venerdì 18 novembre 2011

Federali.mattino_18.11.11. Il signor Gianfranco Miccichè, Magnifico Leader di Grande Sud - ancor oggi Segretario del Cipe, controfirmatario delle delibere sui Fas rubati dai padani al Mezzogiorno, esterna a Francesco Parrella: È un bellissimo governo, dice il sottosegretario in una intervista al quotidiano La Stampa. Io mi fido di Fabrizio Barca, il titolare del nuovo ministero della Coesione nazionale che ha preso il posto di quello al Federalismo, tanto caro alla Lega. Non c’è la Lega, aggiunge, era la sua presenza ad essere cancerogena. Il problema non è che ci siano uomini del Nord al governo, ma uomini del Nord che odiano il Sud, mentre Barca adora il Sud, così come Passera.----Oca Giuliva - al secolo Raffaele Fitto - celeberrimo Ministro, pare si dia alla comicita’, annaspa le penne con Francesco G. Gioffredi: Mi ha fatto molto piacere toccare con mano il lavoro di questi anni: ho avuto molti attestati di stima, e le valutazioni su una mia riconferma erano frutto di una constatazione su quanto fatto. Questo mi fa lasciare senza rimpianti: i ruoli oggi ci sono, domani no, conta solo lavorare bene.----Monti: il Mezzogiorno e’ modulare. Ma che dice il bocconiano scelto da Berlusconi?----E in queste ore nel mirino sono finite proprio le aste dei titoli pubblici francesi e spagnoli. Di fatto gli analisti meno teneri con Parigi ritengono che la perdita della tripla A per la Francia non sia più un errore di S&P, ma una dura realtà e che i piani di rigore fin qui presentati non sono serviti a rassicurare i mercati.----Come si scrive: siamo nella merda, in francese?

La Regione ha rovinato Termini Imerese
Governo Monti: il testo integrale del discorso in Senato
Miccichè: «Governo nordista? Bene, il Sud sarà più tutelato»
Fitto: «Crisi drammatica, questo esecutivo è l'unica soluzione Risparmio famiglie: azioni ed obbligazioni in calo
Germania, crisi Eurozona richiede istituzione forte
Francia: Spread oltre 200, Sarkozy preme su Bce
Sarkozy blocca il piano di tagli alla Peugeot: nessun licenziamento in Francia
Eurotower.
Bimbi russi e il lusso degli asili



La Regione ha rovinato Termini Imerese
Era il giugno 2007 quando Marchionne chiese alla Regione la disponibilità a investire 150 milioni nel territorio per consentire la prosecuzione dell’attività. L’Ad della Fiat dette un termine di tre mesi. L’allora governo Cuffaro cominciò a fare proclami, dichiarò la propria disponibilità, disse che le risorse finanziarie c’erano e che tutto era pronto per varare il piano di rilancio dello stabilimento termitano. Come tutte le cose che accadono in Sicilia, i proclami restarono tali, fatti non se ne videro. Marchionne non disse niente e continuò nel suo programma di dismissione del cespite, pur assegnandosi un lasso di tempo di 4 anni.
I parolai di quel governo hanno causato il distacco della spina che avverrà martedì 23 novembre in via definitiva. In questi 4 anni una valanga di chiacchiere senza alcun fatto concreto ha invaso le pagine dei giornali, ma il governo Lombardo non è stato in condizione, almeno fino ad oggi, di concludere una seria trattativa.
Prima Rossignolo con la De Tommaso, dopo Di Risio con la Dr, non è riuscito a firmare un protocollo d’intesa che consenta la riattivazione dello stabilimento automobilistico.

La Fiat ha dichiarato che è disposta a cederlo a 1 euro, quindi gratis, vi è una manodopera qualificata seppur non formata sugli ultimi procedimenti costruttivi, vi è l’ulteriore disponibilità (a parole) del governo regionale d’investire 150 milioni, ma tutto resta a livello d’intenzioni.
Vi è una ragione di fondo e cioè che una unità produttiva di appena 60 mila pezzi all’anno non ha la dimensione sufficiente per stare in equilibrio. Si aggiunga che Di Risio è un importante concessionario del Molise, ma non fa una vera attività produttiva. Ciò non toglie che potrebbe avviarla.
In questa faccenda tutte le parti, a cominciare da chi ha la maggior responsabilità oggettiva, e cioè il governo regionale, non ha tenuto in considerazione il fattore tempo che è essenziale per realizzare dei progetti. O si colgono le opportunità nel momento giusto oppure esse passano via e non è facile ricoglierle.
In Sicilia, nel settore istituzionale e pubblico, quasi nessuno ha la cognizione che le cose si realizzano in un certo tempo e non di più.

Nel bellissimo territorio termitano, attivare una fabbrica in un settore maturo, ove vi sono grandi difficoltà per la concorrenza spietata dei gruppi industriali europei ed extraeuropei, con margini molto ridotti, l’impresa è quasi impossibile.
 Ecco perché, fin dal 2007, da questo foglio abbiamo lanciato la soluzione di convertire tale territorio in un insediamento turistico-alberghiero. Prendendo atto della disponibilità della Fiat a non chiedere risarcimento per la cessione degli stabili, la riconversione poteva (e potrebbe) essere fattibile.
 Mettere all’asta internazionale un territorio così adatto ad attività di ospitalità e ludiche, avrebbe attratto l’interesse di molteplici gruppi che potevano esser contattati anche mediante un road show internazionale. Anche per questo progetto bisognava sfruttare il tempo che ormai è trascorso dal 2007 ad oggi.
 Ma noi siamo campioni di lassismo e del rinvio: tanto qualcuno ci penserà domani. 

 Dobbiamo ricordare che la strada del poi, poi porta a quella del mai, mai. Un detto saggio che è diventato una costante sia del ceto politico regionale che della burocrazia isolana.
 Il disastro che si sta verificando nel non aver impegnato e speso i fondi europei è roba da galera, per la inefficienza e incapacità dei dirigenti regionali di finanziare i progetti presentati da imprese ed enti pubblici. Tutto questo fa retrocedere la nostra economia, crea nuovi disoccupati, come il caso di Termini Imerese, e non produce nuovo lavoro con la conseguenza di giovani che non trovano opportunità.
 È il momento topico per invertire la rotta e passare da una conduzione politica dissennata (vogliono assumere altri 750 dipendenti!) ad un’altra virtuosa e capace di produrre risultati, secondo un ferreo cronoprogramma, che deve essere reso noto ai siciliani e verificato ogni mese.
 Solo in tal modo si può consentire all’opinione pubblica di raffrontare obiettivi, risultati e tempi di realizzazione, nonché risorse impegnate. In altri termini, occorre che si proceda con professionalità e coscienza.

Governo Monti: il testo integrale del discorso in Senato
 Giovedì 17 Novembre 2011 18:20
Signor Presidente, onorevoli senatrici, onorevoli senatori, è con grande emozione che mi rivolgo a voi come primo atto del percorso rivolto ad ottenere la fiducia del Parlamento al Governo ieri costituito.
L'emozione è accresciuta dal fatto che prendo oggi la parola per la prima volta in questa Aula nella quale mi avete riservato qualche giorno fa un'accoglienza che mi ha commosso. Sono onorato di entrare a far parte del Senato della Repubblica. Desidero rivolgere un saluto deferente al Capo dello Stato, presidente Napolitano che con grande saggezza, perizia e senso dello Stato ha saputo risolvere una situazione difficile in tempi ristrettissimi nell'interesse del Paese e di tutti i cittadini.
Vorrei anche rinnovargli la mia gratitudine per la fiducia accordata alla mia persona, per il sostegno e la partecipazione che mi ha costantemente assicurato nei miei sforzi per comporre un Governo che potesse soddisfare le richieste delle forze politiche e, al contempo, dare risposte efficaci alle gravi sfide che il nostro Paese ha di fronte a sé.

Rivolgo il mio saluto ai Presidenti emeriti della Repubblica, ai senatori a vita e a tutti i senatori. Mi auguro di poter stabilire con ciascuno di voi anche un rapporto personale come vostro collega, sia pure l'ultimo arrivato.

