giovedì 15 settembre 2011

Federali.sera_15.9.11. Ma che vuol dire, concretamente?----Il Centro Studi di Confindustria torna a sollecitare il governo sul fronte delle riforme necessarie per invertire la rotta. «Agendo contemporaneamente su un insieme di fronti, il Pil - assicura il Csc - può aumentare di decine di punti percentuali in un arco di tempo ragionevole».----Edoardo Narduzzi: Al centro della tempesta finanziaria dell'Eurozona c'è la spesa pubblica e le modalità con la quale essa si forma tramite continui disavanzi annui. Spese maggiori delle entrate pubbliche si traducono ogni anno in un nuovo quantitativo di titoli di Stato da dover emettere per continuare a pagare stipendi, pensioni e servizi del welfare state. Può apparire incredibile, ma da decenni gli opulenti europei vivono a debito rinviando alle generazioni future il conto.----Roberto Perotti: Ci sono esempi di salvataggi di successo: all'inizio degli anni Novanta ci riuscirono Finlandia e Svezia, nel mezzo di una recessione gravissima (quella finlandese rimane ancor oggi la più profonda del dopoguerra in Europa). Ma tre circostanze favorirono il successo dell'iniziativa: i tassi di interesse stavano scendendo vertiginosamente, i due Paesi riuscirono a ridurre il disavanzo considerevolmente, ed entrambi riuscirono a deprezzare il tasso di cambio di oltre il 20 per cento.

Confindustria taglia le stime sul Pil: +0,7% nel 2011, +0,2% nel 2012.
Merkel, eurobond assolutamente sbagliati
I Paesi poveri vanno in aiuto di quelli ricchi
Ma i conti non tornano già prima dell'inizio


Confindustria taglia le stime sul Pil: +0,7% nel 2011, +0,2% nel 2012. Pressione fiscale record
di Nicoletta Cottone
Zavorre, ostacoli, pericoli remano contro il radicamento della ripresa: «i consumi delle famiglie sono fermi», gli investimenti «stagnanti», il mercato del lavoro «rimane imballato». L'Italia soffre, ormai da qualche decennio, "il mal di lenta crescita". Un male che va aggredito con una terapia d'urto.
Pochi occupati, poca crescita, è la denuncia del rapporto del Centro Studi di Confindustria, presentato nel corso del seminario su occupazione e crescita, che si svolge in viale dell'Astronomia, alla presenza della presidente Emma Marcegaglia, e del direttore generale, Giampaolo Galli. Confindustria rivede al ribasso le stime di crescita che, oltre a risentire delle pur «indispensabili e senza alternative manovre per raddrizzare rapidamente i conti pubblici» sono condizionate anche dalla «frenata globale e dall'instabilità dei mercati finanziari, esacerbata anche dalla grave crisi dei debiti sovrani dell'Eurozona».

Una terapia d'urto contro il "mal di lenta crescita"
L'Italia soffre, dunque, ormai da qualche decennio, "il mal di lenta crescita". E «questo male va aggredito con una terapia d'urto, uno short sharp shock». Il Centro Studi di Confindustria torna a sollecitare il governo sul fronte delle riforme necessarie per invertire la rotta. «Agendo contemporaneamente su un insieme di fronti, il Pil - assicura il Csc - può aumentare di decine di punti percentuali in un arco di tempo ragionevole».

Pressione fiscale record nel 2012: salirà al 44,1%
Pressione fiscale record nel 2012 anche per effetto della manovra bis. Secondo il Centro studi di Confindustria quest'anno la pressione fiscale raggiungerà il 42,8% e l'anno prossimo salirà al 44,1%, oltre il massimo storico del 43,7% toccato nel 1997 per l'entrata nell'euro.

Allarme occupazione: 729 mila posti in meno in 5 anni
Il 2012 si chiuderà con 729mila unità di lavoro in meno rispetto al 2007. A lanciare l'allarme è il Centro Studi di Confindustria sottolineando che il tasso di disoccupazione si attesterà all'8,2% nel 2011 e all'8,3% nel 2012. «Il problema di questa crisi – sottolinea il direttore del Csc, Luca Paolazzi - è che la disoccupazione tende a diventare strutturale».

