciana contro i quasi 11 milioni in Sicilia… Un gap che, senza idee e senza organizzazione, la Sicilia e la Regione non riusciranno minimamente a colmare.

«Ereditati 28 milioni di debiti» Il Pdl attacca l'ex giunta Ricci e promuove una campagna informativa. di Jari Orsini. CHIETI. Cinque «cambiali» da 28milioni di euro da onorare, ereditate dall'amministrazione di centrosinistra per motivare un bilancio improntato all'austerity. Il gruppo consiliare del Pdl presenta una campagna informativa, fatta di manifesti 6x3 pronti ad essere affissi in città, sul nuovo bilancio dell'ente che passerà al vaglio del consiglio comunale a fine mese.  Il Pdl parla di ingenti debiti. Una situazione debitoria lasciata in dote dal centrosinistra. «Che ha accantonato somme in bilancio per saldare i debiti salvo poi» spiega Roberto Melideo, assessore al Bilancio «utilizzare la liquidità in spese correnti. «Non c'è liquidità e il Comune per iniziare a coprire i debiti» afferma Marco D'Ingiullo, assessore alle società partecipate «è stato costretto ad aumentare i fidi negli istituti di credito». I principali debiti lamentati dal Pdl e riportati provocatoriamente sui manifesti sottoforma di cambiali sono quattro: i 4 milioni e mezzo del teatro Marrucino, i 7 milioni e mezzo dovuti all'Aca, i 740mila euro derivanti dal mancato pagamento degli oneri di chiusura della discarica Casoni e, infine, i 15 milioni ipotizzati per il contenzioso. Una somma astronomica che, qualora fosse reale, significherebbe dissesto economico immediato per il Comune. Ma Dario Marrocco, vice coordinatore cittadino del Pdl, precisa: «È a quanto ammontano le richieste delle controparti, ma non ci sono ancora debiti di contenzioso certi e quindi esigibili. Possiamo vincere molte diatribe legali ed evitare guai economici seri per l'ente». La Provincia vanta il credito più rilevante con il Comune, circa 4 milioni di euro oggetto di una transazione. Segue l'ex Ipab con 1 milione di euro e la Pannozzo costruzioni srl, una delle ditte costruttrici del complesso villaggio olimpico, che ha chiesto al Comune una somma vicina ai 400mila euro.  Le quattro cambiali sono la causa, a detta del Pdl, di un debito
procapite dei cittadini di Chieti di 1.741 euro a fronte di una media nazionale ferma a 418 euro.   Vincenzo
Ginefra, capogruppo Pdl, aggiunge: «Le nostre iniziative pubbliche relative al bilancio sono un primo esempio concreto di bilancio partecipato».  E continuano le incomprensioni tra maggioranza e terzo polo. «Ho fatto delle richieste precise al terzo polo. Vedremo quali saranno le risposte e poi deciderò cosa fare. È chiaro che l'atteggiamento politico di qualche moderato non mi piace». Il sindaco Umberto Di Primio non le manda a dire. Sembra piuttosto seccato dopo l'ultimo infuocato consiglio comunale che ha sancito, di fatto, lo sfaldamento della coalizione di centro destra. Sembra piuttosto seccato dopo l'ultimo infuocato consiglio comunale che ha sancito, di fatto, lo sfaldamento della coalizione di centrodestra. Il quadro politico di palazzo d'Achille è ormai chiaro con Pdl da una parte e Udc, Fli e la lista civica Uniti per Chieti, ovvero il cosiddetto nuovo polo, dall'altra.  La maggioranza resta solida, al momento, solo nei numeri. Il terzo polo, alla prima uscita ufficiale in aula, ha ribadito che vede la politica in maniera diversa dal Pdl. Che non ha gradito i continui tentativi di allineamento politico tra gli esponenti del terzo polo e quelli dell'opposizione.  Qualora lo strappo non venisse ricucito in fretta non è da escludere il clamoroso taglio di qualche assessore dell'Udc che ha fatto incetta di incarichi pesanti in giunta.  Il primo cittadino non lo dice ma lo fa capire. E c'è chi racconta di un acceso faccia a faccia tra sindaco e terzo polo dopo il consiglio comunale di lunedì.  Andrea Buracchio, coordinatore cittadino dell'Udc, fa spallucce. Cerca di minimizzare le incomprenzioni che hanno tenuto banco in consiglio.  «A mio avviso c'è stato un problema di comunicazione tra le parti. Siamo in maggioranza» sottolinea «ma abbiamo la nostra identità politica». Più diretto Alessandro Carbone, capogruppo del Fli; «Per forza di cose dovremo giungere ad un accordo anche se non scenderemo a compromessi».  Intanto Enrico Iacobitti, segretario cittadino del Pd, accusa: «Il centro destra non ha un indirizzo politico in grado di dare soluzioni alla città».

“Rilanciare lo sviluppo in cinque linee”. Le richieste di Rete Imprese alla Regione
Il presidente Filippo Ribisi ha incontrato Raffaele Lombardo. Al primo punto l’istituzione di un tavolo straordinario. “Dalle grandi opere ai piccoli lavori di manutenzione ordinaria”: le misure per sostenere l’economia. Palermo - Cinque linee direttrici per rilanciare lo sviluppo delle imprese che operano nel territorio regionale. Le ha indicate Filippo Ribisi, presidente di Rete Imprese Italia Sicilia (Confartigianato, Cna, Casartigiani, Confcommercio, Confesercenti) nel corso di un incontro tenutosi a Palazzo d’Orleans con il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, al quale hanno partecipato anche i rappresentanti di Legacoop, Confcooperative e Clai.

Il primo punto individuato da Rete imprese Italia Sicilia è l’istituzione di un Tavolo straordinario, al centro del quale porre le reali emergenze delle imprese, l’adozione di misure immediate per sostenere l’economia, il rilancio degli investimenti in Sicilia ed il rafforzamento del tessuto delle Pmi siciliane.

Il secondo fronte di interventi sollecitati dal presidente Ribisi è la definizione di un Piano per il lavoro che si focalizzi su tre questioni essenziali: lancio di un programma eccezionale di piccoli lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria di strade, edifici pubblici, rete idrica, fognature; attivazione delle grandi opere pubbliche cantierabili; piano di rilancio delle attività edilizie, considerato il mancato decollo del Piano Casa regionale.

Il terzo ambito riguarda la Riforma della politica del credito, sia ordinario che agevolato, della Regione siciliana.
Il quarto punto di misure indicate dalle piccole imprese riguarda il pagamento dei crediti vantati a vario titolo dalle aziende nei confronti della PA e della Regione.

Quindi la rimodulazione dei Por e la semplificazione amministrativa. A questo proposito, il Presidente Ribisi considera “necessaria la semplificazione e la riduzione degli adempimenti burocratici accompagnate dalla modernizzazione delle infrastrutture e da interventi in difesa delle imprese costrette a fronteggiare condizioni di illegalità”.

L’Esercizio provvisorio è l’ordinario alla Regione
di Raffaella Pessina
Lombardo ha rimandato a sabato l’avvio del suo nuovo progetto politico. Bufardeci (FdS): “I soldi dei Comuni dati alla Formazione”. PALERMO - Il presidente Lombardo ha rinviato a sabato l’avvio del suo nuovo progetto politico, che prima era stato preannunciato per il 17 marzo. Lombardo ieri ha presieduto alle commemorazioni per il 150° dell’Unità ribadendo la necessità e la responsabilità del Governo di aggiustare gli enormi errori fatti in passato. “Penso che bisogna mettere insieme - ha detto Lombardo - Unità e autonomia, e il che vuol dire fare valere i nostri diritti ma anche fare fino in fondo il nostro dovere”.
I lavori dell’Assemblea regionale siciliana riprenderanno martedì pomeriggio della prossima settimana. Nell’ultima seduta è stato dato il via libera alla proroga per un altro mese dell’esercizio provvisorio. Il provvedimento è passato con 44 sì e 11 contrari.

Per il capogruppo del Pdl Innocenzo Leontini “la proroga è la puntuale conferma dell’inadeguatezza delle attività del Governo e del suo fallimento. L’esercizio provvisorio ormai dura tanto quanto quello ordinario e dimostra il fallimento della Regione”. “Alle piaghe che affliggono l’Isola – secondo Leontini – non si risponde con l’esercizio provvisorio, ma con provvedimenti concreti”. Hanno votato contro la proroga anche Nino Dina e Marianna Caronia, rispettivamente coordinatore regionale dei Popolari di Italia domani e componente Pid della commissione Lavoro dell’Ars, che bocciano come “una iattura l’ennesima proroga dell’esercizio provvisorio”. Una “scelta scellerata – spiegano – che lascia sul lastrico tanti siciliani e che perpetua una cattiva gestione delle finanze regionali. Sui presunti motivi della proroga dell’esercizio provvisorio, legati alla riduzione della spesa per la compartecipazione sanitaria, esprimiamo dubbi fortissimi circa l’iniziativa intrapresa dal Governo regionale nei confronti dello Stato perchè appare evidente che si caratterizza per l’unilateralità, quindi è destinata a non trovare accoglimento”. “Abbiamo sostenuto l’emendamento che consentirà di svincolare i pagamenti degli stipendi per gli operatori della Formazione professionale dalla spesa per dodicesimi – aggiungono – . Rimane comunque una responsabilità grave e pesante per il governo di Raffaele Lombardo la mancata copertura finanziaria del Prof 2011. Il neo direttore regionale del dipartimento della Formazione non potrà che garantire una copertura dei bandi del Piano solo per il 45% della spesa. Finora – concludono – su questa materia il Governo regionale ha mostrato tutta la propria inadeguatezza e insipienza” . Per sbloccare le risorse a favore della formazione la Giunta ha dovuto varare una nota di variazione di bilancio che consente al governo di recuperare 74 milioni di euro da altri capitoli, in particolare dall’assessorato alle Autonomie locali. Decisione che però ha suscitato aspre critiche.
“L’esecutivo – sottolinea il capogruppo di Fds Titti Bufardeci – ha tolto soldi ai Comuni per darli alla formazione, ma domani dovremo ridare i fondi ai Comuni e integrare comunque i fondi per la formazione”.