Il Parlamento è il cuore pulsante di ogni politica di Governo, lo snodo decisivo per il rilancio e il riscatto della vita democratica. Al Parlamento vanno riconosciute e rafforzate attraverso l'azione quotidiana di ciascuno di noi dignità, credibilità e autorevolezza.
Da parte mia, da parte nostra, vi sarà sempre una chiara difesa del ruolo di entrambe le Camere quali protagoniste del pubblico dibattito.
Un ringraziamento specifico e molto sentito desidero, infine, esprimere al vostro, al nostro, Presidente. Il presidente Schifani ha voluto accogliermi, fin dal primo istante di questa mia missione - come potete immaginare, non semplicissima - svoltasi, in gran parte, a Palazzo Giustiniani, con una generosità e una cordialità che non potrò dimenticare.

Rivolgo, infine, un pensiero rispettoso e cordiale al presidente, onorevole dottor Silvio Berlusconi mio predecessore, del quale mi fa piacere riconoscere l'impegno nel facilitare in questi giorni la mia successione nell'incarico.

Il Governo riconosce di essere nato per affrontare in spirito costruttivo e unitario una situazione di seria emergenza. Vorrei usare questa espressione: Governo di impegno nazionale. Governo di impegno nazionale significa assumere su di sé il compito di rinsaldare le relazioni civili e istituzionali, fondandole sul senso dello Stato. È il senso dello Stato, è la forza delle istituzioni, che evitano la degenerazione del senso di famiglia in familismo, dell'appartenenza alla comunità di origine in localismo, del senso del partito in settarismo. Ed io ho inteso fin dal primo momento il mio servizio allo Stato non certo con la supponenza di chi, considerato tecnico, venga per dimostrare un'asserita superiorità della tecnica rispetto alla politica. Al contrario, spero che il mio Governo ed io potremo, nel periodo che ci è messo a disposizione, contribuire in modo rispettoso e con umiltà a riconciliare maggiormente - permettetemi di usare questa espressione - i cittadini e le istituzioni, i cittadini alla politica.

Io vorrei, noi vorremmo, aiutarvi tutti a superare una fase di dibattito, che fa parte naturalmente della vita democratica, molto, molto, accesa, e consentirci di prendere insieme, senza alcuna confusione delle responsabilità, provvedimenti all'altezza della situazione difficile che il Paese attraversa, ma con la fiducia che la politica che voi rappresentate sia sempre più riconosciuta, e di nuovo riconosciuta, come il motore del progresso del Paese.

Le difficoltà del momento attuale. L'Europa sta vivendo i giorni più difficili dagli anni del secondo dopoguerra. Il progetto che dobbiamo alla lungimiranza di grandi uomini politici, quali furono Konrad Adenauer, Jean Monnet, Robert Schuman e - sottolineo in modo particolare - Alcide De Gasperi () e che per sessant'anni abbiamo perseguito, passo dopo passo, dal Trattato di Roma - non a caso di Roma - all'atto unico, ai Trattati di Maastricht e di Lisbona, è sottoposto alla prova più grave dalla sua fondazione.

Un fallimento non sarebbe solo deleterio per noi europei. Farebbe venire meno la prospettiva di un mondo più equilibrato in cui l'Europa possa meglio trasmettere i suoi valori ed esercitare il ruolo che ad essa compete, in un mondo sempre più bisognoso di una governance multilaterale efficace.

Non illudiamoci, onorevoli senatori, che il progetto europeo possa sopravvivere se dovesse fallire l'Unione Monetaria. La fine dell'euro disgregherebbe il mercato unico, le sue regole, le sue istituzioni. Ci riporterebbe là dove l'Europa era negli anni cinquanta.

La gestione della crisi ha risentito di un difetto di governance e, in prospettiva, dovrà essere superata con azioni a livello europeo. Ma solo se riusciremo ad evitare che qualcuno, con maggiore o minore fondamento, ci consideri l'anello debole dell'Europa, potremo ricominciare a contribuire a pieno titolo all'elaborazione di queste riforme europee. Altrimenti ci ritroveremo soci di un progetto che non avremo contribuito ad elaborare, ideato da Paesi che, pur avendo a cuore il futuro dell'Europa, hanno a cuore anche i lori interessi nazionali, tra i quali non c'è necessariamente una Italia forte.

Il futuro dell'euro dipende anche da ciò che farà l'Italia nelle prossime settimane, anche e non solo, ma anche. Gli investitori internazionali detengono quasi metà del nostro debito pubblico. Dobbiamo convincerli che abbiamo imboccato la strada di una riduzione graduale ma durevole del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Quel rapporto è oggi al medesimo livello al quale era vent'anni fa ed è il terzo più elevato tra i Paesi dell'OCSE. Per raggiungere questo obiettivo intendiamo far leva su tre pilastri: rigore di bilancio, crescita ed equità.

Nel ventennio trascorso l'Italia ha fatto molto per riportare in equilibrio i conti pubblici, sebbene alzando l'imposizione fiscale su lavoratori dipendenti e imprese, più che riducendo in modo permanente la spesa pubblica corrente. Tuttavia, quegli sforzi sono stati frustrati dalla mancanza di crescita. L'assenza di crescita ha annullato i sacrifici fatti. Dobbiamo porci obiettivi ambiziosi sul pareggio di bilancio, sulla discesa del rapporto tra debito e PIL. Ma non saremo credibili, neppure nel perseguimento e nel mantenimento di questi obiettivi, se non ricominceremo a crescere.

Ciò che occorre fare per ricominciare a crescere è noto da tempo. Gli studi dei migliori centri di ricerca italiani avevano individuato le misure necessarie molto prima che esse venissero recepite nei documenti che in questi mesi abbiamo ricevuto dalle istituzioni europee. Non c'è nessuna originalità europea nell'aver individuato ciò che l'Italia deve fare per crescere di più. È un problema del sistema italiano riuscire a decidere e poi ad attuare quanto noi italiani sapevamo bene fosse necessario per la nostra crescita.

Non vediamo i vincoli europei come imposizioni. Anzitutto permettetemi di dire, e me lo sentirete affermare spesso, che non c'è un loro e un noi. L'Europa siamo noi.

Quelli che poi ci vengono in un turbinio di messaggi, di lettere e di deliberazioni dalle istituzioni europee sono per lo più provvedimenti rivolti a rendere meno ingessata l'economia, a facilitare la nascita di nuove imprese e poi indurne la crescita, migliorare l'efficienza dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, favorire l'ingresso nel mondo del lavoro dei giovani e delle donne, le due grandi risorse sprecate del nostro Paese.

L'obiezione che spesso si oppone a queste misure è che esse servono, certo, ma nel breve periodo fanno poco per la crescita. È un'obiezione dietro la quale spesso si maschera - riconosciamolo - chi queste misure non vuole, non tanto perché non hanno effetti sulla crescita nel breve periodo (che è vero che non hanno), ma perché si teme che queste misure ledano gli interessi di qualcuno. Ma, evidentemente, più tardi si comincia, più tardi arriveranno i benefìci delle riforme. Ma, soprattutto, le scelte degli investitori che acquistano i nostri titoli pubblici sono guidate sì da convenienze finanziarie immediate, ma - mettiamocelo in testa - sono guidate anche dalle loro aspettative su come sarà l'Italia fra dieci o vent'anni, quando scadranno i titoli che acquistano oggi.

Quindi, non c'è iato la tra le cose che dobbiamo o fare oggi o avviare oggi, anche se avranno effetti lontani, perché anche gli investitori, che ci premiano o ci puniscono, agiscono oggi, ma guardano anche agli effetti lontani.

