sabato 13 agosto 2011

Federali.Sera_13.8.11. Post comunista, di professione politico. Minaccia che il Sannio torna sotto il Papa, perche’ gli tolgono la poltrona di presidente della provincia di Benevento: Difronte alla cancellazione dell'impegno assunto dall'Italia in epoca risorgimentale a favore del Sannio e di Benevento, mi chiedo se non sia meglio tornare con lo Stato Pontificio, riconsegnando ad una autonoma, originale e stimolante prospettiva ogni ipotesi di sviluppo per i nostri territori. Se l'Italia non ci vuole più e vuole cancellare ogni speranza di riscatto, ricostituiamo la enclave.


Il Governo ha deciso: Sannio cancellato, «E noi torniamo con lo Stato Vaticano».
Tagliate le Province di Belluno e Rovigo. Accorpati 40 Comuni
Dagli statali al prelievo, tutte le misure


Il Governo ha deciso: Sannio cancellato, «E noi torniamo con lo Stato Vaticano».
Il Consiglio dei ministri propone di sopprimere 36 province. Il presidente della Provincia di Benevento:«Schiaffo nell'anno dell'unità d'Italia»
NAPOLI — C'è anche la Provincia di Benevento nella lista dei 36 enti locali al di sotto dei 300 mila abitanti che il governo propone di sopprimere per contenere i costi della politica. La decisione presa in Consiglio dei ministri ieri sera ha rapidamente fatto il giro dei territori interessati ai tagli. E le reazioni sono arrivate immediatamente.
Aniello Cimitile (Pd), presidente della provincia sannita, non le manda a dire: «Difronte alla cancellazione dell'impegno assunto dall'Italia in epoca risorgimentale a favore del Sannio e di Benevento, mi chiedo se non sia meglio tornare con lo Stato Pontificio, riconsegnando ad una autonoma, originale e stimolante prospettiva ogni ipotesi di sviluppo per i nostri territori. Se l'Italia non ci vuole più e vuole cancellare ogni speranza di riscatto, ricostituiamo la enclave». E poi rincara la dose: «Un governicchio morente ed incapace di affrontare i reali problemi del Paese, vorrebbe cancellare la Provincia di Benevento, frutto di un impegno e di una lotta risorgimentali e voluta da Giuseppe Garibaldi. Il provvedimento del Governo è assurdo perché non ha alcun rispetto, né alcuna considerazione della storia e delle identità locali, né alcuna cognizione delle caratteristiche geografiche sociali ed economiche delle aree interne. E' vergognoso ed indecoroso che una simile nefandezza venga partorita proprio nell'anno del 150° dell'Unità d'Italia. Ci appelliamo al presidente della repubblica Giorgio Napolitano affinché non venga cancellata la parola data al Sannio nel momento stesso in cui nasceva un nuovo Paese».

Il sindaco di Benevento, Fausto Pepe (Pd): dice: comunque vada, Benevento non può perdere il suo status di capoluogo. Al massimo si potrà trovare una soluzione tipo Pesaro-Urbino». Dal Pdl replica Nunzia De Girolamo: «Premesso che così come previsto dal nostro programma elettorale sono favorevole all'abolizione delle Province e di tutti i costi della politica che incidono a vari livelli sulla spesa pubblica. E, quindi, mi riferisco anche all'accorpamento dei piccoli Comuni nonché all'eliminazione di tutti quegli sprechi che avvengono nelle società legate alle Regioni e agli enti locali. Già in passato mi sono pronunciata sulla possibilità di unire il Sannio al Molise perché più compatibile da un punto di vista economico, sociale, culturale, paesaggistico. Sicuramente la provincia di Benevento, sia nella gestione Bassolino che in quella di Caldoro ha pagato il napolicentrismo. Poca attenzione, infatti, è stata riservata alle zone interne. In ogni caso attendo di leggere il decreto licenziato dal Consiglio dei ministri per capire se le funzioni saranno trasferite ai Comuni o alla Regione per aprire un immediato confronto sul tema».
Re. Po.