Il  22 marzo alle 16 saranno trattati a Sala D’Ercole i disegni di legge sulla semplificazione amministrativa e sulla riforma elettorale per gli enti locali. I documenti dovrebbero arrivare in aula corredati da un maxiemedamento ciascuno, definiti da maggioranza e opposizione grazie a tavoli tecnici. Bilancio e finanziaria saranno invece discussi a partire dal 12 aprile. Si prevede una nuova battaglia tra le forze di maggioranza e di opposizione anche perchè nell’ultima riunione di Giunta, il governo ha deciso le date delle elezioni amministrative, fissate per la fine del mese di maggio. A questo punto se si dovesse approvare in tempo utile la riforma della legge elettorale , si potrebbe applicare la stessa alle prossime elezioni, contrariamente agli accordi stabiliti negli ultimi giorni tra maggioranza e opposizione. Per superare l’immobilismo legislativo dovuto alle polemiche infatti il Governo aveva accontentato l’opposizione che chiedeva l’applicazione della riforma elettorale a partire dal 2012. Accordi che ora potrebbero saltare.

Vendita Siremar verso la trattativa privata
di Rosario Battiato
Scaduto il termine del 15 marzo, Tirrenia risulta appetita soltanto dalla Cin, una cordata di armatori napoletani. Ustica Lines presenta un’offerta: “Siamo i soli”. Da Mediterranea Holding una “disponibilità all’offerta”. ROMA – Superata la data fatidica del 15 marzo è già tempo di bilanci sul futuro di Tirrenia e Siremar. Una sola offerta per Tirrenia da parte della compagnia italiana di navigazione, mentre erano 13 le società invitate a proseguire nell’iter di privatizzazione tramite lettera dal commissario Giancarlo D’Andrea lo scorso 3 febbraio. Per Siremar invece la trattativa dovrebbe proseguire su basi private perché nessuna offerta è sembrata adeguata. La comunicazione, in una nota del commissario straordinario D’Andrea, sancisce l’abbandono della scena della Mediterranea Holding il gruppo formato dalla Regione siciliana la scorsa estate proprio per tentare la scalata all’ex compagnia di navigazione di stato e alla sua propaggine regionale.
In una nota del 15 marzo il commissario straordinario Giancarlo D’Andrea ha spiegato come, con particolare riferimento a Tirrenia, “le offerte pervenute consentono la prosecuzione dell’ulteriore fase che precede la definitiva aggiudicazione”. Superata la fase dei convenevoli sul piatto resta la concretezza di un solo nome per il futuro di Tirrenia: la Compagnia italiana di navigazione, la cordata degli armatori napoletani Gianluigi Aponte, Vincenzo Onorato e dalla famiglia Grimaldi. Entro aprile è previsto il closing. Sul futuro degli incentivi, qualora la Ue dovesse bloccare tutto, il governo italiano si impegnerebbe per il 10%, 7,2 milioni all'anno, per incentivare la cordata a proseguire nella privatizzazione.

Sarebbero due le offerte giunte al commissario straordinario Giancarlo d’Andrea, ma il rispetto della valutazione economica di 380 milioni quantificata da Banca Profilo qualche settimana fa è riscontrabile solo in una. Come si era previsto negli ambienti finanziari la cifra espressa dall’advisor del ministero dello Sviluppo Economico nella definizione del valore di Tirrenia ha realmente ripulito la lista degli interessati eliminando di fatto quasi tutti i 13 pretendenti che fino allo scorso febbraio erano in carica per acquisire l’Alitalia dei mari. Al momento l’offerta della Compagnia italiana di navigazione raggiunge quota 255 mln di euro, più una serie di implementazioni per arrivare a 380 milioni. Il secondo plico giunge come resa inevitabile del progetto della Regione siciliana di entrare nel progetto di acquisizione della compagnia marittima, visto che da Mediterranea Holding sarebbe arrivata una lettera con la quale la cordata dichiara la disponibilità a preparare un’offerta. Una situazione che segna di fatto anche la definitiva chiusura della Mediterranea Holding, che Raffele Lombardo ha spiegato adducendo problemi economici.

Per la controllata, che era stata offerta gratuitamente alla Regione nel 2009, sono giunte due offerte: Mediterranea Holding, tramite una lettera di interessamento sullo stile di quella presentata a Tirrenia, e Ustica Lines. Tuttavia per decidere le sorti della propaggine regionale il commissario si affiderà alla legge 39/2004: una sorta di trattativa privata sulla base delle cinque manifestazioni di interesse ricevute a febbraio. Dalla Ustica Lines però ribadiscono essere “l’unica società ad avere presentato la propria offerta vincolante e irrevocabile nell’ambito delle procedure finalizzate all’acquisizione della Siremar”.

Perplessità dalla Regione sul futuro degli equilibri della compagnia navigazione, centro nevralgico del turismo isolano e dei collegamenti con le isole minori. “Di tutto ha bisogno la Sicilia – ha spiegato Gaetano Armao, assessore all’Economia della Regione siciliana - tranne che di un monopolio nei trasporti marittimi. A maggior ragione se riflettiamo su quanto importante sia questa modalità di collegamento per i nostri arcipelaghi e le nostre isole”.

Unità, videomessaggio di Saviano, lotta i clan battaglia di democrazia
NAPOLI. Videomessaggio dello scrittore Roberto Saviano al concerto organizzato ieri in piazza Dante dalle associazioni delle vittime delle mafie per l'Unità d'Italia. Ecco il testo del messaggio. «Sono felice anche io di poter essere a Napoli anche se soltanto con questo video perché ricordare e festeggiare i 150 anni dell'unità d'Italia partendo dalle vittime di mafia credo che sia un elemento fondamentale e non solo doveroso. Piuttosto sia l'unico luogo da cui partire il luogo della memoria di chi ha contrastato e per questo è caduto, le organizzazioni criminali. Ricordo che quando ero ragazzini e giravo sulla vespa nella mia terra quando portavo amici di altri luoghi e vedevano mazzetti di fiori e epigrafie agli angoli delle strade soprattutto se venivano dal nord pensavano a partigiani, caduti della guerra. Per me non era facile spiegare che erano si caduti di una guerra, ma non quella degli anni '40, era una guerra contro le organizzazioni criminali. Tutte le associazioni dei familiari possano nel giorno che si festeggia l'Italia riunirsi per ricordare che la battaglia che loro fanno, la battaglia dei loro cari che in molti fanno sia una battaglia di democrazia. Ecco volevo esserci per sottolinearlo. Quest'Italia non può ripartire se non dal ricordo di chi è caduto difendendo il Paese. Difendendo il diritto, difendendo il talento e cioè contrastando la criminalità organizzata. Si è detto in maniera colpevole che chi racconta queste cose diffama il Paese. Oggi, così numerosi, qui dimostriamo che raccontare è l'unico modo per resistere e raccontare di mafia, di sistema criminale e politica comprata è anche forse l'unico modo per essere orgogliosi di essere italiani».

Dalla Sicilia partiranno gli aerei che bombarderanno la Libia
di BlogSicilia 18 marzo 2011 -
L’Onu ha deciso per il pugno pesante contro Gheddafi. Intorno alle 22 di ieri, infatti, il Consiglio di Sicurezza ha approvato la risoluzione che autorizza l’imposizione di una ‘no fly zone’ ulla Libia, con l’utilizzo di tutti i mezzi a dispozione, incluso il ricorso alla forza.
I voti a favore sono stati dieci. Cinque gli astenuti: Russia, Cina, India, Brasile e Germania.
La possibilità di un “cessate il fuoco” è stata la prima reazione del governo libico, come ha detto ai cronisti a Tripoli il vice ministro degli esteri del governo libico, Khaled Kaaim.

A Bengasi, fulcro degli insorti, invece, la folla si è riversata in piazza per festeggiare la decisione dell’Onu.

Adesso i raid aerei potrebbero cominciare da un momento all’altra. E l’Italia offrirà ai velivoli militari tre basi per le offensive, due della quali in Sicilia: Trapani Birgi e Sigonella. La terza si trova in Puglia, a Gioia del Colle, in provincia di Bari.

Questo sarà il modo con cui il nostro Paese parteciperà alle azioni belliche. Mentre saranno gli Usa, la Francia, la Gran Bretagna, il Canada ed alcuni Stati arabi a coordinare la strategia e a mettere in campo le forze.

Mineo aspetta i migranti: «Qui trovano solo la fame»
Mariano Maugeri
MINEO (CATANIA). Dal nostro inviato
«Chi ni ponnu livari sti niuri? 'A fami ch'avemu?». Al caffè Bonaviri nel cuore di Mineo, una processione di palazzi barocchi con la pietra cotta dal sole, una zia alla lontana dello scrittore Giuseppe Bonaviri traduce con la sapienza spicciola di questi siciliani che nel 500 avanti Cristo ebbero come condottiero lo strategos Ducezio, il re dei siculi, l'arrivo di 2.300 immigranti richiedenti asilo. Il primo drappello di duecento africani è atteso nel corso di questa mattina.
La traduzione della battuta dialettale è un trattato di storia isolana. «Cosa ci possono togliere gli immigrati? La fame che abbiamo?». A Mineo hanno davvero poco da perdere. L'intelligenza senescente racchiusa nei palazzi nobiliari e nelle case umili che profumano di sapone è un bene indisponibile. Tutto il resto appartiene alle impellenze di una quotidianità allagata da una natura sospesa tra realtà e magia: Mineo è appollaiata sui monti Erei, circondati dalla fertile valle che al tempo dei greci era sommersa dal lago di Naftìa. Di quelle atmosfere propiziatorie sono rimaste le pozze dove gorgoglia l'anidride carbonica naturale imbottigliata dalla Coca cola siciliana e una successione di aranceti, uliveti e campi di carciofi.
Zigzagando i fianchi degli Erei si giunge sulla superstrada Catania-Gela, soprannominata dai cronisti siciliani la "strada della morte" per il numero altissimo di incidenti d'auto. Le 404 casette color albicocca con sfumature giallo tenue e terra cotta sbocciano all'improvviso lungo il rettifilo: sembrano costruite con i Lego. Intorno ai due quadrati che compongono il perimetro ci sono prati all'inglese perfettamente rasati, palme, campi di basket e strade larghe come quelle che separano le ville del New Jersey. Una cittadella di 25 ettari completamente autosufficiente con supermercato, bar, palestra, centro ricreativo, asilo, caserma dei vigili del fuoco. Nel campo da baseball (ma c'è anche un campo da football americano e svariati campi da tennis) gli uomini delle Croce rossa montano una grande tenda che ospiterà le cucine. Villette di 180 metri quadri con giardino, box auto e barbecue. Fino al 2010, quando ci vivevano le famiglie dei soldati americani di stanza alla base di Sigonella, ogni villetta era abitata da una famiglia. In teoria ogni casetta potrebbe ospitare fino a 12 migranti. Significa quasi 5mila persone. Il carabiniere che sta di guardia non è per nulla ottimista: «In sei mesi questo posto sarà distrutto. Io me la sogno una casa come quella che daranno agli immigrati».
La Pizzarotti di Parma costruisce il Villaggio forte di un contratto decennale con gli americani del valore di 8,5 milioni di dollari l'anno che scadrà il 31 marzo. Il 26 gennaio arriva la disdetta statunitense. Da allora i Pizzarotti bussano a tutte le porte, compreso Palazzo d'Orleans, l'ufficio del governatore Raffaele Lombardo (natìo di Grammichele, l'antica Occhiolà, a pochi chilometri da Mineo) alla ricerca di un nuovo affittuario.
A Lombardo propongono di trasformare il Villaggio degli Aranci in una specie di housing sociale. Il leader dell'Mpa, che è un cultore della vita e delle gesta di Ducezio, l'equivalente dell'Alberto da Giussano della Lega lombarda, declina l'offerta a causa del pessimo stato di salute del bilancio regionale. Alla fine gli imprenditori chiudono con il Viminale e Palazzo Chigi. Affare fatto, anche se la cifra dell'accordo è segretissima. Ovvio che a Mineo nessuno sia soddisfatto dei nuovi inquilini. Al Comune, che tra i suoi sindaci vanta lo scrittore verista Luigi Capuana, toccherà rinunciare persino a 130mila euro di Ici versati ogni anno dalla Pizzarotti, costruttrice e proprietaria del Villaggio. «La requisizione da parte dello Stato comporta la perdita di possesso del proprietario, che quindi è esonerato dal versamento dell'imposta» spiega il vicesindaco Maurizio Siragusa. Se qualcuno si azzarderà a chiedere una navetta che colleghi il Villaggio con il paese si prepari alla seguente risposta: «Anche noi, dopo i tagli dello Stato e della Regione, abbiamo un bilancio risicatissimo che non ci consente nuove spese». Il resto, semplicemente, non esiste. L'agricoltura langue, i pensionati aumentano, i giovani scappano.
Eppure questa è la terra del Governatore. Grammichele è appiccicato a Mineo e il leader dell'Mpa possiede una casa di campagna a qualche chilometro dal Villaggio degli aranci, il rifugio in cui si rinchiude tutte le domeniche. Lombardo ha parlato degli immigranti come di una potenziale "bomba umana". Una bomba umana a pochi passi dal suo buen retiro e dal suo aranceto. In questo caso, da Capuana e Bonaviri, tocca passare all'empedoclino Andrea Camilleri e ai titoli dei suoi racconti. "Le arance africane del governatore" potrebbe essere un buon titolo per il prolifico scrittore agrigentino.

