martedì 10 maggio 2011

Federali Mattino-11 maggio 2011. L’Italia è il paese dei miracoli. A Civitavecchia una Madonna di gesso piange lacrime vere, in un paesino vicino Napoli, il gesso di una statuetta simile, diventa regolarmente carne e sangue, ad ogni modo non completamente. E da 600 anni ogni 19 settembre il sangue rappreso di San Gennaro diventa liquido – testimoniato da centinaia di persone. In Italia quindi tutto è possibile.----Umberto Eco: In breve, in un paese continuamente in crisi dal 476, data della deposizione dell’ultimo imperatore, sottomesso ai capricci della storia, a lotte intestine, alle dominazioni straniere, alle avventure militari, alla povertà, al terrorismo e ad altre calamità, è stato necessario essere furbi e creativi per sopravvivere. Da secoli, la chiave del nostro successo sono le nostre crisi e i nostri drammi che si ripetono ciclicamente.

Italiani:
Il latte miracoloso di nonna mucca
Umberto Eco: «L’Italia è inanzitutto una lingua »
Due fratelli si mettono d’accordo

Padani sloveni, e sloveni padani:
Trieste. "Ex ospedale svenduto". La Corte cita la giunta Illy
Slovenia, Pahor in minoranza. È crisi
«L'Anas va divisa tra le Regioni In base alle auto»


Il latte miracoloso di nonna mucca
di Hans-Jürgen Schlamp – 11 aprile 2011
Pubblicato in: Germania
[Articolo originale "Wundermilch von Oma Kuh" di Hans-Jürgen Schlamp]
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
Potrebbe essere divertente, se non si trattasse di un sacco di soldi: in Italia viene venduto il latte di 300.000 mucche, nonostante siano stravecchie – o morte da tempo. Gli investigatori della polizia presumono una frode di miliardi nei confronti delle sovvenzioni della UE, in cui sarebbero coinvolte anche autorità dello stato.

L’Italia è il paese dei miracoli. A Civitavecchia una Madonna di gesso piange lacrime vere, in un paesino vicino Napoli, il gesso di una statuetta simile, diventa regolarmente carne e sangue, ad ogni modo non completamente. E da 600 anni ogni 19 settembre il sangue rappreso di San Gennaro diventa liquido – testimoniato da centinaia di persone. In Italia quindi tutto è possibile.

Ma ciò che il Comando dei Carabinieri per le Politiche Agricole e Alimentari con le sue ricerche ha scoperto nelle banche dati della burocrazia agraria italiana, e ciò che in seguito il giornale “Il Fatto Quotidiano” ha pubblicato, neanche i più creduloni lo crederanno. Quindi ora oltre 60 procure dovranno chiarire questo mistero italiano.

In genere le mucche vengono selezionate e macellate quando arrivano all’età di otto anni, cioè quando non producono quasi più latte, e in ogni caso non vivrebbero molto di più. Però nelle stalle italiane sono presenti circa 300.000 vacche e – almeno secondo le statistiche ufficiali – vengono regolarmente munte, nonostante siano vecchie, e stravecchie. Qualcuna produce ancora latte come ai vecchi tempi anche se risulta avere 83 anni.

Tuttavia investigando sul miracolo del latte i NAC hanno trovato dappertutto stalle vuote, laddove invece dovrebbero esserci vacche da latte. Quasi una vacca su cinque registrate in Italia e denunciate all’UE a Brüxelles di fatto non esiste. La cosa più curiosa: il latte proveniente dalle fantomatiche vacche – così minuziosamente riportato dalle statistiche ufficiali – finisce regolarmente sul mercato, venduto, bevuto o, sfruttando i contributi comunitari, impiegato nell’industria alimentare. 1.2 miliardi di litri di latte, di cui nessuno finora conosceva la provenienza.

L’età veniva trasformata da 122 mesi a 999

I NAC sono certi che, in ogni caso, si celi un gigantesco imbroglio. Forse si tratta dell’ultimo residuo, così camuffato, di capitalismo burocratico statale: il mercato agrario europeo. Poiché in Europa non si può produrre tutto ciò che si vuole, per esempio il latte. Occorre un permesso, una cosiddetta “quota”, per poter produrre una determinata quantità di latte. Se non si produce più latte, si eliminano le vacche, ma si può mantenere eventualmente la quota. Si può passarle al proprio vicino produttore – o anche conferirle nell’intero ciclo produttivo, dove poi si tratta di altre quantità e altri capitali.

In verità tutto ciò viene esattamente controllato e conteggiato, ogni singolo litro del bianco nettare. Anche in Italia. Qui esiste un istituto (ISTAT), che su incarico del governo rileva e elabora statistiche sul patrimonio zootecnico e quanto gli gira intorno, il quale non si ritiene responsabile della correttezza dei dati. E’ un affare degli allevatori e dei veterinari del servizio sanitario nazionale.

Ma nota bene: qualcuno, non si sa chi, ha modificato nei computer dell’amministrazione, non si sa quando, la potenziale aspettativa di vita delle vacche, dai precedenti 122 mesi a 999 mesi. Questa è la premessa tecnica per lo scandalo, per cui mucche vecchie come Matusalemme sono sfuggite automaticamente dai file. Per il momento, è ancora da chiarire chi sia stato.

Il contribuente viene danneggiato, ma chi ci guadagna?