Riforme che hanno effetti anche graduali sulla crescita, influendo sulle aspettative degli investitori, possono riflettersi in una riduzione immediata dei tassi di interesse, con conseguenze positive sulla crescita stessa. I sacrifici necessari per ridurre il debito e per far ripartire la crescita dovranno essere equi. Maggiore sarà l'equità, più accettabili saranno quei provvedimenti e più ampia - mi auguro - sarà la maggioranza che in Parlamento riterrà di poterli sostenere. Equità significa chiedersi quale sia l'effetto delle riforme non solo sulle componenti relativamente forti della società, quelle che hanno la forza di associarsi, ma anche sui giovani e sulle donne. Dobbiamo renderci conto che, se falliremo e se non troveremo la necessaria unità di intenti, la spontanea evoluzione della crisi finanziaria ci sottoporrà tutti, ma soprattutto le fasce più deboli della popolazione, a condizioni ben più dure.

La crisi che stiamo vivendo è internazionale; questo è ovvio, ma conviene ripeterlo ogni volta, anche ad evitare demonizzazioni. È internazionale, lo sto dicendo a tutti. Ma l'Italia ne ha risentito in maniera particolare. Secondo la Commissione europea, al termine del prossimo anno il prodotto interno lordo dell'Italia sarebbe ancora quattro punti e mezzo al di sotto del livello raggiunto prima della crisi. Per la stessa data, l'area dell'euro nel suo complesso avrebbe invece recuperato la perdita di prodotto dovuta alla crisi. Francia e Germania raggiungerebbero il traguardo di riportarsi al livello precrisi nell'anno in corso. La relativa debolezza della nostra economia precede l'avvio della crisi.

Tra il 2001 e il 2007 il prodotto italiano è cresciuto di 6,7 punti percentuali, contro i 12 della media dell'area dell'euro, i 10,8 della Francia e gli 8,3 della Germania. I risultati sono deludenti al Nord come al Sud. E non vi propongo un paragone con la Cina o con altri Paesi emergenti, ma con i nostri colleghi ed amici stretti della zona euro. La crisi ha colpito più duramente i giovani. Ad esempio, nei 15 Paesi che componevano l'Unione europea fino al 2004, tra il 2007 e il 2010 il tasso di disoccupazione nella classe di età 15-24 anni è aumentato di cinque punti percentuali, in Italia di 7,6 punti percentuali.

Il nostro Paese rimane caratterizzato da profonde disparità territoriali. Il lungo periodo di bassa crescita e la crisi le hanno accentuate. Esiste una questione meridionale: infrastrutture, disoccupazione, innovazione, rispetto della legalità.
I problemi nel Mezzogiorno vanno affrontati non nella logica del chiedere di più, ma di una razionale modulazione delle risorse.

Esiste anche una questione settentrionale: costo della vita, delocalizzazione, nuove povertà, bassa natalità.

Il riequilibrio di bilancio, le riforme strutturali e la coesione territoriale richiedono piena e leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali.

Occorre riconoscere il valore costituzionale delle autonomie speciali, nel duplice binario della responsabilità e della reciprocità.

In quest'ottica, per rispondere alla richiesta formulata dalle istituzioni territoriali che, devo dire, ho ascoltato con molta attenzione...

Se dovete fare una scelta - mi permetto di rivolgermi a tutti - ascoltate, non applaudite!

Non ripeterò l'importanza del valore costituzionale delle autonomie speciali, perché altrimenti arrivano di nuovo ; l'ho già detto e lo avete ascoltato.

In quest'ottica - come stavo dicendo – per rispondere alla richiesta formulata dalle istituzioni territoriali nel corso delle consultazioni, ho deciso di assumere direttamente in questa prima fase le competenze relative agli affari regionali. Spero in questo modo di manifestare una consapevolezza condivisa circa il fatto che il lavoro comune con le autonomie territoriali debba proseguire e rafforzarsi, nonostante le difficoltà dell'agenda economica. In tale prospettiva si dovrà operare senza indugio per un uso efficace dei fondi strutturali dell'Unione europea.
Sono consapevole che sarebbe un'ambizione eccessiva da parte mia e da parte nostra pretendere di risolvere in un arco di tempo limitato, qual è quello che ci separa dalla fine di questa legislatura, problemi che hanno origini profonde e che sono radicati in consuetudini e comportamenti consolidati. Ciò che si prefiggiamo di fare è impostare il lavoro, mettere a punto gli strumenti che permettano ai Governi che ci succederanno di proseguire un processo di cambiamento duraturo.

Per questo il programma che vi sottopongo oggi si compone di due parti, che hanno obiettivi ed orizzonti temporali diversi. Da un lato, vi è una serie di provvedimenti per affrontare l'emergenza, assicurare la sostenibilità della finanza pubblica, restituire fiducia nelle capacità del nostro Paese di reagire e sostenere una crescita duratura ed equilibrata. Dall'altro lato, si tratta di delineare con iniziative concrete un progetto per modernizzare le strutture economiche e sociali, in modo da ampliare le opportunità per le imprese, i giovani, le donne e tutti i cittadini, in un quadro di ritrovata coesione sociale e territoriale.

In considerazione dell'urgenza con la quale abbiamo dovuto operare per la formazione di questo Governo - ed in questo senso voglio ringraziare le diverse forze politiche che, nei miei confronti, figura estranea al vostro mondo, si sono gentilmente e con sollecitudine apprestate all'ascolto e all'offerta di contributi dei quali ho cercato di tenere conto - quello che intendo fare oggi è semplicemente presentarvi gli aspetti essenziali dell'azione che intendiamo svolgere. Se otterremo la fiducia del Parlamento, ciascun Ministro esporrà alle Commissioni parlamentari competenti le politiche attraverso le quali, nei singoli settori, queste azioni verranno avviate.

È in discussione in Parlamento una proposta di legge costituzionale per introdurre un vincolo di bilancio in pareggio per le amministrazioni pubbliche, in coerenza con gli impegni presi nell'ambito dell'Eurogruppo.
L'adozione di una regola di questo tipo può contribuire a mantenere nel tempo il pareggio di bilancio programmato per il 2013, evitando che i risultati conseguiti con intense azioni di risanamento vengano erosi negli anni successivi, come è accaduto in passato. Affinché il vincolo sia efficace, dovranno essere chiarite le responsabilità dei singoli livelli di Governo.

A questo proposito ed anche in considerazione della complessità della regola, ad esempio l'aggiustamento per il ciclo, sarà opportuno studiare l'esperienza di alcuni Paesi europei che hanno affidato ad autorità indipendenti la valutazione del rispetto sostanziale della regola, dato che in questa materia la credibilità nei confronti di noi stessi e del mondo è un requisito essenziale. Sarà anche necessario attuare rapidamente l'armonizzazione dei bilanci delle amministrazioni pubbliche. Opportunamente la proposta di legge in discussione in Parlamento già prevede l'assegnazione allo Stato della potestà legislativa esclusiva in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici. Nell'immediato daremo piena attuazione alle manovre varate nel corso dell'estate, completandole attraverso interventi in linea con la lettera di intenti inviata alle autorità europee.

Nel corso delle prossime settimane valuteremo la necessità di ulteriori correttivi. Una parte significativa della correzione dei saldi programmata durante l'estate è attesa dall'attuazione della riforma dei sistemi fiscale ed assistenziale. Dovremmo pervenire al più presto ad una definizione di tale riforma e ad una valutazione prudenziale dei suoi effetti. Dovranno inoltre essere identificati gli interventi, volti a colmare l'eventuale divario rispetto a quelli indicati nella manovra di bilancio.

Di fronte ai sacrifici che sono stati e che dovranno essere richiesti ai cittadini sono ineludibili interventi volti a contenere i costi di funzionamento degli organi elettivi. I soggetti che ricoprono cariche elettive, i dirigenti designati politicamente nelle società di diritto privato, finanziate con risorse pubbliche, più in generale quanti rappresentano le istituzioni ad ogni livello politico ed amministrativo, dovranno agire con sobrietà ed attenzione al contenimento dei costi, dando un segnale concreto ed immediato. Si dovranno rafforzare gli interventi effettuati con le ultime manovre di finanza pubblica, con l'obiettivo di allinearci rapidamente alle best practices europee.