A Lampedusa sbarcati 38 immigrati
di BlogSicilia 18 marzo 2011 -
Sono ripresi gli sbarchi a Lampedusa, dopo una tregua di 48 ore.
Intorno all’una di notte sono arrivati sulle Pelagie 38 maghrebini. Tra di loro 3 donne.
Il Centro d’Accoglienza, nel frattempo, è sempre più affollato. Adesso contiene 2.700 extracomunitari ed oggi dovrebbero riprendere i trasferimenti.
Inoltre, a Mineo, in provincia di Catania, si apriranno le porte del Villaggio della Solidarietà, dove  dovrebbero arrivare i primi duecento richiedenti asilo politico.

Giochi d'azzardo, contribuenti.it: italia prima in europa con 2180 euro a testa.
Carlomagno: "Servono urgenti misure restrittive".
ROMA - "L'Italia ha il primato, in Europa, per la maggior cifra giocata al tavolo, una media quasi 2.180 euro che vengono sottratti, all'economia reale, minorenni inclusi, il cui numero è passato da 860 mila unità a 2,8 milioni. L'Erario si preoccupa più di fare cassa che di sensibilizzare sulle tematiche di dipendenza da gioco." Lo afferma Vittorio Carlomagno, presidente dell'Associazione Contribuenti Italiani alla presentazione del convegno "Giochi, Usura e Fisco", che si terrà a Napoli nel mese di aprile, nel quale verrà premiata l'intera redazione di "Contribuenti.it Magazine" per l'inchiesta "Gioco d'azzardo: il business dello Stato".
Nel 2010 si è registrato un aumento delle perdite legate alla dipendenza da giochi e scommesse del 15,3%. Rispetto allo stesso periodo dell'anno pr! ecedente sono stati lasciati sul tavolo da gioco circa 720 mln in più. E nei primi 2 mesi del 2011 si registra un balzo addirittura del 4,4%, con un tendenziale annuo che potrebbe arrivare al 20%.
In Italia, il solo gioco legalizzato coinvolge circa 31,2 MLN di persone, di cui 7,6 MLN con frequenza settimanale, e sviluppa un fatturato di circa 56,8 MLD di euro. Anche il coinvolgimento dei minorenni è aumentato passando da 860 mila unità a 2,8 milioni.
Secondo l'indagine che verrà pubblicata su "Contribuenti.it Magazine", nel nostro Paese, il consumo e l'abuso di alcol e droghe viene visto come un problema sociale per la collettività e di salute per il singolo, mentre la dipendenza da gioco non viene riconosciuta dallo Stato, e chissà perché, come una malattia sebbene a livello psichiatrico, invece, venga catalogata come una vera e propria patologia. E così, tra il Superenalotto che presenta un montepremi per il "6″ fuori da ogni logica razionale, ed il poker on lin! e legalizzato, non mancano le tentazioni di chi, affetto in maniera latente dal vizio del gioco, rischia di entrare nel tunnel della dipendenza. Ai tempi della crisi, tra l'altro, il fatturato dei giochi di Stato, anziché scendere, aumenta, a conferma di come gli italiani, sempre più disperati, sono alla ricerca di un full d'assi o di una sestina vincente per ottenere ciò che non gli è permesso nella vita reale.
L'Associazione Contribuenti Italiani chiede misure restrittive nei confronti del gioco legalizzato vietandolo in tutti i luoghi pubblici, sulla scia del divieto delle sigarette, la diminuzione dell'offerta di lotterie, il divieto del gioco d'azzardo online, l'aumento della tassazione sulle vincite al fine di renderle meno appetibili, introducendo un'imposta unica sostitutiva su tutti i giochi legalizzati (IUG) pari al 50% della vincita.
"Lo scopo delle istituzioni è quello di educare i cittadini, proteggere la loro salute, mentale e fisica - afferma Vittori! o Carlomagno, presidente dell'Associazione Contribuenti Italiani - non di certo quello di indurli a giocare al poker o ad indebitarsi con persone senza scrupoli. Senza contare che sono non pochi i giocatori fanno uso di sostanze stupefacenti o si prostituiscono per racimolare i soldi. Per un reale rilancio dell'economia e per accompagnare il paese dall'uscita della crisi economica - conclude Carlomagno - i risparmi degli italiani dovrebbero entrare in circolazione nel mercato attraverso canali legali e produttivi e non lasciare che le perdite al gioco diventino prima fonte di entrate nelle casse statali."
Contribuenti.it - Associazione Contribuenti Italiani
L'ufficio stampa Infopress 0642828753

«Petrolio, ai lucani solo gli spiccioli». di ENZO PALAZZO
MATERA - Il petrolio è dei lucani? La domanda viene spontanea un po’ a tutti tra il Bradano e il Sinni, guardando la misera percentuale che, in royalties sui barili estratti, tocca annualmente alla Basilicata: il 7 per cento appena. Però, e qui la notizia si fa interessante, secondo quanto pubblicato anche da «The Economist» su come ci si regola nel mondo in tema di royalties (fonte Van Meurs Corporation e Maria Rita D’Orsogna, Università di Santa Monica, California), se fossimo in Canada, la divisione sarebbe stata fifty-fifty. Cioè, 50 per cento alla compagnia mineraria e 50 al territorio. Qualcosa in più sarebbe toccato ai lucani se l’Eni in Basilicata avesse applicato ciò che concesse all’Iran nel 1957 (fonte: “L’era del petrolio”, di Leonardo Maugeri, Feltrinelli Editore): il 50 per cento degli utili lordi sottoforma di imposte da aggiungere al 50 per cento degli utili netti, per un totale del 75 per cento. Il resto, il 25 per cento, alla compagnia mineraria che comunque non ci perde, visto che i 159 litri di greggio per barili estratti li trasforma in lucrosa benzina.

Se invece fossimo in Norvegia, alla Basilicata andrebbe l’80 per cento, più una petrolpensione a 4 milioni di abitanti (i lucani sono appena 600mila), e solo, si fa per dire, un 20 per cento ai petrolieri. Se consideriamo che sono 500 i milioni di barili di petrolio ancora da estrarre dal sottosuolo lucano (fonte: il dirigente dell’Eni Giuseppe Tannoia, al convegno tenutosi in Basilicata, Copam 2011, una tre giorni di elogio all’economia fossile organizzato dall’Eni e dalla Regione), la dimensione dell’affare che perde la Basilicata e guadagna la compagnia mineraria, assume dimensioni interessanti. Calcolando, infatti, circa 100 euro al barile, un po’ per praticità di calcolo, un po’ perché effettivamente il prezzo di un barile si avvicina ai 100 euro, è possibile quantificare il tesoro che la Basilicata nasconde sotto le sue viscere: circa 50 miliardi di euro.

Dunque, ricapitolando: se fossimo in Canada, 25 miliardi andrebbero alle società minerarie e 25 alla Basilicata. Se fossimo in Iran nel 1957, 37,5 alla Basilicata e 12,5 all’Eni. Se fossimo in Norvegia, 40 ai lucani e 10 ai petrolieri. Se fossimo in Basilicata, come in effetti siamo, la divisione sarà, invece, di 46,5 miliardi di euro ai petrolieri e di appena 3,5 ai lucani. I quali devono anche digerirsi i costi ambientali e di salute di un’attività impattante ed inquinante. Dunque, di chi è il petrolio?