E poi c’è un’azienda, della pubblica amministrazione, che gestisce, distribuisce i contributi italiani UE provenienti da Bruxelles e in cambio invia dati nazionali sul prodotto agrario a Bruxelles. Anche quelli relativi alle vacche e alla loro produzione di latte. Questi, secondo le recenti indagini, erano falsi da anni, ovvero segnalati come di gran lunga superiori alla realtà. Questo costerà caro allo stato italiano: poiché Roma dovrebbe pagare pesanti sanzioni per le quantità di latte dichiarate a Bruxelles, costantemente superiori alle quote assegnte all’Italia. Sommandosi anno dopo anno, si arriverebbe, con un calcolo approssimativo, a circa 4 miliardi di euro.

Il contribuente italiano quindi sconterà i danni, ma chi ci guadagna? Da dove arrivano i 1.2 miliardi di litri di latte, se non vengono prodotti dalle stalle italiane? Latte in polvere d’oltreoceano? Importazione clandestina dall’Europa dell’Est? E chi immette legalmente sul mercato, queste enormi quantità importate illegalmente?

Al centro delle indagini si trovano, oltre agli istituti competenti – o incompetenti –, ai grossi allevatori e a parecchie altre società e personalità, anche dell’ex capo di gabinetto del ministero delle politiche agricole. Alla fine di marzo è stato sostituito. Di fatto ha già avuto a che fare con le indagini, alcune persino contro di lui. Accuse di abuso d’ufficio, frode e cose simili, la solita prassi nella politica italiana. E allo stesso modo la stessa consuetudine ad insabbiare in qualche modo tutto.
Oggi ancora famoso per un unico suo capolavoro: nel 2005, in occasione del concorso a 6 posti per dirigenti nel ministero dell’agricoltura, sarebbero state ammesse la moglie e la segretaria.

Umberto Eco: « L’Italia è inanzitutto una lingua »
di Olivier Guez – 18 marzo 2011
Pubblicato in: Francia
[Articolo originale "Umberto Eco : "L’Italie, c’est avant tout une langue"" di Olivier Guez]
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
L’Italia festeggia i 150 anni della sua unità. Anniversario imbronciato, compromesso da tensioni ricorrenti ma crescenti tra il Nord e il Sud, gli scandali a ripetizione e la dissolutezza del suo Presidente del Consiglio. Silvio Berlusconi o la caricatura di una certa Italia : imbrogliona, commediante, maschilista, provinciale e volgare. Irritante e inquietante. Ma rimane un’altra Italia, geniale e affascinante, l’Italia dell’armonia del clima e dei palazzi, degli uomini e delle cose. Umberto Eco appartiene a quest’Italia cosmopolita e illuminata della quale è uno dei capofila, un monumento di erudizione, professore emerito di semiotica, di linguistica e di filosofia, specialista di estetica medievale e romanziere di successo : sulla scia de Il nome della rosa e Il pendolo di Foucault esce questi giorni in Francia la sua ultima opera, Il cimitero di Praga (Grasset), quadro ricco di rimbalzi, complotti antisemiti e massonici nell’Europa della seconda metà dell’Ottocento.
 Umberto Eco o l’eleganza indolente, italiana si dice, mi apre la porta del suo splendido appartamento milanese che sovrasta il castello Sforzesco, vestito in accappatoio e cigarillo – spento – in bocca : aveva dimenticato l’ora del nostro appuntamento. Umberto Eco, il saggista o il testimone illuminato : nato nel 1932 nel cuore del ventennio fascista in Piemonte, culla dell’Unità, egli è da decenni con i suoi articoli stampa e le sue opinioni il cronista delle ore e delle sventure dell’Italia.
 Chi poteva immaginare miglior cicerone per celebrare il suo 150mo anniversario ?

Umberto Eco, cosa significa essere italiano in questo 150mo anniversario dell’unità del Paese ?

Umberto Eco : E’ appartenere a una nazione giovane, immatura se paragonata ai vecchi Paesi europei come la Francia, la Spagna, l’Inghilterra. Per me l’Italia è inanzitutto una lingua. Se un Francese sfoglia oggi un libro di Rabelais nella sua versione originale avrà difficoltà a capire il testo. Idem per un Britannico se percorre un opera di Chaucer. Tuttavia, un autista di taxi italiano può facilmente capire La Divina Commedia di Dante. La lingua italiana si è evoluta molto poco in mille anni.

Certo, ma all’epoca del Risorgimento una ridottissima minoranza – 2% o poco più – della popolazione parlava l’italiano. Così quando Garibaldi e i suoi uomini sbarcarono dai Borboni in Sicilia nel 1860 incontrarono grandi difficoltà per/a communicare con la popolazione locale.

Ancora oggi il siciliano è un grande mistero ! Più seriamente, è vero che al momento dell’unità italiana l’italiano è ancora una lingua di letterati. Del resto, questa è la ragione per la quale la lingua si è evoluta poco nel corso dei secoli. Una lingua cambia a contatto della realtà quotidiana della popolazione che la utilizza. Tale stato di fatto linguistico ha favorito il ritardo dell’unificazione italiana durante questi ultimi cento cinquanta anni. La lingua italiana ha fatto gli Italiani. Perchè l’Italia prima di essere una nazione – ricordiamo che Metternich considerava l’Italia come un’« espressione geografica » durante il Congresso di Vienna del 1814-1815 – è inanzitutto una cultura sorretta da una lingua.