Per quanto di mia diretta competenza, avvierò immediatamente una spending review del Fondo unico della Presidenza del Consiglio. Ritengo inoltre necessario ridurre le sovrapposizioni tra i livelli decisionali e favorire la gestione integrata dei servizi per gli Enti locali di minori dimensioni. Il riordino delle competenze delle Province può essere disposto con legge ordinaria. La prevista specifica modifica della Costituzione potrà completare il processo, consentendone la completa eliminazione, così come prevedono gli impegni presi con l'Europa.

Per garantire la natura strutturale della riduzione delle spese dei Ministeri, decisa con la legge di stabilità, andrà definito rapidamente il programma per la riorganizzazione della spesa, previsto dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in particolare per quanto riguarda l'integrazione operativa delle agenzie fiscali, la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell'amministrazione dello Stato, il coordinamento delle attività delle forze dell'ordine, l'accorpamento degli enti della previdenza pubblica, la razionalizzazione dell'organizzazione giudiziaria.

Gli interventi saranno coordinati con la spending review in corso, che intendo rafforzare e rendere particolarmente incisiva con la precisa individuazione di tempi e responsabilità. Negli scorsi anni la normativa previdenziale è stata oggetto di ripetuti interventi, che hanno reso a regime il sistema pensionistico italiano tra i più sostenibili in Europa e tra i più capaci di assorbire eventuali shock negativi. Già adesso l'età di pensionamento, nel caso di vecchiaia, tenendo conto delle cosiddette finestre, è superiore a quella dei lavoratori tedeschi e francesi.

Il nostro sistema pensionistico rimane però caratterizzato da ampie disparità di trattamento tra diverse generazioni e categorie di lavoratori, nonché da aree ingiustificate di privilegio.

Il rispetto delle regole e delle istituzioni e la lotta all'illegalità riceveranno attenzione prioritaria da questo Governo. Per riacquistare fiducia nel futuro dobbiamo avere fiducia nelle istituzioni che caratterizzano uno Stato di diritto, quindi si procederà alla lotta all'evasione fiscale e all'illegalità, non solo per aumentare il gettito (il che non guasta), ma anche per abbattere le aliquote: questo può essere fatto con efficacia prestando particolare attenzione al monitoraggio della ricchezza accumulata (ho detto monitoraggio della ricchezza accumulata) e non solo ai redditi prodotti.

L'evasione fiscale continua a essere un fenomeno rilevante: il valore aggiunto sommerso è quantificato nelle statistiche ufficiali in quasi un quinto del prodotto. Interventi incisivi in questo campo possono ridurre il peso dell'aggiustamento sui contribuenti che rispettano le norme. Occorre ulteriormente abbassare la soglia per l'uso del contante, favorire un maggior uso della moneta elettronica, accelerare la condivisione delle informazioni tra le diverse amministrazioni, potenziare e rendere operativi gli strumenti di misurazione induttiva del reddito e migliorare la qualità degli accertamenti.

Il decreto legislativo n. 23 del 14 marzo 2011 prevede per il 2014 l'entrata in vigore dell'imposta municipale che assorbirà l'attuale ICI, escludendo tuttavia la prima casa e l'IRPEF sui redditi fondiari da immobili non locati, comprese le relative addizionali. In questa cornice intendiamo riesaminare il peso del prelievo sulla ricchezza immobiliare: tra i principali Paesi europei, l'Italia è caratterizzata da un'imposizione sulla proprietà immobiliare che risulta al confronto particolarmente bassa. L'esenzione dall'ICI delle abitazioni principali costituisce, sempre nel confronto internazionale, una peculiarità - se non vogliamo chiamarla anomalia - del nostro ordinamento tributario.

Il primo elenco di cespiti immobiliari da avviare a dismissione sarà definito nei tempi previsti dalla legge di stabilità, cioè entro il 30 aprile 2012. La lettera d'intenti inviata alla Commissione europea prevede proventi di almeno 5 miliardi all'anno nel prossimo triennio. A tale scopo verrà definito un calendario puntuale per i successivi passi del piano di dismissioni e di valorizzazione del patrimonio pubblico. Tuttavia, è necessario volgere tutte le politiche pubbliche, a livello macroeconomico e microeconomico, a sostegno della crescita, sia pure nei limiti determinati dal vincolo di bilancio.

La pressione fiscale in Italia è elevata nel confronto storico e in quello internazionale (nel testo scritto che avrete a disposizione si danno ulteriori elementi). Nel tempo e via via che si manifesteranno gli effetti della spending review sarà possibile programmare una graduale riduzione della pressione fiscale; tuttavia anche prima, a parità di gettito, la composizione del prelievo fiscale può essere modificata in modo da renderla più favorevole alla crescita. Coerentemente con il disegno della delega fiscale e della clausola di salvaguardia che la accompagna, una riduzione del peso delle imposte e dei contributi che gravano sul lavoro e sull'attività produttiva, finanziata da un aumento del prelievo sui consumi e sulla proprietà, sosterrebbe la crescita senza incidere sul bilancio pubblico.

Dal lato della spesa, un impulso all'attività economica potrà derivare da un aumento del coinvolgimento dei capitali privati nella realizzazione di infrastrutture. Gli incentivi fiscali stabiliti con legge di stabilità sono un primo passo, ma è anche necessario intervenire sulla regolamentazione del project financing, in modo da ridurre il rischio associato alle procedure amministrative. Occorre inoltre operare per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea con l'agenda digitale. Ho quasi concluso.

Con il consenso delle parti sociali dovranno essere riformate le istituzioni del mercato del lavoro, per allontanarci da un mercato duale dove alcuni sono fin troppo tutelati mentre altri sono totalmente privi di tutele e assicurazioni in caso di disoccupazione.

Le riforme in questo campo dovranno avere il duplice scopo di rendere più equo il nostro sistema di tutela del lavoro e di sicurezza sociale e anche di facilitare la crescita della produttività, tenendo conto dell'eterogeneità che contraddistingue in particolare l'economia italiana. In ogni caso, il nuovo ordinamento che andrà disegnato verrà applicato ai nuovi rapporti di lavoro per offrire loro una disciplina veramente universale, mentre non verranno modificati i rapporti di lavori regolari e stabili in essere.

Intendiamo perseguire lo spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro, come ci viene chiesto dalle autorità europee e come già le parti sociali hanno iniziato a fare, che va accompagnato da una disciplina coerente del sostegno alle persone senza impiego volta a facilitare la mobilità e il reinserimento nel mercato del lavoro, superando l'attuale segmentazione. Più mobilità tra impresa e settori è condizione essenziale per assecondare la trasformazione dell'economia italiana e sospingerne la crescita.

È necessario colmare il fossato che si è creato tra le garanzie e i vantaggi offerti dal ricorso ai contratti a termine e ai contratti a tempo indeterminato, superando i rischi e le incertezze che scoraggiano le imprese a ricorrere a questi ultimi. Tenendo conto dei vincoli di bilancio occorre avviare una riforma sistematica degli ammortizzatori sociali, volta a garantire a ogni lavoratore che non sarà privo di copertura rispetto ai rischi di perdita temporanea del posto di lavoro. Abbiamo da affrontare una crisi, abbiamo da affrontare delle trasformazioni strutturali, ma è nostro dovere cercare di evitare le angosce che accompagnano questi processi.

È necessario, infine, mantenere una pressione costante nell'azione di contrasto e di prevenzione del lavoro sommerso. Uno dei fattori che distinguono l'Italia nel contesto europeo è la maggiore difficoltà di inserimento o di permanenza in condizioni di occupazione delle donne. Assicurare la piena inclusione delle donne in ogni ambito della vita lavorativa ma anche sociale e civile del Paese è una questione indifferibile.

È necessario affrontare le questioni che riguardano la conciliazione della vita familiare con il lavoro, la promozione della natalità e la condivisione delle responsabilità legate alla maternità da parte di entrambi i genitori, nonché studiare l'opportunità di una tassazione preferenziale per le donne.

C'è poi un problema legato all'invecchiamento della popolazione che si traduce in oneri crescenti per le famiglie; andrà quindi prestata attenzioni ai servizi di cura agli anziani, oggi una preoccupazione sempre più urgente nelle famiglie in un momento in cui affrontano difficoltà crescenti.