Scopelliti: il Pil calabrese si volatilizza, l’Unità d’Italia andava fatta meglio
Venerdì 18 Marzo 2011 07:50 Redazione desk
Giuseppe Scopelliti. CROTONE - Il presidente della Regione Giuseppe Scopelliti ha partecipato a Crotone ai festeggiamenti dedicati ai 150 anni dell’unità d’Italia. Il governatore ha pronunciato il suo discorso nel corso della cerimonia che si è svolta nei pressi del monumento dedicato ai fratelli Bandiera. «Quando nel 1966 il Presidente della Repubblica Saragat e il Presidente della Camera Pertini inaugurarono a Crotone il monumento ai fratelli Bandiera - ha detto Scopelliti - in Italia c’era il miracolo economico. Oggi, la situazione è assai diversa ma questo monumento è stato giustamente identificato come uno dei "luoghi della memoria" a livello nazionale, appunto per ricordare due patrioti veneti che sacrificarono la vita nel Sud per l’unità di tutto il Paese. In questo che è il mio discorso ufficiale per il 17 marzo, intendo rivolgermi a tutti i calabresi, quelli che vivono nella nostra regione e quelli che, per scelta o necessità, sono andati via, invitandoli a utilizzare questa occasione dei centocinquant’anni per riflettere, sopratutto sul futuro.La nostra regione, come tutto il Sud, è stata scenario e protagonista attiva in tutto il Risorgimento e il sacrificio dei fratelli Bandiera ne è testimonianza autentica. A scanso di equivoci, premetto subito che l’Italia è stata una conquista e per noi e deve rimanere una e indivisibile. Non a caso, come Regione Calabria abbiamo avviato tutta una serie di iniziative per i 150 anni». «Tutto questo fiorire di iniziative - ha continuato - in quanto apparteniamo a quei meridionale che tengono tanto all’Unità d’Italia che avrebbero preferito fosse stata fatta un po’ meglio.Tra i tantissimi libri sull’unità, ce n’è uno che occorre necessariamente leggere e che parla d’altro. Si tratta di uno studio coordinato da Paolo Savona, dal titolo "Sviluppo, rischio e conti con l’esterno delle regioni italiane". Da questa ricerca emerge la teoria della "pentola bucata" in base alla quale il problema principale delle regioni meridionali non è quello di ricevere maggiori risorse ma mantenere all’interno dei territori il Prodotto Interno Lordo realizzato. E’ la Calabria è quella messa peggio di tutti: su 100 di Pil, solo il 74% rimane nella regione, il resto si volatilizza.
Complessivamente, il Nord trasferisce al Sud 45 miliardi di euro, che è una somma non da poco in quanto rappresenta il 3 per cento del Pil italiano, ma il Sud invia alle regioni del Settentrione in termini di consumi 62 miliardi di euro. Ed è solo così che si mantiene elevata l’occupazione e la produttività del Nord. Con i soldi del Sud.
E per restare sempre nell’ambito delle analisi economiche, sarebbe utile leggere quanto sostengono Paolo Malanima e Vittorio Daniele, professore all’Università della "Magna Grecia" di Catanzaro, in un saggio di qualche anno fa a proposito delle diseguaglianze al momento dell’Unità. Nel 1861 il divario economico tra Nord e Sud, affermano i due ricercatori, era pressoché inesistente e si è andato creando dopo il 1876, tanto che su 150 anni, 120 per il Mezzogiorno sono stati di arretratezza.
Riflettere anche su questo, sarebbe una bella occasione per festeggiare davvero il nostro straordinario Paese, al di là dei luoghi comuni. Infatti nella nostra regione esiste un simbolo, le Ferriere di Mongiana, il sogno interrotto dell’industrializzazione del Sud, che noi intendiamo proporre come "luogo della memoria" regionale, quale prezzo pagato dalla Calabria per l’indispensabile Unità nazionale. Nel 2011 la Calabria si presenta all’Italia con tanti problemi ma anche con innegabili opportunità. Abbiamo una classe giovane e motivata, con tanti Sindaci innamorati delle proprie città; siamo al centro del Mediterraneo, che sarà l’area di libero scambio più estesa del pianeta; abbiamo consistenti fondi europei, che intendiamo utilizzare per aumentare la produttività. Al momento dell’elezione ci siamo assunti un compito preciso: dopo 40 anni di regionalismo unire la Calabria, dal Pollino allo Stretto, per costruire una regione finalmente per tutti. In questa stagione del federalismo, rendendo più unita e coesa la nostra regione contribuiremo a rendere più unito il nostro grande, straordinario Paese».

Il sindaco Vallone: noi siamo per l’Italia unita
Venerdì 18 Marzo 2011 07:59 Redazione desk
CROTONE  - «Per dichiarare l’amore alla propria Nazione non occorrono tante parole. Noi abbiamo scelto: siamo per l’Italia Unita». Ha aperto con queste parole il sindaco di Crotone, Peppino Vallone, il suo messaggio nel corso della cerimonia ufficiale per le celebrazioni del 150/mo  anniversario dell’Unità che si è tenuta ieri nel piazzale del monumento dedicato ai Fratelli Bandiera. Un luogo simbolo scelto per festeggiare degnamente il compleanno della nostra Nazione. Alla cerimonia hanno partecipato il presidente della Regione, Giuseppe Scopelliti, ed il prefetto Vincenzo Panico. «Ciascun componente di questa comunità - ha aggiunto Vallone - ha voluto gridare forte di sentirsi crotonese, calabrese, italiano ed anche cittadino d’Europa. Ma è necessario che questa volontà, che parte da una città, come si diceva una volta del profondo sud, sia adeguatamente sostenuta - ha aggiunto il Sindaco di Crotone. - L’invito che parte oggi da Crotone, proprio in occasione di questa importante ricorrenza, è che si propongano, a livello sovra comunale, politiche che non risentano del campanile. Che si consenta ad un cittadino crotonese di sentirsi realmente cittadino della Calabria, al pari di altri cittadini della Regione. E che Crotone, la Calabria, il Sud abbiano, anche a livello nazionale, l’attenzione che meritano. Dare un senso alle celebrazioni dell’Unità d’Italia comporta, già da domani, lavorare tutti insieme per realizzare un’Italia che sia realmente unita, da Sud a Nord». «C’è un pezzetto di Crotone nella storia dell’Unità d’Italia che il presidente della Regione Giuseppe Scopelliti, assieme al prefetto Vincenzo Panico e ai rappresentanti delle istituzioni locali, ha deciso di celebrare per questo 150/mo anniversario: è il monumento ai Fratelli Bandiera di contrada Bucchi». A sostenerlo, in una nota, è il presidente del Comitato regionale per la qualità e la fattibilità delle leggi, Salvatore Pacenza che «esprime viva soddisfazione per la scelta fatta dal presidente della Regione, Giuseppe Scopelliti, di onorare il 150/mo anniversario dell’Unità d’Italia proprio a Crotone. La città è stata individuata come luogo simbolo».

“Abbandonati in Giappone dal nostro Paese”. di Chiara Cenini 18 marzo 2011 - Agghiaccianti le testimonianze dei sette ragazzi messinesi che si trovavano in Giappone, nei giorni del tremendo terremoto che ha devastato il Paese.
“Quell’incubo non lo dimenticheremo mai più. La terra che trema per quasi due minuti, e poi la “prigionia” in un paese straniero devastato, senza alcun aiuto da parte del nostro governo”.
Queste le parole disperate di uno dei protagonisti che ora finalmente a casa racconta la tragedia vissuta, non risparmiando spiacevoli particolari sull’Ambasciata Italiana e la Farnesina che in nessun modo avrebbe dato ascolto a tutte le richieste d’aiuto provenienti dai suoi connazionali.
I fratelli Giuseppe e Aurelio Costa e ancora Antonio Lisciotto, Francesco Stagno d’Alcontres, Giuseppe Leto, Antonio Abate e Marco Montineri, tutti tra i 26 e i 43 anni, erano partiti da Messina giovedì 10 marzo, per trascorrere a Tokyo quasi due settimane.
Un appuntamento fisso per molti di loro che in Giappone c’erano già stati parecchie volte, per alimentare la loro passione per le arti marziali.
“Eravamo arrivati da qualche ora – raccontano Giuseppe Costa, Antonio Lisciotto e Francesco Stagno d’Alcontres – giusto il tempo di recarci in albergo a Tokyo. Prima, però, alcuni di noi avevano deciso di fare un salto in un centro commerciale. Proprio lì è iniziato l’incubo. La prima forte scossa interminabile e poi altre ancora: un paese già parzialmente devastato che nonostante tutto sembrava volesse continuare a vivere come se niente fosse accaduto. Abbiamo visto lo Tsunami in diretta tv ed è stato tremendo – raccontano Antonio, Giuseppe e Francesco – per il senso di impotenza che ci ha comunicato. E poi le prime notizie che ci arrivavano dall’Italia. Si parlava del rischio nucleare a seguito dei danni riportati dalla centrale di Fukushima, ma a noi nessuno diceva nulla. Abbiamo deciso di mandare una mail all’Ambasciata italiana anche perché tutti i mezzi pubblici erano fermi e da soli non sapevamo come muoverci: la risposta è stata a dir poco incredibile. In sostanza ci hanno risposto: “Decidete voi se tornare in Italia“. Nulla di più, non un’indicazione, non un aiuto”.
Comprendendo la gravità della situazione i sette giovani hanno ovviamente deciso di ritornare in Italia il prima possibile, imbattendosi così in una trafila di mail indirizzate a Alitalia che li ha sballottati da un volo all’altro prima di prenotare per loro quello definitivo, e all’Ambasciata che ancora una volta ha fatto “orecchie da mercante”.

“La cosa più dolorosa è stata vedere un popolo annientato che si è messo a nostra completa disposizione, rimborsandoci persino le spese d’albergo, e i rappresentanti del nostro Paese non muovere neanche un dito per noi”.
Le mail e le mille telefonate fatte per chiedere aiuto sono già state montate in un video che racchiude al meglio le vergogne subite e che è già disponibile su youtube per tutti coloro che vorranno rendersi conto personalmente del dramma vissuto dai nostri connazionali.