Una cultura ? Però in Italia ogni regione, ogni città vanta di possedere la cultura più brillante o la cucina migliore. Il campanilismo degli Italiani è famoso da secoli…

Esatto. Tuttavia, mi sembra che esista un legame tra Raffaello e gli altri artisti italiani del Cinquecento. Al Louvre per esempio, anche se le opere di Raffaello e Caravaggio sono distinte, si nota immediatamente che quelle di Poussin appartengono a un genere completamente diverso. Nel Cinquecento e nel Seicento, secoli prima della fondazione dell’Italia moderna, esistono già una scuola pittorica italiana e più globalmente una cultura italiana. Ma è una cultura delle classi più elevate presenti dal Medio Evo sopratutto nei libri. Dante si appella alla fondazione di una Italia. Qualche anno dopo, anche Petrarca vi allude, poi Machiavelli due secoli più tardi. All’inizio dell’Ottocento, il poeta Giacomo Leopardi aspira alla creazione dell’Italia. E un desiderio comune a molti artisti e scrittori. Il neoclassicismo romantico di Alessandro Manzoni è molto influenzato dalla letteratura del Rinascimento. In breve, esistono delle costanti nella cultura italiana, in particolare una letteratura plurisecolare, che consentiranno di fare emergere l’Italia unificata e moderna.

Poi arriva la scintilla politica della metà dell’Ottocento…

Naturalmente, l’unificazione dell’Italia si inserisce nel movimento dei nazionalismi che spazza tutta l’Europa – la Polonia, l’Ungheria, la Germania… – dopo la Rivoluzione francese e l’impero napoleonico. Ma questa aspirazione all’Unità è diffusa da una lingua comune alle classi elevate degli Stati italiani e si nutre di essa. Così i generali di Garibaldi, incapaci di capire la plebe, possono parlare e intendersi con i borghesi e i grandi latifondisti siciliani. Si ricordi del Gattopardo !

Come si è diffuso l’italiano nella popolazione per diventare il suo primo elemento aggregatore ?

In tre fasi. Primo, grazie alla scuola, al servizio militare e, sopratutto, alla prima guerra mondiale. Cinque millioni d’Italiani furono richiamati alle armi. Impararono a vivere e a morire insieme nella divisa italiana. La guerra fù un crogiolo: per la prima volta gente del Norde del Sud si avvicinavano. Poi la seconda fase : le gigantesche migrazioni dal Sud agricolo verso il Nord più industrializzato. Delle prove terribili attendevano i nuovi arrivati che communicavano con molta difficoltà con gli autoctoni. Questa seconda fase si chiude negli anni 1950. Inizia allora la terza fase, la più intensa : l’unificazione della lingua da parte della televisione che fornisce agli Italiani un lessico e una sintassi elementare. Ha craeto così anche punti di riferimento comuni a un paese che ne era sprovvisto. Penso, ad esempio, agli shows di Mike Bongiorno. Alla fine degli anni 1950 il suo quiz « Lascia o radoppia ? » era così popolare che la vita si fermava in tutto il paese ogni giovedì sera. Anche i cinema erano chiusi ! La televisione, diffondendo questa lingua, ha avuto un ruolo fondamentale. Oggi, un autista di taxi si esprime come un avvocato degli anni 1930, egli è anche in grado di citare articoli di legge perché è stato esposto costantemente alla televisione. Anche Berlusconi parla un buon italiano. Certamente grazie alla televisione !

Lei mi sorprende : parlando di televisione, pensavo che sareste stato molto critico nei suoi confronti…

Attenzione ! La TV italiana è « trash », ha corrotto i valori, i costumi e le idee degli Italiani ma ha largamente contribuito all’unità della nostra nazione favorendo l’emergere di una lingua comune. Negli anni 1950 un poliziotto oriundo del Mezzogiorno era poverissimo, mal vestito e il suo accento era terribile. Oggi un poliziotto del Sud è ben vestito, parla un buon italiano e, porprio grazie alla televisione, sa chi sono!

Nonostante il successo dell’italiano, l’Italia appare molto disunita in occasione dei suoi 150 anni. Come lo spiega ?

Cosa vuole, centocinquant’anni non bastano per saldare un popolo. Ci manca un vincolo plurisecolare, una certa costanza storica, a differenza dei Francesi e ancor di più dei Britannici e degli Spagnoli che sono guidati da un monarca da secoli. Noi abbiamo avuto solo « tutori » temporanei per qualche decennio : Vittorio Emmanuele II per sessant’anni, il fascismo per vent’anni, la repubblica dalla fine della guerra. Di fatto non abbiamo mai ucciso il padre ! Per una nazione, uccidere il padre è un atto di fondazione ! E un rito di passaggio determinante. La decapitazione di Luigi XVI ha costruito la nazione francese.

Avete impiccato Mussolini però…

Si, ma Mussolini era solo il Duce di un regime vecchio soltanto di vent’anni e passa. Non era la personificazione di un’Italia di lunga durata come furono Luigi XVI e Carlo I in Gran Bretagna, decapitato anche lui. Noi non abbiamo ucciso il padre, perchè non avevamo un padre. In compenso pratichiamo il fratricidio come nessun’altro. Ecco una specialità italiana !

Il fratricidio, cioè ?

Siamo i maestri delle lotte intestine e delle guerre senza senso. La nostra storia è Firenze contro Pisa, Pisa contro Livorno, Venezia contro Milano… E questo continua oggi ancora ! Malgrado la sua situazione drammatica l’opposizione di sinistra è incapace di aggregarsi. A destra Fini si è arrabiato con Berlusconi. Ora è all’interno del partito di Fini che si dilaniano.

Ciononostante, Silvio Berlusconi mantiene più o meno la sua maggioranza da più di quindici anni…

Si, perché ha abbastanza soldi per cementare il gruppo. Ma il giorno in cui scomparirà la destra si autodistruggerà come la sinistra. Mi creda, il fratricidio è il più grande sport italiano.