Infine un'attenzione particolare andrà assicurata alle prospettive per i giovani; dico "infine" nel senso di finalità di tutta la nostra azione. Questa sarà una delle priorità di azione di questo Governo, nella convinzione che ciò che restringe le opportunità per i giovani si traduce poi in minori opportunità di crescita e di mobilità sociale per l'intero Paese. Dobbiamo porci l'obiettivo di eliminare tutti quei vincoli che oggi impediscono ai giovani di strutturare le proprie potenzialità in base al merito individuale indipendentemente dalla situazione sociale di partenza. Per questo ritengo importante inserire nell'azione di Governo misure che valorizzino le capacità individuali e eliminino ogni forma di cooptazione. L'Italia ha bisogno di investire sui suoi talenti; deve essere lei orgogliosa dei suoi talenti e non trasformarsi in un'entità di cui i suoi talenti non sempre sono orgogliosi. Per questo la mobilità è la nostra migliore alleata, mobilità sociale ma anche geografica, non solo all'interno del nostro Paese ma anche e soprattutto nel più ampio orizzonte del mercato del lavoro europeo e globale.

L'ultimo punto che desidero brevemente presentarvi - ed è una caratteristica spero distintiva del nostro Esecutivo, se consentirete al nostro, o vostro, Governo di nascere, è quella delle politiche micro-economiche per la crescita.

Un ritorno credibile a più alti tassi di crescita deve basarsi su misure volte a innalzare il capitale umano e fisico e la produttività dei fattori. La valorizzazione del capitale umano deve essere un aspetto centrale: sarà necessario mirare all'accrescimento dei livelli d'istruzione della forza lavoro, che sono ancora oggi nettamente inferiori alla media europea, anche tra i più giovani. Vi contribuiranno interventi mirati sulle scuole e sulle aree in ritardo, identificando i fabbisogni, anche mediante i test elaborati dall'INVALSI, e la revisione del sistema di selezione, allocazione e valorizzazione degli insegnanti. Nell'università, varati i decreti attuativi della legge di riforma approvata lo scorso anno, è ora necessario dare rapida e rigorosa attuazione ai meccanismi d'incentivazione basati sulla valutazione, previsti dalla riforma. Gli investimenti in infrastrutture, di cui tante volte e giustamente abbiamo parlato e si è parlato negli corso degli anni, sono fattori rilevanti per accrescere la produttività totale dell'economia.

A questo scopo, abbiamo per la prima volta valorizzato in modo organico nella struttura del Governo la politica, anzi, le politiche di sviluppo dell'economia reale, con l'attribuzione ad un unico Ministro delle competenze sullo sviluppo economico e sulle infrastrutture ed i trasporti. Questo vuole indicare quasi visivamente e in termini di organigramma del Governo che pari attenzione e centralità vanno attribuite a ciò che mantiene il Paese stabile, la disciplina finanziaria, e a ciò che ad esso consente di crescere e, quindi, di restare stabile a lungo termine, cioè appunto la crescita.

Occorre anche rimuovere gli ostacoli strutturali alla crescita, affrontando resistenze e chiusure corporative. In tal senso, è necessario un disegno organico, volto a ridurre gli oneri ed il rischio associato alle procedure amministrative, nonché a stimolare la concorrenza, con particolare riferimento al riordino della disciplina delle professioni regolamentate, anche dando attuazione a quanto previsto nella legge di stabilità in materia di tariffe minime.

Intendiamo anche rafforzare gli strumenti d'intervento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato in caso di disposizioni legislative o amministrative, statali o locali, che abbiano effetti distorsivi della concorrenza, accrescere la qualità dei servizi pubblici, nel quadro di un'azione volta a ridurre il deficit di concorrenza a livello locale, ridurre i tempi della giustizia civile, in modo tale da colmare il divario con gli altri Paesi, anche attraverso la riduzione delle sedi giudiziarie, e rimuovere gli ostacoli alla crescita delle dimensioni delle imprese, anche attraverso la delega fiscale.

Un innalzamento significativo del tasso di crescita è condizione essenziale non solo del riequilibrio finanziario, ma anche del progresso civile e sociale. In tal senso, una strategia di rilancio della crescita non può prescindere da un'azione determinata ed efficace di contrasto alla criminalità organizzata e a tutte le mafie, che vada a colpire gli interessi economici delle organizzazioni e le loro infiltrazioni nell'economia legale.

Il risanamento della finanza pubblica ed il rilancio della crescita contribuiranno a rafforzare la posizione dell'Italia in Europa e, più in generale, la nostra politica estera: vocazione europeistica, solidarietà atlantica, rapporti con i nostri partners strategici, apertura dei mercati, sicurezza nazionale ed internazionale rimarranno i cardini di tale politica. Voglio qui ricordare i nostri militari impegnati in missioni all'estero, le Forze Armate ed i rappresentanti delle forze dell'ordine, che sono in prima linea nella difesa dei nostri valori e della democrazia.

L'Italia ha bisogno di una politica estera coerente con i nostri impegni e di una ripresa d'iniziativa nelle aree dove vi siano significativi interessi nazionali.

Dimenticavo di dirvi, a proposito di militari impegnati in missioni all'estero, che se non vedete ancora in questi banchi il nostro collega Ministro della difesa, è perché l'altra sera l'ho svegliato alle tre di notte in Afghanistan, pensando che fosse a Bruxelles dove si trova la sua sede ordinaria di lavoro. Ho notato prima una certa esitazione e poi grande entusiasmo nell'accettazione della proposta. ( dai Gruppi PdL e PD). Ecco un esempio di militare impegnato all'estero che sta facendo i salti mortali per arrivare a giurare nelle mani del Capo dello Stato nelle prossime ore. Scusate quindi la sua assenza.

La gravità della situazione attuale richiede una risposta pronta e decisa nella creazione di condizioni favorevoli alla crescita nel perseguimento del pareggio di bilancio, con interventi strutturali e con un'equa distribuzione dei sacrifici.

Il tentativo che ci proponiamo di compiere, onorevoli senatori, e che vi chiedo di sostenere è difficilissimo; altrimenti ho il sospetto che non mi troverei qui oggi. I margini di successo sono tanto più ridotti, come ha rilevato il Presidente della Repubblica, dopo anni di contrapposizione e di scontri nella politica nazionale. Se sapremo cogliere insieme questa opportunità per avviare un confronto costruttivo su scelte e obiettivi di fondo avremo occasione di riscattare il Paese e potremo ristabilire la fiducia nelle sue istituzioni. Vi ringrazio.

Miccichè: «Governo nordista? Bene, il Sud sarà più tutelato»
Il leader di Grande Sud: «Tra i peggiori governi del passato quelli con siciliani all'interno»
PALERMO – «Ma che me ne frega! Nel passato abbiamo avuto tra i peggiori governi della Repubblica quelli con anche siciliani dentro». Il leader di Grande Sud Gianfranco Miccichè non si unisce al coro di chi lamenta un governo a trazione nordista con pochi ministri meridionali e l’assenza di siciliani nella nuova compagine governativa, dopo che nella precedente sia Stefania Prestigiacomo che Angelino Alfano provenivano dall’isola. «È un bellissimo governo», dice il sottosegretario in una intervista al quotidiano La Stampa. «Io mi fido di Fabrizio Barca», il titolare del nuovo ministero della Coesione nazionale che ha preso il posto di quello al Federalismo, tanto caro alla Lega. «Non c’è la Lega», aggiunge, «era la sua presenza ad essere cancerogena. Il problema non è che ci siano uomini del Nord al governo, ma uomini del Nord che odiano il Sud, mentre Barca adora il Sud, così come Passera».