L'UNIONE SARDA - Politica: In Consiglio regionale una festa a metà
18.03.2011
La Lombardo e Cappellacci: l'Isola ancora prigioniera della crisi
Il parlamento dei sardi celebra i 150 anni dell'unità del Paese, ma non tutti i consiglieri regionali hanno risposto alla convocazione. Libera scelta, nel giorno della seduta solenne del Consiglio, ma solo quella dei sardisti e della consigliera Claudia Zuncheddu è apparsa come una forma di protesta. Alcuni posti vuoti anche nella fila riservata alla Giunta regionale, assente - in linea col suo partito - anche l'assessore Christian Solinas, penultimo nominato nell'esecutivo regionale. Dopo aver letto il messaggio del capo dello Stato, la presidente Claudia Lombardo ha preso la parola, non senza emozione: «Questa giornata di festa, in Sardegna, è offuscata dalla preoccupazione di tutta la classe dirigente dell'Isola per la gravità della crisi, amplificata dalle carenze e dai ritardi ultrasecolari non ancora rimossi», ha detto, in un passaggio applaudito, la presidente. «Lo Stato italiano di cui celebriamo l'unità altro non è che l'antico Regno di Sardegna, esteso nei confini, variato nei modi e cambiato nel nome», ha sottolineato Ugo Cappellacci nel suo messaggio ai sardi.
I PRESIDENTI Anche Claudia Lombardo, nel suo intervento, ha ripercorso la storia della nazione sottolineando «che il Regno d'Italia nacque dal Regno di Sardegna» e che grazie «al sacrificio dei sardi, soprattutto degli eroici fanti della Brigata Sassari», sono state scritte «pagine indelebili negli eventi bellici che si accompagnarono alla difesa del suolo patrio». Con un tuffo nell'attualità, grazie «ai numerosi figli della Sardegna che in tempi recenti hanno continuato a dare la vita per la salvaguardia delle istituzioni». Quei reduci della Brigata Sassari «incarnati idealmente dalle due grandi figure di Emilio Lussu e Camillo Bellieni». Il pensiero sardista, la cultura autonomistica e la Questione sarda, le citazioni di Giovanni Battista Tuveri e Giorgio Asproni, la presidente ha voluto ricordare «la nostra specialità, quell'essere fieramente sardi e sinceramente italiani che ha contraddistinto la nostra leale partecipazione alla vita dello Stato». Una giornata di festa, secondo la Lombardo, offuscata però «dalla preoccupazione di tutta la classe dirigente dell'Isola per la gravità della crisi, amplificata dalle carenze e dai ritardi ultrasecolari non ancora rimossi». E la chiusura, con una speranza: «Il Popolo deve vincere la scommessa della sua unità per raggiungere un obiettivo alto e nobile, l'effettiva parità economica, politica e culturale fra la Sardegna, l'Italia e l'Europa». Per il governatore Cappellacci «questa celebrazione deve essere anche un momento di riflessione seria sulla Sardegna, sulla condizione dei sardi d'Italia e sulla necessità che i principi della nostra Carta Costituzionale dispieghino i propri effetti per il popolo sardo e per la nostra Isola». Inevitabile l'accenno alla stretta attualità: «La questione sarda non può essere scambiata dai nostri interlocutori nazionali per rivendicazionismo o, tantomeno, per la richiesta di assistenzialismo: invece deve essere richiesta forte e determinata di quanto ci è dovuto». Sono le «aspirazioni di un'Isola che ha dato tantissimo all'Italia, compreso il massimo sacrificio dei soldati della nostra Brigata Sassari», ha detto il presidente, «a loro e a tutti i ragazzi italiani, che in nome degli stessi valori oggi sono impegnati nel mondo, dobbiamo dedicare questa ricorrenza e manifestiamo il nostro più forte sentimento di vicinanza».
LA PROTESTA Anche la consigliera regionale Claudia Zuncheddu (Comunisti-Sinistra sarda) ha disertato la seduta solenne: «Per me non è un giorno di festa, lo Stato italiano continua a imporci il suo nuovo dominio coloniale in quanto la Sardegna non è storicamente Italia. La stessa vertenza sulle entrate è tuttora irrisolta, non è che un esempio di una lunghissima storia di soprusi, di privazioni e di espropriazioni a danno del popolo sardo». Secondo la Zuncheddu «è tempo che noi sardi ci riappropriamo e gestiamo le nostre risorse economiche, culturali, sociali e politiche, esercitando la sovranità nel nostro territorio».
PAROLE E MUSICA Nelle tribune dell'Aula, hanno preso posto le autorità civili e militari della Sardegna. Dopo il discorso della presidente, sono stati letti da due giovani attori due brani: la Lettera di Giorgio Asproni ai concittadini di Asproni e, da Giustizia e libertà di Emilio Lussu, il passaggio sul federalismo. La seduta si è chiusa con l'esecuzione di Procurad' e moderare , brano eseguiti da Maria Giovanna Cherchi e con l'inno nazionale di Goffredo Mameli eseguito dal coro degli allievi del Conservatorio di Cagliari. ENRICO PILIA

L'UNIONE SARDA - Politica: La protesta di Sardigna Natzione
18.03.2011
Con un sit-in davanti al Consiglio regionale, Sardigna Natzione ha manifestato ieri contro la celebrazione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Una manifestazione pacifica, con le bandiere dei Quattro mori al vento e tanti striscioni di propaganda, quella messo in campo dal movimento indipendentista di Bustianu Cumpostu, che si è affiancata alla protesta assordante dei lavoratori dell'Euroallumina. «Vogliamo manifestare contro il colonialismo italiano in Sardegna», ha detto Cumpostu, «dimostriamo in alternativa e in contrasto con la cerimonia che si tiene in Consiglio per celebrare la loro Italia, in nome della quale operano in Sardegna dichiarandosi così suoi patrioti dopo aver rinnegato la patria sarda, pur essendo anche loro figli dell'Isola». Il leader di Sardigna Natzione sostiene che l'Italia è l'ultimo dominatore di turno: «L'Italia è quella che ha fatto più danni degli altri dominatori, ma sono sicuro: non moriremo italiani. Sono danni di tipo chimico, di integrazione forzata e quello di convincere i sardi all'autocommiserazione: cioè di essere inferiori agli stranieri. Siamo qui perché non vogliamo contrapporci ai sardi che si sentono italiani ma aprire un barlume nel loro cervello per ricevere le cose che diciamo». Per Giampiero Marras, altro leader storico di Sardigna Natzione, «si celebra la ricorrenza più luttuosa che è quella dell'Unità d'Italia. Noi siamo sardi e non siamo né geograficamente, né linguisticamente né geneticamente italiani, vogliano rivendicare e conquistare la nostra indipendenza per integrarci col resto del mondo e non per separarci. I sardi quindi non devono celebrare nessuna festa perché, tra l'altro, l'Italia ha trasformato la nostra Isola in un grande poligono militare e distrutto la nostra economia». SERGIO ATZENI

L'UNIONE SARDA - Politica: Mauro pili I parlamentari del Pdl: rispetto per l'insularità
18.03.2011
Bastano i numeri per certificare quanto sia profondo il divario tra la Sardegna e la Penisola. Energia: l'indice medio dell'Italia è 100, quello della Sardegna 35 (quasi 65 nel Mezzogiorno). Strade: Italia 100, Sardegna 45 (resto del Sud 87). Treni: Italia 100, Sardegna 15. Servizi economici e sociali: Italia 100, Sardegna 15. E a questi numeri fa riferimento la mozione sul riconoscimento dell'insularità presentata ieri a Roma dai parlamentari sardi del Pdl.
INSULARITÀ «L'autonomia sarda deve aprire una nuova frontiera, passando da una specialità indefinita a una certa, misurabile e compensabile. Dobbiamo ancorare la nostra autonomia a fondazioni solide e pilastri certi per evitare che ogni ventata possa far barcollare i diritti della Sardegna e dei sardi». È l'asse portante del documento illustrato a Montecitorio (primo firmatario Mauro Pili). Si chiede al Governo «di predisporre, di concerto con la Regione, un decreto attuativo sull'insularità per misurare e compensare il divario legato al gap insulare». La mozione presentata da Pili è stata sottoscritta da Settimo Nizzi, Bruno Murgia, Carmelo Porcu, Paolo Vella e Piero Testoni.
FEDERALISMO L'obiettivo è di trovare un varco tra le disposizioni del federalismo fiscale, con un decreto attuativo calibrato sul «divario insulare». Pili, capogruppo in commissione Bicamerale costituzionale per le questioni regionali, spiega che «la mozione rappresenta la nuova via dell'autonomia sarda, disegnando un percorso che deve far uscire la Sardegna da rivendicazioni generiche per approdare a un certezza del diritto». Diritto «che deve costituire l'orizzonte futuro del confronto tra lo Stato e la Regione». Le regioni ordinarie «puntano a cancellare le prerogative speciali E cercano di rimettere tutto in discussione. Noi abbiamo il dovere di mettere punti fermi nel nostro confronto con lo Stato e con l'Europa. Il punto fermo che nessuno può mettere in discussione è l'insularità, fattore che incide in modo rilevante sull'intera economia della Sardegna e sul suo potenziale sviluppo».
PERCORSO LEGISLATIVO Quello che abbiamo tracciato con la mozione», il concetto di Pili, «è un percorso legislativo innovativo che attua quella norma da noi fortemente voluta, contenuta nella legge sul federalismo fiscale, dove appunto, all'articolo 22, è prevista la misurazione e la compensazione del divario insulare».
LE STRATEGIE Il deputato olbiese e vicecoordinatore del Pdl, Settimo Nizzi, parla dell'importanza di «trovare una nuova strategia» operativa «per portare avanti una vertenza che cancelli una volta per tutte le penalizzazioni della Sardegna e dei sardi». Il collega Paolo Vella sottolinea l'importanza di dedicare «un giorno di festa come quello delle celebrazioni sull'unità d'Italia, e poi in un luogo simbolo come Montecitorio, a cancellare la disparità di trattamento riservata alla Sardegna». Per il parlamentare nuorese Bruno Murgia «i sardi devono pensare in grande, costruendo una nuova autonomia che li proietti veramente nel futuro. Dobbiamo osare e passare da norme indefinite, con una specialità spesso confusa e genericamente dichiarata, a numeri e parametri certi e misurabili». All'incontro partecipa anche il presidente del gremio dei sardi di Roma Antonio Maria Masia, che si sofferma sulla «continuità territoriale negata», soprattutto ai sardi non più residenti nell'Isola: «Dobbiamo lottare perché non sia più una chimera». (red. pol.)

Economia a Brindisi. Preoccupa il piano strategico dell’Eni
Preoccupa il nuovo piano strategico dell’Eni. La società, pare, nel suo core business, avrebbe individuato quali assi strategici il petrolio e il gas. Una scelta che secondo Carlo Perucci, segretario Uilcem, potrebbe avere conseguenze sulle attività insediate nell’area del petrolchimico. «Il calo della produzione industriale di circa l’1,5% rilevato dall’Istat a gennaio - sostiene Perrucci - rappresenta una brusca frenata di una ripresa economica più volte enunciata, a nostro parere, più per infondere ottimismo che per reali condizioni. È pur vero che questa frenata è dovuta essenzialmente al rialzo incontrollato dei prezzi e in particolare del petrolio che stanno provocando forti ripercussioni sulle stime di un incremento di produzione, ma non possiamo non preoccuparci, non solo del divario che continua ad esserci tra quello che accade in Italia e quello che accade in altri paesi europei come Germania e Francia, ma soprattutto il divario di crescita che emerge tra il sud e il nord del nostro paese.

