mercoledì 4 maggio 2011

Federali Mattino-5 maggio 2011. La Basilicata dice no: Non siamo in condizione di sopportare l'aumento di tassazione che sarebbe determinato dall'applicazione della legge della cosiddetta tassa sulle disgrazie per far fronte ai danni provocati dal maltempo nel Metapontino.----Bozen: La tripla ''A'' di Fitch indica il più elevato grado di solvenza. Gli sforzi della Provincia vengono premiati da un'agenzia indipendente, e l'ottimo punteggio ottenuto, spiega l'assessore alla Finanze Roberto Bizzo, ''conferma al cittadino da un lato la bonta' della gestione dei fondi pubblici grazie all'autonomia finanziaria, dall'altro la solidità del bilancio provinciale.''

Sipario calato:
Il terrorista in declino diventato immortale
La morte di Osama non cambia niente
La Svizzera e le conseguenze della primavera araba

Disgraziati paganti:
Bruxelles. Malmstrom: «L'Ue non abbandoni gli stati che affrontano l'emergenza»
Bruxelles. Per la commissaria Malmstrom l'accordo di Shengen «potrà essere sospeso in situazioni critiche»

Magna a sbafo:
San Marino. Lotta alla camorra, il Tribunale di Napoli riconosce la svolta fatta da San Marino                 
San Marino, Iccrea: semaforo rosso per sei banche del Titano             

Notizie inutili:
Al Sud è boom di giovani imprenditori
Benzina, nuovo record storico
Brescia. Estero per le imprese locali Bnl in campo con Italian desk

Magna e rimagna, a sbafo:
Bozen. MONUMENTI A BOLZANO. Duce, accuse dal centrosinistra a Spagnolli e Tommasini
Bozen. Finanza: Fitch assegna il rating "tripla A" all'Alto Adige

Rantolo d'orgoglio:
Basilicata. Tassa della disgrazia, il no della Basilicata


Il terrorista in declino diventato immortale
di CARLO BOLLINO
Braccato come un animale sfinito, Osama bin Laden era ormai costretto a convivere con i suoi stessi rifiuti: per evitare che finendo all’esterno del bunker potessero offrire a chi lo inseguiva tracce della sua presenza, il capo di Al Qaida aveva preso l’abitudine di bruciarseli in casa. E così, per essere definitivamente certi che l’uomo «abbattuto» fosse proprio lui, gli stessi uomini del commando che hanno fatto fuoco ponendo fine all’odissea terrena dello sceicco del terrore, hanno dovuto attendere gli esiti dell’esame del dna giunti molte ore dopo il blitz. Come in un delitto qualsiasi. Che la prima foto del cadavere di Osama bin Laden finita in circolazione fosse un falso, lo si era invece capito da subito. Una foto con la barba nera a dispetto dell’età avanzata, occhi tumefatti nonostante a ucciderlo fosse stato un colpo alla testa, e poi la bocca socchiusa nella espressione tipica di chi sta parlando, oltretutto identica a quella immortalata in un altro scatto che gli implacabili osservatori della Rete avevano subito scovato e messo a confronto smascherando il trucco.

C’è da dire che il solo network a diffonderla come presunta prova della sua uccisione era stata una televisione pachistana poi seguita a ruota da alcuni siti anche italiani. Nella tarda mattinata è giunta l’esplicita ammissione che quella immagine era un falso presente sul web ormai da cinque anni. Una bufala, insomma, che tuttavia ha contribuito ad alimentare il sospetto che in realtà Osama bin Laden non sia stato ucciso affatto e che il clamoroso annuncio nella notte fatto a reti unificate, sia servito al presidente Barak Obama per risollevare il suo calo di popolarità. Sospetti in qualche modo avallati dalla insolita tempestività e procedura con la quale i servizi segreti americani hanno deciso di disfarsi dell’ingombrante corpo del super terrorista: scaricandolo in mare da una portaerei. Anche se «nel rigoroso rispetto dei dettami islamici» che invece prescrivono la sepoltura in terra, possibilmente entro lo stesso giorno della morte e con la testa orientata verso la Città Santa della Mecca. Condizioni che il repentino funerale in mezzo all’oceano ha fatalmente disatteso.

Il blitz contro il simbolo del Male è iniziato mentre in piazza san Pietro veniva beatificato Karol Woityla, che è invece il nostro simbolo del Bene. Altra coincidenza temporale che ha rischiato di alimentare complicate dietrologie. Pur se logicamente inverosimile che il presidente americano possa aver mentito sull’uccisione del celebre ricercato (la cui morte porrebbe oltretutto fine alle ragioni dell’occupazione in Afghanistan), è tuttavia auspicabile che nelle prossime ore il governo degli Stati Uniti diffonda la prova tangibile dell’effettiva eliminazione del suo nemico-principe, se non altro per evitare che pure Osama finisca nello stesso libro di leggende che già esclude la morte di Elvis Presley, nega l’arrivo degli americani sulla Luna e - tanto per restare nello stesso ambito - sostiene che l’attentato alle Torri Gemelle non andò davvero come ce lo raccontano.