Pil in calo nel 2011
Gli industriali prevedono quindi una crescita del prodotto interno lordo nel 2011 pari allo 0,7%, rispetto alla stima di giugno di un rialzo dello 0,9%. Nel 2012 la crescita dovrebbe addirittuta ridursi allo 0,2%, a confronto con il progresso dell'1,1% previsto tre mesi fa. La situazione, però, come ha spiegato il direttore del centro studi di Confindustria, Luca Paolazzi, illustrando le stime contenute nei consueti scenari economici, «potrebbe migliorare mettendo in campo le riforme». Gli industriali, infatti, stimano che con le riforme e lo sblocco degli investimenti il Pil potrebbe crescere dell'1,5% nel 2012 e di un altro punto percentuale nel 2013. Al momento, in ogni caso - spiegano a viale dell'Astronomia - «sul 2012 incidono gli effetti di tre manovre (quella varata nel 2010 e quelle di luglio e agosto) per complessivi 38,4 miliardi di euro, di cui 25,4 miliardi non conosciuti a giugno. Questi ultimi, comunque, hanno un impatto negativo inferiore al punto percentuale. L'impatto della recessione sull'economia italiana - spiegano gli industriali - é stato il più ampio tra i paesi industrializzati: -6,9% di pil tra il picco nel primo trimestre del 2008 e il minimo toccato nel secondo del 2009».

L'inflazione scenderà al 2% nel 2012
L'inflazione misurata con i prezzi al consumo scenderá dal 2,7% nel 2011 al 2% nel 2012. Le retribuzioni, sottolinea il Centro studi di Confindustria, difendono il potere d'acquisto, che non può essere aumentato in assenza di significativi guadagni di produttivitá.

Zavorre, ostacoli e pericoli remano contro il radicamento della ripresa
Nel quarto anniversario della crisi finanziaria lo scenario economico globale è sensibilmente peggiorato. E l'Italia ha anticipato e accentuato la frenata internazionale. Incidono zavorre, ostacoli, pericoli: il credito è sempre più selettivo, la disoccupazione è elevata, c'è la crisi irrisolta dei debiti sovrani, il caro energia, il costo del denaro in aumento, la fragilità dei mercati immobiliari, l'eccesso di capacità produttiva a livello mondiale in molti comparti, che impone una ristrutturazione. Tutti fattori, spiega lo studio coordinato da Luca Paolazzi, «che remano contro il radicamento della ripresa».

Crollano i consumi delle famiglie
Crollano i consumi delle famiglie italiane. Nel 2011 risultano pari allo 0,7% e nel 2011 scendono allo 0,1% per cento. Andamento che porterà le famiglie ad «abbassare ulteriormente la già notevolmente intaccata capacità di risparmio» in quanto il reddito disponibile peggiora in termini reali: -0,8% nel 2011 e -1,1% nel 2012. Il benessere degli italiani è, dunque, in declino, ai livelli del 1999. Il Centro Studi di Confindustria spiega che «in termini assoluti il Pil procapite sarà l'anno prossimo del 6,9% inferiore a quanto era nel 2007 e ai livelli del 1999». Dunque «ai dieci anni perduti se ne sono aggiunti altri tre. In termini relativi, rispetto alla media europea, il reddito degli italiani passa dal 107% nel 1996 al 93% nel 2012».