Ancora una volta questa differenziazione emerge nella sua drammaticità e non ci si vuole, per ovvie ragioni di opportunità, convincere che soltanto una ripresa economica del Mezzogiorno trascinerebbe, non solo l’intero nostro paese ma anche l’Europa, pensiero questo espresso, purtroppo, solo da autorevoli economisti e non dai nostri politici, a partire dai nostri rappresentanti che invece remano in tutt’altra direzione con scelte atte a penalizzare il nostro povero Sud. Strettamente legate a questa situazione, e ad altre che ci toccano più da vicino, sono le dichiarazioni rilasciate dall’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni, nella presentazione del Piano strategico 2011-2014, dove si evince oramai chiaramente il core-business per il prossimo decennio dell’Eni: petrolio e gas».

Una decisione che potrebbe avere ripercussioni sugli impegni della società nelle attività produttive del petrolchimico brindisino. «E’ giusto allora chiederci e chiedere alla più grossa azienda chimica italiana e naturalmente al Governo - spiega Perrucci - cosa vogliono fare appunto della chimica e dei petrolchimici in Italia e in particolare nel nostro territorio? È pur vero che non hanno ancora presentato nè a livello nazionale nè tanto meno a livello locale un Piano industriale, ma nell’ultimo incontro che come segreterie provinciali del settore chimico abbiamo avuto con Polimeri Europa (consociata Eni), non abbiamo sentito investimenti importanti che possano darci una tranquillità di sussistenza del nostro stabilimento. Stiamo parlando di una società che ha un impianto di steam cracker come quello di Brindisi, il più moderno e il più produttivo d’Italia. La stessa richiesta di istanza presentata dall’Eni al ministero dell’Ambiente per attivare una procedura di transizione globale su interventi di bonifica di aree inquinate, tra i quali Brindisi, non ci consente di capire cosa e come vogliono poi utilizzare i terreni di loro proprietà. Diventa quindi di assoluta priorità il lavoro che si sta svolgendo nell’Osservatorio provinciale della chimica per individuare investimenti e progettazioni da presentare nel prossimo incontro con i vertici Eni, già richiesto e in attesa di calendarizzazione».

Lamezia, raccolta rifiuti in tilt cassonetti colmi e spazzatura in strada
Cassonetti stracolmi e spazzatura nuovamente in mezzo alle strade. Una storia che si ripete sulle strade dei maggiori centri calabresi
18/03/2011 L'impianto di trattamento e selezione dei rifiuti della Daneco all'area industriale di Lamezia ha raggiunto ancora una volta la soglia di sicurezza per i troppi camion che arrivano da tutta la Calabria. Tutto questo ha causato un rallentamento del ciclo di smaltimento dei rifiuti e di conseguenza nelle città la spazzatura non viene raccolta da giorni. Tutto ciò sembra sia causato dalle ordinanze dell'ufficio del commissario che ha disposto lo scarico degli scarti all'impianto Daneco di Lamezia anche dell'area reggina, Siderno, Gioia Tauro in particolare. In questo impianto in realtà dovrebbero conferire i rifiuti dei comuni della provincia di Vibo Valentia, della provincia di Catanzaro, della città di Lamezia Terme e del 27 comuni del circondario e solo di alcuni della provincia di Reggio Calabria. A questi si sono aggiunti anche quelli del Cosentino. Ecco quindi che all'impianto di Lamezia è ricominciata la fila dei camion così come era accaduto a dicembre scorso quando invece era stata la chiusura della discarica di Pianopoli a causare il corto circuito. La situazione ha creato lo stop alla raccolta dei rifiuti e cassonetti stracolmi non solo a Lamezia e nei 27 comuni del lametino, ma anche nel vibonese, Cosenza (la fiera di San Giuseppe in particolare) e Rossano, ma pare anche nella Piana di Gioia Tauro.
A lanciare l’allarme anche la Lamezia Multiservizi, società che gestisce la raccolta della spazzatura a Lamezia e nel Lametino, che proprio nelle ultime ore ha annunciato il persistere dei rallentamenti nelle operazioni di conferimento dei rifiuti presso l'impianto di selezione della Daneco. Il Comune di Lamezia Terme, a tal proposito, ha già inviato una comunicazione ufficiale nella quale chiede all'Ufficio del Commissario delegato per l'emergenza ambientale di autorizzare il regolare conferimento.

Radioattività, cos’è e quali sono gli effetti
di Aldo Gagliano 18 marzo 2011 -
Il disastro naturale avvenuto recentemente in Giappone e le conseguenti crisi delle sue centrali nucleari hanno fatto ripiombare il mondo intero nel terrore “radioattivo” nucleare.

Come sempre la rete è letteralmente pervasa da informazioni più o meno catastrofiche sugli avvenimenti. Ma tutti sanno realmente cosa sono le radiazioni nucleari? Proviamo in modo sintetico e semplice a fare chiarezza sull’argomento, soprattutto per gente comune come noi, senza troppa complessità.

Cominciamo subito col rendere giustizia (nessuno ne parla mai) al grande scienziato Ernest Rutherford e ai suoi celebri esperimenti del secolo scorso sull’atomo. Lo studioso aiutò non poco alla comprensione dello stesso, chiarendo che l’atomo è composto da un nucleo di carica positiva e da elettroni legati al nucleo dalla forza coulombiana.
In seguito il fisico Chadwick scoprì il neutrone e stabilì in modo inequivocabile che il nucleo è composto da un numero di protoni uguale al numero di elettroni, oltre un certo numero di neutroni. Questi ultimi sono particelle neutre che si differiscono dai protoni per la massa minore dell’1%.

Detto ciò per dovere di cronaca, parliamo di radioattività: a scoprirla fu il fisico Henri Becquerel, come al solito per puro caso. Come al solito perché è quasi storia comune nella scienza studiare un particolare fenomeno e scoprirne un altro del tutto inaspettato.

Infatti, mentre Henri studiava le stranezze della fosforescenza, si accorse che dei semplici sali di Uranio erano in grado di impressionare una lastra fotografica protetta dalla luce. In seguito, un esercito di altri menti eccellenti perfezionò gli studi con risultati notevoli.

In sostanza (anzi in parole povere) la radioattività è un fenomeno per cui alcuni nuclei non stabili si trasformano in altri emettendo particelle. I protoni sono tutti carichi positivamente e quindi tendono a respingersi: fortunatamente interviene una forza in natura chiamata forza nucleare forte che rende “uniti” i nuclei atomici. Ma se le forze all’interno del nucleo non sono bilanciate, il nucleo diventa instabile e cerca di ritornare alla stabilità emettendo una o più particelle.
Per materiale radioattivo si intende un materiale che emette una radiazione ionizzante. La radiazione ionizzante rappresenta una serie di particelle con un’energia adeguata a far si che gli elettroni si “stacchino” dall’atomo, dando via al processo di ionizzazione.

Quindi un atomo è ionizzato quando guadagna o perde elettroni e acquista una carica elettrica specifica.

Esistono diversi tipi di radiazione: Alfa, Beta, Gamma. Non è il caso di scendere in particolari, se non specificando che forse la più pericolosa ai fini umani è la radiazione Gamma, ovvero fotoni ad altissima energia altamente penetranti nel corpo umano.
Va detto che la radiazione esiste normalmente in natura e l’umanità convive con essa sin dai tempi della sua comparsa. Gli effetti decisamente pericolosi per l’uomo, dipendono dalla quantità e dal tempo di esposizione alla radiazione. Non a caso la nostra stella madre, il Sole, emette radiazioni sotto forma di energia radiante per i processi di reazione termonucleare di fusione che avvengono nel suo nucleo.

Tra queste, le radiazioni ultraviolette sarebbero decisamente letali per l’uomo se non “intervenisse” la stratosfera terrestre che ne assorbe buona quantità grazie all’ozono.

Ma la radiazione può colpire anche in modo indiretto; ad esempio “depositandosi” nei campi coltivati, sui prodotti che portiamo normalmente nelle nostre tavole e di cui ci nutriamo,trasportata sotto forma di nuvola dal vento. Diventa molto difficile a questo punto stabilire la causa e l’effetto per la “storia” della malattia occorsa dopo l’esposizione alla radiazione.

Anche perché bassi dosi di radiazioni manifesteranno la loro funzione in tempi anche molto lunghi.

Si sono adottate varie scale di misura per la radiazione, tra cui la più usata nota come Sievert (Sv), utilizzata nel sistema internazionale per controllare gli effetti e i danni provocati nell’organismo umano.

Alcuni tabelle specificano che la dose media assorbita da un uomo nel nostro pianeta per esposizione a radioattività naturale è di 2,4 millisievert. Quando facciamo una radiografia ordinaria, il nostro corpo assorbe mediamente 1 millisievert di radiazioni. Per una TAC si va da 2 a 4 millisievert, mentre nel caso di radioterapia per sconfiggere un tumore si possono raggiungere dosi anche superiori a 40 sievert, anche se concentrate limitatamente alla zona tumorale.

La fonte di questi ultimi dati è Wikipedia.
Sostanzialmente quindi la radiazione è una forma di energia assorbita dai tessuti del corpo. Pertanto è molto importante conoscere la quantità di tale radiazione “assorbita” dai tessuti, oltre al tempo dell’esposizione.

Questa radiazione fondamentalmente va ad alterare le funzioni normali delle molecole e degli atomi del nostro corpo, modificandone il funzionamento ed in alcuni casi persino la struttura. Le cellule mal funzionanti possono a loro volta danneggiarne altre e causarne la morte, con le ovvie conseguenze per la persona.

I danni causati da esposizione ad alti livelli di radiazioni vengono specificati con due categorie: somatici e genetici. I danni somatici si riferiscono agli effetti sul funzionamento fisiologico del corpo; quelli genetici sono i danni provocati alle cellule riproduttive, ovvero gli effetti ereditari che possono influenzare la prole.

Tutto ciò non è comunque uno standard molto conosciuto. Non sappiamo in modo certo quali danni inequivocabili si possono subire in seguito alle radiazioni, anche perché le stesse possono essere di diversa natura e in dosi non meglio quantificabili al 100%. Non è neanche ben conosciuto il danno tramandato nei cromosomi nel nostro DNA e le mutazioni genetiche per i futuri nascituri dei soggetti esposti alla radioattività.

La storia di queste cause è cominciata solo dopo il bombardamento di Hiroshima e forse nessuno può oggi avere studi certi se non basati su statiche generali. Peggio ancora se parliamo di esposizione a bassi dosi di radioattività, come già detto prima sui prodotti naturali contaminati.