Per il resto conta poco che Osama bin Laden sia morto davvero ieri mattina, che sia stato ucciso 10 anni fa o che continui a consumare la sua vecchiaia in qualche sperduto sobborgo pakistano. Al Qaida a dispetto di molte convinzioni, non è mai stata una struttura verticale. Al contrario funziona da sempre in modo orizzontale, un po’ come fanno camorra e ‘ndrangheta: cioè senza un unico capo. Grazie al clamore mondiale seguito all’attentato dell’11 settembre, Al Qaida insieme al suo fondatore sono diventati anche un «brand», una specie di marchio del terrore usato per dare forza e visibilità ad una miriade di azioni terroristiche altrimenti destinate a rimanere relegate al rango di attentati locali.
Al Qaida è insomma il logo usato da una miriade di gruppuscoli jihadisti sparsi nel mondo e senza nessuno rapporto reciproco nè gerarchico con il vertice dell’organizzazione, per entrare a far parte della multiforme rete globale del terrore. Visto così, è del tutto evidente che il ruolo di bin Laden rispetto alle dinamiche del terrorismo mondiale era ormai del tutto marginale.

Il fatto che probabilmente da anni vivesse in quel bunker di Abbotabad, senza telefono nè internet e servendosi di un corriere per portare fuori i suoi messaggi (o forse, più banalmente, per fargli la spesa), è la prova ulteriore di quanto lo sceicco fosse ormai assurto da tempo al mero ruolo di simbolo del Terrore, più che del suo comandante in capo. È un po’ come per i protagonisti delle favole: per quelli buoni come per quelli cattivi, non si pretende la prova dell’esistenza in vita. Ci sono e basta, e chi crede li segua. Semmai bisogna chiedersi che cosa accadrà adesso, e se questo evento (pur definito «una catastrofe» dai suoi uomini più fidati) non possa al contrario regalare un insperato rilancio per Al Qaida che dopo aver assistito senza alcun ruolo alle decisive rivolte in corso nel mondo arabo, appariva avviata verso un inesorabile declino. Proprio da oggi Osama bin Laden, rimasto per anni un simbolo invisibile e immateriale, rischia invece di trasformarsi agli occhi di migliaia di integralisti islamici in un nuovo martire. Pur sempre solo effige ma che nessuna operazione di intelligence, nè alcun proiettile, potrà mai più cancellare dalla mente e dal cuore dei suoi adepti. È insomma uccidendolo che l’Occidente potrebbe avergli donato l’arma più micidiale che ogni autentico leader insegue: l’immortalità.
04 Maggio 2011

La morte di Osama non cambia niente
di Massimo Amorosi
L'uccisione di bin Laden è un'ottima notizia sul fronte politico e del morale, ma ha pochi effetti strategici. Lo sceicco del terrore era da tempo fuori dalla cabina di comando. La decentralizzazione di al Qaida ha portato una dispersione della minaccia. È partita l'offensiva di primavera dei talebani.
L’America è in festa e il mondo tira un sospiro di sollievo alla notizia della morte di bin Laden. Ma, al di là del clamore del momento, la fine del capo di al Qaida ha esclusivamente una rilevanza politica, associata al cambio inevitabile della strategia statunitense in Afghanistan e all’evoluzione dei rapporti fra Washington e Islamabad.

L’eliminazione di bin Laden, avvenuta nella località di Abbottabad, nella provincia di Khyber-Pakhtunkhwa, a 95-110 km dalla capitale Islamabad e non lontano da un’accademia militare pakistana, lascia pensare che egli abbia fruito della complicità e protezione di elementi dell’Isi (i servizi segreti pakistani). L’ambiguità che ha contraddistinto in questi anni la partecipazione del Pakistan alla campagna contro il terrorismo getta un’ombra su un eventuale accordo con gli Stati Uniti che ha permesso l’operazione contro lo sceicco del terrore. In ogni caso, la Casa Bianca negli ultimi tempi ha mostrato inequivocabilmente la volontà di recuperare libertà di manovra in relazione al impegno militare in Afghanistan, attraverso un’accelerazione del proprio disimpegno da quel teatro e probabilmente acconsentendo al recupero di un margine di influenza di Islamabad nel paese.

Risale infatti allo scorso 28 aprile l’annuncio di Obama che alla direzione della Cia subentrerà il generale David Petraeus, architetto della strategia americana di counterinsurgency in Afghanistan. Da Langley, dove sostituirà a luglio l’attuale direttore Leon Panetta, la voce autorevole di Petraeus non inciderà più sulle scelte cruciali sul conflitto in Afghanistan e permetterà a Obama di accelerare il ritiro delle truppe dal paese. Il comando in teatro di tutte le forze alleate passerà al generale John Allen, attualmente deputy commander del Comando centrale statunitense.

La scomparsa di bin Laden, al di là dell’impatto sul destino dell’Afghanistan e sugli equilibri regionali, non cambia sostanzialmente la realtà sul terreno. Sotto il profilo tattico-operativo infatti l’uscita di scena del capo di al Qaida, relegato dall’ottobre del 2001 (quando fuggì da Tora Bora) a un mero ruolo simbolico e di guida ideologica del movimento, non ridimensiona i rischi che promanano dal terrorismo di matrice jihadista, ma anzi potrebbe provocare una risposta con nuovi attentati nonché una recrudescenza della violenza in Afghanistan.