ARMAO: «BARCA? COMPETENTE» - Alle parole di Miccichè fanno seguito quelle dell’assessore regionale siciliano Gaetano Armao che interpellato dai cronisti a Catania alla presentazione dell’«Expobit», sul nuovo esecutivo dice: «Chi pensava di portare avanti l’idea di un Paese dove il nord è ancora più ricco ed il sud è ancora più povero, per fortuna è andato a casa». «Conosco il ministro Barca», ha osservato, «che è competente alla coesione e sono convinto che sia per la sua cultura che per le sue idee saprà portare avanti un approccio totalmente diverso rispetto al federalismo e rispetto al rapporto tra il nord e il sud».

VERSO LE AMMINISTRATIVE - Intanto, se il governo inizia il suo mandato, la Sicilia si prepara alle amministrative. Mentre proprio Miccichè con il suo movimento correrebbe a Palermo da solo con il candidato Pippo Fallica, Armao è tra i nomi sui quali potrebbe scommettere il Terzo polo e la corrente Innovazioni del Pd, qualora il partito si spacchi sul nome di Rita Borsellino che di alleanze col Terzo non vuole sentirne parlare. Tanto che anche il segretario regionale del Pd, Giuseppe Lupo, ricorda che se «il Pd propone in tutti i comuni in cui si voterà alle prossime amministrative in Sicilia un’ alleanza che includa tutti i partiti del centrosinistra, l’Mpa, l’Udc, l’Api e Fli», aggiunge che «è necessario un chiarimento con Rita Borsellino», in vista di un’alleanza con il Terzo Polo «che se vi saranno le condizioni intendiamo costruire».
Francesco Parrella

Fitto: «Crisi drammatica, questo esecutivo è l'unica soluzione                 
di Francesco G. GIOFFREDI
LECCE - L’ultimo giorno da ministro degli Affari regionali, Raffaele Fitto l’ha trascorso con i suoi collaboratori, salutati e ringraziati uno ad uno. Da domani torna tra i banchi Pdl della Camera.
 La febbrile settimana alle spalle è stata per lui un muto lavorìo da ambasciatore e sponsor del governo Monti, felpata diplomazia per persuadere Berlusconi e i “falchi” del voto subito. Accarezzata la riconferma nell’esecutivo, adesso Fitto rompe il silenzio. E spiega.
L’umore come va?
«Tranquillissimo».
Rammaricato, almeno un po’.
«Magari sì per il lavoro che stavamo portando avanti, ma c’è la consapevolezza che in politica sono cose che succedono. Il giorno dopo si ricomincia. Guai a soffermarsi sui rimpianti».
In questi giorni lei s’è impegnato in un lavoro diplomatico per portare a termine l’operazione Monti: perché?
 «Oggi lo posso dire senza essere frainteso, visto che poteva essere ipotizzata l’idea che un mio sostegno potesse in realtà derivare dal desiderio di essere riconfermato. Posso sostenere le mie ragioni con più libertà: il ragionamento politico in base al quale non poteva essere sostenuto un governo diverso rispetto a quello uscito dalle urne lo condivido in linea di principio, ma ora la situazione è completamente differente».
La crisi, l’assalto dei mercati, le pressioni dell’Europa.
«Esatto: ci sono questioni esterne frutto della crisi, non addebitabili a Berlusconi, che ci devono far mettere da parte il ragionamento soltanto politico. Non ho avuto alcun dubbio a schierarmi a favore di un governo diverso, non potevamo fare diversamente».
Avete dovuto convincere anche Berluconi.
 «Nessuno aveva certezze, e il dubbio era legittimo. Ripeto: il ragionamento squisitamente politico contro la nascita di questo governo non fa una grinza. Ma la riflessione da fare è più ampia. Certo, la fase è complicata e dalle parole ai fatti il passo non sarà facile: ma tra governo Monti ed elezioni a febbraio non ho avuto alcun dubbio, nel secondo caso i rischi sarebbero stati ben più seri».
Ma il Pdl ne è uscito con le ossa rotte, spaccato da tensioni e differenze di vedute. Adesso vi tocca ricucire?
 «Siamo un partito che ha iniziato a discutere, in cui le posizioni non possono essere tutte uguali. Questo porta momenti di confronto aperto e chiaro: se le discussioni restano all’interno e si prende atto di una posizione maggioritaria, vuol dire che stiamo costruendo un partito».
Su Gianni Letta, in predicato d’essere vicepremier, cosa è successo?
 «Sono amareggiato: è partito un meccanismo di veti incrociati che ha riguardato Letta, una delle maggiori personalità del Paese. Non merita d’essere associato a una continuità col precedente governo. E poi Monti avrebbe avuto bisogno come il pane di una persona come Letta».
Bisognava controbilanciarlo con Amato, però.
«Letta-Amato sarebbero stati perfetti in questo governo».
Monti voleva ministri politici: perché l’idea è naufragata?
«Io ero per le presenze politiche, ne posso parlare liberamente senza essere frainteso. Condividere questi sacrifici e le scelte vuol dire mettersi tutti insieme. Queste scelte avrebbero chiesto un maggiore ancoraggio politico, anche solo con Letta e Amato».
Lei quanto è stato vicino alla riconferma?
«Mi ha fatto molto piacere toccare con mano il lavoro di questi anni: ho avuto molti attestati di stima, e le valutazioni su una mia riconferma erano frutto di una constatazione su quanto fatto. Questo mi fa lasciare senza rimpianti: i ruoli oggi ci sono, domani no, conta solo lavorare bene. Nel 2005, dopo le regionali, si disegnavano scenari finali su di me, e invece rimboccandosi le maniche è venuta fuori questa esperienza. Anche perché in un momento di forte contrapposizione politica ho raggiunto punti di sintesi e intesa con altri interlocutori. Mi auguro sia un metodo sempre più perseguito, il Paese ha bisogno di confronto».
Adesso tocca ai tecnici: cosa ne pensa? Il profilo è alto, qualcuno dice più del precedente...
«Non è un governo tecnico: assumerà subito un profilo politico già quando riceverà la fiducia in Parlamento. Il profilo dei nominati e del premier è di assoluto rilievo. Bisognerà valutare nella fase pratica: le conoscenze sono un valore, ma purtroppo i programmi e le scelte sono un altro film. Su questo ci vorrà un delicato equilibrio tra politica e tecnica, senza polemiche inutili. Chi sabato insultava in piazza Berlusconi, si renderà conto di cos’è questo governo e di cosa dovrà fare».
Tramonta il leghismo: scompare il ministero del federalismo, affiora quello alla Coesione territoriale. Ma la rappresentanza di ministri del Sud è ridottissima...
 «Al di là delle polemiche di Calderoli, il ministero della Coesione c’era già... I ministri del Sud? Vorrei ascoltare quanti per tre anni e mezzo mi hanno attaccato dicendo che ero parte di un governo leghista. Adesso dico, con coerenza: le politiche fatte sul Sud determineranno il giudizio. E il Parlamento può essere determinante».
Il Piano Sud che fine fa?
«Intanto con Regioni e commissario Ue ho chiuso il lavoro sull’accordo relativo agli 8 miliardi. Tutto il lavoro fatto sui fondi europei sono convinto proseguirà: Barca, il nuovo ministro, ha avuto con me già nei giorni scorsi incontri su questi temi».
Il rapporto con la Lega è incrinato del tutto?
«Lo vedremo... È chiaro che la loro posizione oggi non aiuta».
Sosterrete questo governo fino al 2013?
«Valuteremo anche questo: è sbagliato imporre una tempistica limitata, come firmare una cambiale in bianco. Io mi auguro possa durare sino al 2013 perché magari nel frattempo raggiungeremo dei risultati. È una fase epocale, non possiamo anteporre ragioni politiche al bene del Paese».
Voterete la patrimoniale?
«Tendenzialmente no. Ma dobbiamo valutare l’insieme dei provvedimenti, inutile parlare di singole misure. Questo governo chiederà qualche sacrificio in più: ci vuole responsabilità».
Fitto, “da grande” cosa vuol fare? Tornare a fare il governatore in Puglia?
 «Ma no...lo escludo. Non mi affeziono ai ruoli, che passano e appartengono a un periodo».