Per quali ragioni ?

Mille anni di unità romana ci hanno sicuramente esauriti. Forse ne avremo bisogno di duemila per riprendere fiato… Credo che noi ci sbraniamo l’un l’altro perché non abbiamo mai avuto nemici intimi. Un giorno ero a New York in un taxi. L’autista pakistano mi chiede da dove vengo, che lingua parlo e chi è il nemico dell’Italia. Ho riflettuto per qualche minuto e gli ho detto che l’Austria, la Germania e qualche altro ci avevano aggrediti ma che non siamo mai rimasti arrabiati per molto tempo. Gli ho spiegato che gli Italiani sono diversi dai Pakistani: non abbiamo un nemico mortale come l’India. Mi ha guardato a lungo, deluso, con un pò di disprezzo, come se io fossi, come tutta l’Italia, un vigliacco. In realtà non ho osato confessargli che il mio principale nemico era il paesino accanto ! Questa è l’Italia !

Nel suo nuovo romanzo, Il Cimitero di Praga, il suo « eroe » Simonini, antisemita fanatico, si unisce alle Camicie rosse di Garibaldi in Sicilia durante la Spedizione dei Mille che avvia l’unificazione del reame. Che posto hanno oggi nella coscienza nazionale gli eroi del Risorgimento (Cavour, Garibaldi, Mazzini,Vittorio Emanuele II)?

Alcuni non ne vogliono sentire parlare. I razzisti della Lega Nord in primo luogo. Esaltano il federalismo e anche la secessione, si oppongono ad ogni ridistribuzione della richezza al Sud. Hanno fatto emergere una letteratura per dimostrare che il Risorgimento era un grande errore, un complotto del Regno di Piemonte contro le vere aspirazioni degli Italiani. Dall’altra parte, nel Sud Italia, si assiste ad una sorprendente resurrezione culturale « neo-borbonica ». Dopo la spedizione di Garibaldi e la creazione dell’Italia, molti Meridionali non si sono mai riconosciuti nel nuovo regno d’Italia. Per molto tempo, ci hanno nascosto la verità sui combattimenti della fine degli anni 1860, in particolare in Sicilia: ci sono stati descritti come una lotta contro il brigantaggio mentre si trattava di una vera guerra civile. Come nella Vendée dopo la Rivoluzione francese, la rivolta è stata violentemente soffocata: duecentomila soldati mandati nel Sud per combattere gli insorti. Oggi proliferano i siti internet che denunciano Garibaldi, considerato come un disgraziato per aver lanciato l’OPA del Nord sul Sud…

E cosa pensa la maggioranza degli Italiani dell’epopea garibaldina ?

Direi che assume un rispettoso disinteresse. Garibaldi è un mito, come Giovanna d’Arco in Francia. E intoccabile, ogni paese possiede una via Garibaldi, ma fa parte del paesaggio. I simboli del Risorgimento non parlano abbastanza all’immaginario collettivo. L’unità nazionale non rimanda a simboli forti e immediati, a un referenziale potente. Non è come in Francia dove, quando si evoca la Repubblica, si pensa immediatamente alla Rivoluzione e alla dichiarazione dei diritti umani. Peraltro, per molto tempo, la mia generazione nata negli anni 1930 e quella del dopoguerra non volevano sentir parlare di « nazione » o di « patria »… Queste nozioni erano associate al fascismo, alla guerra. Ci siamo volontariamente distaccati da questa storia.

Questo vale anche per l’eredità romana, anch’essa sfruttatissima dalla propaganda fascista ?

Si. Sotto Mussolini c’è stata un’indigestione di Roma. Oggi il Colosseo va bene per i turisti o i colossal storici hollywoodiani !

Sarà per questa ragione che l’Italia non sembra emozionarsi affatto in occasione dei sui 150 anni ? Qui a Milano si percepisce un ’indifferenza della popolazione e un disinteresse delle autorità pubbliche. Nelle strade non ci sono ne’ manifesti ne’ bandiere. In Francia, per il bicentenario della Rivoluzione, era un’altra cosa…

Il governo di destra ha infatti ridotto in modo sostanziale i fondi per le ricorrenze. Ciononostante, si vede spuntare un certo interesse per questo anniversario. Il 17 febbraio, il comico e regista Roberto Benigni ha fatto scalpore al Festival di San Remo. E’ apparso su un cavallo bianco con la bandiera tricolore in mano. Per circa un’ora ha inneggiato al Risorgimento, ai suoi valori, i suoi eroi e all’Inno di Mameli, Fratelli d’Italia, il nostro inno nazionale… Ha parlato di orgoglio nazionale, di amore per la patria, del popolo, di tutti questi giovani morti centocinquant’anni fa per la patria, per un ideale. E’ stato lungamente applaudito. Può darsi che le cose si cambieranno dopo l’intervento di Benigni: a volte, un poeta può cambiare molte cose…

Alla fine alcuni Italiani sarebbero legati alla loro patria ?

Per la maggior parte degli Italiani l’Italia esiste, c’è e basta! Non ci pensano ogni giorno, quindi l’accettano, la sua esistenza non è messa in discussione. Infatti, sono le opinioni estremiste, antinazionali, in particolare quelle della Lega Nord, che influiscono sulla la gente. Quando, qualche anno fa, il suo presidente Umberto Bossi dichiarava « il tricolore lo uso per pulirmi il culo », in quell’occasione la maggioranza degli Italiani è si è sentita ferita e ha reagito. Le esagerazioni degli estremiste ci uniscono più degli aspetti positivi della nostra storia e della nostra nazione.