Gli effetti dannosi si possono manifestare dopo decenni ed in forme diverse: danneggiamento di funzioni basilari come l’udito o la vista, cancro, leucemia e quanto di peggio l’uomo combatte da quando abita il nostro pianeta. Inoltre alcuni organi umani sono più vulnerabili di altri, come ad esempio le cellule del nostro sangue.

Senza contare la diversità stessa dei composti radioattivi: lo iodio 131 ha una vita media di pochi giorni e se inalato dall’uomo non causa danni molto gravi. Altri invece si possono depositare nelle ossa o nei muscoli, causando nel migliore dei casi (si fa per dire) malformazioni permanenti.

È molto più semplice riuscire a studiare gli effetti della radiazione atomica su corpi unicellulari che sul nostro corpo: prima di tutto perchè siamo esseri veramente molto complessi, e secondo perchè comunque non si può pensare ad esperimenti moralmente discutibili e sicuramente pervasivi oltre misura. Non resta che affidarsi alla buona intelligenza umana nella speranza che non contribuisca in modo attivo alla causa dei disastri che provochino tali conseguenze.

Il candidato sindaco Mpa a Ragusa è Salvatore Battaglia
scritto da Raffaele Lombardo
A Ragusa abbiamo scelto un candidato che possa far valere un programma autonomista che serva a rendere più plurale il dibattito per far fare ai cittadini di Ragusa la scelta che riterranno più opportuna per il bene della città.
Sulla Ragusa-Catania noi non dobbiamo fare passi avanti. Abbiamo stanziato 217 milioni di euro. La gara la fa l’Anas e non noi. I fondi sono attinti dal Fas e il governo deve fare la sua parte. Pare abbiano paura di fare questa gara.
Noi abbiamo detto no al nucleare e mi auguro che lo dicano anche gli uomini del Pdl che invece mi sembrano orientati a fare forse il grande affare del secolo. In ogni caso non consentiremo che vengano impiantate centrali nucleari in Sicilia.

Banca d’Italia: oggi a che serve?
di BlogSicilia 18 marzo 2011 -
Nei giorni in cui ricordiamo i 150 anni dell’Unità d’Italia una domanda sembra più che legittima: a che cosa serve, oggi, la Banca d’Italia? E le Regioni del Sud del nostro Paese hanno ancora qualche buon motivo per considerare positiva l’azione di questa istituzione?
Già con l’avvento della Banca centrale europea (Bce) Bankitalia ha perduto un’importante funzione di sistema: il controllo sulla moneta. Dovrebbe verificare l’operato delle banche italiane. Da qui una domanda: siamo sicuri che per le grandi banche Bankitalia è ancora in grado di svolgere anche questa funzione?
Anche le grandi banche del nostro Paese operano ormai su uno scenario economico e finanziario internazionale. E, nei fatti, non seguono le indicazioni della Banca d’Italia. Spesso, le decisioni che riguardano una grande banca italiana non si prendono né a Milano, né a Roma. Constatare un fatto che è sotto gli occhi di tutti è lesa maestà?
La questione non riguarda solo le banche internazionalizzate. La verità è che la Banca d’Italia, oggi, non riesce nemmeno a condizionare le politiche che le aziende di credito adottano con l’utenza italiana. In verità, il governatore Mario Draghi ha provato a difendere i cittadini dalle ‘furbate’ esercitate regolarmente dalle banche. A cominciare dalle candizioni applicate ai conti correnti.
Un’azione che si è dimostrata inutile. A dimostrarlo c’è il decreto Milleproroghe approvato di recente dal Parlamento nazionale. Che spedisce dritto dritto in prescrizione tutte le prepotenze e i soprusi che le banche hanno esercitato sugli ignari correntisti. A cominciare dall’anatocismo.
Alla fine, se ci riflettiamo un po’, il ruolo della Banca d’Italia, oggi, si limita soltanto a controllare – e qualche volta a vessare – le piccole banche locali e le banche rurali. Se non ci fossero queste piccole realtà la Bankitalia avrebbe già dovuto smontare tutto il proprio ormai inutile armamentario pletoirico e, soprattutto, costoso.
Visto dal Sud del Paese, poi, l’istituzione Banca d’Italia appare odiosa. Al di là delle chiacchiere, è stata proprio Bankitalia a volere e a guidare prima – e cioè alla fine degli anni ’80 del secolo scorso – la ‘calata’ dei grandi gruppi bancari nazionali nel Sud e, poi, la “debancarizzazione del Mezzogiorno” (la definizone è del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti), ovvero il sistematico sbaraccamento del sistema creditizio meridionale che è stato regalato alle banche del Centro Nord del Paese.
Su questa truffa perpetrata ai danni delle popolazioni meridionali l’Italia ufficiale (magistratura penale compresa) che oggi ‘festeggia’ i 150 anni, ha posto la classica pietra sopra. In quegli anni, quando si prendevano le banche del Sud, dicevano che sotto la linea gotica le banche “erano troppo politicizzate” e che “avevano troppe sofferenze”. Mentivano sapendo di mentire, perché c’erano tante banche del Centro Nord Italia che erano altrettanto “politicizzate” e che presentavano un ‘parco sofferenze’ uguale, se non maggiore, a quello delle banche meridionali.
Non è certo questa la sede per ricostruire quella ‘grande’ e ‘virtuosa’ operazione bancaria chiamata Capitalia.

Per sintetizzare, con la ‘benedizione’ della Banca d’Italia e della Consob (che in questa nobile storia ha indossato i panni di Ponzio Pilato) è stata creata una sorta di vaso di Pandora del credito e dell’affarismo italiano. Dentro Capitalia sono finite tutte le vicende inenarrabili di questo nostro disgraziato Paese di sepolcri imbiancati, dalle gestioni fallimentati della Banca di Roma (che aveva già nella propria ‘pancia’ le gestioni – altrettanto fallimentari – della Cassa di Risparmio di Roma, della Bnaca di Santo Spirito e del Banco di Roma) ai debiti di partiti e di grandi imprenditori italiani. Così, con il patrimonio del Banco di Sicilia, della Sicilcassa e della Bipop di Brescia hanno risanato, almeno in parte, i conti di una banca fallimentare e, all’interno della stessa banca, dei partiti politici e delle imprese di amici.
A parte le funamboliche operazioni che avrebbero dovuto essere perseguite da chi è pagato per fare questo, restano due fatti incontrovertibili. Primo: il Sud è stato privato di un proprio sistema di credito. Secondo: le grandi banche che oggi operano nel Sud, al di là delle chiacchiere, si limitano a raccogliere il risparmio dei meridionali per andarlo a impiegare altrove. E quei pochi prestiti che erogano dalle nostre parti li fanno pagare a sangue di papa.
Morale: questi signori della Banca d’Italia, che hanno avallato e, in molti casi, attuato queste nobili scelte di politica creditizia, per quanto ci riguarda, possono anche chiudere bottega. Senza i parrucconi e i massoni della Banca d’Italia non ci sentiremo orfani. Anzi.

Sul federalismo la Sardegna è ancora ferma al palo. di Emanuela Zoncu. 18 Marzo 2011
In Sardegna il tavolo è stato avviato ma poi si è fermato. Si sta cercando di farlo ripartire. Il tavolo in questione è quello relativo al federalismo fiscale e a gettare ombre sulla celerità del processo sardo è il presidente della Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, Copaff, Luca Antonini.

A margine di un convegno organizzato dalla Fondazione Magna Carta a Roma, all’interno della rassegna "dialoghi diVini", Antonini mostra ottimismo sulle altre regioni a statuto speciale e un velo di preoccupazione per quel che riguarda la Sardegna. Al Nord (Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Trentino Alto-Adige) in questi ultimi anni sono stati compiuti (in senso federale) passi in avanti, tanto che, spiega Antonini, “alcune delle Regioni hanno già assunto funzioni statali”, scrivendo nei propri Statuti nuove norme relative all’autonomia finanziaria, assumendo quindi a proprio carico gli oneri corrispondenti. Procede anche la Sicilia, dove il tavolo di confronto tra Governo e Regione “sta ripartendo proprio in questi giorni” mentre in Sardegna “al momento è tutto fermo”. Eppure la Sardegna, storicamente afflitta da un gap infrastrutturale e da cronici problemi legati all’insularità, è forse la regione che più di altre ha bisogno d’attenzione.

“Le Regioni speciali sono “blindate” all’interno dei loro statuti”, spiega Antonini. E siccome - questo il ragionamento – nessuna legge ordinaria può eliminare le difese costituzionali della “specialità” (bisognerebbe appunto intervenire per via costituzionale ma non è una ipotesi al vaglio), “è indispensabile un accordo”. Dal laboratorio di idee politiche che fa capo al vicepresidente dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello, il presidente del Copaff lo dice chiaramente: “I tavoli avviati dal Governo servono proprio per questo”, lasciando intendere la necessità del Governo di trovare la quadra al più presto per avviare quel sistema di riequilibrio e ridistribuzione che nelle intenzioni dell’Esecutivo colpirà sprechi e inefficienze. O, per dirla con le parole del ministro Tremonti, “raddrizzerà l’albero storto”.

Quanto è stato fatto fino a oggi per le regioni a statuto speciale? Nella legge delega sul federalismo, solo due articoli su 29 (il 22 e il 27) puntano un faro su queste regioni. Il primo è frutto del pressing del deputato sardo Mauro Pili, che ha spinto affinché, alla lettera G dell’articolo 22, venisse misurato il divario insulare e si provvedesse alla compensazione attraverso progetti speciali costituzionalmente riconosciuti (la richiesta che si vari immediatamente il decreto sull’insularità è stata rilanciata ieri dallo stesso Pili con la mozione sottoscritta anche dai parlamentari sardi del Pdl). Questo il ragionamento del deputato: “Se il passo in avanti lo fanno solo le regioni ordinarie e non anche quelle speciali, si viola la Costituzione”. Il secondo articolo è decisamente più programmatico e stabilisce che le regioni dovranno conseguire obiettivi perequativi e di solidarietà, secondo i criteri fissati dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti.