Circolo vizioso fra bassa crescita e bassa occupazione
L'exit strategy dagli elevati deficit di bilancio ha, stando alle parole dell'FMI, come effetto di breve periodo, la riduzione della produzione e l'innalzamento della disoccupazione, soprattutto se il risanamento dei conti pubblici avviene con maggiori imposte. C'è un circolo vizioso fra bassa crescita e bassa occupazione. «Senza una ripresa più sostenuta non si crea un numero adeguato di nuovi posti di lavoro», sottolinea il rapporto. E senza i nuovi posti di lavoro «non ripartono i consumi e la ripresa non si consolida».
 15 settembre 2011

Merkel, eurobond assolutamente sbagliati
Germania ha obbligo di favorire stabilizzazione eurozona
15 settembre, 11:09
(ANSA) - ROMA, 15 SET - Gli 'Eurobond' sono un'idea ''assolutamente sbagliata'': a bocciare l'ipotesi delle obbligazioni garantite congiuntamente dai Paesi membri dell'euro e' il cancelliere tedesco Angela Merkel, secondo cui la Germania ha un obbligo a favorire una stabilizzazione dell'area euro.

I Paesi poveri vanno in aiuto di quelli ricchi
 di Edoardo Narduzzi  
Alla fine, ciò che nel secolo scorso sembrava fantascienza economica, si è fatto realtà. I Paesi delle cosiddette economie emergenti si preparano ad aiutare la Ue investendo nei titoli rappresentativi del suo debito pubblico. I poveri di un tempo, dunque, che hanno saputo resistere, pur essendo in taluni casi governati da comunisti o ex comunisti, alle sirene del welfare state onnivoro per scegliere un modello di sviluppo diverso, sono pronti ad aiutare la transizione dalla spesa pubblica novecentesca al nuovo equilibrio delle economie occidentali. I rappresentanti dei Paesi cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) si riuniranno la prossima settimana a Washington e discuteranno la possibilità di offrire aiuti all'Unione europea, alle prese con la crisi del debito. Ad anticipare la notizia è stato il ministro delle finanze brasiliano, Guido Mantega. «I Paesi Brics», ha detto Mantega nel corso di una conferenza stampa, «si riuniranno la prossima settimana a Washington e discuteranno di come poter aiutare l'Unione europea a uscire da questa situazione». Al centro della tempesta finanziaria dell'Eurozona c'è la spesa pubblica e le modalità con la quale essa si forma tramite continui disavanzi annui. Spese maggiori delle entrate pubbliche si traducono ogni anno in un nuovo quantitativo di titoli di Stato da dover emettere per continuare a pagare stipendi, pensioni e servizi del welfare state. Può apparire incredibile, ma da decenni gli opulenti europei vivono a debito rinviando alle generazioni future il conto. Ora che la globalizzazione ha spostato il motore della crescita dal Vecchio continente ai Brics, appunto, la rimborsabilità del debito pubblico si è fatta critica. O almeno così pensano i mercati finanziari che hanno iniziato a pretendere premi per il rischio, cioè spread rispetto ai titoli più sicuri, sulle obbligazioni degli Stati europei con più debito sulle spalle. Da qui la necessità di un aiuto, sotto forma di impiego delle riserve valutarie accumulate dai Brics grazie alle esportazioni, delle economie emergenti a quelle opulente. Ovviamente anche i Brics, come chiunque presta denari, pretenderanno qualche garanzia. Chiederanno probabilmente alle economie europee aiutate di spingere con le riforme strutturali che ancora lasciano sopravvivere nella Ue una spesa pubblica eccessivamente ampia. Così si arriverà al paradosso che, a rendere finanziariamente sostenibile il welfare state europeo, saranno le richieste delle colonie di un tempo che hanno intelligentemente scelto un modello di sviluppo meno statalistico e più di mercato. Un effetto davvero originale della globalizzazione.