Il presidente Giorgio Napolitano, cantore dell’unità del Paese, è pure lui molto popolare…

Considerando le tensioni attuali, si nota un certo ritorno in auge dell’idea nazionale. E credo che se Napolitano è rispettato è perché impersona l’unità, sia per i simpatizzanti della destra, che hanno addirittura dimenticato il suo passato comunista, sia per quelli della sinistra. Cosa non da poco.

Ciò è anche legato alla personalità di Silvio Berlusconi che divide profondamente la società italiana…

Certo, è legato alla situazione politica attuale. Sulla scia del suo predecessore Ciampi, ma ancor più di lui, Napolitano impersona il buon senso, la legalità e la garanzia dell’unità agli occhi della popolazione. Sta dando un nuovo decoro alla funzione presidenziale. E’ stata creata una immagine paterna. Non era così soltanto dieci o vent’anni fa. Ad eccezione di Sandro Pertini – presidente dal 1978 al 1985 – che, con la sua pipa in bocca, toccava il cuore di tutti gli Italiani, mentre i presidenti precedenti non godevano di tale popolarità.

Dall’estero si ha spesso l’impressione che gli Italiani si uniscono solo per sostenere la loro squadra nazionale, di calcio in particolare…

Ah, l’eterna storia del Calcio italiano e della Squadra Azzura! Io non ci credo! Voglio dire, che in materia di sport gli Italiani non sono diversi dagli altri popoli. E la stessa cosa dalle prime gare organizzate nell’antica Grecia. Guardi, sotto qualsiasi latitudine l’uomo è consapevole della propria morte, s’innamora e in genere ammira le cose ben fatte. Lo sport è questo : entusiasmarsi per le prodezze degli atleti. Gli Italiani non sono diversi dagli altri popoli. Ciò non ha nulla a che fare con la nostra identità nazionale. L’amore che si rivolge a una squadra permette di definire la propria identità, sopratuttto se si manca di cultura. Questo vale d’altronde per qualsiasi squadra : se si facessero giocare i Bianchi contro i Neri o gli under 1,60 m contro gli over 1,80, sarebbe esattamente la stessa cosa!

Qual’è l’eredità del fascismo nell’Italia attuale ?

E’ una domanda molto difficile, sopratutto perché non è facile definire con precisione il fascismo. A differenza del nazismo e del comunismo staliniano, il fascismo non era un’ideologia unitaria. Era un « collage » di idee politiche e filosofiche, brulicante di contraddizioni, che riuniva monarchia e rivoluzione, l’esercito reale e la milizia personale di Mussolini, il controllo assoluto dello Stato e il libero mercato, il futurismo e l’arte fascista. Se il fascismo è stato così popolare in un certo periodo è perché la maggioranza degli Italiani vi poteva mettere mano come in un supermercato. Peraltro, questo guazzabuglio funzionava solo per volontà del Duce. Vedo quindi una doppia eredità per l’Italia contemporanea: in primis, il sincretismo nebuloso attira sempre; in secundis, il capo carismatico è una componente importante della cultura politica italiana.

La Chiesa si è opposta per molto tempo all’unità italiana. Qual’è la sua posizione oggi nella società ?

Si è dovuto aspettare il regno della democrazia cristiana, a partire dagli anni 1950, per vedere i cattolici partecipare alla vita politica italiana. La Chiesa ha saputo conservare un ruolo primordiale nella vita nazionale. Cavour voleva fare del Vaticano un protettorato italiano. Bene, centocinquant’anni dopo l’Italia rimane un protettorato del Vaticano. L’influenza politica e finanziaria del papa rimane immensa. D’altronde questa è la ragione per la quale l’opposizione supplica oggi il Vaticano di esprimersi contro Berlusconi.

Tra i problemi dell’Italia, ci sono le tensioni crescenti tra il Nord e il Sud. Nell’autunno 2010 Giorgio Napolitano dichiarava : « Il problema del Mezzogiorno e dell’unificazione reale tra il Nord e il Sud resta la più grande incompiuta del processo unitario ». Queste tensioni finiranno per attenuarsi ?

Non ne ho la minima idea. La Lega Nord può fare discorsi deliranti ma è anche vero che il Sud ha delle debolezze secolari, in particolare la sua incapacità ad auto-amministrarsi e la forza della criminalità organizzata e della corruzione. La Mafia esiste dal Medioevo.

Queste ultime settimane le donne italiane si sono fortemente mobilitate per denunciare il sessismo della società. Ascoltando le loro rivendicazioni ho pensato al saggio di Jean-François Revel Pour l’Italie (1958). Scriveva : « L’Italia è un paese dove la donna non è considerata come un essere umano libero ». Mezzo secolo più tardi, nulla sembrerebbe cambiato per la donna italiana ?

Al contrario! Ci sono stati progressi immensi. Un tempo non c’erano ministri donne, donne presidenti e amministratrici di imprese, nè donne docenti universitari donne… Le donne hanno ottenuto il divorzio e sono padrone della loro sessualità. All’epoca in cui Revel ha scritto quelle righe, adunate come quelle che si sono appena svolte, non sarebbero state possibili.

A sentirle, l’Italia rimane un paese maschilista…

Attenzione, il maschilismo non è scomparso ma non è più inneggiato. Più che altro fa ridere oggi…

L’Italia è uno Stato giovane ma con una popolazione molto vecchia. E’ minacciata dalla scissione, la sua società è bloccata, conosce una fuga dei cervelli più importante che altrove in Europa, ciò nonostante funziona ancora. Esiste un genio italiano ?