D’altronde, è di pochi giorni fa l’annuncio dei talebani dell’avvio dell’offensiva di primavera, seguito subito da un attacco suicida in un mercato della provincia di Paktika. Questo fa seguito a un attentato nella sezione militare afghana dell’aeroporto internazionale della capitale, che ha visto il coinvolgimento di un colonnello delle forze armate nazionali. La compromissione degli apparati di sicurezza afghani peraltro conferma le serie difficoltà connesse con la missione di training portata avanti dalle forze internazionali.

La decentralizzazione di al Qaida ha comportato una dispersione della minaccia, anziché una sua contrazione, diluendone le potenzialità ma non allontanando lo spettro di un conflitto di logoramento difficile da contrastare.

Sul terreno operano adesso gruppi regionali come al Qaida nella Penisola Arabica (Aqap) e al Qaida nel Maghreb Islamico (Aqmi), l’ultimo dei quali potrebbe essere responsabile del recente attacco a Marrakech, in Marocco. La direzione che prenderanno tali formazioni è ancora da vedere. Al momento pare di poter dire che, con la disgregazione della direzione centrale di al Qaida e la morte del suo leader, Aqap potrebbe mutuare più di altre l’ideologia qaidista pur conservando la propria autonomia.
L’articolazione nordafricana di al Qaida, invece, sembra rinunciare a un ruolo insurrezionale di ispirazione politico-religiosa a favore di attività più prettamente criminali, come dimostrano i sequestri a scopi di lucro e l’interesse a usufruire dei vantaggi economici provenienti dal traffico di stupefacenti. In questo ultimo caso, Aqim potrebbe seguire le orme del gruppo filippino di Abu Sayyaf, il quale ricorre alla retorica islamista a giustificazione delle proprie attività illecite.

A questi due gruppi si aggiunge Aqi (al Qaida in Iraq), che ha perso terreno dopo aver largamente applicato la tattica della violenza settaria in chiave antisciita, al punto che molti insorti sunniti ostili all’occupazione sono stati reclutati nelle milizie dei cosiddetti “Consigli del risveglio” (“Awakening Councils”) costituiti in funzione anti-al Qaida. Anche il continente africano non sfugge al processo di trasformazione ed espansione del movimento jihadista, tanto che la Somalia è considerata oggi a tutti gli effetti un “vivaio” terroristico.

Ma i rischi più concreti vengono dai terroristi “fai da te” e da giovani musulmani homegrown e convertiti. Le potenzialità di “attacchi amatoriali” sono state peraltro sperimentate anche dall’Italia, con l’attacco nell’ottobre del 2009 contro la caserma Santa Barbara di Milano ad opera di un aspirante kamikaze. Un ventaglio ampio di fonti di rischio, non facilmente prevedibili, rispetto alle quali nonostante l’emozione del momento per la morte di bin Laden occorre non abbassare la guardia.
(3/05/2011)

La Svizzera e le conseguenze della primavera araba
Di Eveline Kobler, swissinfo.ch
Collaborazione economica, restituzione dei patrimoni rubati e migrazione: su questi tre punti si concentrerà il lavoro delle ambasciate svizzere in Nord Africa e Medio Oriente.
 Riuniti in conferenza a Tunisi, gli ambasciatori svizzeri hanno discusso la strategia decisa dal Consiglio federale l'11 marzo 2011. L'attenzione è stata rivolta in particolare a tre ambiti d'attività.
Ai giornalisti presenti nella capitale tunisina, Lars Knuchel, portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), ha spiegato in breve che si tratta «della cooperazione in campo economico, della restituzione dei beni sottratti allo stato e ai suoi cittadini, e delle problematiche inerenti alla migrazione». L'elaborazione di una nuova strategia si è resa necessaria in seguito ai mutamenti politici in corso nella regione.
«La strategia è valida per tutto il Nord Africa e non solo per i paesi in cui c'è stata una rivoluzione», ha puntualizzato Marcel Stutz, capo della Divisione politica II (Africa e Medio Oriente) del DFAE. «È però importante tener presente che ogni paese ha la sua storia e i suoi problemi. Dobbiamo agire in modo differenziato».
La Svizzera offre la sua collaborazione solo «on demand», su richiesta. Nei paesi che non si rivolgono direttamente alla Confederazione, quest'ultima non può intervenire. «È il motivo per il quale in questo momento la nostra attenzione è concentrata soprattutto sulla Tunisia. Collaboriamo bene con l'attuale governo di transizione».

Cooperazione economica
Stutz ha ricordato che nei paesi nordafricani la disoccupazione colpisce soprattutto i giovani, in particolare i maschi. Si tratta di ragazzi che spesso non hanno una formazione e che non sono integrati nel mondo del lavoro. «Con le aziende svizzere presenti in loco, cerchiamo di guidarli verso un'occupazione», afferma Stutz. «Grazie ai visti di stage, alcuni di loro hanno già oggi la possibilità di fare un tirocinio in Svizzera». Il visto di stage permette ai giovani di trascorrere fino a 18 mesi nella Confederazione per perfezionarsi in ambito professionale. Attualmente, si sta discutendo anche della creazione di un nuovo tipo di tirocinio che faciliterebbe il soggiorno in Svizzera per qualche mese dei giovani interessati. Ma a questo proposito non sono ancora state prese delle decisioni, ha precisato Eduard Gnesa, ambasciatore straordinario per la cooperazione internazionale in materia di migrazione.