Tagliate le Province di Belluno e Rovigo. Accorpati 40 Comuni
La manovra del governo colpisce anche la Regione. Zaia: «Dovremo fare i conti con 150 milioni in meno»
VENEZIA — Soppressione delle Province di Rovigo e Belluno, accorpamento di 40 Comuni sotto i mille abitanti, riduzione dei consiglieri regionali (in tutto salterebbe almeno 500 poltrone). E ancora un taglio aggiuntivo, per la Regione Veneto, di 150 milioni di euro sul bilancio del 2012 che si somma agli altri 450 che già sarebbero mancati all’appello dopo l’annuncio della manovra di qualche settimana fa. Il governatore Luca Zaia si aspettava una manovra da «lacrime e sangue», ma mai come stavolta la frase fatta imposta dal lessico della politica riflette la verità: il decreto approvato nella serata di ieri dal Consiglio dei ministri ha gelato l’estate del Veneto. La decisione destinata a riflettersi più pesantemente sulla vita della regione è quella che riguarda la manovra aggiuntiva, ma l’ipotesi del taglio delle Province è quella che colpisce di più. Il governo ha infatti deciso di sopprimere le Province sotto i 300mila abitanti, così Rovigo—con i suoi 247.884 abitanti — e Belluno, con i 213.474 abitanti — sono le prime vittime: nel decreto approvato dal Consiglio dei ministri che andrà all’esame delle Camere nelle prossime settimane per la conversione in legge, dalle prossime elezioni le due Province potrebbero sparire dal panorama istituzionale.

Sempre che il passaggio parlamentare non apporti correttivi: l’unico modo per «salvare» Belluno e Rovigo, infatti, sarebbe che il Governo non ponesse la fiducia e che le Camere facessero passare il principio dell’estensione del territorio, criterio di cui già si vociferava a margine del tavolo tra Governo, Regioni ed enti locali. «Mi dispiace per Giampaolo Bottacin, il presidente di Belluno, che era stato eletto da poco — dice Leonardo Muraro, nel direttivo dell’Upi, l’unione delle Province italiane — una Provincia di montagna come Belluno ha bisogno di figure di riferimento. L’eliminazione degli enti sotto i 300mila abitanti era comunque già nella proposta che aveva fatto la Lega. Quello che dico è però che il Governo dovrebbe prendere provvedimenti anche nei confronti delle Regioni che hanno meno di 300mila abitanti. Così, sennò, si colpisce in maniera iniqua un solo soggetto istituzionale, la Provincia». Colpito nel cuore e nell’onore anche il capogruppo del Pdl in consiglio regionale, Dario Bond, feltrino, che è evidentemente combattuto: perché l’eliminazione delle Province è un tema da Pdl (in opposizione alla Lega) ma la soppressione di Belluno arriva proprio alla vigilia della discussione in Consiglio dello Statuto, dove i bellunesi hanno fatto asse per ottenere la specificità. «Ho mandato giù un sacco di bocconi amari pensando che comunque portavo a casa la specificità — dice — adesso nello Statuto c’è la specificità ma non c’è più la Provincia su cui il provvedimento si imperniava. Allora dico così: meglio tagliarle tutte e dare più competenze a Regioni e Comuni piuttosto che tagliarne solo alcune».

L’altro fronte caldissimo sono però gli ulteriori tagli che la Regione e gli enti locali dovranno affrontare. La Regione, sul bilancio 2012, dovrà fare tagli per altri 150 milioni di euro che si sommano ai 450 milioni già comunicati in precedenza. Vuol dire, a sentire Zaia e l’assessore al Bilancio Roberto Ciambetti, che erano presenti all’incontro col governo, che, fatti salvi trasporto pubblico locale, sanità, sociale, lavoro e formazione, dissesto idrogeologico, il resto è rimesso tutto in discussione. E che il bilancio della Regione per il 2012, confrontato con quello del 2010, dovrà fare a meno di un miliardo e 200mila euro: 600mila euro di tagli e 600mila euro di mancato indebitamento, visto che la Regione ha esaurito la possibilità di ricorrere a questo strumento. «Il momento è tragico per tutti—ha detto Zaia — e in questo risanamento faremo la nostra parte, ma abbiamo chiesto che ai nostri sacrifici vada aggiunta una poderosa lotta ai costi della politica a tutti i livelli». Un chiaro riferimento alla sua proposta di tagliare i consiglieri regionali che ha trovato sponda nel testo del decreto, dove si fa riferimento al taglio dei consiglieri regionali. Nonostante la batosta, la Regione pensa ancora che qualcosa si possa fare: «Lavoreremo nei prossimi giorni perché il taglio possa essere articolato, non lineare — dice l’assessore Ciambetti — in Finanziaria qualcosa abbiamo ottenuto, il nostro essere speriamo premi». Molto meno conciliante la posizione del sindaco di Padova, Flavio Zanonato, che, conti alla mano, sa già di dover fare a meno di 9 milioni di euro (4,5 già annunciati, altri 4,5 venuti fuori dal decreto di ieri): «Il taglio sarà drammatico —dice il sindaco, vicepresidente dell’Anci—in questo modo il federalismo fiscale diventa una bufala. Quanto al taglio delle Province e all’accorpamento dei Comuni, vedremo quando verranno attuati sul serio: al momento i tagli sono sicuri, i risparmi sono annunci. Come ha detto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, non avremo più soldi per i servizi sociali. Mentre da lì non è uscita una sola misura che vada verso l’aumento dell’attività economica. Si è pensato solo a ridurre il deficit. Guarderemo il testo del decreto, poi valuteremo come Anci le azioni da mettere in campo».
Sara D’Ascenzo