Ma i conti non tornano già prima dell'inizio
di Roberto Perotti
 Ormai è quasi certo: la Grecia farà qualche forma di default. E dopo? Uno scenario plausibile è che il default greco aggravi (direttamente o per un effetto contagio) la situazione, già seria, di alcune importanti banche italiane e francesi. È opinione comune che i loro Governi non le lasceranno mai fallire. Non sarà così facile.
La crisi attuale è per certi versi meno grave (per ora) di quella del 2008-2009: il mercato interbancario, per esempio, non si è bloccato. Ma per un aspetto è più seria: in molti Paesi la politica di bilancio, che allora sembrava lo strumento ovvio, non è praticabile. Tra questi Paesi c'è l'Italia. Per salvare un sistema finanziario lo Stato può creare una "bad bank", prestare alle banche, ricapitalizzarle, garantirne le obbligazioni, o tutte le passività come in Irlanda. Tutte queste operazioni comportano delle spese effettive o delle assunzioni di passività. Nessuna di queste opzioni è più disponibile allo Stato italiano; se assumesse nuove passività, affonderebbe nel tentativo di salvare il sistema finanziario. Due individui che non sanno nuotare si trascinano sott'acqua a vicenda se si aggrappano l'uno all'altro.

 Il caso dell'Irlanda è istruttivo. Nel 2009 l'idea di garantire tutte le passività bancarie fu salutata come un colpo di genio, e molti invitarono gli altri Paesi a imitarla. Oggi il Paese è sull'orlo di un default a causa di quella mossa. Ci sono esempi di salvataggi di successo: all'inizio degli anni Novanta ci riuscirono Finlandia e Svezia, nel mezzo di una recessione gravissima (quella finlandese rimane ancor oggi la più profonda del dopoguerra in Europa). Ma tre circostanze favorirono il successo dell'iniziativa: i tassi di interesse stavano scendendo vertiginosamente, i due Paesi riuscirono a ridurre il disavanzo considerevolmente, ed entrambi riuscirono a deprezzare il tasso di cambio di oltre il 20 per cento.

 Nessuna di queste condizioni si applica all'Italia attuale (a meno che, ovviamente, non abbandoni l'euro...). Che fare? La risposta unanime è: «attuare misure per la crescita». Ma è ora di riconoscere quello che tutti vedono e non osano dire: la partita si gioca nel giro dei prossimi mesi, sarebbe bello sapere quali misure attuare per generare la crescita, e ancora più bello sapere quali di queste misure generano una crescita immediata.
 Purtroppo anche l'idea (a cui, erroneamente, ha aderito anche il sottoscritto in passato) che i grandi tagli di bilancio abbiano di per sé effetti espansivi sul Pil anche nel breve periodo si è rivelata un'illusione: i Paesi dove il Pil è cresciuto mentre si tagliava drasticamente la spesa pubblica solitamente hanno beneficiato di un forte deprezzamento del cambio e di un aumento della domanda estera. L'esperienza della Grecia attuale, che ha tagliato senza deprezzare il cambio e si è ritrovata con una recessione del 5%, è una conferma.

 Il dramma dell'Italia è che essa, come la Grecia due anni fa, non ha il lusso della scelta: deve tagliare nel mezzo di un rallentamento, anche se ciò provoca un rallentamento ulteriore. Anche dopo l'ultima manovra l'obiettivo del pareggio di bilancio sarà molto probabilmente irraggiungibile. L'Italia ha dunque bisogno di un'altra manovra, non per fare spazio al salvataggio del sistema finanziario e ancor meno per stimolare la crescita, bensì semplicemente per calmare i mercati con un segnale forte.

 Ma il dramma ancora più profondo è che i tagli necessari non verranno mai: in un Paese che è sceso in piazza per protestare contro tagli alle pensioni per poche centinaia di milioni (meno dello 0,1% del Pil) fra due anni, e in cui il premier e il suo Governo si sono dimostrati chiaramente inadatti a gestire l'emergenza, come si può pensare di tagliare le decine di miliardi necessarie per calmare i mercati?
 L'Italia rischia dunque di avvicinarsi verso ciò che non si può pronunciare: il default. Si può chiamarlo in tanti modi (per esempio una patrimoniale ad hoc che includa i titoli di Stato), ma l'esito non è più inverosimile come si pensava fino a poco fa. E a seconda di come viene attuato, un default italiano può trascinare con sé i sistemi finanziari di tanti altri Paesi.
 15 settembre 2011

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