Restituzione dei patrimoni
 Valentin Zellweger, capo della Direzione del diritto internazionale pubblico del DFAE, ha ricordato che in gennaio il Consiglio federale ha bloccato i fondi del clan dell'ex presidente tunisino Ben Ali. «Ora sta al governo tunisino intentare dei procedimenti penali nei confronti delle singole persone. Quando i tribunali avranno emesso delle sentenze definitive, la Svizzera restituirà il denaro».
Nel corso della sua visita in Tunisia, la presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey ha rivelato l'ammontare dei patrimoni nordafricani bloccati su conti svizzeri: si tratta di circa 60 milioni di franchi riconducibili all'entourage di Ben Ali, 400 milioni del clan di Mubarak e 360 milioni di quello di Gheddafi.

Migranti
 Per quanto riguarda le problematiche inerenti alla migrazione, l'obiettivo principale della Svizzera è quello di contribuire a migliorare le condizioni di vita delle persone nei loro paesi di provenienza, così da evitare le partenze per disperazione.
600'000 persone hanno lasciato la Libia dopo lo scoppio del conflitto, ha affarmato Eduard Gnesa. «Solo 30'000 sono approdate ai confini meridionali dell'Europa». Nei due terzi dei casi si tratta di tunisini che hanno perso la loro fonte di reddito in Libia. Secondo Gnesa, aspetterebbero di poter tornare, perché sanno che un domani in Libia ci sarà di nuovo lavoro. I rifugiati politici, provenienti ad esempio dalla Somalia, ci sono, ma sono in numero minore. La Svizzera – ha aggiunto Gnesa – continua ad impegnarsi per facilitare la reintegrazione in patria dei tunisini che hanno lavorato in Libia.

La conferenza degli ambasciatori ha ribadito la volontà della Svizzera di attenersi agli accordi di Schengen / Dublino che definiscono la frontiera esterna europea come frontiera comune e che prevedono il rinvio dei richiedenti l'asilo nel paese attraverso il quale sono entrati in Europa. In marzo – ha precisato Gnesa – la Svizzera ha rimandato in altri paesi europei 5'000 persone e ne ha accolte 780.
«Constatiamo anche un flusso migratorio dall'Europa verso la Tunisia e l'Egitto», ha concluso Gnesa. «Per il momento non sono molte le persone che ritornano nel loro paese d'origine, ma il loro numero potrebbe aumentare».
 Eveline Kobler, swissinfo.ch
Tunisi
Traduzione dal tedesco, Doris Lucini

Bruxelles. Malmstrom: «L'Ue non abbandoni gli stati che affrontano l'emergenza»
Bruxelles ammette che «non può imporre la solidarietà» E chiede di sostenere i Paesi «esposti ad arrivi massicci»
MILANO - «L'Unione europea non deve lasciare che gli Stati maggiormente esposti ai flussi migratori dal Nordafrica gestiscano da soli l'emergenza: lo sottolinea la Commissaria agli Affari Interni, Cecilia Malmstrom, presentando il documento elaborato dall'esecutivo di Bruxelles su una politica comune per l'immigrazione. «Non dobbiamo lasciare che sia solo compito degli Stati membri che si trovano alle nostre frontiere esterne gestire le situazioni straordinarie di migrazioni», osserva Malmstrom. Alcuni Stati Ue - si legge nel documento approvato dalla Commissione - «sono più direttamente esposti ad arrivi massicci di migranti rispetto ad altri, ma questa situazione non può essere gestita solo a livello nazionale. Richiede la mobilitazione di tutti gli Stati membri a livello Ue». E se la Commissione «non può imporre la solidarietà», tuttavia «è necessario una migliore ripartizione delle responsabilità e un aumento della solidarietà a livello di Unione europea».

FUGGITIVI - Sono 650 mila, secondo le ultime stime dell'Unione europea, le persone che hanno lasciato la Libia per fuggire guerra e violenze. Il dato è stato reso noto in occasione della presentazione del documento della Commissione sulla politica comune per l'immigrazione. Tutti i fuggitivi si sono rifugiati nei paesi vicini, soprattutto Tunisia ed Egitto, e molti sono già stati aiutati a tornare nei paesi di origine. Quanto ai migranti che hanno scelto l'Europa, sono oltre 25 mila, soprattutto provenienti dalla Tunisia, e sono sbarcati soprattutto sulle coste italiane, a Lampedusa sostanzialmente, e a Malta.

Bruxelles. Per la commissaria Malmstrom l'accordo di Shengen «potrà essere sospeso in situazioni critiche»
Mentre l'Unione europea si interroga su come far fronte all'immigrazione irregolare torna d'attualità l'ipotesi della sospensione del Trattato di Shengen. Bruxelles, per affrontare situazioni critiche sul fronte dell'immigrazione irregolare, propone di prevedere «la temporanea reintroduzione di controlli limitati dei confini interni» nell'area Schengen. Ma solo «in circostanze particolarmente eccezionali». A dirlo è la commissaria Ue agli affari interni, Cecilia Malmstrom - quando «una parte delle frontiere esterne è sottoposta a pesanti ed impreviste pressioni migratorie».