Intanto, il ministro Calderoli (cui Bossi ha affidato la missione di portare a casa la riforma) continua la strada del dialogo con gli interessati, Regioni in primis. “L’ho lasciato al lavoro sulle proposte del fisco regionale”, ha detto Antonini giustificando il lieve ritardo al tavolo del convegno. E, più a monte, facendo intendere il continuo lavorìo per arrivare a un testo il più possibile condiviso. Di certo, fino a oggi, nella partita sul federalismo fiscale solo chi ha avuto il coraggio di "attaccare" in nome del futuro delle competenze e dei bilanci, ha fatto gol.
(Tratto da l'Unione Sarda)

Commercio estero, a gennaio deficit record
18 marzo 2011
Roma - A gennaio 2011 il persistente disavanzo commerciale del nostro Paese peggiora ulteriormente, raggiungendo quota 6,6 miliardi di euro. Lo rileva l’Istat, aggiungendo che si tratta del più alto deficit mensile a prezzi correnti che sia stato mai registrato. Sull’ampliamento pesa la componente energetica. Quindi si è verificato un ulteriore allargamento anche a confronto con gennaio 2010 (-4 miliardi di euro). Nel primo mese del 2011, fa sapere sempre l’Istituto di statistica, il comparto energetico segna, infatti, un consistente ampliamento del disavanzo (-5,8 miliardi rispetto a -3,9 di gennaio 2010), contribuendo per oltre due terzi all’incremento del deficit complessivo. L’Istat sottolinea che, tuttavia, al netto dell’energia permane un disavanzo nella bilancia commerciale (-752 milioni di euro), per effetto dell’ampio deficit nell’interscambio dei prodotti intermedi (-2,3 miliardi) e di beni di consumo non durevoli (-0,6 miliardi).
A gennaio però e esportazioni italiane sono cresciute del 4,3% (dato destagionalizzato) rispetto a dicembre e del 25,1% rispetto allo stesso mese del 2010. Lo rileva l’Istat aggiungendo che a livello congiunturale si registra «una crescita significativa», trainata dai mercati extra Ue. A gennaio aumentano anche le importazioni, con un rialzo inferiore all’export su base mensile (+2,8%) e superiore sul piano tendenziale (+31,3%).

Buona sanità a Lecce. Il «118» compie otto anni sulla torta 56mila soccorsi
di CESARE MAZZOTTA
Ormai ha raggiunto la piena maturità ed i numeri lo dimostrano: nell’ultimo anno può vantare di aver effettuato ben 56.160 soccorsi. Il 118 della Asl di Lecce compie 8 anni. Nessun festeggiamento, solo la soddisfazione di presentare i lusingheri risultati dell’attività dell’anno appena trascorso e le incoraggianti potenzialità della struttura nei prossimi mesi. «Nella programmazione prossima è prevista l’asse gnazione di altre 7 auto mediche che saranno di supporto alle ambulanze», fa sapere il responsabile del servizio di emergenza- urgenza della Asl di Lecce, Maurizio Scardia, che spiega, «In questo mese di marzo il nostro 118 ha compiuto 8 anni. E’ stato avviato il 1° marzo del 2003. Noi siamo stati la terza provincia in Puglia, dopo Bari e Brindisi. Dopo di noi è stato istituito a Taranto e Foggia. Nel 2002, con un ritardo di circa 8 anni rispetto al resto d’Italia, venne istituito a carattere sperimentale solo nella città di Bari».

Il ruolo del 118 è importante non solo per l’emergenza sanitaria in sé, ma anche perché finisce col dare delle risposte alla domanda di salute del territorio. Infatti è uno dei pochi servizi che non rientra nei tagli della sanità che vengono operati nella regione Puglia in questi giorni. La centrale operativa del 118, con sede nel presidio ospedaliero “Vito Fazzi” a Lecce, coordina e gestisce 38 postazioni mobili, di cui 10 dislocate nelle più importanti località balneari nel periodo estivo. Ogni giorno il numero telefonico 118 di Lecce, presidiato 24 ore su 24, viene chiamato più di 280 volte. Nel 2010 gli operatori hanno risposto 102mila 256 volte. Una media di circa 20 - 24 telefonate ogni ora, dalle 8 alle 22, quando si concentrano le chiamate.

Sempre l’anno scorso, i 102mila 256 contatti hanno attivato 56mila 160 soccorsi di cui 9459 sono stati successivamente annullati o rifiutati, per vari motivi e situazioni. «Si verifica che giunti sul posto - spiega Scardia - gli operatori si trovano di fronte a pazienti che dichiarano di rifiutare il trasporto in ospedale. In altri casi l’ambulanza è stata chiamata da passanti e gli operatori constatano che il malcapitato non necessita di alcuna ulteriore cura. L’anno scorso si sono contate anche 43 telefonate che sono risultate degli scherzi di pessimo gusto, ma noi non possiamo saperlo prima».

Fra i pazienti che non vengono trasportati in ospedale rientrano anche i codici neri. Vale a dire i 1076 casi di decessi sul luogo. Spiega il dottore Scardia: «Accade che quando l’ambulanza, partita con codice rosso, arriva sul posto, il paziente è già morto. In questi casi il 118 non può trasportare il cadavere, che deve rimanere a disposizione dell’autorità giudiziaria e dei servizi civili comunali. Se si tratta di incidenti (per esempio stradali) fuori dall’abitazione, dopo i rilievi e i verbali del caso, le forze di polizia faranno intervenire u n’altra ambulanza, per il solo trasferimento della salma».
Analogamente, se il deceduto è già nella sua abitazione, i familiari daranno comunicazione al comune e scattano gli adempimenti previsti. Fra i soccorsi ai quali non segue il trasporto in ospedale ci sono anche 413 casi «irreperibili». Significa che all’arrivo dell’ambulanza non c’era più nessuno. Il paziente o chi per lui, ha risolto in un altro modo.

Infine, la fetta più consistente: i 9796 pazienti che vengono medicati e curati sul posto, senza trasporto in ospedale. Il periodo dell’anno nel quale l’attività del 118 si fa più frenetica va dalla metà di giugno alla metà di settembre. Vale a dire in pieno periodo estivo, quando le nostre marine sono straripanti di bagnanti e di turisti. In particolare dal 22 luglio al 23 agosto dell’anno scorso si sono contati più di 6mila interventi. Che diventano circa 5mila nel rimanente periodo estivo (15 giugno - 20 luglio e 24 agosto - 12 settembre). Negli altri mesi, a parte una piccola impennata nelle festività di natale, la media mensile si attesta attorno ai 4mila - 4mila e 100 soccorsi.

Saviano: dallo scrittore al personaggio. L'autore di Gomorra non è riuscito a resistere alla tentazione di diventare un personaggio
di BIAGIO DE GIOVANNI
Caro direttore, vorrei aggiungere un commento sul caso Saviano-Herling (Croce), su cui il tuo giornale ha mantenuto aperto il dibattito da più giorni, anche con un tuo intervento meditato e per me condivisibile. Nel merito, non ho dubbi: sto dalla parte di Marta Herling, che ha rintuzzato con eleganza l’imprudente e avventurosa ricostruzione savianea, e questa, per me, è stata l’occasione di riflettere (un po’ rabbrividendo) su quanto un «caso» come la salvezza del Croce abbia significato per l’umanità e per l’intelligenza del mondo. Ma vorrei aggiungere: Saviano è stato uno scrittore interessante, ha pubblicato un libro — che apprezzai quando lo lessi, svariati anni fa— per il quale sui piatti della bilancia sono lo strepitoso successo ottenuto e il prezzo che certamente l’autore ha pagato per la libertà della sua vita privata.

DA SCRITTORE A PERSONAGGIO - Poi, purtroppo, l’autore ha incontrato il circolo mediatico di una sinistra italiana disperatamente alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che ne rigenerasse gli spenti spiriti. Ed è stato tentato dal diventare un personaggio, di trasformarsi da scrittore con una buona vena fra saggio e romanzo, in «personaggio». Non è riuscito a resistere a questa tentazione, mostrando che spesso fra autore e opera non vi è coincidenza, e che ora l’uno è migliore dell’altra, ora avviene il contrario. E così, è diventato un «caso», dove questa parola prende un significato diverso da quello prima ricordato, relativo al Croce. Fossi al suo posto (lo dico con modestia e con la sola autorevolezza... dell’anagrafe) tornerei alla vocazione originaria, che mi sembrò consistente, non parteciperei alla fiera dell’ovvio (dove spesso lo ritroviamo) o, come nel caso in discussione, in improvvisate ricostruzioni che, per il solo rispetto che si deve alla memoria di Benedetto Croce, avrebbero richiesto un atteggiamento di ben meditata prudenza.

E dal Manzoni spunta il manifesto del re: «In Italia chiudo l'era delle rivoluzioni» L'appello all'italia meridionale di Vittorio Emanuele II ritrovato da una prof in un volume dei Promessi sposi
CASERTA - Ritrovato un vecchio manifesto a firma di Vittorio Emanuele II. Era l’ottobre del 1860 e mentre le truppe condotte da Garibaldi risalivano dalla Sicilia verso Napoli, il governo piemontese era impegnato in un campagna di informazione per spiegare ai popoli del Sud i motivi dell’attacco. «Le mie truppe si avanzano fra voi per raffermare l’ordine: io non vengo a imporvi la mia volontà, ma a far rispettare la vostra. Voi potrete liberamente manifestarla: la Provvidenza che protegge le cause giuste, ispirerà il voto che deporrete nell’urna. Qualunque sia la gravità degli eventi, io attendo tranquillo il giudizio dell’Europa civile e quello della Storia, perché ho la coscienza di compiere i miei doveri di Re, e di Italiano! In Europa la mia politica non sarà forse inutile a riconciliare il progresso dei popoli colla stabilità delle Monarchie. In Italia so che io chiudo l’era delle rivoluzioni».

L’ideale di modernità e libertà che aveva accompagnato la Rivoluzione francese, aveva innescato in tutta Europa irrefrenabili moti rivoluzionari e ora accompagnava il programma politico di uomini e donne che attendevano il passaggio ad un nuovo stato di cose anche in Italia, prima al Nord e poi al Sud: «In Sicilia questa inclinazione degli animi ruppe in aperta rivolta». Sono alcuni passaggi del manifesto dal titolo ai «Popoli dell’Italia Meridionale» in cui Vittorio Emanuele, all’indomani delle confortanti vittorie garibaldine, dalla Sicilia alla Campania, e dopo la vittoria di Garibaldi sul Volturno del 2 ottobre di quello stesso anno, invita il popolo meridionale a prendere parte all’azione di voto in cui chiedeva al popolo fedeltà al suo Regno.
Il documento storico è stato ritrovato, per caso, all’interno di un vecchio testo dei promessi sposi dalla famiglia Di Salvatore che lo custodisce gelosamente. Lei, Antonietta Barbieri, è una insegnante elementare nella stessa Alvignano, il marito, Raffaele Di Salvatore, è impiegato presso la Provincia.
Giancarlo Izzo

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