Dagli statali al prelievo, tutte le misure
Un miliardo all'anno dal contributo di solidarietà, otto dai risparmi del Palazzo. Addizionale sui redditi
ROMA - Venti miliardi nel 2012, altri venticinque e mezzo nel 2013. Per arrivare al pareggio di bilancio un anno prima del previsto, servirà uno sforzo aggiuntivo di 45,5 miliardi di euro. Che, naturalmente, si somma alle misure già decise tre settimane fa. Calcolando anche queste, la correzione dei conti sale a 25,5 miliardi nel 2012, a 49,5 nel 2013 (superando così il «record» della manovra Amato del '92), più i 20 del 2014. Ed essendo composta da misure quasi tutte di carattere permanente, la cifra complessiva è astronomica: 195 miliardi di euro in tre anni, senza contare che parte del decreto avrà effetto anche sui conti pubblici di quest'anno. La maggior parte delle risorse arriveranno dai tagli alla spesa pubblica, ma nel menu della manovra entrano anche nuove tasse. A fare i sacrifici maggiori sarà la spesa dei ministeri e degli enti locali, ma un contributo decisivo arriverà dalla riforma dell'assistenza sociale (o dal taglio delle detrazioni fiscali). E, anche se in misura più contenuta, pagheranno pure i lavoratori del settore privato, i pensionati, i risparmiatori, le società energetiche. Ecco come.

Il contributo di solidarietà
A carico dei lavoratori dipendenti del settore privato e degli autonomi scatta un contributo di solidarietà per il 2012 ed il 2013. I datori di lavoro tratteranno, e poi gireranno all'erario, il 5% della retribuzione lorda eccedente i 90 mila euro annui ed il 10% della parte che supera i 150 mila euro. Esattamente come previsto dalla manovra dell'anno scorso per i dipendenti pubblici, per quest'anno ed il prossimo. Per i lavoratori autonomi si interverrà in sede di dichiarazione dei redditi, con l'applicazione di un'addizionale Irpef (da stabilire) sulle due aliquote più alte, quella del 41% che scatta oltre i 55 mila euro lordi annui e quella del 43% che vale per la quota di reddito eccedente i 70 mila euro. Dal contributo di solidarietà è atteso un gettito di circa un miliardo di euro l'anno.

Le nuove imposte
Per tutte le rendite finanziarie, fatta eccezione per i rendimenti dei titoli di Stato, il decreto stabilisce un'aliquota unica di tassazione, pari al 20%. Significa che la tassa sui depositi bancari scenderà rispetto all'attuale 27%, mentre salirà l'imposizione sui capital gain, oggi pari al 12,5%. Anche dal riordino delle tasse sulle rendite è atteso un maggior gettito di circa un miliardo. Più o meno la stessa cifra arriverà dall'aumento delle tasse sui giochi e delle accise su carburanti e tabacco. A carico delle società energetiche scatterà, poi, una nuova «Robin Hood Tax» come la chiama il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ed anche in questo caso sono previste maggiori entrate per un miliardo.