Tale eventuale decisione - che di fatto rappresenterebbe una sospensione temporanea degli accordi di Schengen - per Bruxelles dovrebbe essere presa in considerazione come «ultima risorsa» e decisa non dai singoli Stati ma «a livello europeo». La proposta della Commissione Ue è contenuta in una comunicazione presentata oggi da Malmstrom, che sarà sottoposta ai ministri degli Interni della Ue nel Consiglio straordinario del 12 maggio. L'esecutivo europeo prevede quindi di tradurre le sue proposte in progetti normativi all'interno di un pacchetto immigrazione che intende adottare il 24 maggio, in tempo per sottoporlo all'attenzione del Consiglio europeo del 24 giugno.
Ricordiamo sul punto la lettera di richiesta inviata congiuntamente da «Roma e Parigi all'unisono per riformare Schengen».
«Eventi recenti hanno innescato preoccupazioni sul funzionamento del sistema Schengen», ha ricordato Malmstrom, sottolineando però come «la libera circolazione delle persone attraverso i confini europei è uno dei più grandi risultati raggiunti e non si può tornare indietro. Anzi - ha aggiunto - va rafforzato».

E per rafforzare i controlli alle frontiere esterne ed interne e prevenire l'immigrazione irregolare, la Commissione Ue - nella comunicazione presentata oggi - prevede anche di intensificare il coordinamento sul fronte della vigilanza, migliorando lo scambio di informazioni e la cooperazione tra le autorità nazionali. Avanzata anche l'ipotesi di costituire un corpo di guardie di frontiera (European system of borders guards).

Bruxelles rinnova quindi l'appello al Parlamento e al Consiglio europeo di «adottare con urgenza» la proposta già da tempo avanzata di rafforzare il mandato di Frontex (l'agenzia europea di controllo delle frontiere esterne), dando la possibilità a questo organismo di «agire in maniera realmente efficace».

Bruxelles insiste quindi sulla necessità di rafforzare le relazioni con i Paesi da cui parte l'immigrazione, adottando un «approccio strategico che sia mirato a facilitare il movimento delle persone», ma allo stesso tempo «combinato con misure che scoraggino l'immigrazione irregolare». Questo anche attraverso una revisione del sistema dei visti. Infine, sul fronte dell'asilo, la Commissione Ue spinge per un completamento del Sistema comune europeo, auspicando il raggiungimento di un accordo entro il 2012.
4 maggio 2011

San Marino. Lotta alla camorra, il Tribunale di Napoli riconosce la svolta fatta da San Marino                 
Mercoledì 04 Maggio 2011
NAPOLI - La svolta in fatto di trasparenza e la maggiore collaborazione da parte della Repubblica di San Marino sta portando i suoi frutti. Anche il Tribunale di Napoli esprime apprezzamento per l’operato del Titano, che indirettamente contribuisce alla lotta contro la Camorra. Analizzando le cifre dei beni sequestrati alla criminalità campana dal Tribunale di Napoli (beni per 34 milioni e 750 mila euro, un milione di euro invece le confische) si nota un dato raddoppiato rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. Risultati positivi che si guadagnano il plauso del Presidente del Tribunale, Carlo Alemi, e del presidente della sezione, Eugenia Del Balzo. Che spiega l’importanza di questi provvedimenti.

Sul fronte del riciclaggio, le ultime indagini evidenziano come rotta preferita per l'esportazione di capitali sia Londra. “a Repubblica di San Marino - spiega Eugenia Del Balzo - sta modificando molto la capacità di accogliere capitali esteri adottando una maggiore trasparenza bancaria". Ma la lotta alla criminalità finanziaria si fa sempre più complessa e articolata, occorre l’impegno da parte di tutti e risorse, risorse, risorse.

San Marino, Iccrea: semaforo rosso per sei banche del Titano             
Mercoledì 04 Maggio 2011
Banca di San Marino, Banca commerciale sammarinese, Ibs, Asset Banca, Banca Sammarinese di Investimento, Eurocommercial Bank. Sono questi, in estrema sintesi, i nomi delle banche della Repubblica di San Marino con cui l’Iccrea ha deciso di rescindere i contratti di tramutazione. Secondo le prime informazioni, nel breve non ci saranno particolari limitazioni per i clienti degli istituti: la rescissione infatti sarà effettiva fra tre mesi. Le autorità sammarinesi preposte, in accordo con le banche interessate, stanno valutando opzioni alternative all'Iccrea (potrebbero passare tutte alla Icbpi) e stanno anche tentando di posticipare più in avanti nel tempo il termine imposto da Iccrea per consentire un passaggio morbido alla nuova situazione.

Al Sud è boom di giovani imprenditori
Il lavoro manca, occorre industriarsi, e così molti giovani del Sud decidono di rischiare in proprio ed avviare una azienda. Secondo i dati del Sole 24 Ore, che ha rielaborato le statistiche di Infocamere, infatti, nelle regioni del Mezzogiorno il numero delle imprese aperte dagli under 30 è maggiore rispetto alle altre aree del Paese. A guidare la classifica la Calabria, con  il 9,4% del totale gli imprenditori al di sotto dei 30 anni in Calabria.  La media italiana degli imprenditori con meno di trent’anni, sul totale complessivo, e’ pari al 6,9%. La Calabria si piazza prima della Campania (9%), la Sicilia (8,3) e la Puglia (7,3).

Un dato importante, che indica come al Sud le nuove generazioni hanno voglia di intraprendere, pur tra mille difficoltà. Un esempio, del resto, è dato dall’esperienza di Mammà, marchio di consorzio di cui “Il Sud” ha spesso parlato. Sono soprattutto gli imprenditori in erba che hanno manifestato la volontà di esportare tramite “Mammà”, sapendo raccogliere la sfida dei mercati globali con entusiasmo e passione. E’ questo, del resto, il Mezzogiorno che ha le carte in regola per allinearsi al resto del Paese, un Sud volenteroso e non piagnone.