Risparmio famiglie: azioni ed obbligazioni in calo
Nel primo trimestre del corrente anno la quota di azioni e di partecipazioni detenuta dalle famiglie italiane è scesa dell’8,2% anno su anno. A rilevarlo è stata l’ABI, Associazione Bancaria Italiana, nel suo Outlook Mensile novembre 2011, aggiungendo altresì come la quota di azioni e partecipazioni, sullo stock complessivo di attività finanziarie detenute in portafoglio dalle famiglie italiane, sia passata dal 22,7% al 21,1%. Pollice verso anche per le obbligazioni pubbliche e private, che hanno fatto registrare anno su anno una contrazione dello 0,6%.
Aumentano invece su base annua nel trimestre preso in considerazione i depositi bancari, ma anche le quote di fondi comuni e l’aggregato rappresentato dalle polizze vita, dai fondi pensione e dal trattamento di fine rapporto (Tfr). Complessivamente al 31 marzo del 2011 in Italia le famiglie detenevano asset finanziari per complessivi 3.651 miliardi di euro, corrispondenti al 234% del prodotto interno lordo nazionale, ed a circa due volte il debito pubblico. Anno su anno comunque per il controvalore complessivo degli asset finanziari c’è stata una contrazione, seppur modesta, pari all’1,1%.
E presso le banche, a fronte di un totale di ben 22 milioni di dossier titoli aperti presso gli Istituti, le famiglie consumatrici, stando al dato consolidato al 30 settembre del 2011, detenevano a custodia titoli pari al 45,5% circa del totale di 1.566 miliardi di euro presso le banche italiane. I restanti soggetti sono invece in prevalenza istituzioni finanziarie, compagnie di assicurazione, amministrazioni pubbliche, ma anche società non finanziarie, famiglie produttrici e soggetti non residenti.

Germania, crisi Eurozona richiede istituzione forte
L'Eurozona ha bisogno di un'istituzione "forte" che aiuti a risolvere la crisi del debito sovrano, ha dichiarato il capo dell'agenzia del debito tedesca, Carl Heinz Daube, che pur non arrivando a suggerire che questo ruolo possa essere ricoperto dalla Banca centrale europea (Bce), ha sottolineato che l'area euro non dovrebbe creare nuove istituzioni per affrontare i suoi problemi, poichè ha già due meccanismi di salvataggio, cioè il Fondo salva Stati (Efsf) e il meccanismo di stabilità (Esm), oltre alla stessa Bce.
Riguardo alla possibilità che un Paese membro dell'Eurozona possa uscire dalla regione, Daub ha dichiarato che "ipoteticamente si potrebbe pensare che la Bce non sarebbe più disposta a comprare titoli di Stato come collaterale" e questo potrebbe "voler dire che il Paese dovrebbe abbandonare" l'area della moneta unica. L'Eurotower è al centro di forti pressioni da parte di alcuni Governi e dei mercati affinchè assuma un ruolo piú forte nella lotta alla crisi del debito, per esempio ampliando e aumentando il suo programma di acquisto bond. La Banca ha però piú volte sottolineato che tale piano ha portata e durata limitata.

Francia: Spread oltre 200, Sarkozy preme su Bce
Parigi ha ancora la tripla 'A' ma di fatto e' come declassata
17 novembre, 19:46
di Tullio Giannotti
PARIGI - Spread col botto in Francia, sopra quota 200, un record da quando esiste l'euro. Parigi non ha ancora perso la tripla A, anche se giovedì scorso ha tremato per lo scivolone di Standard and Poor's che ha declassato "per sbaglio" il rating della Francia. Nicolas Sarkozy, in rimonta nei sondaggi, preme sulla BCE attraverso la cancelliera Angela Merkel. Alle 10 di questa mattina, lo scarto dei tassi delle obbligazioni a 10 anni della Germania e della Francia ha toccato 200,6 punti, quota mai vista prima. Si parla con sempre maggior insistenza di "contagio", anzi della paura che esso si verifichi da parte di un numero sempre maggiore di investitori. E in queste ore nel mirino sono finite proprio le aste dei titoli pubblici francesi e spagnoli. Di fatto gli analisti meno teneri con Parigi ritengono che la perdita della tripla A per la Francia non sia più un errore di S&P, ma una dura realtà e che i piani di rigore fin qui presentati non sono serviti a rassicurare i mercati.

Visto che da gennaio la campagna elettorale entrerà nel vivo, la crisi e le sue conseguenze la faranno da protagonista, dal momento che la finanziaria 2013 dovrà essere quella delle famose "lacrime e sangue" per i francesi, a prescindere dal vincitore delle elezioni. Sarkozy ci ha già pensato, ed ha anticipato al suo staff l'intenzione di presentarsi ai francesi, con l'abituale formula della diretta tv, per tranquillizzarli sull'euro e contrastare tentazioni "nazionaliste" in campagna elettorale. Secondo alcune indiscrezioni, Sarkozy ha anche telefonato ieri alla Merkel premendo per una maggiore flessibilità della Bce perché tutti, tranne la Germania, stanno boccheggiando in zona euro. Il capo dell'Eliseo avrebbe chiesto che la Banca centrale faccia ricorso in pieno a tutti i suoi mezzi per contrastare gli i mercati. Riferirà ai francesi di queste sue pressioni, che vogliono soprattutto allontanare lo spettro del controllo sulle finanze nazionali che Parigi rischia di dover accettare, prima o poi.

Per la Francia, nazionalista e recalcitrante a cedere pezzi di sovranità a Bruxelles, si tratta di un vero e proprio tabù. Intanto, se la crescita è stata abbondantemente tagliata per il 2012 da 1,75% a 1%, non passa giorno senza nuovi annunci drammatici per l'occupazione. Gli ultimi in ordine di tempo hanno riguardato - proprio in queste ore - Peugeot (4.000 posti di lavoro in meno in Francia, altri 2.000 nel resto d'Europa) e delle banche Societé Generale (in prima linea nella crisi, ha annunciato ieri "centinaia di tagli") e Bnp-Paribas (prima banca francese, taglierà 373 posti in patria e 1.023 all'estero).

Sarkozy blocca il piano di tagli alla Peugeot: nessun licenziamento in Francia
Nicolas Sarkozy blocca il piano di tagli alla Peugeot. Il presidente francese ha annunciato che la casa automobilistica «si è impegnata a non procedere con il piano di riduzione dell'organico in Francia». Il piano comprendeva 6mila tagli di cui – secondo fonti sindacali – dai 4 ai 5mila in Francia; sempre secondo i sindacati, duemila tagli avrebbero riguardato le attività di ricerca e sviluppo, concentrate in patria.
Sarkozy ha parlato oggi più volte con Philippe Varin, amministratore delegato del gruppo Psa Peugeot Citroen. «Vi posso assicurare – ha detto il presidente – che Psa non avrà un piano di licenziamenti in Francia». E ha aggiunto che «i duemila dipendenti più direttamente coinvolti verranno riassegnati ad altri compiti, o in azienda o presso i fornitori». A sottolineare il peso da lui attribuito alla vicenda, il presidente ha detto a proposito di Psa che «l'immagine di una marca può essere durevolmente intaccata per degli errori che non sono solo di comunicazione, sono cose gravi». Non è la prima volta che Sarkozy interviene in maniera decisa sui patron del settore auto: l'anno scorso aveva convocato in tutta fretta il presidente di Renault, Carlos Ghosn, quando si era parlato di un trasferimento in Turchia della produzione della Clio; Ghosn aveva allora promesso di mantenere in Francia «un parte della produzione», senza quantificarla.
La presa di posizione di Sarkozy su Peugeot si inquadra in effetti nella lunga campagna, di fatto già iniziata, per le elezioni presidenziali che si terranno nell'aprile del 2012. Sarkozy ha sottolineato che «è fuor di questione che Psa riduca la spesa per ricerca e sviluppo in Francia, dove le aziende beneficiano – ha detto – di uno dei regimi fiscali più favorevoli al mondo». Peugeot e l'altro gruppo francese Renault (in cui Parigi ha una partecipazione del 15%) hanno restituito all'inizio del 2011 un prestito di 3 miliardi di euro ciascuna che avevano ricevuto dallo Stato francese due anni prima, nel pieno della crisi finanziaria; a quell'epoca Parigi aveva posto come condizione che le aziende non tagliassero posti di lavoro in Francia.»
Peugeot è uno dei costruttori di auto più colpiti dalla crisi del settore: nei primi 10 mesi dell'anno le vendite nella Ue sono scese del 7,6% a fronte di un mercato in calo dell'1,2 per cento. L'azienda ha reso noto il mese prossimo che il business dell'auto sarà «vicino al pareggio» nel 2011. Poiché il 2012 si preannuncia difficile sui mercati, il periodo pre-elettorale potrebbe esserlo altrettanto nei rapporti fra politica e aziende.
 17 novembre 2011