Si ricorda la mitica scena del Terzo Uomo, quando Harry Lime – Orson Welles –, ai piedi della grande ruota del Prater di Vienna ricorda che sotto i Borgia l’Italia ha conosciuto la guerra, il terrore, assassini e massacri ma anche Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento? La Svizzera invece, prosegue Lime, malgrado cinquecento anni di amore fraterno, ha prodotto soltanto il cucù! Una falsità peraltro, è un’invenzione tedesca. In breve, in un paese continuamente in crisi dal 476, data della deposizione dell’ultimo imperatore, sottomesso ai capricci della storia, a lotte intestine, alle dominazioni straniere, alle avventure militari, alla povertà, al terrorismo e ad altre calamità, è stato necessario essere furbi e creativi per sopravvivere. Da secoli, la chiave del nostro successo sono le nostre crisi e i nostri drammi che si ripetono ciclicamente.

Quindi il momento della scomparsa dell’Italia è ancora distante?

Se la si guarda da questo punto di vista, l’Italia ha effettivamente ancora un sereno futuro davanti a se.

Propositi raccolti da Olivier Guez, inviato speciale a Milano.

Due fratelli si mettono d’accordo
di Oliver Meiler – 27 aprile 2011
Pubblicato in: Svizzera
[Articolo originale "Zwei Brüder arrangieren sich" di Oliver Meiler]
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
L’Italia e la Francia vogliono modificare Schengen, in modo da dover accogliere il minor numero di profughi possibile. Lo scopo è riallacciare un rapporto di buon vicinato in pezzi – e rispondere al populismo di destra in entrambi i paesi.

La tanto proclamata amicizia tra francesi ed italiani in questi giorni ha bisogno di molte attestazioni verbali per appianare le enormi questioni sui profughi nordafricani, sull’intervento militare in Libia e sulle aspre acquisizioni economiche che oltrepassano i confini dell’economia privata.

Nicolas Sarkozy è stato costretto martedì a Roma a dare dimostrazione della „immensa gioia“ che lo travolge, quando viene in Italia, questa “terra ospitale” che è nel cuore di ogni francese, terra così culturalmente vicina al presidente francese. E l’ospite Silvio Berlusconi buttava qua e là, alla fine della conferenza stampa, un “Si Nicolas!” oppure un “Sono d’accordo!”, con quel francese senza accento che ha appreso quando da giovane faceva il cantante sulle navi da crociera. Tuttavia l’armonia era tutta una farsa. Il vertice di ieri è da considerarsi una seduta anticrisi, convocata frettolosamente, per mitigare il calo dei voti della settimana scorsa.

Apertamente sotto pressione della destra
Particolarmente acceso è stato lo scontro sulla vicenda dei migranti dal Nord Africa – con quei circa 26.000, in maggioranza profughi tunisini, che, in genere con mezzi di fortuna e a rischio della propria vita, sono sbarcati negli ultimi tre mesi sull’isola di Lampedusa. Se consideriamo le storiche sommosse in territorio arabo non sono poi molti. Tuttavia i governi italiano e francese, entrambi di destra, sembrano essere apertamente sotto pressione da parte degli altri partiti ancora più a destra e hanno paura ad accogliere migranti in questo periodo di crisi: Berlusconi deve confrontarsi con le richieste xenofobe della Lega Nord; e le possibilità di rielezione di Sarkozy nel 2012 sono in calo mentre il Fronte Nazionale di Marine Le Pen continua ad incontrare un largo consenso nei francesi.

Naturalmente non vogliono mostrare il proprio lato debole. Quando l’Italia ha iniziato due settimane fa a concedere dei permessi temporanei, per l’accesso in tutta la zona Schengen dei tunisini, che per la maggior parte aspirano ad arrivare in Francia, sono stati soprattutto i “fratelli” francesi ad irritarsi. Sarkozy ha fatto bloccare nella stazione ferroviaria di Nizza i tunisini che provenivano con il treno regionale dalla vicina Ventimiglia e li ha rispediti subito in Italia.

Una mano lava l’altra
Alla fine si sono messi d’accordo per cambiare bersaglio e smetterla di scontrarsi tra loro. Nella dichiarazione congiunta inviata alla commissione europea di Bruxelles, essi invitano i membri europei a rivedere con urgenza il trattato di Schengen. Si tratterebbe, per quanto possibile, di poter effettuare in “circostanze particolari” controlli alla frontiera dei paesi della zona Schengen. Non si tratterebbe di sospendere il trattato, ma solo appianare le difficoltà. Forza motrice di questa riforma è il presidente francese. “E’ assolutamente normale voler fare dei cambiamenti”, ha dichiarato Sarkozy, “noi certamente crediamo alla libera circolazione delle persone, ma c’è bisogno di nuove regole”.

L’accordo tra fratelli sulla questione dei profughi e l’attacco a Bruxelles, che è piaciuto soprattutto a Parigi, è stato ricompensato con un altro favore: Sarkozy appoggerà in cambio la candidatura di Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia, a Governatore della Banca Centrale Europea. L’Italia da parte sua parteciperà all’intervento militare in Libia, così come auspicavano gli iniziatori dell’operazione, cioè i francesi. A Roma quindi si sono ringraziati reciprocamente di tutti i favori con tanti paroloni. Un’impressione troppo entusiastica per sembrare vera.