Benzina, nuovo record storico
Prezzi alle stelle, la verde sfiora la soglia di 1,6 euro al litro nella media nazionale. Per i consumatori "situazione insopportabile".
Benzina di nuovo ai livelli record. Dopo il rialzo deciso ieri da Eni, questa mattina è stato registrato un ritocco all'insù ai distributori Tamoil. La compagnia libica ha aumentato il prezzo del carburante di 0,6 centesimi al litro, salendo così in media nazionale a 1,599 euro. Ferme invece tutte le altre compagnie. Con l'aggiustamento di Tamoil il prezzo della benzina guadagna 1 millesimo a 1,589 euro al litro, mentre il gasolio resta stabile a 1,495 euro al litro.

IN UN ANNO SPESI 240 EURO IN PIU' Nonostante il calo del petrolio «riprende l'inaudita corsa del prezzo della benzina», che ha raggiunto livelli «immotivati»: «neanche quando nel luglio 2008 il greggio è schizzato a 148 dollari la benzina ha mai raggiunto prezzi simili». Così Adusbef e Federconsumatori commentano in una nota il nuovo record della verde, sottolineando che nel 2008, anno dei massimi petroliferi, i listini si attestavano a 1,56 euro al litro. I consumatori giudicano la situazione «francamente insopportabile», visto il «sovrapprezzo intollerabile che genera immensi guadagni spartiti tra la filiera petrolifera e l'erario, per via dell'aumento della tassazione». Secondo i calcoli delle associazioni infatti, la filiera petrolifera guadagna 1 miliardo e 92 milioni di euro in più, mentre l'Erario percepisce 468 milioni di euro annui in più. «A fare le spese di questa situazione - sottolineano - sono, ancora una volta, gli automobilisti che, rispetto allo scorso anno, hanno subito per i carburanti un aumento di 240 euro in più annui per i soli costi diretti, a cui si aggiungono ricadute di 170 Euro per i costi indiretti, dovute al fatto che buona parte dei beni è trasportata su gomma. Per un totale di ben +410 euro».

PREZZI REGIONALI INVARIATI I prezzi medi regionali restano sostanzialmente invariati con Piemonte e Veneto sempre a guidare la classifica con una media di 1,595 euro al litro sulla benzina e 1,496 euro al litro sul diesel. Valori massimi in Provincia autonoma di Bolzano con la verde a 1,632 euro al litro e il gasolio a 1,533 euro al litro. Discorso a parte nelle Regioni dove vige l'addizionale regionale (Abruzzo, Marche, Liguria, Campania, Molise, Calabria e Puglia) dove la media della benzina risulta più alta, con la Puglia a fare da battistrada a quota 1,643 euro al litro.

Brescia. Estero per le imprese locali Bnl in campo con Italian desk
 INTERNAZIONALIZZAZIONE. Ieri la presentazione a Brescia Export
04/05/2011
Crescere e competere sui mercati internazionali. Un obiettivo sempre più prioritario per le Pmi bresciane, chiamate a puntare su internazionalizzazione e innovazione. Sviluppare e consolidare i legami tra l'economia della regione e le nuove locomotive della crescita mondiale (che ora si chiamano Cina, India, Brasile e anche Vietnam, Turchia, Indonesia, Sud Africa e altri paesi ancora) non è solo un privilegio delle grandi imprese, ma è a portata di mano anche per le medio-piccole, che possono ritagliarsi un ruolo da protagoniste.
Soprattutto nella provincia di Brescia, titolare da sola di circa il 4% del valore aggiunto industriale dell'Italia e di più del 3% delle esportazioni italiane. Ecco, quindi, che una ripresa concreta dell'imprenditoria bresciana può fare realmente la differenza anche sul risultato di crescita nazionale. E attraverso strumenti associativi quali la nuova forma contrattuale delle reti d'impresa, ai quali si aggiungono reti, web, e partner bancari realmente capaci di fare da ponte tra la domanda globale e l'offerta locale di imprenditoria e di inventiva, le piccole possono agganciare l'onda della nuova crescita mondiale. Ad aiutare gli imprenditori bresciani arriva oggi uno strumento in più: gli «Italian Desk» di Bnl, presentati nel corso del seminario «EduCare», tenutosi ieri pomeriggio nella sede del Csmt di via Branze. Si tratta di strutture dedicate in grado di assistere la clientela italiana che opera o intende operare in un Paese straniero con personale qualificato di lingua italiana. Attualmente queste strutture sono presenti in dieci nazioni (Francia, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Paesi del Golfo Persico, Turchia, Stati Uniti e Cina). «I vantaggi offerti sono un'assistenza personalizzata e di alto profilo attraverso la presenza di personale qualificato di lingua italiana dotato di un'ampia conoscenza dei mercati locali e di quello italiano», spiega Giovanni Ajassa del Servizio Studi Bnl, presente all'incontro insieme al collega Paolo Ciocca. Le aziende interessate ai servizi degli Italian Desk possono avere informazioni direttamente alla filiale Corporate Bnl bresciana di via Moretto 40, oppure visitando il sito www.bnl.it.
 Alessandro Faliva