Eurotower.
Funzioni
 Le funzioni del SEBC e dell’Eurosistema sono definite dal Trattato che istituisce la Comunità europea e specificate dallo Statuto del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) e della Banca centrale europea (BCE). Lo Statuto figura come protocollo allegato al Trattato.
 Il Trattato fa riferimento al “SEBC” e non all’“Eurosistema”, essendo stato redatto in base all’assunto che tutti gli Stati membri dell’UE adotteranno l’euro. Fino a tale momento sarà l’Eurosistema a svolgere le funzioni stabilite dal Trattato.

Obiettivi
 “L’obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi”.
 Inoltre, “fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nella Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità definiti nell’articolo 2” (articolo 105, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea).
 Gli obiettivi dell’UE (articolo 2 del Trattato sull’Unione europea) sono un elevato livello di occupazione e una crescita sostenibile e non inflazionistica.

Funzioni fondamentali
 In base al Trattato che istituisce la Comunità europea (articolo 105, paragrafo 2) le funzioni fondamentali sono:
definire e attuare la politica monetaria per l’area dell’euro
svolgere le operazioni sui cambi
detenere e gestire le riserve ufficiali dei paesi dell’area dell’euro (si veda gestione di portafoglio)
promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.

Ulteriori funzioni
Banconote: la BCE ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno dell’area dell’euro.
Statistiche: in collaborazione con le BCN, la BCE acquisisce le informazioni statistiche necessarie per lo svolgimento dei propri compiti dalle autorità nazionali competenti, oppure direttamente dagli operatori economici.
Stabilità finanziaria e vigilanza prudenziale: l’Eurosistema contribuisce alla regolare conduzione delle politiche perseguite dalle autorità competenti in materia di vigilanza prudenziale sulle istituzioni creditizie e di stabilità del sistema finanziario.
Cooperazione a livello internazionale ed europeo: la BCE intrattiene relazioni operative con istituzioni, organi e consessi in seno all’UE e al di fuori dell’UE, negli ambiti di competenza dell’Eurosistema.

Bimbi russi e il lusso degli asili
17 novembre 2011
Elena Novikova, Russia Oggi
Nascite incentivate per legge nella Federazione contro il calo demografico, ma poi le neomamme si ritrovano costrette a lasciare il lavoro per stare con i figli. Esperienze di vita e rimedi al problema
Incentivi per fare figli, ma poi? Negli ultimi anni si è registrata una lieve crescita delle nascite grazie alle misure di sostegno attuate dal governo, come il bonus bebè: un assegno di 8 mila euro, destinato alle madri che mettono al mondo un secondo figlio. Eppure le coppie che hanno già due bambini, si trovano a dover fronteggiare un altro problema.
Secondo la legislazione russa, il congedo di maternità è di un anno e mezzo: durante questo periodo la neomamma riceve un’indennità mensile che non supera i 300 euro. Le viene riconosciuto il diritto di rimanere a casa fino al terzo anno di vita del figlio senza perdere il posto di lavoro, ma in tal caso non percepisce alcun compenso. Attualmente, la maggior parte delle madri si vede costretta a chiedere il periodo massimo di congedo (tre anni) per il semplice fatto che non riesce a trovare un posto in un asilo nido.
Svetlana Kopeikina, madre di 32 anni, residente in Spagna, racconta: “Quando entrai per la prima volta in un asilo pubblico spagnolo (uno dei migliori di Madrid), rimasi delusa: i bambini giocavano, mangiavano e dormivano nella stessa stanza. All’interno dell’edificio indossavano le stesse scarpe che portavano fuori e non avevano un’anticamera per cambiarsi; in generale gli spazi mi sembrarono molto ristretti. Eppure quello che mi colpì di più fu  che i bambini dormivano su un materasso posizionato sul pavimento. Quando lo raccontai ai miei amici russi, stentarono a credermi”.
In Russia gli asili nido pubblici sono molto grandi, in alcuni casi si tratta di edifici di due o tre piani con un ampio spazio per passeggiare. I vari gruppi di bambini dispongono di due stanze: una per giocare, studiare e mangiare e un’altra per dormire, dove ogni bambino ha un lettino con il proprio nome. Nell’atrio ci sono gli armadietti personali e degli sgabelli per consentire loro di vestirsi stando seduti. Un’altra priorità è l’igiene. All’interno della struttura i bambini si cambiano scarpe e vestiti. Ciò presuppone un lavoro maggiore per il personale. Di solito, in ogni classe di 20-25 bambini, lavorano due maestre e una collaboratrice, incaricata di pulire le stanze, servire i pasti e aiutare i bambini a vestirsi. La retta massima per ciascun bambino non supera i 30-40 euro al mese.

Tutto per un posto
Nonostante questi vantaggi, gli asili russi hanno un limite. Rimangono inaccessibili per molte famiglie. Aggiudicarsi un posto diventa spesso una battaglia. I genitori inviano la richiesta subito dopo la nascita del figlio, ma anche così facendo, si trovano a dover aspettare come minimo due anni prima che arrivi il loro turno. Sempre se arriva…
I poveri genitori e nonni sono disposti a tutto pur di assicurarsi un posto: effettuare donazioni in contanti, comprare mobili o giocattoli, pulire le finestre, ridipingere altalene, apportare miglioramenti o fare qualsiasi regalo personale ai direttori, i quali spesso abusano di questa “generosità”.
Il problema della scarsità di asili nido sorse negli anni ’90 quando quasi un terzo di quelli pubblici fu chiuso o venduto a imprese private che, a loro volta, li trasformarono in banche, uffici e così via. Reclamarli attualmente risulta quasi impossibile viste le lacune nella legislatura. Non c’è da stupirsi quindi se gli asili non accolgano bambini che non abbiano compiuto due anni, quando in precedenza, durante l’epoca sovietica, venivano ammessi a partire da un anno o un anno e mezzo.
La costruzione di nuovi asili è paralizzata. L’unica città in cui sorgono nuove strutture è Mosca. Nella capitale si aprono asili privati e ci sono sempre più genitori che optano per questa soluzione. La situazione di Mosca è completamente diversa rispetto a quella delle altre regioni. I pochi asili privati aperti nella periferia, come per esempio a Tomsk, sono mezzi vuoti, poiché costano tra i 400 e i 500 euro al mese, quando gli stipendi medi nella regione si aggirano sui 500-700 euro. Nella capitale i redditi delle famiglie sono di norma più alti, pertanto i genitori possono permettersi di mandare i figli in asili privati.
Le autorità di alcune regioni, come Novosibirsk, Perm o Krasnojarsk, allora, allarmate dalla criticità della situazione, hanno deciso di aiutare economicamente i nuclei famigliari che sono costretti a prendersi cura dei figli in casa. I deputati della Duma Statale stanno già discutendo una legge federale che obblighi tutte le regioni a prestare questo tipo di aiuto alle famiglie.
Certo, poter usufruire di questo contributo è meglio di niente. Tuttavia, l’importo sarebbe irrisorio (circa 100-150 euro a bambino) e non aiuterebbe a risolvere il problema. Nel frattempo, migliaia di genitori continuano a sognare un posto in asilo, e non si preoccuperebbero se il proprio figlio dovesse dormire su un materasso assieme ad altri bambini, qualora fosse ammesso.

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