Trieste. "Ex ospedale svenduto". La Corte cita la giunta Illy
 di Corrado Barbacini
TRIESTE. Quasi ottocentomila euro di danno erariale per la vendita a prezzo “da saldo” dell’ex ospedale civile di Palmanova. La somma è stata chiesta dalla Procura della Corte dei conti all’ex presidente della Regione Riccardo Illy e all’intera giunta dell’epoca: Gianfranco Moretton, Augusto Antonucci, Ezio Beltrame, Enrico Bertossi, Roberto Cosolini, Franco Iacop, Enzo Marsilio, Gianni Pecol Cominotto e Lodovico Sonego.
 In sostanza l’intero governo regionale in carica dal 2003 al 2008 è stato citato dal procuratore Maurizio Zappatori per non aver disposto la fissazione di un valore minimo per la vendita dell’ex ospedale di proprietà regionale nell’ambito di un programma di dismissione dei beni pubblici acquisito al termine della quinta asta dall’impresario Mauro Costaganna che, legittimamente, aveva poi girato la proprietà alla Mcp Friul Costruzioni srl. Si è verificata insomma la stessa situazione relativa all’ex caserma della Guardia di finanza di Tarvisio per la cui vicenda, nel novembre dello scorso anno, Riccardo Illy e la sua giunta sono stati assolti dall’accusa di aver cagionato un consistente danno erariale, anche se la procura contabile ha proposto ricorso.
 Il primo prezzo di vendita dell’ex ospedale era stato di 3,3 milioni di mila euro. Era il 13 ottobre del 2004 e l’asta era andata deserta. Il 13 aprile dell’anno successivo era stato pubblicato un secondo avviso d’asta per quasi 3 milioni di euro corrispondente al 10 per cento in meno di quello della prima asta. Ma anche nel secondo caso nessuno si è fatto avanti. È andata deserta anche la terza asta bandita per il 16 novembre 2005 al prezzo di 2 milioni e 640 mila euro.

 Il 9 maggio del 2007 è stato pubblicato il quarto avviso per 2 milioni e 310mila euro, Anche qui nulla da fare. Deserto anche il quinto bando del 27 giugno 2007 da 1 milione e 980 mila euro.

 Al termine delle cinque aste previste è stata allora avviata la terza fase con una trattativa privata che si è conclusa con l’aggiudicazione dell’ex ospedale per il prezzo di 890 mila euro.

 Secondo la procura contabile la vendita dell’ex ospedale a un prezzo stracciato - pari, praticamente a meno di un terzo di quello iniziale - ha causato un danno alla Regione di almeno 793 mila euro. Ed è questo quanto viene chiesto di pagare - per colpa grave - a Illy e alla giunta che all’epoca governava la Regione. Più tecnicamente l’ex giunta viene accusata di non aver disposto una soglia minima del prezzo degli immobili regionali.

 «Questo è il secondo rinvio a giudizio per una vicenda connessa alla vendita di un immobile. Riguardo al procedimento relativo alla caserma della Finanza, c’è stata l’assoluzione. Mi sembra che anche in questo caso un esito di questo tipo sia automatico. Ritengo di aver agito rispettando la legge», dichiara l’ex presidente Illy. «Sono a conoscenza dell’atto di citazione anche se non lo ho ancora potuto leggere. Nella vendita della caserma di Tarvisio, la Corte dei conti ci ha dato ragione. Ora la procura fonda le proprie accuse sulle stesse motivazioni. Non posso che ribadire che abbiamo amministrato bene, in modo onesto e corretto», aggiunge l’ex assessore Roberto Cosolini, attuale candidato sindaco per il centrosinistra a Trieste.

Slovenia, Pahor in minoranza. È crisi
 Il Partito dei pensionati lascia il governo. Il premier non molla e inzia a dialogare con le opposizioni di centrodestra
di Mauro Manzin
TRIESTE. Da oggi anche ufficialmente il governo sloveno (centrosinistra) è in crisi. Il Partito dei pensionati (Desus) ha infatti ufficializzato la sua uscita dalla maggioranza. Sarà il quarto partner che dall’autunno scorso, abbandona il premier Boruth Pahor. Desus non ha votato la Finanziaria e ha bocciato la riforma delle pensioni decidendo così di ritirare dal governo il ministro per l’Ambiente Rok Zarnic e tre sottosegretari.

 Il leader di Desus Karl Erjavec ha precisato che le dimissioni del ministro Trobec-Bucan non sono state il motivo principale dell’uscita dal governo. La causa va ricercata invece nel fatto che il suo partito non è riuscito a realizzare la propria politica in seno alla maggioranza con la posizione dei pensionati che, nel frattempo, è peggiorata nel Paese. Desus, ha altresì precisato, svolgerà d’ora innanzi un ruolo di opposizione costruttiva all’esecutivo pronta a votare a favore tutti i provvedimenti costruttivi e non più «qualsiasi sciocchezza». Anche se per Erjavec, a questo punto, le elezioni anticipate sarebbero la soluzione migliore per uscire dalla crisi, Desus non farà nulla per favorirle cercando così di non rendere irreversibile la crisi dell’esecutivo Pahor.

 E il premier Pahor? Lui non molla. «C’è ancora una piccola possibilità che il referendum sulla riforma delle pensioni abbia successo - ha sostenuto - e finchè questa sussisterà non molleremo neppure di un millimetro». Ma se Desus lo ha salutato ieri, entro un mese Pahor perderà con ogni probabilità anche l’appoggio del gruppo Zares. Sempre più solo, dunque, verso un governo di minoranza. Eppure il premier ha detto di «essere orgoglioso del lavoro fin qui svolto dal suo governo non fosse altro perché la Slovenia ha amici ovunque». Si è detto fiero dell’accordo ottenuto con la Croazia per l’arbitrato internazionale sui confini di Stato sostenendo altresì che «in Slovenia l’ineguaglianza sociale è a livelli bassissimi».