Bozen. MONUMENTI A BOLZANO. Duce, accuse dal centrosinistra a Spagnolli e Tommasini
Su Spagnolli e sugli assessori provinciali del Pd l'accusa di adeguarsi. Ieri bordate di critiche contro il sindaco, in giunta e da esponenti della maggioranza
di Francesca Gonzato
BOLZANO. Accuse a Durnwalder, Spagnolli, Tommasini e Bizzo. Ce n'è per tutti nella bufera sulla decisione di coprire con un vetro opaco il Mussolini a cavallo di piazza Tribunale.
 La decisione di ignorare la cinquina di finalisti del concorso di idee e risolvere («provvisoriamente») il problema è stata presa lunedì in giunta provinciale alla presenza del sindaco Luigi Spagnolli. Durnwalder, motore di quella scelta, viene accusato di un dirigismo sempre più spinto. Su Spagnolli e sugli assessori provinciali del Pd l'accusa di adeguarsi. Ieri bordate di critiche contro il sindaco, in giunta e da esponenti della maggioranza. Già lunedì l'assessore alla cultura Patrizia Trincanato si era dichiarata delusa e irritata. Con l'eccezione della Svp, in Comune era piaciuto uno dei progetti finalisti, la scritta di Hannah Arendt «nessuno ha il diritto di obbedire» in lettere metalliche calate davanti al bassorilievo (proposta di Arnold Holzknecht e Michele Bernardi). Cassata insieme alle altre quattro. Trincanato ieri ha contestato Spagnolli, insieme a Chiara Pasquali (Pd) e Luigi Gallo (Prc). Chiara Pasquali sottolinea: «Quella di Spagnoli non è l'indicazione della giunta». Il vicesindaco Klaus Ladinser (Svp) è tra i favorevoli allo spostamento del Duce a cavallo, ma lo stile di Palazzo Widmann avrebbe infastidito anche lui. Ladinser si limita a commentare: «Come soluzione provvisoria può andare». Le tensioni nel Pd erano iniziate lunedì sera durante la seduta della segreteria, quando Christian Tommasini, Roberto Bizzo e Spagnolli hanno presentato la decisione. Andrea Felis (consigliere comunale) chiarisce: «Questa soluzione non ci piace. Insisteremo per cambiare. Ci può essere un vetro trasparente e la frase di Hannah Arendt». Ancora Chiara
Pasquali: «C'è stato un concorso. Ora si decide di ignorarne i risultati con una soluzione buttata lì».
Spagnolli ieri ha ribadito la propria linea: «Se nessuna delle proposte del concorso risolveva i problemi, bene ha fatto il presidente Durnwalder a proporre una soluzione provvisoria diversa». Poi la battuta: «Il Mussolini starebbe benissimo all'ippodromo di Maia. Il sindaco Januth potrebbe accoglierlo». Tensione anche in maggioranza, riunita ieri pomeriggio. Sandro Repetto (Udc) prima della riunione ci va pesante: «Spagnolli è il sindaco, non il federale di Bolzano. Su un tema così non può permettersi di decidere senza ascoltarci». Guido Margheri (Sel), critico anche sul convegno dedicato al terrorismo, parla di «Durwalder e Spagnolli pericolosi apprendisti stregoni» e di un «atteggiamento irresponsabile». Brigitte Foppa (capogruppo dei Verdi), che ha chiesto ieri una discussione in consiglio comunale sul tema poi rinviata a domani, accusa: «I monumenti fascisti vanno spiegati, non coperti. Spagnolli ha dato un via libera che non ci rappresenta. Il comportamento del Pd non è accettabile». Riccardo Dello Sbarba (Verdi) legge così il momento: «Il Pd è desolante. Si comporta come Don Abbondio, subendo il comportamento di Durnwalder. Non capiscono che quello del presidente non è più il consueto pragmatismo, ma la prepotenza di chi si sente accerchiato e umilia chi non la pensa come lui. Hanno dato uno schiaffo alla giuria e alle persone che avevano creduto al concorso di idee, alla possibilità di confrontarsi sulla storia». Anche Tommasini rivendica la propria scelta: «La giuria non ha tenuto conto del bando, che prevedeva la copertura del Mussolini a cavallo. Quella era la mediazione raggiunta per evitare lo spostamento». (fr.g.)

Bozen. Finanza: Fitch assegna il rating "tripla A" all'Alto Adige
BOLZANO. L'agenzia di rating internazionale ''Fitch'' ha valutato positivamente la gestione finanziaria della Provincia di Bolzano assegnandole il punteggio massimo di ''AAA'', la cosiddetta tripla ''A''.

 In marzo il punteggio massimo era stato attribuito alla Provincia anche da Moody's. ''Si tratta di un risultato di eccellenza per la nostra politica finanziaria - commenta il presidente della Giunta provinciale Luis Durnwalder - che conferma il punteggio massimo attribuito due mesi fa alla nostra Amministrazione anche da Moody's.''

 Dal 2002 infatti la Ripartizione Finanze della Provincia incarica le due principali agenzie di rating internazionali di esprimere la loro valutazione rispetto alla gestione finanziaria provinciale. Il rating - ovvero una valutazione indipendente della stabilità, della capacità di onorare gli impegni finanziari assunti e delle potenzialità finanziarie - incide profondamente sulla ''fiducia'' degli investitori e consente, nel caso della Provincia di Bolzano, di ottenere condizioni di vantaggio con le banche e gli altri attori economici locali ed internazionali.