Pensioni e lavoro
Saltati per l'opposizione della Lega e dei sindacati, nella manovra non ci sono più le misure per scoraggiare ulteriormente le pensioni anticipate. Per le donne impiegate nel privato, sarà invece anticipato al 2016 l'avvio del percorso che porterà l'età per la pensione di vecchiaia dagli attuali 60 a 65 anni. Si procederà in modo molto graduale, per arrivare a regime nel 2028. I risparmi attesi dalla previdenza (un miliardo nel 2012 e altrettanto nel 2013) arriveranno dal rinvio di due anni del pagamento della buonuscita (che corrisponde al Tfr) per i lavoratori pubblici che optano per il pensionamento anticipato. Il congelamento biennale della liquidazione (che non impedisce ovviamente la permanenza al lavoro) assorbirà lo scaglionamento della buonuscita già deciso nel luglio 2010. Anche per i lavoratori della scuola, finora esclusi, si applicherà il regime delle finestre mobili per la pensione, il che significa aspettare 9 mesi dopo i requisiti. Per gli statali, però, ci sono altre brutte notizie: rischiano infatti il mancato pagamento della tredicesima se la pubblica amministrazione in cui sono occupati non rispetterà i parametri di spesa.
Nel decreto entra anche una norma che stabilisce la validità «erga omnes» dei contratti aziendali stipulati in base all'intesa tra sindacati e Confindustria di giugno. I contratti potranno anche derogare dal contratto nazionale e dallo Statuto dei Lavoratori e saranno incentivati fiscalmente con l'aliquota del 10% sulla retribuzione collegata alla produttività. Un'altra norma ridefinisce la disciplina del tirocinio, per evitarne l'abuso, mentre diventa reato penale l'intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro.

I costi della politica
L'intervento sull'apparato dello Stato vale circa 8,5 miliardi l'anno. Saranno accorpati i Comuni con meno di mille abitanti (sono 1.500), e abolite le Provincie (sono 34) con meno di 300 mila abitanti. Ci saranno dei nuovi limiti al numero degli assessori provinciali e comunali, poi scatterà l'incompatibilità tra il mandato parlamentare e gli incarichi pubblici (e un taglio del 50% dell'indennità se il parlamentare continua a esercitare la professione), mentre tutti gli «eletti» e i dipendenti dello Stato saranno costretti a volare in classe economica. Nel complesso la manovra sui costi della politica porterà alla cancellazione di 54 mila poltrone.

Enti locali e ministeri
Per loro la nuova manovra sarà un boccone amarissimo da digerire, con altri 9,5 miliardi di tagli nel biennio 2012-13, che si aggiungono a quelli già pesanti decisi nel 2010 e tre settimane fa. Nel solo 2012 ci saranno minori trasferimenti ai Comuni per 1,7 miliardi, per 700 milioni alle Province, per 3,6 miliardi alle Regioni (2 solo per quelle a statuto speciale). Con il decreto sarà tuttavia anticipato al 2012 l'avvio del federalismo fiscale, che consentirà ai Comuni di rimpinguare le casse con la nuova Imposta municipale unica. Regioni ed enti locali saranno poi chiamati a liberalizzare ed eventualmente privatizzare i servizi pubblici. Anche sui ministeri si abbatterà un'altra stangata. Per il 2012 sono previsti 6 miliardi di tagli ulteriori (5 se funzionerà la «Robin Hood Tax»), cui se ne aggiungeranno altri 2,5 nel 2013. Il dettaglio delle riduzioni di spesa per ciascuno ministero sarà operato a settembre all'interno della nuova Legge di Stabilità.

Le altre misure
La delega per la riforma dell'assistenza sociale sarà anticipata al 2011 e dispiegherà i suoi effetti già nel 2012 (con un risparmio di 4 miliardi, che saliranno a 17 nel 2013): sarà messo a punto un nuovo «indicatore di bisogno» più severo per l'accesso alle prestazioni dell'Inps, poi saranno rivisti i criteri per le pensioni di invalidità e gli assegni di reversibilità. Se non dovesse aver successo la riforma dell'assistenza, i 17 miliardi arriveranno da un taglio di pari entità di tutte le agevolazioni, deduzioni e detrazioni fiscali.
Nel pacchetto messo a punto dall'esecutivo ci sono poi alcune misure per contrastare l'evasione. A cominciare dalle sanzioni, che possono arrivare fino alla sospensione dai relativi Ordini, dei professionisti che non rilasciano le fatture. Per contrastare l'economia in nero il limite all'uso del contante scende alle transazioni di importo pari o superiore ai 2.500 euro, mentre dal prossimo anno ci sarà una nuova revisione degli studi di settore, lo strumento attraverso il quale gran parte degli autonomi pagano le tasse. Confermato anche l'accorpamento nella domenica delle festività non religiose previste dal Concordato: il 25 aprile, il primo maggio e anche la festa del santo patrono della città, dunque, si andrà a scuola o al lavoro (e senza il pagamento della festività). Il decreto contiene, infine, anche una norma quadro per la liberalizzazione delle professioni.
Mario Sensini

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