 Non ha risparmiato frecciate politiche ai suoi attuali, o sarebbe meglio dire ex, partner. «Anche a sinistra - ha spiegato - ci sono nostri avversari ai quali però i fatti stanno sfuggendo di mano» e ha ammesso che da alcune settimane ha avviato un dialogo con i partiti dell’opposizione e che a giorni si incontrerà con il leader del centrodestra Janez Jansa (Sds), anche se a breve giro di posta proprio il partito democratico dell’ex premier ha rimarcato di non essere disposto a fare da stampella al governo.

 Eppure Pahor non si arrende anche dopo la fredda accoglienza avuta sabato scorso alla riunione degli appartenenti agli enti locali del Partito socialdemocratico. E c’è chi, come Janez Stanovnik, chiama in causa il capo dello stato, Danilo Türk, l’unico, a sua detta, in grado di essere un punto di stabilità. Il presidente potrebbe così diventare una sorta di mediatore capace di riportare la situazione alla normalità. La domanda però è: quale normalità? Quella di un Paese senza maggioranza?

 Intanto imperversa già il toto-premier. Il nome più accreditato resta quello di Janez Potocnick che già da alcuni giorni i media sloveni stanno ascoltando con molta attenzione. Potocnik è commissario europeo all’Ambiente e sarebbe l’unico, si dice, in grado di raggruppare attorno a sè una nuova maggioranza.

«L'Anas va divisa tra le Regioni In base alle auto»
 AVANZA LA PROPOSTA DI LEGGE. Altre novità su pedaggi e concessioni
 Alla Camera primo passo per la proposta della Lega che mira a spartire le azioni dell'azienda statale guardando al numero di veicoli: è favorito il Nord
10/05/2011
ROMA-VENEZIA
Il governatore veneto Luca Zaia l'ha detto e ripetuto fin dalla sua elezione: «Qui sapete che non vogliamo l'Anas». E anche se ci sarà ancora da discutere molto, nelle scorse settimane la Lega nord ha ottenuto il primo "sì" alla Camera - in commissione "Ambiente" - al suo progetto di legge (nato già nel 2009) che prevede di fatto di regionalizzare l'Azienda nazionale delle strade. Con un criterio di spartizione del patrimonio attuale dell'Anas - ed è qui la sorpresa, contestata da altri partiti - che premierebbe in modo deciso le Regioni del Nord (ma non solo loro): il pacchetto delle azioni infatti dovrebbe essere diviso in base al numero di autoveicoli circolanti in ciascuna regione. E dopo Lombardia e Lazio sarebbero Piemonte, Veneto, Emilia e Toscana a fare la parte del leone.
Il testo unificato adottato dalla commissione per l'esame successivo però - il primo firmatario è il capogruppo leghista Marco Reguzzoni, il relatore è il friulano Guido Dussin (Lega), che ha messo assieme anche altri testi presentati successivamente da altri gruppi - prevede anche altre novità rilevanti. Al primo articolo c'è ad esempio il "sì" a nuovi pedaggi reali o figurativi su raccordi e autostrade, come il Grande raccordo anulare di Roma, o la Salerno-Reggio Calabria. Anche in questo caso, come noto, c'è una sorta di battaglia in atto da tempo, perché ad esempio a Nordest sono diffuse le opere stradali in cui si paga il pedaggio, ma altrove esistono grandi "larghi nastri di asfalto" rimasti gratuiti.
E c'è un secondo punto delicatissimo che potrebbe riguardare anche il Veneto, alle prese con la scadenza delle concessioni autostradali. La proposta di legge infatti prevede anche che La proposta della Lega prevede poi che l'Anas possa costituire ulteriori società sub-concessionarie (come la Cav del Passante di Mestre, costituita da Anas e Regione) a cui affidare la gestione delle strade o delle autostrade assoggettabili a pedaggio reale o figurativo (il cosiddetto «shadow toll»). A sua volta l'Anas potrebbe anche cedere, in parte o tutta, la partecipazione delle sub-concessionarie. Un vincolo però verrebbe posto sulla destinazione dei pedaggi: i proventi devono essere utilizzati per la «manutenzione ordinaria e straordinaria» dei tratti pedaggiati nonché «per il finanziamento di interventi sul territorio di pertinenza, scelti di concerto con la Regione interessata».
Il testo è comunque ancora tutto da discutere, con possibilità di modificarlo con emendamenti.
Il Pdl ha invitato ad esempio a procedere prima di tutto ad audizioni degli "addetti ai lavori" della società. Il Pd ha già contestato l'obbligo di cedere le azioni Anas alle Regioni (vorrebbe fosse solo facoltativo) e il criterio del numero degli autoveicoli: chiede che la spartizione del patrimonio sia fatto invece in base all'estensione di statali e autostrade presenti in ogni regione. E non è d'accordo con l'istituzione di nuovi pedaggi. Perfino la società per il Ponte di Messina - sottolinea il Pd - controllata a stragrande maggioranza dall'Anas, in teoria porterebbe i soldi dei pedaggi più al Nord che al Sud (ma, come detto, c'è la questione delle sub-concessionarie). Hanno annunciato propri emendamenti anche gli esponenti dell'Udc. Dussin (Lega) ha comunque già dato ampia disponibilità a dicutere di modifiche, purché la legge non venga frenata.P.E.

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