martedì 16 agosto 2011

Le carte truccate nei costi delle caste


di Carlo Bollino
Ma alla fine i tagli ai costi della politica ci sono stati oppure no? Prima di rispondere è prudente attendere gli esiti del percorso parlamentare della nuovra manovra, con tutti i prevedibili aggiustamenti e ritocchi che lobbies, partiti e clientele riusciranno ad imporre. Ma a scorrere le 38 pagine che costituiscono il testo attuale (limato fino all’ultimo istante prima del suggello del capo dello Stato), si ha la fastidiosa sensazione che assieme con la riduzione delle poltrone in realtà siano state moltiplicate le Caste.


Perché è ormai evidente, a comparare il diverso livello di tagli, che non ne esiste più una soltanto. È come se all’interno della stessa classe privilegiata, costituita da politici e amministratori pubblici, sia esplosa una ulteriore diversificazione di franchigie, sicchè quanto più si sta in alto (o vicini a Roma), tanto meno si viene toccati dalla scure dei risparmi.

Partiamo dal basso. Almeno 25.000 tra consiglieri e assessori comunali dei 1970 centri fino a mille abitanti, contano praticamente nulla: la Casta li ha sacrificati sull’altare della crisi con un tratto di penna. Eppure, a ben guardare dentro la variegata classe dei pubblici amministratori, sembrano essere i meno privilegiati: nessun benefit, indennità (solo per i mini-sindaci) di poche centinaia di euro al mese con gettoni di presenza ai loro consiglieri che non superano i dieci euro. Nella gran parte dei casi mai neppure riscossi. Ma per loro non c’è stato scampo.

Salendo nella graduatoria dei privilegi si inizia ad entrare in quella degli sprechi: le Province. Anche qui tagli, ma cominciano già i distinguo. Prima erano stati salvati solo gli enti con competenza su oltre 300.000 abitanti, poi sono stati aggiunti anche quelli che coprono un territorio superiore a 3.000 chilometri quadrati. Tra liste aggiornate a depennate alla fine 25 Province sembrano effettivamente destinate a saltare. Insieme ad una trentina di enti non economici con meno di 70 dipendenti e ad alcune decine di migliaia di consiglieri e assessori dei comuni tra 1.000 e 10.000 abitanti e delle Province scampate alla scure, i cui organici elettivi comunque verranno dimezzati.

Saliamo ancora lungo il ripido crinale della Casta, procedendo tra poteri e privilegi che si fanno via via più duri a morire. E approdiamo alle Regioni. Qui i primi tagli riguardano i numeri di consiglieri e assessori (la Puglia ad esempio perde complessivamente 24 poltrone e la Basilicata 13). Poi nel gioco del detto-non detto si scopre che «gli emolumenti e le utilità, comunque denominati, previsti in favore dei consiglieri regionali saranno determinati entro il limite dell'indennità massima spettante ai membri del Parlamento». Sembra una riduzione ma gli esperti di tecnocratese assicurano che a conti fatti il totale degli introiti alla fine non cambierà. Appare destinato a cambiare invece (ma su questo punto pesa più che mai l’incognita del dibattito parlamentare) il sistema di calcolo dei vitalizi: dal metodo retributivo applicato finora, si passerebbe (come per tutti noi comuni mortali) al metodo contributivo. Come dire che le pensioni dei consiglieri regionali verranno finalmente calcolate (come accade per il resto dei pensionati italiani) sull’ammontare dei contributi effettivamente versati e quindi sostanzialmente ridotte. È forse la più pesante picconata ai privilegi degli amministratori regionali.

Ma ancora più in alto, lassù, sulla vetta della Casta, che cosa è rimasto dopo la bufera della nuova manovra? Cominciamo proprio dalla voce più scandalosa: i vitalizi. Ecco, per i parlamentari non è cambiato nulla. Per loro continuerà a valere il sistema di calcolo retributivo, quello che consente di andare in pensione dopo 5 anni di legislatura portandosi a casa 2.238 euro netti al mese. Ma perché se (giustamente) il metodo è stato considerato iniquo per i consiglieri regionali al punto da modificarlo, lo si è invece lasciato intatto per deputati e senatori? Mistero. E le indennità parlamentari? Tagliate del 10% per chi percepisce fino a 90.000 euro di reddito e del 20% per chi supera i 150.000 euro all’anno. Sembrerebbe molto. Ancora: da ora in poi a deputati e senatori verrà ridotta l’indennità del 50% qualora scegliessero di continuare a svolgere la libera professione, e anche questa si presenta come una modifica equa. Ma in realtà lo è molto meno di quanto appaia, perché entrambe le misure (le uniche contenute nel decreto) mettono al riparo dai tagli le diarie e i rimborsi politici, che costituiscono la parte principale degli introiti di un parlamentare, oltretutto esentasse.
La manovra-bis su questi punti, come sul taglio del numero di deputati e senatori, rinvia a decisioni future o demanda a improbabili modifiche costituzionali. Mentre tace del tutto sulla miriade di altri benefici che al contrario delle grandi rivoluzioni, potevano essere corretti già in questa occasione. Tranne che i rimborsi dei viaggi aerei: da ora in poi - si è deciso - parlamentari, amministratori pubblici, e dipendenti delle amministrazioni dello Stato «che si spostano per missioni legate a ragioni di servizio all'interno dell'Unione europea e che utilizzano il mezzo di trasporto aereo, voleranno in classe economica». Peccato che la business class sui voli europei praticamente non esista più. E che per i voli extra europei, dove invece continua ad essere presente, la limitazione di spesa non sia stata introdotta.

Certo, qualche passo in avanti si è fatto, ma il punto è che la Casta si è comportata da Casta anche al suo interno creando una nuova scala di privilegi. E adesso il rischio è che inizi la resa dei conti tra i Potenti, che poi alla fine se qualche taglio non si potrà più fare troveranno certamente a chi far pagare la differenza. E se proprio non troveranno di meglio, ci saremo pur sempre noi.
 

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