 La tripla ''A'' di Fitch indica il più elevato grado di solvenza. Gli sforzi della Provincia vengono premiati da un'agenzia indipendente, e l'ottimo punteggio ottenuto, spiega l'assessore alla Finanze Roberto Bizzo, ''conferma al cittadino da un lato la bonta' della gestione dei fondi pubblici grazie all'autonomia finanziaria, dall'altro la solidità del bilancio provinciale.''

 Queste valutazioni migliorano l'immagine della Provincia sui mercati finanziari internazionali, riconoscendola quale location economica ideale per potenziali investitori. L'utilita' del rating si concretizza infatti nella riduzione del costo della raccolta di fondi per mutui o prestiti obbligazionari a finanziamento di grandi progetti o opere; nell'accesso a nuovi investitori finanziari; nello strumento di marketing territoriale finalizzato ad attrarre investimenti produttivi in Alto Adige, rassicurando le imprese per l'affidabilità che la Provincia dimostra. 4 maggio 2011

Basilicata. Tassa della disgrazia, il no della Basilicata
De Filippo davanti ai deputati della Commissione Ambiente: «Non siamo in condizioni di sopportarla»
04/05/2011  LA Basilicata dice no. «Non siamo in condizione di sopportare l'aumento di tassazione» che sarebbe determinato dall'applicazione della legge della cosiddetta “tassa sulle disgrazie” per far fronte ai danni provocati dal maltempo nel Metapontino. E’ questa la posizione espressa dal presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo (in foto), che ieri era in Commissione ambiente della Camera dei deputati, presieduta per l’occasione dal deputato lucano del Pd, Salvatore Margiotta. Perché quella che ha convertito il decreto Milleproroghe è tra le norme «più inique della storia d'Italia». «I cittadini e le aziende delle aree alluvionate - ha detto ancora il governatore lucano a Roma - hanno bisogno di interventi che la Regione da sola sta dando ma per i quali non bastano le sole forze della Regione». Un quadro chiaro e netto quello delineato dal presidente che ha offerto ai componenti della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati dove è stato ascoltato questa mattina in merito ai danni dell'alluvione in Basilicata e al blocco degli aiuti statali disposti da una norma del Milleproroghe in assenza di un aumento ai massimi livelli della tassazione ai lucani. Il presidente della Basilicata ha anche offerto alla Commissione tutti gli elementi di conoscenza su quanto accaduto a inizio marzo in Basilicata, dando forza alla risoluzione proposta dal parlamentare lucano Salvatore Margiotta per chiedere che venisse rivista la previsione del Milleproroghe. «Una prima ricognizione - ha spiegato De Filippo - ci ha portato a stimare circa 150 milioni di euro di danni verificabili e in attesa dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, che avrebbe dovuto seguire la già avvenuta dichiarazione di stato di emergenza da parte del Governo, abbiamo avviato un’interlocuzione con il dipartimento nazionale di Protezione civile e col ministero dell'Economia per ottenere un'ordinanza che, come nel recente caso del Veneto, prevedesse norme e risorse adeguate in particolare per il rilancio dei sistemi produttivi. Con la protezione civile l'interlocuzione è stata molto positiva, grandi problemi, invece, ci sono stati col Ministero, per l’applicazione del Milleproroghe. Allo stesso dicastero abbiamo fornito elementi per mostrare i risultati che si avrebbero da questa prima sperimentazione della nuova norma. Abbiamo fatto rilevare che non c'erano gli elementi per l'applicazione della norma, a partire dalla ridotta capacità fiscale della nostra regione, dove portando tutte le aliquote al massimo, a fronte di difficoltà enormi per famiglie e imprese, avremmo ricavato non più di 40 milioni di euro. Abbiamo offerto invece la possibilità di attivare dal bilancio regionale risorse nostre e non a caso, pur in assenza dell'Ordinanza, gli unici soldi investiti nell'emergenza sono quelli della Regione Basilicata. Ad oggi, in totale, abbiamo messo in campo circa 5 milioni di euro, dei quali circa 2 milioni per primi provvedimenti in favore dell'agricoltura». «Questo stato dei fatti - ha aggiunto ancora De Filippo - ci ha convinto che mentre l’attività di interlocuzione resta attiva, era doveroso ricorrere alla Corte Costituzionale perché il dettato del decreto Milleproroghe venisse dichiarato invalido». La relazione del presidente lucano ha suscitato l'interesse dei partecipanti i lavori della Commissione. La deputata Chiara Braga ha parlato di una realtà a fronte della quale «quello che stride è la disparità di trattamento con alcuni pur recenti episodi in altre aree del Paese» bollando come «inopportuna» la scelta contenuta nel decreto Milleproroghe. Il parlamentare Sergio Piffari ha ricordato come l'area colpita dall'alluvione fosse stata individuata nel 2003 «come tra le più sicure d'Italia da un altro governo Berlusconi per i progetti del deposito di scorie nucleari». L’ onorevole Elisabetta Zamparutti ha sottolineato l'inadeguatezza della norma del Milleproroghe «applicando la quale non solo si aumenterebbe la pressione fiscale senza risolvere il problema, ma si esaurirebbero anche le possibilità di far fronte ad altre necessità».

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